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Autore: IlMareCalmoDellaSera    07/03/2017    3 recensioni
Un racconto del mio personale Sangue di Drago, tramite le varie missioni (o quest) che Skyrim ci consente di intraprendere.
(Le missioni saranno raccontate in ordine cronologico sparso, ma ognuna in un capitolo diverso. Il nome di ciascuna missione darà il titolo ad ogni capitolo)
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dovahkiin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La Gola del Mondo. La cima più alta di Skyrim, nonché la cima più alta di Tamriel, un tempo seconda solo alla Montagna Rossa. Secondo la tradizione Nord, la razza degli uomini fu generata sulla montagna quando il cielo respirò sulla terra, per questo motivo fu chiamata "Gola del Mondo".

Era l'incarnazione stessa di Skyrim: aspra, letale, bellissima. Era come un punto di contatto, tra il cielo e la terra, tra il mortale e il divino. Si diceva che una volta arrivati in cima, si potesse sentire il respiro di Kynareth sulla pelle.

La montagna era situata all'interno del feudo di Whiterun, ma il modo più conveniente per salirla era passare per Ivarstead, a meno che non si volesse scalare la roccia nuda. Dalla città di Whiterun si aggirava la montagna da nord e, percorrendo il lato est, si arrivava ad Ivarstead.

Ivarstead era un piccolo insediamento sul confine occidentale del Rift, convenientemente posizionato tra le sponde del lago Geir e del fiume Acquescure. Il fiume, emissario del lago, provvedeva a muovere l'impianto della segheria locale, allo stesso tempo rendeva il terreno fertile e coltivabile.

Il posto non era molto frequentato, era fuori dalle rotte commerciali, e Wilhelm lo sapeva bene. In tutti gli anni che aveva gestito la locanda Vilemyr, l'unica locanda del villaggio, aveva imparato che i forestieri di passaggio per Ivarstead avevano tutti lo stesso scopo: arrivare in cima alla Gola del Mondo.

In realtà capitava solo ogni tanto di incontrare questo tipo di viaggiatori, ma Wilhelm li riconosceva subito. Erano viaggiatori esperti, questo lo si capiva dai modi e dall'aspetto, e gli rivolgevano sempre le stesse domande sulla montagna e su Hrothgar Alto, il monastero dei Barbagrigia. Wilhelm non ne sapeva molto, in realtà. I Barbagrigia erano degli eremiti, perciò non uscivano mai dal loro monastero arroccato sul fianco della montagna.

Tutti i pellegrini si incamminavano per il celebre sentiero dei 7000 gradini, ma quelli che speravano di arrivare fino in cima tornavano sempre delusi. La verità era che nessuno era mai andato oltre il monastero, infatti il sentiero che conduceva alla vetta era custodito dai Barbagrigia, ma non permettevano a nessuno di accedervi. Oltretutto, la cima della montagna era perennemente avvolta in una nube impenetrabile che la nascondeva alla vista, il che contribuiva ad aumentare la curiosità sul quel picco inaccessibile.

Ultimamente i curiosi erano molto aumentati da quando i Barbagrigia avevano parlato al mondo, e quando i Barbagrigia parlavano al mondo li si sentiva da ogni angolo di Skyrim. Era stato un evento epocale, l'ultima volta che era successo risaliva ai tempi di Tiber Septim, circa sei secoli addietro. Correva voce che fosse comparso un Sangue di Drago, e che i Barbagrigia lo avessero convocato per addestrarlo nell'uso della Voce, così come era accaduto per Tiber Septim.

Quella mattina Wilhelm aveva appena iniziato la sua giornata con le solite attività, stava ripulendo i boccali quando il primo cliente varcò la soglia della locanda. Anche stavolta non impiegò molto tempo ad inquadrare il nuovo avventore. Innanzitutto era un forestiero, questo si capiva facilmente, dato che era coperto dalla testa ai piedi con pesante mantello da viaggio. Nella mano destra impugnava un lungo bastone in legno chiaro, con una elaborata decorazione in metallo che ne adornava la cima. Mentre lo sconosciuto si avvicinava al bancone, Wilhelm poteva sentire il rumore dei suoi passi accompagnato dal leggero e regolare battere del bastone sul pavimento.

«Benvenuto alla locanda Vilemyr, cosa posso fare per te?» il saluto di Wilhelm giunse puntuale come sempre.

Lo sconosciuto, avvicinatosi al bancone, si scoprì il volto. «Buongiorno» salutò con un lieve sorriso, «ho bisogno di provviste, cos'hai in vendita?»

Wilhelm osservò il suo volto ed ebbe un senso di familiarità. Era giovane, sicuramente non aveva raggiunto i trent'anni, e quasi sicuramente non era originario di Skyrim. I tratti del viso non erano molto indicativi della sua provenienza: capelli neri, occhi piuttosto chiari, grigi di colore, e carnagione scura; forse era un sangue misto. L'accento invece sembrava quello degli imperiali, anche se non molto marcato. Wilhelm era sicuro di averlo già incontrato, sicuramente era già venuto alla locanda, ma c'era qualcosa in più che al momento non ricordava.

