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Autore: LilituDemoneAssiro    06/03/2017    2 recensioni
La scelta di Will è stata fatta: cadere e il suo bisogno di rinascere, portano lo spirito del cambiamento. La caduta, la perdita della grazia, e i nuovi occhi di Will si aprono al mondo. Le cose iniziano a prendere una piega inaspettata nel momento in cui il signor Graham comprende che la propria natura vive della sincerità delle proprie esternazioni, e il mondo ne avrebbe saggiato a breve uno spunto di tanto rinato gusto.
Genere: Horror, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bedelia Du Maurier, Hannibal Lecter, Jack Crawford, Will Graham
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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La differenza tra ciò che vuoi e ciò che puoi, dipinge il confine tra l’umano e il divino. La notte in cui quella cicatrice aveva trovato spazio sulla mia guancia, io avevo accarezzato la morte ed avevamo fatto l’amore senza freni, prima del mio risveglio.
Ed era lì, tra le stelle nell’infinito buio, che accanto all’amore per la morte, avevo trovato il suo volto. Si sollevava tra i miei occhi, pronto a ricordarmi per l’ennesima volta quanto fossi stato sciocco, mentre mi tratteneva alla vita ancora e ancora... Fin dall’inizio non mi aveva mai abbandonato, mai un momento ero stato più amaramente solo; neppure quando avevo provato io stesso a spegnerne la luce mentre tentavo di trascinarlo con me, nell’abisso. Lo avevo apprezzato senza vederlo, districandomi tra le cuciture del completo umano che con tanta maestria indossava, ma lo avevo amato quando quel completo si era sciolto nel mio sangue e in quello di Abigail, e senza sosta, avevo iniziato a cercarlo tra i fantasmi del mio divenire e i demoni guardiani del suo gusto per il mio caos.
Piccola anima crudele, bambina mia… continuavo a ripetermi, disteso inerte sulla sabbia.
Lei è stata e sempre sarà, il mio più grande rimpianto.
Non mi perdonerò mai, non ti perdonerò mai, dovevi scegliere me, di me ti dovevi fidare, …. Sono confuso maledizione, l’impatto con l’acqua mi ha devastato, pensai. Ora mi trovavo, per l’ennesima volta, mendicante delle sue cure, intossicato dal bisogno delle sue attenzioni. Piccolo ometto egoista, continuavo a ripetermi nel mentre, come avevo potuto credere di potermi avvicinare a tanta forza senza venirne sopraffatto? Ero davvero convinto di poter volare fino al sole con le mie stupide ali e raggiungerlo, senza doverne affrontare le conseguenze…? Di quanta superbia mi facevo fiero portatore, ad oggi ancora me ne stupisco. Lo guardavo e disegnavo quel che i suoi occhi urlavano ma la sua bocca non diceva, e rendevo carne e sangue il desiderio di stringere il suo mistero.
L’avevo sempre voluto. Sempre.
Appena mi riuscì di vomitare tutta l’acqua che avevo ingoiato, gettai la testa all’indietro, sulla sabbia, collassando col peso del mio corpo a terra e nel mentre col pugno tentavo di coprire il volto, mi persi in un pianto disperato. Piansi così forte da perdere quasi il fiato; singhiozzavo sperando che quello fosse solo l’incubo peggiore mai avuto, quasi come il terrore notturno di un bimbo appena nato e volevo dimenticare. Ma, a quel punto, come fare…, non voglio guardarlo, non posso. Se lo guardo ora non torno più indietro, non resisterò, non farlo ti prego.... Pensai, prima di spostare la mano e trovare il suo sguardo fisso su di me.
Fulminea la sua mano raggiunse il mio collo ed iniziò a stringere. Esercitava a mano a mano una pressione tale che fu in grado di sollevarmi qualche centimetro da terra, prima di lasciarmi rovinare di nuovo sulla sabbia, stavolta stramazzando accanto a me.
“Perché non dovrei ucciderti, Will, dammi una sola valida ragione.”  - ripeteva affannosamente, mentre tentava di riprendere le forze nonostante il proiettile accanto al suo fegato.
