Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: lilac    04/03/2017    6 recensioni
Breve one shot dedicata agli amanti della coppia Bulma/vegeta, a un momento della loro storia e... a qualche brivido.
(...) l'unico maestro che aveva mai avuto, forse l'unico che aveva mai voluto, gli aveva insegnato che lui pensava troppo... Aveva ragione (...)
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao a tutti/e, grazie per essere inciampati in questa pagina! Torno un po' a intermittenza da queste parti dopo una vita e un po', lasciando tracce abbastanza inutili del mio passaggio. Questa volta la faccio abbastanza breve. Se vi va, buona lettura! ^_^




Il titolo di questa storia è preso in prestito da un album degli Skunk Anansie del 1999, “Post Orgasmic Chill” (al singolare). I personaggi di Dragonball, invece, li ho presi in prestito dal maestro Akira Toriyama. Spero di restituirglieli esattamente come me li ha lasciati...






 

POST ORGASMIC CHILLS







 

La prima volta che aveva sentito quel brivido, un abisso gli si era spalancato dentro all'improvviso con una violenza tale da annientargli il respiro. Che niente avrebbe mai più potuto colmarlo era stato chiaro fin da subito, anche se non aveva voluto crederci.
L'aveva avuta senza alcuna riserva, palpitante, sotto di sé; il corpo madido di sudore gli era scivolato appena fra le mani contratto in uno spasimo, e un gemito che sembrava di dolore le era sfuggito senza controllo, mentre si aggrappava a lui con una forza che non aveva mai dimostrato di avere.
Aveva percepito il brivido di lei come il violento rimbombo di un tuono a distanza. Si era avvicinato a grande velocità fino ad esplodergli sulla testa, con un boato che aveva scosso la terra dalle fondamenta. E poi un'azzurra saetta, all'improvviso, che dardeggiava fra le sue braccia e gli sfrecciava accanto guizzando; lo stupore assoluto che l'aveva folgorato per un lungo momento, quando si era reso conto che quello era un brivido di autentico, traboccante piacere.
Quando aveva tentato di pensare, la sua mente aveva rifiutato ogni controllo e quel brivido si era propagato fino a lui come un flutto. Si era sentito incatenato a lei e una forza inarrestabile gli aveva afferrato le viscere e gliele aveva strappate via, insieme a quella che gli era sembrata l'ultima goccia di energia che aveva in corpo. Poi quella forza aveva spazzato via anche la tempesta, con un vento gelido, e il tuono aveva rimbombato ancora a distanza, fiaccamente, finché non si era estinto. Una debolezza infinita l'aveva sopraffatto, insieme all'eco di quel brivido. E lui l'aveva odiato.
Poi aveva odiato lei, profondamente.
Aveva a malapena avuto la prontezza di riflessi per spezzare all'istante quel legame, rivestirsi in fretta e allontanarsi. Le aveva rivolto uno sguardo di sfida, gli occhi fiammeggianti d'ira; ma di fronte a lei, sul suo viso era scivolata rapida un'ombra di paura ed era riuscito solo a dileguarsi, come quell'ombra.
Si era sentito debole e completamente vulnerabile, nelle mani di una creatura che avrebbe potuto annientare con l'imposizione di un dito. Aveva avvertito senza alcuna ombra di dubbio che quell'essere così fragile, in quel momento, avrebbe potuto metterlo in ginocchio al solo sfiorarlo. Non le aveva torto un capello; e l'aveva odiata.
Ma aveva odiato di più se stesso, che si era lasciato sorprendere e imbrogliare, e che per qualche motivo assurdamente incomprensibile aveva rifiutato di disfarsi di quella vita... come se su quel pianeta lui fosse qualcun altro; qualcuno che non riconosceva più il proprio istinto, che poteva essere derubato con una tale impudenza. Non aveva avuto altra scelta che essere debole; ancora.
Era stato lui stesso ad aprire le porte di quell'inferno che continuava a sentire dentro, ed era stato chiaro fin da subito che niente avrebbe mai più potuto estinguerlo.