«Tutto quello che vedi» rispose Wilhelm, indicando con un gesto ampio gli scaffali vicini. «Ma, se posso darti un consiglio, ho un'ottima carne di cervo che mi è arrivata giusto ieri, fossi in te ne approfitterei».

Il forestiero valutò l'offerta per qualche momento, mentre guardava il cibo in mostra. «Vada per il cervo, allora. Vorrei anche mezza forma di pane, e un trancio di salmone affumicato».

«Certo» l'oste posò il boccale e lo straccio e incominciò a preparare le ordinazioni.

Nel frattempo, una donna comparve nella sala della locanda, uscendo da una delle camere. Tra le mani reggeva un liuto.

«Buongiorno Wilhelm» salutò.

«Buongiorno Lynly» rispose l'oste, mentre tagliava una forma di pane.

Poi la donna volse lo sguardo al forestiero. «Oh!» Fece, sorpresa. «Mi ricordo di te! Il nome è... Daric, giusto?»

«Giusto» sorrise. «Hai buona memoria».

Wilhelm guardò la donna con leggero stupore. «Lynly, lo conosci?».

Lynly alzò gli occhi al cielo. «Certo che lo conosco, e lo conosci anche tu, Wilhelm. Ci ha aiutato con quella faccenda del fantasma nel tumulo, ricordi?»

«Ah, ecco!» Fece Wilhelm, battendo il coltello sul tagliere. «Ora ricordo. Scusami amico, ma quando l'età avanza la memoria non ci assiste così bene».

«Non è l'età che avanza, Wilhelm, è l'idromele di ieri sera» commentò la donna, prima di sedersi su una sedia.

Il locandiere rise. «Lo prendo come un complimento, vuol dire che non sono vecchio, giusto?»

«No, vuol dire che non c'è bisogno di essere vecchi per sembrare rimbambiti» Lynly stava trattenendo le risate, cercando di apparire seria.

«Hai sentito che lingua tagliente?» disse Wilhelm al suo cliente, che guardava divertito la scena. «Si vede che ha studiato all'Accademia dei Bardi, eh?»

Lei non replicò, ma sorrise e incominciò a pizzicare le corde del liuto, canticchiando tra sé un motivo.

«Anche stavolta sei diretto a Hrothgar Alto?» mentre Wilhelm preparava la porzione di carne, cercò di intavolare una conversazione.

«Sì» rispose Daric, «ho bisogno di un po' di pace».

«Ah, ti capisco» fece Wilhelm, «Se è la pace che cerchi, allora non esiste posto migliore di quello» Gli porse sul bancone due involti ed una mezza forma di pane. «Ecco a te».

Daric estrasse un sacchetto dal mantello e porse una manciata di monete al locandiere.

«Ti ringrazio» disse questi, prendendo il pagamento. «Se quando discenderai dalla montagna vorrai passare qui, sarei lieto di offrirti un boccale di idromele, per farmi perdonare la mia cattiva memoria».

«Grazie, non mancherò» il sacchetto con il denaro ritornò sotto il mantello, insieme alle provviste. Salutò e fece per uscire, ma la voce dell'oste lo fermò sulla soglia.

«Fai attenzione quando imbocchi il sentiero, ultimamente Temba Braccio-Spesso si lamenta continuamente delle zampate d'orso che trova sui tronchi d'albero per la segheria. Non credo che tu abbia problemi a difenderti da un orso, ma spesso colgono i pellegrini di sorpresa».

«Ne terrò conto, grazie per l'avvertimento».

Quando uscì dalla locanda, Daric si accorse che il sole stava per fare capolino dalle cime dei Monti Velothi, mentre la luce dell'aurora sbiadiva velocemente i colori dell'alba. Il cielo era terso, da ogni direzione non si profilava neanche una nube all'orizzonte. Non era un'ottima condizione per scalare la montagna, in una giornata così luminosa il bianco della neve diventava quasi accecante. Daric si rialzò il cappuccio sul capo e si incamminò verso l'uscita orientale di Ivarstead. Passando per il sentiero principale, si lasciò alle spalle la segheria di Temba Braccio-Spesso e la fattoria Fellstar. Appena uscito dal villaggio, deviò a sinistra e percorse un ponte di pietra che si protendeva sul fiume Acquescure; al di là del ponte, iniziava il lungo sentiero dei 7000 gradini.