“Perché devo vivere, invece, ti chiedo io ….”… Mentre disperato mi sforzavo di gettare l’avambraccio destro sugli occhi, quasi a coprire le vergogne di quel che ei fu; quando le lacrime calde ricominciavano a segnarmi il volto, dolci come il miele ed amare come il fiele, provai quasi una sensazione di liberazione. Singhiozzai senza ritegno, nonostante il dolore alla guancia sapesse restituirmi impietoso alla terra e quelle lacrime, pesanti come piombo fuso, avrei solo voluto vederle scavare una fossa tutt’attorno a me, pronta ad inghiottirmi. La vita sa essere davvero una strana compagna.
…Sale… Mmm …è salato… Pensai, mentre con gli occhi ancora coperti, mi ritrovai di punto in bianco lievi le sue lebbra che sfioravano le mie, lasciando trasudare quasi odore di santità. Il nostro sangue dipingeva una rosa sulla sabbia. Il sale bruciava sugli squarci, mentre la brezza marina lo seccava, e il sapore di ferro che accompagnava il suo sangue e chissà, quello che del sapore di Francis gli era rimasto addosso, strideva quasi tra i denti.
Ma stava sussurrando tutte le urla della tempesta che ci aveva quasi trascinato a fondo, mentre non riuscivo a fare a meno di cantare per loro ancora e ancora, quando ad ogni sussurro mi univo ed allontanavo di nuovo da lui. Non avrei mai immaginato che qualcuno in grado di strappare una gola con i denti, avesse labbra tanto morbide. Non ero né stupito né disgustato da quanto stesse accadendo, solo… rincuorato. Anche se avevo appena aperto in due l’addome di un uomo. Non mi ero limitato a difendere la mia vita, a sopravvivere scegliendo me al posto suo: avevo abbandonato ogni vestigia di umanità abbandonandomi al delirio del sangue e ne avevo gioito, piuttosto, quindi nonostante tutto avrei dovuto sentirmi devastato…. Invece non solo avevo trovato profondamente poetico ed esteticamente sublime squarciare quel sacco di inutile materia organica con lui, ora, sentendo il calore del suo essere tanto vivido, vedevo le note di una melodia. Anche se chi suonava era Tartini, e quello che ci aspettava dietro l’uscio discostato dei miei pensieri, era il Diavolo con un violino in mano.
Di punto in bianco mi ero ritrovato a tenere il suo viso tra le mani, mentre senza riposo chiedevo ancora e ancora di restare estasiato ed inorridito dalla magnificenza del suo essere: ora che lo vedevo spoglio del completo umano che con tanta certosina pazienza aveva negli anni cucito, capivo cosa mi aveva sconvolto al punto tale da desiderare tanto che ciò accadesse.
…l’abisso non è mai stato così caldo…
…Pensai, mentre discostavo a malincuore le labbra dalle sue. A malapena riuscivo a dare un ritmo al mio respiro mentre tenevo la fronte appoggiata alla sua, e guardavo incantato le sue labbra tentare di articolare un pensiero, tra stilettate dolorose che le ferite ogni tanto gli lanciavano. La dimensione umana del mostro tagliava l’aria e ci rendeva carne nel medesimo universo.
“Sono già morto tanto e ancora tanto tempo fa, amore mio. Quando invece di evitare il tuo sguardo, non ho iniziato a fare altro che cercarlo…Sono già morto tanto, davvero tanto tempo fa, odio mio: nel momento stesso in cui ho visto zampillare il sangue dalla gola di Abigail e io lasciavo a terra ogni speranza di redenzione…. - sospirai-  Avresti dovuto finirmi quel giorno, accanto alla nostra bambina. Perché quello che vedi, è solo uno spettro che infesta un involucro vuoto: mantenere le funzioni vitali ad un livello soddisfacente non mi rende ancora umano, mi rende solo funzionale.  “… sussurrai con un filo di voce… “Resto vivo solo per compiacere te, a quanto pare”.
Sorrisi amaro, guardandolo negli occhi, prima di stringerlo a me di nuovo, e con tutta la passione che avevo in corpo. Sentivo il suo abisso fluire nel mio essere ed inghiottirmi, e non pensavo che altro potesse appartenermi tanto intimamente: sentivo la sua pelle infreddolita sotto i vestiti bagnati scaldarsi a mano a mano che lo tenevo tra le mie braccia, e uno scopo di nuovo faceva capolino nella mia vita, mentre solerte e paziente rimanevo in ginocchio all’altare della nostra disperazione. Un nero serpente d'ombra iniziava ad attorcigliarsi alle nostre figure, mentre il nostro divenire ci rendeva immortali.
