Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Rick Cave    07/03/2017    0 recensioni
Il brano della vita d'un uomo innamorato di sua moglie, fino alla fine...
Genere: Introspettivo, Poesia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quel giorno pioveva a dirotto. Mi sarei bagnato fino alle mutande, se ne avessi avuto un paio indosso. Ma di mutande non ne avevo, e niente scarpe, nessuna camicia, nemmeno calzoni. Solo degli enormi buchi con qualche straccio attorno, pezzi di stoffa lerci e puzzolenti come la fogna che chiamo casa. E la chitarra. Col freddo o col caldo, col gelo o col solleone, la mia vecchia signora acustica cantava per soldi agli angoli delle strade. Le mie dita la sfiorano appena e un suono lucente e smeraldo s’insinua tra la folla, teste che girano e orecchie che ascoltano, rapite. Le sue corde permettono al mio gigantesco stomaco di riempirsi di cibo, e placarsi quanto basta per arrivare a domani. È solo grazie a lei se quel giorno contavo e ricontavo le poche monete indispensabili per l’acquisto di un mazzo di fiori, piccoli spiccioli custoditi in un sacchetto. Perché quel giorno pioveva a dirotto e dovevo andare da mia moglie. Da mesi non si alzava ormai, malata com’era, e io volevo solo portarle in ospedale un mazzo di fiori, quanto l’amo mia moglie. Ricordo di aver chiesto indicazioni. Mattino presto, branchi di pendolari che salgono e scendono, salgono e scendono dai treni che vanno e vengono, stazione piena così di gente. Dov’è il fioraio? Per di là, alle spalle dell’edicola. M’incammino, osservo tutti e controllo che nessuno si accorga del tesoro stretto nel mio pugno, ne conto dieci pezzi, li ripongo nel sacchetto. Oh, altrettante camelie scarlatte sognavo già fasciate, delicate e leggermente profumate, per lei confezionate. Ma ecco proprio davanti al giornalaio mi cade l’occhio, quello ancora buono, su un portafogli grasso di banconote. Urca, che roba! Sai ch’enorme florilegio floreale avrei la forza di comprare, invece del misero mazzetto? Affretto il passo, mi chino per raccoglierlo, lo afferro. È mio! Sì, gran torta gli farò! Gialli tulipani per impasto, e le orchidee crema rosata, più panna di gardenie e papavero ciliegino! Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe arrivato il mio giorno fortunato? Nessuno. E infatti nessuno è riuscito a godersi quei bei soldoni ammucchiati e incustoditi. Cerco di alzarmi, ma la gamba sciancata decide di prendere una pausa. Ginocchio bloccato. Non riesco a tornare in piedi. Ora che faccio? Mi tengo stretto al gonfio espositore di riviste colorate, e spingo. Spingo più forte che posso. Posso davvero poco, quindi cado a terra. Tump! Una valanga di carta patinata che srotola sul pavimento insieme a me. Ops! Tutti si voltano, comincia lo spettacolo. Venghino, venghino ad ammirare le sublimi nefandezze dell’immondo proibito. Occhi di tenebra mi scrutano dentro lacerandomi l’anima a suon di sferzate dolenti. Dindon, è l’ora di scappare! Ma m’inceppo e lì rimango. Il rombo del mio cuore annunciava l’apocalisse e non ero pronto a sopportarla. Li sento che dicono, commenti di biasimo, tipo gua’ che lerciume, schifezza e immensa porcata. Stringo i denti e quel poco fiato che rimane e tiro su reggendomi alla custodia della chitarra. Solo io so come ho fatto, e la fatica disperata. Con la mano pulisco la bava colata sul mento, uh! Riprendo le quattro pezze che insisto a chiamare brache, scese già fin sotto le ginocchia. Ah, niente mutande, ricordate? Vi lascio solo immaginare, tranquilli. Ora basta, m’allontano, passo svelto, sguardo basso, a più non posso. Pian piano si smorza il mormorio di quel pubblico estemporaneo, tornano a immergersi nel corso dell’abitudine. Avevo ancora in mano il portafogli, quant’è