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Autore: EvrenAll    07/03/2017    0 recensioni
"Dove finiscono i sogni dimenticati?"
Sequel di Elizabeth.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non cambia nulla
(Black Milk - Massive Attack)










22 gennaio 1991


-Sei una palla, Lizzie-

Ecco, ci risiamo.

-Prendi il cazzo di telefono e chiamalo, no?-

-Adriana ha ragione. Porca puttana, chiamalo e basta-

Mi veniva da ridere a vedere quei due andare d’amore e d’accordo, visti i loro pregressi. Il trucco alla fine era stato non intraprendere una relazione che oltrepassasse l’amicizia.

Steven e Adriana mi guardarono entrambi di sbieco, disapprovando il sorriso che avevo addosso.

-Siete stupendi-

Inclinai la testa appoggiandola alle mani.

-Le tue opere d’arte, si- sbuffó scocciata e scorse la rubrica del suo cellulare portandolo subito all’orecchio.

I suoi occhi mi parlavano anche se lei teneva la bocca chiusa “Avresti dovuto farlo tu”.

Sì, avrei dovuto.

 

Ma mi si rivoltava lo stomaco nella pancia al solo pensarci.

 

-A me non risponde-

-Io non ci provo neanche- Steven scoppiò a ridere.

Sospirai e mi alzai per lasciare la stanza, anche se tecnicamente era la mia cucina.

 

-Elizabeth!-

 

Ignorai i ragazzi e chiusi dietro di me la porta della terrazza.

 

Ci eravamo lasciati, si era sposato, sua moglie aveva abortito, avevano firmato le carte per il divorzio.

Tutto nella norma.

Tutto nella norma.

 

Ed ora mi toccava fare finta che la loro separazione e la sua sofferenza mi lasciassero indifferente.

Non era così, perchè nell’anno passato con lui avevo imparato a conoscere il suo modo di vivere con il dolore.

Tra tutte le persone di cui era circondato ci sarebbe dovuto essere almeno qualcuno con cui potesse dividerlo, no? Il dubbio mi assillava.

Ma non ci sentivamo da troppo tempo e non volevo che si riavvicinasse a me solo per essere consolato.




Quella notte seppellita nel cuore, il mio peso sulle spalle.

Rinata dal passato, costretta a nascondere il mio amore in un pozzo.




 

Stavo andando anch’io avanti.

Ci stavo davvero provando, anche se mi rendevo conto che non avrei trovato nessun altro al mondo che fosse come lui.

Ma c’erano Morgan e Joe.

Morgan mi aveva già travolta con la sua esuberanza e la sua stravaganza, Joe… lui aveva contribuito alla mia rinascita.

Non avrei potuto dire di amarlo, ma diamine se gli volevo bene.

Ci provavo.

Ci provavo da un anno.

Però ora il divorzio sembrava essere un segno: il via libera per tornare alla carica ed abbandonare quello che stavo provando a costruire.

Inspirai profondamente.



No.



 

Cosa ti sei promessa Elizabeth?

L’hai giurato a te stessa: hai giurato di portare rispetto verso di te e non farti ammazzare dai sentimenti. Non farti illusioni e non farti più coinvolgere, non cadere nella trappola di un amore non corrisposto.

Ma nel rispetto per me stessa riconoscevo che la fiammella che il dannato Axl Rose aveva acceso in me la sera del 23 marzo 1986 non si era spenta. Era così: piccola, flebile e spaventosamente vicina ad un barile di benzina.

Bastava solo che rimanesse innocua, a distanza di sicurezza.

Ce la potevo fare.




 

Per te Elizabeth, per chi altro?

Vuoi ancora lasciarti ferire?



 

Rientrai spegnendo la cicca nel posacenere.

-Rinfrescata le idee?-

-Sì: vado dal mio ragazzo ora-

Adriana sospirò arresa.

-Quel figaccione del negozio verso il centro?-

-Certo, gradireste uscire da qui?-

Inclinai la testa esortandoli ad avvicinarsi alla porta.

-Stronza eri, stronza rimani- sbuffó Adriana.

-Mi auguro che tu non dica sul serio-

-Ti chiamo, Betty-

-Steven, chiamami ancora così e-

-Proprio carina quando mi minacci di morte-

Non smise di sorridere e mi schioccó un bacio sulla guancia.

-Andiamo, prima che prenda un coltello e ci squarti- concluse Adriana alzando gli occhi al cielo.

-Più rilassata, Elizabeth, devi essere più rilassata- concluse guardandomi.

Salutarono ed uscirono.

Afferrai la giacca appoggiata all’attaccapanni, presi la borsa e li seguii fuori.






 

Camminai una ventina buona di minuti, seguendo una delle strade meno affollate.

Perché dovevano presentarsi alla mia porta e ricordarmi in modo così prepotente della sua esistenza? Come se riuscissi a farlo rimanere ai margini di norma.

Mi tormentava: la canzone alla radio, il video su Mtv, il manifesto di un concerto, le rose.

Ma mi sforzavo: ai margini della mia mente.

...il tempo aveva comunque un po’ aiutato.

...e anche il fatto che avesse davvero sposato Erin. E che lei fosse rimasta incinta.

Mi fermai fuori dalla vetrina sedendomi sul gradino vicino all’entrata.

Posai la borsa sulle ginocchia e ci ficcai le mani, in ricerca.

Aveva la sua vita, avevo la mia.

Dovevo farmi bastare questo.

Dopotutto probabilmente si era dimenticato totalmente della mia esistenza. Aveva scelto di farlo ed era rimasto coerente a sé stesso, ero io la stupida che ci pensava ancora e tornava indietro: nei ricordi, nella memoria.

Pozzo senza fondo.

Sollevai piano il pacchetto di Marlboro Rosse.

Era sigillato.

Lo tenevo in borsa da tre anni ed era sigillato.

Febbraio ‘88.

Non mi ero mai concessa di aprirlo.

Lo strinsi tra le dita ed accarezzai il marchio familiare.

Non dovevo aprirlo.

Appoggiai i gomiti alle ginocchia lasciando che la mia fronte si posasse in avanti, su di esso e sulle mani.




 

Non cambia nulla.



 

Oggi non è diverso da ieri.



 

Non cambia nulla.





 
  
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