In seguito era tornato molte volte a prenderselo, quel brivido, perché predare e possedere significava essere autenticamente se stesso. Tutto poteva essere suo, niente e nessuno escluso. Ma aveva anche continuato a cercare ossessivamente altrove, come a volersi illudere che non ne aveva bisogno; e che non sentisse intimamente, in qualche recesso buio della coscienza, quella sensazione ripugnante che invece fosse lui la preda, che tra i due non fosse il più forte.
Eppure lo era stato davvero, più forte, quando ritrovava quell'ebrezza dei sensi che gli era familiare, mentre scagliava fuori di sé la sua energia con la rabbia di un'esistenza intera. Era proprio in quei momenti che riusciva a percepire chiaramente la sua forza, quando quell'energia si affievoliva fin quasi ad estinguersi e sentiva in sé l'eco del boato; quando, con l'esaltazione del potere assoluto, contemplava il vuoto attorno a sé e vagheggiava l'annientamento di ogni cosa. Era in quei momenti che, insieme alla sua forza, osservava la distanza che lo separava dai suoi limiti farsi sempre più breve, e un brivido gli attraversava il corpo e la mente, e lo infiammava. Non esisteva più nient'altro. Niente, a parte l'accrescersi del suo desiderio d'onnipotenza e la consapevolezza che quel nemico lui poteva superarlo.
Per molto tempo non aveva voluto vedere altro sul proprio orizzonte, anche quando i contorni di quell'orizzonte si erano fatti confusi, sfocati nella nebbia, o si erano cancellati del tutto nella notte più buia. Lei era rimasta nell'ombra. Osservando l'evolversi dei suoi sentimenti come una belva affamata, era rimasta silenziosa in agguato, pronta a scagliarsi su di lui al momento opportuno.
Era tornato e ritornato molte altre volte a prenderselo, quel brivido, a ghermirlo con sfregio o a rubarlo di soppiatto; o semplicemente a reclamarlo come fosse un diritto, senza capire mai fino in fondo che invece era lei a darglielo. Perché lei era stata un enigma indecifrabile, un segreto oscuro e impenetrabile che era al di là delle sue possibilità, e che per tanto tempo si era rifiutato di affrontare. Ma il pensiero del sangue che aveva vomitato ai piedi di Kakaroth, mentre lo supplicava di vendicare il suo popolo, faceva davvero molto più male a quel tempo, perché lui aveva sempre affrontato i nemici, piuttosto che l'oscurità.