Niente mi avrebbe portato a lui più di così, come niente lo avrebbe mai più portato lontano da me, stretti come eravamo lì.
“Tu mi hai visto, così come io ho visto te. Ecco cosa ti ha smarrito… Non il sangue. Ma raggiungere la consapevolezza che la dolcezza del suo calore, non ti era poi così estranea. E mentre ogni cosa correva a perdifiato lungo la collina, tu dal fondo che non sapevi cosa fare, ti domandavi solo cosa ti avrebbe ucciso. Ma sei qui Will, più vivo che mai, ed io ti vedo, ti sento, e ti voglio. Accanto a me.” Sussurrò al mio orecchio, con un filo di voce.
Stavolta fui io a voler assaggiare il suo sapore, e non ebbi modo alcuno di controllarmi. Ogni fremito, ogni respiro, era un morso alla sua anima dannata: affondavo le mie zanne dove le tenebre si facevano meno fitte, ed inghiottivo quella materia oscura con ingordigia, quasi con lussuria. Lo baciavo come solo Icaro che disperato cercava di raggiungere il sole, avrebbe potuto… prima di rovinare a terra, furiosamente: ero travolto, non avevo più il controllo di me. Finché fu lui, a porre un freno al mio infantile trasporto, poggiando delicato il palmo della mano destra sulle mie labbra.
“Paziente, piccolo passero. Ancora non hai imparato a volare, non avere fretta. I tuoi occhi sono appena in grado di iniziare ad osservare il mondo…. Sii paziente. Ora trova la forza di alzarti, ho un piccolo natante attaccato alla spiaggia, nemmeno 50 metri più avanti, se non sbaglio. Dobbiamo andare, Chiyoh ci starà già aspettando.”, concluse sorridendo.
“Dovrò inventare un ottima scusa per tutta la salsedine che abbiamo addosso, o se le racconto come siamo finiti in questo stato, stavolta non te la cavi con un proiettile dalla distanza nella spalla”, sogghignò.
Nulla lo turbava, ed anche questo amavo di lui con tanto ardore.
Un passo per volta: prima la gamba destra piegata in avanti, il braccio sinistro a far leva sulla stessa per sollevarsi e di nuovo lo vidi stagliarsi dinanzi a me, creatura dell’inferno, ebbro di sangue e putrescenza -lo trovai a dir poco bellissimo-, imperitura divinità a cui avevo votato la mia dannazione. Per qualche momento ancora, rimasi ad ammirarlo, prima di tornare in me; e stringendo la mano che pronto aveva allungato ancora prima che chiedessi il suo aiuto, riuscii a fatica a sollevarmi anche io. Eravamo rimasti svenuti parecchie ore dopo la caduta, ed ora che i primi bagliori dell’alba facevano capolino restituendoci alla vita ed ai colori, compresi quanto la nostra situazione fosse disperata sotto più fronti ed avessimo dannatamente bisogno d’aiuto; era il momento di correre ai ripari. Jack conosceva bene il suo lavoro, e aveva a disposizione ogni mezzo per rintracciare dei fuggitivi che non avessero avuto l’accortezza di trovarsi ad un passo svelto, più avanti rispetto al suo fiuto.
Mentre Hannibal già aveva preso la strada per raggiungere il mezzo di cui mi aveva pocanzi accennato, iniziai a notare come nonostante gli sforzi per celare il dolore, in realtà il suo passo fosse poco fermo, sempre sul ciglio del collasso. Costretto a tenere la mano sulla ferita da arma da fuoco che il Grande Drago Rosso gli aveva procurato, ad ogni fiotto i singulti lo scuotevano non poco; non ressi a lungo il vederlo in quelle condizioni procedere da solo, pochi passi e sollevai il suo braccio sinistro per passarlo sopra le mie spalle e rendere la sua pena quanto più possibile, sopportabile.
Lui era quasi incredulo nel vedermi corso in suo aiuto, tanto accorato e amorevolmente attento: incredulo, ma non per questo meno contento, come notai dalla mano che avevo dapprima sollevato senza peso ed appoggiato sulla mia spalla sinistra, aver iniziato a carezzare e stringere la carne che lo sosteneva. Lo trovavo dannatamente piacevole.
