Lo studiolo in mansarda
Lily
Luna Potter era una ragazza
fortunata, e ne era perfettamente conscia. Aveva due genitori che le
volevano
bene, due fratelli sempre pronti ad aiutarla (ok, forse non proprio
sempre),
due cugini favolosi che erano anche i suoi migliori amici, una famiglia
che la adorava
in quanto la cocca di casa.
Eppure
un tarlo la ossessionava sin
dalla tenera età di cinque anni, e anche se si crogiolava
nella piccola
felicità di tutti i giorni, a volte quel tarlo era come una
piccola macchia nera
nel quadro idilliaco della sua quotidianità.
La
prima volta era stata una
giornata piovosa. Papà aveva discusso con mamma riguardo
all’idea di lasciare
le Holyhead Harpies per dedicare più tempo alla famiglia, e
quando i toni s’erano
un po’ scaldati papà s’era alzato da
tavola senza una parola ed era salito su
in mansarda. Era un posto che in precedenza non aveva svegliato nessuna
curiosità in Lily, quindi all’inizio non diede
alcun peso alla cosa. Ma quando
Harry tornò in cucina mormorò qualcosa
all’orecchio di Ginny, che lo baciò con
trasporto e informò i figli che avrebbero passato la serata
dallo zio Ron. Lily
ne fu felice (adorava giocare con Hugo a scacchi e ascoltare le Sorelle
Stravagarie con Rose), ma si chiese come potesse una stanza
all’apparenza così
dimessa compiere una tale trasformazione in quella testa dura di suo
padre.
Ogni
volta che Harry perdeva la
pazienza saliva, si chiudeva in mansarda e tornava come nuovo, e Lily
si
convinse che doveva esserci qualcosa di strano in quella stanza; se ne
convinse
ancora più quando scoprì che la porta era chiusa
con la magia e che papà
lanciava un Incantesimo Imperturbabile sulla porta.
Ma
finalmente quel giorno si
sarebbe tolta lo sfizio. Era il suo diciassettesimo compleanno da ben
due ore,
e finalmente sarebbe potuta entrare nello studiolo in mansarda usando
la magia.
Scese
dal letto con delicatezza,
sperando di non far cigolare la rete, si infilò le ciabatte
e la vestaglia
e salì le scale con estrema attenzione, cercando di fare il
minor rumore
possibile – impresa più che difficile: nel
silenzio della notte ogni suono
veniva amplificato, e ogni passo su quei gradini creava scricchiolii
sinistri
simili al crepitio di minuscoli petardi.
Quando
arrivò alla porta della
mansarda, trasse un profondo respiro. Era giunto il momento.
“Alohomora!”
sussurrò alla
serratura, che scattò con un colpo di frusta. Lily
aprì la porta sul buio.
“Lumos!”
borbottò, e alzò la bacchetta per aumentare il
cono di luce e
scoprire i segreti di quel luogo.
Se
avesse dovuto attribuire degli
aggettivi a quel luogo, il primo che le sarebbe venuto in mente sarebbe
stato
«abbandonato»: quasi tutto lì dentro era
coperto da parecchi millimetri di
polvere, ed ogni passo di Lily alzava una nuvoletta di polvere. Se non
fosse
stata certa che suo padre era entrato lì ben tre volte
nell’ultimo mese (non
gli andava troppo a genio l’ultima fiamma di James, e lui si
ostinava ad
invitarla a cena), avrebbe detto che quella stanza non vedeva la
presenza
dell’uomo da anni.
“Lily?”
Quella voce sconosciuta la
fece trasalire, e riuscì appena in tempo a soffocare un
urlo, trasformato in
una specie di rantolo soffocato. Si girò verso la fonte del
rumore.
Sulla
parete di fronte c’era una
serie di cornici d’argento contenenti alcuni ritratti e
fotografie magici, e
uno dei loro abitanti era sveglio e la guardava con
intensità.
“Ci…
ci conosciamo?” chiese Lily
inclinando la testa di lato.
L’uomo
piegò le labbra in una sorta
di sorriso triste e rispose: “Oh, no… certo che
no. Mi sono… mi sono confuso.
Sa, conoscevo una Lily, e una parte di me spera sempre di poterla
riabbracciare, un giorno”.
