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Autore: SkyDream    06/03/2017    6 recensioni
Sotto il cielo lilla di primavera inoltrata, tra i venti caldi e gli ultimi raggi del sole, Heiji vede Kazuha e il suo fidanzato Kei davanti casa.
Ma qualcosa di insospettabile lo farà fermare.
Cosa succede?
*Piccola one-shot venuta fuori per caso*
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Raccolta storie su Heiji e Kazuha'
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In the name of love
 
Dedicata alla mia parabatai, che nonostante tutto continua a incoraggiarmi.

Heiji e il Otonashi, reduci dall’ultimo estenuante allenamento in palestra, stavano tornando discutendo sugli ultimi tornei a cui avrebbero partecipato.
La luce del sole stava lentamente scemando, conferendo ai marciapiedi e alle strade un tenero color lavanda, nell’aria l’odore di primavera aveva svegliato i primi bambini, che giocavano al parco inseguendo la palla o saltellando con la corda.
Alcune persone aprivano le ante delle finestre per far entrare l’aria fresca e per nulla fastidiosa che, da alcuni giorni, portava con sé il tempo buono.
Heiji sollevò il capo verso il cielo e notò la totale assenza di nuvole, il lilla del cielo cominciava a farsi più scuro.
«Allora ci vediamo domani, passi tu?» Otonashi ravvivò i capelli sudati con una mano e guardò distrattamente la strada che avrebbe dovuto percorrere.
«Sì, passo alle otto. Vedi di essere pronto, non al solito tuo!» Sorrise Heiji dandogli una pacca sulla spalla e cominciando a camminare.
Il cielo era sempre più scuro, e una sensazione strana cominciava a fargli accapponare la pelle. Che si fosse preso l’influenza?
«Ora basta! Ti ho detto che non l’ho fatto apposta e che non succederà più» Kazuha, poggiata al muretto della sua casa, teneva le braccia malamente conserte e con gli occhi lucidi fissava il ragazzo pallido di fronte. Aveva i capelli così biondi da sembrare un angelo, la pelle candida e il portamento sicuro ed elegante di un pianista.
Non aveva avuto –quasi- nulla da dire quando Kazuha li aveva presentati, rivelandogli che si era innamorata e che lui le aveva chiesto di ufficializzare la cosa.
Gli era solo scappata qualche imprecazione, e il tavolo della sua scrivania gli aveva regalato una scheggia nel dito quando aveva sbattuto il pugno con violenza, quando nessuno era presente per notare il livello di frustrazione che lo aveva colto come un attacco di panico.
Ora stavano là, sotto il cielo color lavanda che si scuriva, guardandosi negli occhi lucidi mentre lei a testa alta non si scomponeva, ma chiedeva scusa pretendendo di essere ascoltata.
Poi, veloce come un fulmine e con il rombo di un tuono, l’angelo dai capelli chiari le diede uno schiaffo. Con potenza. Così tanta potenza da farla cadere in ginocchio.
Senza dirle nulla, senza proferire una parola salì sulla sua auto e partì a tutta velocità.
«Kazuha!» Heiji, rimasto immobile mentre il sangue cominciava a ribollire nelle vene, prese a correre verso di lei, già rialzatasi.
«Si può sapere cosa gli è preso?!» Urlò verso la strada ormai vuota, erano soli.
«Non è successo nulla, Heiji, vai a casa»
Tre parole: vai a casa. Riuscirono –se possibile- a farlo arrabbiare ancora di più.
«Kazuha ti ha…»
«Dato un ceffone. Sì, ho sbagliato e mi ha dato un ceffone, ora torna a casa Heiji.»
Gli occhi lucidi, i pugni tremanti e il labbro sanguinante però la tradivano. Non era così tranquilla come sembrava, ed Heiji- senza parlare- l’afferrò per un braccio e aprì la porta di casa sua. La macchina non era nel posteggio, segno che i genitori fossero ancora in centrale, dato l’orario non sarebbero tornati tanto tardi.
«Siediti» le aveva ordinato sospirando e prendendo del ghiaccio dal congelatore.
Erano anni ormai che Heiji viveva a casa di Kazuha, e solo negli ultimi mesi- proprio quando lei e il bellimbusto si erano fidanzati- aveva dovuto accantonare l’abitudine a causa degli allenamenti.
Ormai conosceva quelle mura come quelle della propria casa: ogni spiffero, ogni rumore e ogni sportello o cassetto. Aveva pranzato e cenato, dormito, fatto la doccia e riso, giocato e…sì, si era anche innamorato tra quelle mura.