“Andiamo Hannibal, non ti reggi in piedi. Da qui al natante tieniti a me, o rischi con tutto il sangue che hai perso di non arrivare nemmeno ad accenderlo. Hannibal the Cannibal inizia a non reggere più molti colpi, è il caso che qualcuno gli venga in soccorso ….”, tentati di aggiungere con un filo di ironia. Non potevo dargliela vinta su tutta la linea, il nostro rapporto aveva sempre fatto fulcro su questo botta e risposta, perché cambiare, ora che tutto si era solo reso più chiaro e distinto.
Sentire il suo peso addosso, rendeva il mio fardello meno pesante. Avevo trascorso gli ultimi anni di questo inutile spreco di energia che gli esseri umani chiamano vita, armandomi come una formichina operosa delle migliori intenzioni necessarie a costruire la mia personale sfera di vetro natalizia, di quelle che basta scuotere all’occorrenza per vedere la neve cadere allegra su un paesaggio finto come lo sguardo di chi da fuori, ne trae gioia sterile; quando per essere felice, era sufficiente abbracciare la mia natura.
Una natura sadica, crudele, maligna e perversa la mia; deliziosamente alla ricerca della vista del sangue, senza versarne una goccia nella maggior parte dei casi, avevo compreso la deformità delle mie inclinazioni solo grazie a Francis e a ciò che gli avevo fatto. Difendendo me me stesso e quel che stava nascendo lontano dagli occhi indiscreti giudici del mio malessere, avevo aperto le porte di quella percezione che Hannibal per tanto tempo aveva oliato sapientemente, consapevole del fatto che la minima forzatura le avrebbe fatte incastrare, in attesa di quando fossi stato io pronto a spalancarle, per accogliere tutto il bagaglio di orrore che dentro nascondevo.
Comprendere le origini della propria natura rischia di rivelarsi un processo così doloroso da fare terra bruciata attorno a chi si fa incauto baluardo di buone intenzioni, quando le ombre invece son fin troppo oscure per sognare anche solo di riuscire ad accendere un lume. Dare per scontato che la propria virtù sia nel bello, vigile alla ricerca del buono, si rivela troppe volte infatti un incauto acquisto che dei genitori amorevoli fanno mettendo al mondo un essere urlante coperto di sangue: nato nel sangue, vivente solo grazie al sangue, morirò un giorno sommerso nel sangue.
Il tutto, ovviamente, dopo aver fatto l’amore con lui.
Brilleremo per sempre, amore mio, anche se dovremo fare una strage, nel frattempo...
Pensai, quando finalmente avevamo raggiunto il natante. A fatica gli riuscì di non rovinare sul piccolo sedile dietro il timone, nonostante appoggiarlo con cura fu la mia priorità: ma era evidente che la forza d’animo quando incontra il limite delle umane spoglie, nulla può se non arrendersi all’evidenza dei fatti che in questo caso, lo portava ad avere un bisogno disperato delle mie attenzioni. Feci in tempo appena a chiedergli la rotta da impostare con gli strumenti da raggiungere per incontrare la mia cecchina preferita, che alzando di nuovo gli occhi, lo ritrovai nuovamente semincosciente; non potei non trovarlo stupendo, e dopo avergli rubato un ultimo bacio a fior di labbra, mi misi al timone pronto a rendermi paladino senza macchia e senza paura, di quel nuovo incubo.
Impiegammo circa tre ore per raggiungere la destinazione che Hannibal mi aveva sussurrato prima di perdere i sensi, e grazie all’esperienza mi riuscì di individuare le coste della Carolina del sud come luogo dell’attracco: quelle coste erano parte di me fin dall’infanzia, meta preferita delle gite solitarie che io e mio padre eravamo soliti realizzare quelle poche volte che non era costretto ad orari estenuanti al molo. Ad oggi, se devo essere sincero, ancora mi domando come avesse potuto scegliere un luogo a me così familiare, senza sapere neppure quello che era uno dei pochi particolari lieti della mia età più dolce; se fosse stato consapevole, già molto prima di me, del fatto che cadere avrebbe potuto essere la mia via per la grazia, e di quanto ciò ci sarebbe costato in termini di fatica, e del fatto che una volta fossimo mai sopravvissuti, io avrei fatto di tutto pur di non vederlo ancora soffrire, lontano da me.
Solo io potevo fargli soffrire le pene e le gioie dell’inferno, boia senza riposo del nostro martirio: il più pericoloso, perché dal passaggio del carro funebre della mia innocenza, nessuno avrebbe potuto sopravvivere incolume, a quanto pare.
Neppure Il Mostro.
( continua...)
   
 
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