“Vegeta...”
Ne era passato molto, di tempo, da quando il destino - o forse semplicemente quel maledetto saiyan - lo aveva gettato su quel pianeta miserabile come fosse spazzatura. Niente era più come prima. Lui non era più lo stesso. Eppure, chissà perché, gli era rimasto quel primordiale e remoto istinto di scappare.
Il fruscio della seta alle sue spalle fu lieve come il tono di quella parole. “Resta un momento. Non te ne andare.”
Seduto sul bordo del letto, con la battle suit indossata solo per metà e la schiena nuda rivolta a lei, si fermò per un momento a soppesare l'altra metà della tuta che aveva fra le mani; quella metà che proteggeva le parti più vulnerabili del suo corpo, i suoi organi vitali. La lasciò cadere di nuovo sul pavimento accanto a uno dei suoi stivali e a ciò che rimaneva della maglietta preferita di lei, che era ridotta a qualche brandello di stoffa bianca; e gettò un'occhiata distratta al riflesso del sole sullo schermo del portatile, in equilibrio precario sul tavolo, dove un cursore continuava a lampeggiare nel mezzo di una frase interrotta bruscamente.
No, non era più lo stesso. Non era stato più lo stesso molte volte, ed era stato messo di fronte a molte scelte... O forse a una sola... Su quel pianeta miserabile, da cui non era mai riuscito a scappare, si erano succeduti la sorpresa, il dolore, un'infinità di brividi e di ferite e alla fine lui non aveva potuto non capire, e nemmeno resistere.
Si sdraiò di nuovo al suo fianco e sollevò un braccio allungandolo sopra la testa per darle modo di accostarsi. Lei si avvicinò e l'abbracciò accoccolandosi al suo fianco. Si rimboccò il lenzuolo sul seno con un incerto senso di pudore, che a lui sembrò illogico e terribilmente seducente; poi reclinò il capo sul suo petto e alleggerì lievemente la presa, portando la mano che lo cingeva a contatto col suo cuore, mentre lui tornava ad allungarsi fra le pieghe della seta e la stringeva più forte a sé.
Era un'aura appena percepibile quella che aveva accanto; estremamente difficile da avvertire anche per uno come lui, che aveva imparato a farlo con quella degli dei. La ascoltò per un momento e qualcosa nella sua mente tremò ancora, come la prima volta che l'aveva sentita, come se si fosse appena arrestato sull'orlo di un precipizio e con gli occhi ne stesse ancora misurando la profondità.
E mentre si soffermava a sondare ancora quell'abisso oscuro, un debole sorriso involontario sorse a contraddire il senso dei suoi pensieri; finché il calore di quella mano così fragile, che scivolò inaspettata e appena percepibile sulla sua pelle, s'intromise per l'ennesima volta a ricordargli che lei, pure se non l'aveva mai visto, aveva sempre creduto a quel sorriso, piuttosto che all'oscurità.
“É un vero peccato però.” Le dita di lei disegnarono uno strano contorno sul suo torace, sfiorandolo adagio.
“Non posso farci niente.”
C'era qualcosa di sorprendentemente ironico nel constatare adesso, che proprio quando aveva conosciuto il vero potere della distruzione e quando aveva avuto la reale prospettiva di possedere un tale, devastante potere, fosse tutto l'opposto quello che lo faceva tremare.
“Sì, ma io volevo farti una sorpresa, uffa!”
Fu costretto a scrutare per un momento la sua espressione allegra, fintamente indignata, quando facendo forza con quella mano sul suo cuore, si sollevò appena e si voltò verso di lui per sfidarlo un'altra volta, con la sicurezza di chi era il più forte.
Era questo ciò di cui parlavano i Kaioh? Quella sorta di equilibrio cosmico per cui tutto ciò che esiste, esiste insieme al suo opposto?
La guardò solo per un momento. Non poteva vincerla, quella sfida.
“E poi magari potevi dirmelo tu, accidenti!”
Quello sguardo luminoso, che faceva capolino ridendo fra le ciocche azzurre arruffate sulla sua fronte, era ancora fissò su di lui con tanta intensità che riuscì ad avvertirlo nonostante il suo fosse perso nel vuoto; o fra le pieghe delle tende alle finestre più lontane, che sembravano prendere fuoco nella luce del pomeriggio.
“Non posso percepire anche il sesso.”
Ma percepì in quello sguardo qualcosa di improvvisamente innocente e radioso, e la forza irresistibile di un incantesimo. Poi la sentì abbassare di nuovo il capo sul suo petto, sentì il profumo dei suoi capelli e il suo respiro caldo sulla pelle.
Creare quest'altra nuova vita era il suo modo di continuare a ripagare quell'universo per tutto ciò che aveva distrutto? Ma fosse stato quello il caso non sarebbero bastate mille vite...
“Allora non voglio saperlo nemmeno io.” C'era qualcosa, nella dolcezza di quel tono di voce, che lo sorprese ancora una volta...
E poi ancora una volta. “Non vedo l'ora di dirlo a Trunks.”
Era il suo modo per ripagare lei?
“Perché lui non lo sa, vero?”
“Non può percepire quel tipo di aura.”
E un'altra volta... “Vuoi dirglielo tu?”


Probabilmente non lo avrebbe mai capito fino in fondo. Magari non ne aveva nemmeno bisogno. In realtà, l'unico maestro che aveva mai avuto, forse l'unico che aveva mai voluto, gli aveva insegnato che lui pensava troppo... Aveva ragione.
Dopotutto, anche quello era solo un brivido.






 


 

FINE



 

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: lilac