Ora, la persona che realmente viveva in quella casa e che l’aveva fatto innamorare, era seduta su un tavolo con gli occhi pieni di lacrime e un labbro spaccato.
Heiji le poggiò il panno con il ghiaccio sulle labbra, facendola sussultare. Colto da un moto d’affetto –improvviso e raro- le cinse le spalle con il braccio libero e lasciò che la sua testa poggiasse sul suo petto.
«Non…mi fai male alle spalle, Heiji…»
Eppure non stava stringendo per nulla forte.
«Kazuha?» Lei era rimasta immobile, piangendo senza singhiozzare con la testa poggiata al petto caldo del suo amico.
«Sì?»
«Non è la prima volta, vero? Cerco di stringerti le spalle, ma ti ritiri, cerco di prenderti il polso ma non ti lasci toccare. A scuola indossi solo camicie dalle maniche lunghe e sotto la gonna solo calze scure. Pensavo stessi seguendo qualche strana moda, ma non ne sono più tanto sicuro».
Kazuha sollevò il viso, gli occhi chiari di Heiji erano puntati sui suoi, come se cercasse di leggerle nel pensiero. Si sentì nuda, vulnerabile.
«No, non è la prima volta. Ma sarà l’ultima, spero…» Si scostò, controvoglia, e tolse il ghiaccio dalle labbra per potersi sciacquare il viso e togliere le lacrime.
«Devi mollarlo, Kazuha! E’ violento, santi numi, ti ha picchiata, come puoi? Guardami negli occhi e dimmi che lo…ami!»
Era sconvolto, sentiva lo stomaco attorcigliarsi, il sangue diventare acido e la mente scoppiargli.
Kazuha amava una persona del genere. E stava cercando di evitare il pensiero delle mani da pianista che la toccavano, che la colpivano. Se ci avesse pensato anche solo un momento, avrebbe lasciato Kazuha in quella cucina e sarebbe andato personalmente a casa di quel…
«Non posso mollarlo. Con il caratteraccio che ho nessuno mi vorrebbe mai. E’ l’unica persona che abbia mai provato qualcosa per me, se lo lasciassi andare resterei da sola per sempre»
Heiji rimase a fissarla, la rabbia cominciava a scemare e a mutare in qualcosa di simile allo stupore.
«Cosa hai detto?»
«Non posso mollarlo perché con-»
«No, ho sentito! Mi stai dicendo che quel cretino ti ha convinta che nessuno ti avrebbe mai voluta? Davvero?»
Eppure Heiji lo sapeva bene, Kazuha era nella lista delle ragazze più carine del liceo, e ogni volta che andava nello spogliatoio dopo aver fatto educazione fisica…Heiji doveva mettersi nel corridoio e rifilare occhiatacce a chiunque volesse guardare dallo spioncino.
«Ho un brutto carattere, sono presuntuosa, testarda, spesso straparlo oppure mi zittisco troppo, non ho un bel fisico e-»
«E cavolate»
Kazuha alzò lo sguardo dal lavandino, stava piangendo dinuovo, ma in quei mesi aveva imparato a non farsi sentire.
«Se non lo lasci tu, farò in modo che lui non torni più.» Aveva detto l’ultima frase con il tono di sentenza che usavano i giudici forensi.
«Non sono affari tuoi!» Aveva alzato la voce lei, si era poggiata al lavandino e si era rivolta con il busto verso di lui «Non sono affari tuoi, restane fuori».
 
Eppure, anche al costo di passare per il cattivo di turno, non ti saresti fatto da parte
Lei era troppo importante per te, non potevi permettere che venisse trattata così
Umiliata, picchiata, e sconvolta psicologicamente
Eri distrutto quanto lei, per esserti accorto troppo tardi di quello che avevi fatto
Fortuna che avevi giurato a te stesso di stare attento
Proteggerla
E amarla,senza dimostrarlo mai
Eppure, Heiji, se solo lo avessi fatto
Se solo avessi amato profondamente e fossi stato sincero con te stesso e con lei
Molti casini non ci sarebbero stati
L’amore tanto spesso porta problemi, quanto spesso li risolve
 
Erano passati solo pochi giorni, il labbro di Kazuha era guarito e lei sembrava serena come al solito.
Heiji aveva cercato di parlare di Kei, ma sempre con scarsi risultati. Infatti le sue risposte erano sempre vaghe e banali. Non lasciava presagire nulla di buono.