grosso?!? Guardo intorno, cerco un angolo appartato, dovedovedovemifermo, lo trovo e senz’altro m’imbosco. Respiro profondo, a contare son pronto. Quanti saranno? cento duecento trecento ne voglio! Ma dentro è deserto, non c’è manco un biglietto! Che delusione, che fantasie m’ero fatto! Ma vedi che intanto non trovavo il sacchetto! Dov’è finito il sacchetto colle monete??? Dev’essermi scivolato di mano, di fronte all’edicola, ci torno subito! Corro, pant pant, anzi volo! Ehi, hai mica visto un sacchetto di stoffa castagno, chiedo al proprietario, e lui risponde no, non ho visto nulla, non so nulla. Ma è impossibile che sia caduto altrimenti, gli dico, gl’insisto. Ah, qua non c’è nulla, dichiara, non so nulla. Assurdo e più che pazzesco! Rovisto sugli scaffali tra i quotidiani immezzo ai giornali. Oh, non toccare, stai via, sozzi tutto, urla lui. Ma il sacchetto, che faccio, lo lascio? Non posso! Sta qui, lo scommetto! Al che d’un tratto da dietro al bancone cacciò la ramazza, minaccia di usarla sulla mia schiena. Okay, tutt’apposto, a malincuore me ne vado. Mo che faccio? Senza soldi ero rimasto, e quei fiori come acquisto? Insomma solo e senza niente. Mi accartoccio al suolo e fisso il vuoto, sono rimasto io e la chitarra affianco a me. E la chitarra, perbacco! Siamo rimasti io e la chitarra! Carezzo la custodia in legno corvino, le cerniere argentate si schiudono e l’abbraccio. Intorno a me che gran fracasso, di valigie e portapranzo, tutti in marcia in fretta e furia. Mi sfilo il cappello di lana e ci asciugo la fronte fradicia di sudore. È il momento, me lo sento. Che dolce motivo si spande sfiorando le corde! Una voce celestiale nell’atrio dilaga, e tutt’incantati si girano, ascoltano e plaudono. Oibò, la stazione si ferma! Non c’è niente da fare, venite a guardare! Che uomo speciale, che grande artista! Forse vi piace? Continuo a suonare e l’ondata di note pennella lo spazio con rapide strisce, che meraviglia! All’istante si comincia a donare, tieni una moneta è per te! Prendi, di qua, e un’altra e ancora. Il berretto si colma e si copre di metallo brillante, che sfarzo, che gente! Io e lei, la mia chitarra stretti in un docile amplesso, privati e insieme manifesti. Sembra abbastanza per quel che mi interessa, ringraziai e me ne andai, tra gli applausi, gli strilli e ipipurrà. Raccolgo il malloppo dorato, ora sì che ci siamo. Dov’era il fioraio? Voi lo sapete? Dietro all’edicola, maccerto, come ho fatto a scordarlo?!? Desidera? Dieci camelie scarlatte, la ringrazio, tenga il resto. E poi, chiedo scusa, per caso ha l’ombrello? Certamente, mi risponde, e me l’ha offerto, che gentile. Grazie ancora, ci vediamo, arrivederci, me ne vado. Vengo fuori la stazione, diluvia e vento ghiacciato, tiro su la sciarpa e procedo verso l’ospedale. Ho rischiato d’inciampare in pozze grandi quanto stagni, il tragitto era un po’ lungo e stavo attento a non cascare ché le camelie non volevo rovinare. Ci siamo, finalmente. Varco il pesante cancello d’ingresso. Con un cenno del capo saluto il custode, salve, gli sussurro appenappena per non disturbare chi dorme. Perché c’è alfredo, tassista acciaccato dagli anni e da una curiosa malattia sanguigna, e caterina, signora maestra in pensione col respiro fischiante della polmonite, ma anche giulia, piccola donna battuta dall’infarto, e poi francesco, e gabriella, daniele, roberta, giancarlo, michele e anna mia moglie che in fila si tengono la mano per non lasciarsi mai più. Sul fondo del corridoio una fiamma viva e bellissima barluccica isolata, dalla sua stanza. Poso le dita sulla maniglia e la porta con un dolce crepitio si spalanca. Eccola, distesa sotto il suo nome. Ciao anna. Ti ho portato dei fiori.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Rick Cave