Lily
guardò l’uomo. Non doveva
avere più di quarant’anni, eppure il suo volto
portava i segni di una persona
che ha molto sofferto in vita. I capelli neri e unti gli incorniciavano
il viso
pallido come due pesanti tendaggi, e gli occhi neri rivelavano che
c’era molto
dolore e molta vita vissuta dietro.
“Non
mi sono presentata. Lily Luna
Potter, signore” disse per rompere il silenzio imbarazzato
che s’era insinuato
tra loro. Lui la guardò con intensità per un
istante che sembrò infinito, poi
scostò lo sguardo… possibile che avesse gli occhi
lucidi?
“Signore,
non vorrei sembrarle
sgarbata, ma… come si chiama?” chiese lei.
“Scusa,
sono stato indelicato… io
sono, anzi, ero Severus Piton” disse il quadro. E lei si
ricordò…
“Lei
è stato preside nell’anno in
cui mio padre distrusse gli Horcrux… mio fratello ha il suo
nome, sa?”
Lui
sorrise. “Certo che lo so. So
molto della vostra famiglia; ti sei mai chiesta come si calmasse tuo
padre
quando era un po’ nervoso?” Sorrise al lampo di
comprensione che passò sullo
sguardo della giovane. “Sai, i tuoi occhi sono più
simili a quelli di tua
madre, Ginny. Eppure lo sguardo è molto simile alla tua
omonima, tua nonna…”
“Mia
nonna?” chiese Lily, poi
ricordò una cosa che aveva in camera. “Hai mai
potuto rincontrarla, almeno in
un quadro?”
Piton
abbassò i suoi occhi neri e
scosse mestamente il capo.
“Tuo
padre chiese di mettere un
quadro di sua madre ad Hogwarts, affinché
potessimo… ma finora, nessuno degli
artisti interpellati è riuscito a sapere abbastanza di Lily
Evans per infondere
parte del suo essere nella tela”.
“Sapere
abbastanza…” ripeté Lily,
meditabonda. Poi, come folgorata da un’ispirazione,
guardò Piton, ora
interdetto, e con un frettoloso: “Mi scusi,
m’è venuta un’idea…
tornerò presto,
lo prometto!”, si precipitò in camera sua.
Lì, illuminata dalla luce metallica
dell’aurora, tirò fuori un libriccino fatto a mano
ricevuto in dono per il suo
undicesimo compleanno, estrasse un foglio e una matita dal cassetto
della
scrivania e cominciò a lavorare…
“Tesoro
mio, buon compleanno!”
Ginny abbracciò Lily non appena scese in cucina.
“Perché c’hai messo tanto a
scendere? Tuo padre voleva darti personalmente il suo regalo per la tua
maggiore età, ma alla fine gli è toccato andare
al lavoro e rinunciare. Cosa
hai combinato?”
Lily
si studiò per un attimo la
punta delle scarpe da tennis con le mani nelle tasche della felpa. Alla
fine,
scegliendo accuratamente le parole, disse: “Hai presente il
regalo che m’avete
fatto a undici anni?”
“Oh,
sì… è stata un’idea geniale
di
Hermione, raccogliere tutte le informazioni possibili su colei di cui
porti il
nome e raccoglierle in un libro! Perché?”
“Ho
letto che ci fu un uomo che la
amò a lungo senza esserne ricambiato, Severus
Piton…”
Ginny
strinse per un attimo le
labbra, ma non disse nulla. Lily interpretò la cosa come il
permesso di
continuare a parlare.
“Ecco,
mi sono ricordata che papà
qualche anno fa chiese il permesso di far mettere un quadro della nonna
ad
Hogwarts, ma che nessuno sia riuscito nell’impresa di donarle
vita. Ecco… zia
Hermione mi aveva spiegato come si faceva l’incantesimo per
Trasfigurare i
quadri, e così… diciamo solo che ho fatto
fruttare la mia E in Incantesimi e Tresfigurazione”.
Ginny
non poteva sapere che solo
pochi metri sopra di lei, nello studiolo in mansarda, Severus Piton
ricevette
con qualche giorno d’anticipo il regalo di compleanno, mentre
riabbracciava una
Lily Evans bellissima, giovane e luminosa nell’abito da
cerimonia che la nipote
le aveva disegnato appositamente.
Lily Luna
Potter, brillante e
gentile neomaggiorenne, festeggiò alla grande il suo
compleanno, pensando che
almeno non era la sola ad aver ricevuto dei regali quel giorno, e la
sera andò
a letto con un sorriso rivolto alla mansarda.