E quel nulla di buono arrivò in tarda serata, alle undici di sera, mentre Heiji stava sdraiato sul letto riflettendo sulle sue ultime gare.
Kazuha non si era fatta sentire quel giorno, né aveva risposto ai suoi continui messaggi. Così quella chiamata improvvisa a quell’orario insolito lo sorprese più del previsto?
Rispose sollevandosi appena dal materasso, dall’altro lato del telefono si sentiva un pianto ininterrotto e delle urla ovattate, come se fossero dietro un cuscino.
«Kazuha? Sei tu?» Heiji si alzò del tutto, prese i primi vestiti che trovò e cominciò a vestirsi senza smettere di incitarla.
«Dimmi dove sei, Kazuha, dimmi dove sei!» Lei, senza smettere di piangere guardò lo schermo cercando di mandare un messaggio, con scarsi risultati.
Preso di panico, già sulla moto ma senza meta, decise di tentare l’ultima cosa.
«Accendi il geolocalizzatore, sto arrivando, okay?» Cercava di usare un tono sereno, ma le  emozioni che provava erano tante, e così contrastanti da fargli alzare la voce più del dovuto. Il sudore freddo cominciava a scendergli lungo il collo, facendolo rabbrividire.
Fredda, buia e senza stelle, notte inquieta.
Riuscì a individuarla, accese il motore e partì tra le buie strade di Osaka.
Quando arrivò davanti al locale trovò davanti a sé delle macchine della polizia a sirene accese, alcuni agenti stavano parlando e molta gente era uscita dal locale.
Entrò facilmente, dicendo di essere figlio di Heizo e salutando amichevolmente Goro- unico ispettore lì dentro.
Quando arrivò alla porta del bagno delle donne –una pesante porta scura con un oblò di vetro al centro- vide diverse poliziotte parlare tra loro e un uomo alto e grassoccio stringere al muro un tipo biondo, Kei.
«Si può sapere cosa è successo qui?»
«La ragazza è entrata di corsa e si è chiusa in bagno. E questo figlio di buona madre è entrato strillando e ha cominciato a dare pugni alla porta. Ho chiamato la polizia ma mi hanno detto che non possono arrestarlo…» Spiegò con voce arrabbiata e rude il tizio grassoccio, se Heiji non ricordava male quell’uomo doveva essere il cuoco del ristorante.
«Ho cercato di spiegargli che non c’entro nulla e che quella ragazza è folle! Dovete farla uscire di lì, è la mia ragazza» Urlava quello cercando di dimenarsi dalla stretta del tizio grassoccio.
Le poliziotte li tenevano d’occhio mentre l’ispettore ragionava sul da farsi.
«Kazuha?» Heiji bussò delicatamente sull’oblò di vetro nella porta. «Mi fai entrare?»
«Non ci è riuscito nessuno, non ha fatto entrare nessuno quella pazza. E’ pazza, completamente » continuava ad asserire Kei, ancora con le spalle al muro, aveva gli occhi contornati di viola, come se non avesse dormito o se fosse totalmente fatto.
La porta fece uno scatto, tutte le persone in sala si voltarono mentre Heiji entrava e se la richiudeva alle spalle.
«Ehi, piccola…» cominciò mentre Kazuha restava seduta al buio appoggiata al muro. Teneva le ginocchia al petto e singhiozzava rumorosamente con il viso affondato nelle braccia.
«Non…sapevo…cosa..chi chiamare» Sussurrò. Heiji si sedette accanto a lei, proprio come quella volta sul tavolo della cucina, lasciò che la ragazza scivolasse sul suo petto. La circondò con le braccia scoprendo il vestito ormai bagnato a causa dell’umidità.
«Passa tutto, andiamo via di qui e ti riporto a casa, okay?» Heiji non sapeva di esserne capace, ma scoprì di riuscire a utilizzare una voce dolce e premurosa, calda.
«Non voglio andarmene» Kazuha continuava a piangere, stringeva forte la maglietta di Heiji e continuava a tremare come infreddolita.
Il ragazzo, ancora preoccupato per le condizioni dell’amica, notò che la scollatura e la parte anteriore del vestito erano stati strappati con forza.
«Sta ferma, torno subito» Kazuha lasciò che Heiji si alzasse, lo seguì con lo sguardo nonostante il pianto e la paura l’avessero debilitata al punto da vedere sfuocato.
Udì solo delle parole sconnesse come “Sono il figlio di Heizo, portatelo in centrale” e “abuso e tentato…”. Il tono era duro, perentorio, cercava di apparire calmo, senza esserlo veramente.
Quando tornò nel bagno, chiudendo la porta e senza accendere la luce, Kazuha sollevò la testa aspettandosi una bella ramanzina per l’occhio nero che si ritrovava.
Heiji, invece, si limitò a togliere la giacca, a passarla sopra le sue spalle e a tendere una mano.
«Vieni con me, torniamo a casa ora».
 
Il viaggio in moto era stato lungo, Kazuha non aveva mollato un momento la presa dal corpo del suo amico. Se spostava più in alto la mano, poteva sentire il cuore del ragazzo battere violentemente dentro il petto.
“Rabbia. Rancore.” Pensò lei senza smettere di tremare.
Cercò di pensare alle sue parole, prima di uscire dal locale «Puoi venire da me questa notte».
Lei aveva scosso la testa annuendo, non voleva tornare a casa, sentirsi sola in quel letto dove più di una volta Kei le aveva fatto del male. Aveva voglia di restare con qualcuno, e nessuno più di Heiji la faceva sentire al sicuro.
Con lui al suo fianco i problemi e le situazioni incresciose erano all’ordine del giorno, ma era sicura che insieme ne sarebbero sempre usciti. E così era sempre stato.
«Andrà tutto bene, okay?» Lei continuò ad annuire, lo seguì fin dentro casa e lasciò che lui la conducesse fino alla sua camera. Si sedette sulla sedia della scrivania, e in silenzio attese che tornasse con il ghiaccio e il cotone.
«Farà un po’ male» la avvertì mettendo il ghiaccio sull’occhio nero, Kazuha mugolò leggermente, sospirò e lasciò che Heiji disfacesse il letto.
Pochi minuti dopo la madre di Heiji entrò, restando da sola con lei.
Tua madre non aveva fatto domande
Sapeva che la madre di Kazuha si sarebbe spaventata troppo vedendola in quelle condizioni
Aveva capito senza il minimo sforzo i tuoi intenti
Ed era salita a medicarla, rincuorarla e sorreggerla
Perché, così come lo sapevi tu, anche lei capiva
Che certe cose si possono comprendere solo tra due donne
E, mentre tua madre la faceva smettere di piangere, tu eri rimasto seduto a terra
Con le mani chiuse in pugni
E una voglia sfrenata di rompere le ossa a Kei
E a te stesso, che mai prima di allora avresti pensato
Che amarla davvero era stato un dono
E che come tale andava protetto, quell’amore
E che era arrivato il momento di esplicitare quel giuramento che, ormai da tanto,
facevi solo a te stesso.
Amarla e proteggerla
Ora e per sempre
Per tutta la vita, e per ciò che verrà dopo
«Non essere scorbutico al solito tuo» Aveva detto tua madre uscendo dalla camera e scendendo le scale. Entrasti incuriosito, lei era seduta sul letto con il vestito stracciato tra le mani, aveva un tuo pigiama blu, un piccolo cerotto per labbra nascondeva la ferita che si era procurata qualche giorno prima, l’occhio nero era ancora ben visibile.
Spegnesti la luce, senza cambiarti né dicendo una parola, ti buttasti sul letto con una coperta addosso. Non c’era bisogno di parlare o di chiarire qualcosa, eravate rimasti in silenzio sapendo che eravate insieme, che i pericoli erano ormai finiti e che tutto si sarebbe sistemato.
Eppure, dopo un paio di minuti, una mano piccola e fredda ti circondò il polso con timidezza, scivolando fino a intrecciare le dita. La stringesti con tenerezza, lasciando alla sensazione di calore tutti i tuoi pensieri. Poi, come una canzone che sfuma fino a finire, ti addormentasti.
Aveva tentato di violentarla, lo scopristi il mattino seguente.
Kei fu mandato in tribunale parecchie volte, senza vincere la causa.
Kazuha fu felice di essere nuovamente single
Ma qualcosa tra di voi era cambiato, come gli sguardi e le carezze nelle mani
Sempre più intime e indiscrete
Finchè, una sera di maggio, preso dalla passione e forse dalla follia
La aspettasti fuori dalla palestra e, dopo averla condotta lontano da occhi indiscreti
Le rubasti le labbra, salate dal sudore e dolci per l’energizzante
La baciasti senza dire una parola
Quelle, spesso inutili e dannose, sarebbero state un problema a posteri
In quel momento c’eravate solo tu, lei e quel bacio dolce e salato.
 Dato in nome dell'amore.
   
 
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