L'aveva percorso così tante volte negli ultimi giorni, che la prospettiva della interminabile scalata lo lasciava indifferente; anzi, considerata la magnifica vista che si godeva dalla montagna, ci aveva persino preso gusto. Purtroppo il pensiero di ciò che lo aspettava a Hrothgar Alto contribuiva ad aumentare l'aspetto negativo della faccenda. Daric si fermò ai primi gradini del sentiero, ripensando a quello che aveva detto a Wilhelm. Aveva detto che cercava la pace, ma al Sangue di Drago non era concessa la pace, non se l'ombra di Alduin era emersa dalle spire del tempo, minacciando di divorare il Mondo. Daric si era ritrovato ad affrontare un problema molto più grande di lui, sulle sue spalle ora gravava un enorme peso che era continuamente sul punto di schiacciarlo. Gli dèi gli avevano riservato un compito arduo, ma lui non si sarebbe tirato indietro. Era per questo motivo che ora si apprestava a raggiungere Hrothgar Alto, non per cercare la pace. Eppure Wilhelm aveva ragione, la pace di quel luogo era davvero rara da trovare altrove, e i Barbagrigia la difendevano come fosse il più prezioso dei tesori; tuttavia, Daric era riuscito a convincerli a rompere il loro eremitaggio per ospitare un consiglio di pace tra il Generale Tullius e lo jarl Ulfric Manto della Tempesta. Era indispensabile che i due convenissero ad una tregua temporanea, altrimenti non sarebbe riuscito nella sua impresa.

Incominciò a percorrere la salita, cercando di godersi il panorama senza pensare a nient'altro. Dopo pochi minuti, si fermò e aguzzò lo sguardo su alcuni cespugli al lato del sentiero, che fremevano in modo vistoso, a circa dieci passi di distanza. Dai cespugli emerse la figura massiccia di un orso che, camminando a quattro zampe, raggiunse il mezzo del sentiero. Si voltò verso Daric, quindi si levò sulle zampe posteriori e gli rivolse alcuni ruggiti minacciosi. Lo stava avvertendo a non procedere oltre, evidentemente era sul confine del suo territorio. Purtroppo non c'erano altre vie, perciò strinse nervosamente il bastone e mosse due passi avanti, sfidandolo apertamente. L'orso reagì nel modo aspettato, si rimise sulle quattro zampe e incominciò a corrergli incontro, intenzionato ad aggredirlo.

Daric inspirò profondamente e urlò: «Kaan!»

L'aria sembrò tremare, e l'orso si fermò ad un passo da lui. Alzò il muso e lo annusò per qualche istante, infine si girò e tranquillamente se ne tornò indietro. Daric rilassò la stretta sul bastone e si sbrigò ad allontanarsi prima che l'effetto del Thu'um svanisse.

In poco tempo raggiunse la prima tappa del sentiero: una tavoletta in pietra all'interno di una cornice scolpita, anch'essa in pietra; lungo il percorso verso Hrothgar Alto, erano presenti altre nove sculture uguali. Le tavolette recavano incisa la storia della Voce, dagli albori di Skyrim, quando i draghi regnavano sugli uomini, fino alla fine della Seconda Era, quando il giovane Tiber Septim era stato convocato dai Barbagrigia. Daric le conosceva a memoria oramai, ma si fermava comunque a leggerle, approfittandone per riprendere il fiato e godersi il panorama. Dato che il sentiero percorreva tutti i versanti della montagna, la vista riusciva ad abbracciare Skyrim completamente, fino a raggiungerne i confini.

Mano a mano che saliva, la neve ed il ghiaccio reclamavano sempre più spazio, e l'aria si faceva sempre più tagliente. Aveva appena superato il sesto emblema, quando qualcosa sul sentiero attirò la sua attenzione. Era come se il gelo avesse preso vita e si fosse condensato in una figura evanescente, la forma che ricordava quella di un grosso pesce. Uno Spettro del Ghiaccio fluttuava come un drappo agitato dal vento, disegnando cerchi nell'aria. Con una creatura del genere la Pace di Kyne non avrebbe funzionato, doveva approfittarne ed attaccarlo subito.

Attinse alle sue riserve di magicka per evocare una palla di fuoco, quindi la scagliò in direzione dello Spettro. La palla di fuoco colpì in pieno il bersaglio ed esplose all'impatto. Lo Spettro sibilò infuriato e, con una giravolta a mezz'aria, scomparve dalla vista. Daric conosceva questa abilità degli Spettri del Ghiaccio, si rendevano invisibili per poi attaccare di sorpresa, ma non scomparivano del tutto. Alzò il bastone in aria e dalla punta scaturì un cerchio di fuoco che si espanse tutt'intorno. Come aveva previsto, lo Spettro si era avvicinato approfittando dell'invisibilità, ma il suo incantesimo era riuscito comunque a colpirlo, ed ora era tornato ad essere visibile. Tuttavia, lungi ancora dall'essere sconfitto, lo Spettro sorprese Daric avventandosi fulmineo su di lui. Riuscì a spostarsi appena in tempo per non farsi colpire in pieno, ma lo Spettro riuscì comunque a prendergli il braccio sinistro. Sentì il gelo mordergli la carne e penetrare fin nelle ossa. Cercando di ignorare il dolore, Daric si voltò verso lo Spettro, che già si stava preparando ad un altro attacco, e urlò: «Yol Toor Shul!»

Il respiro di fuoco investì in pieno la creatura, che si dissolse lasciando al suolo un mucchietto di plasma azzurro.

«Ahi!» Mugugnò Daric, massaggiandosi il braccio completamente paralizzato dal gelo. Evocò una magia curativa e sentì il braccio formicolare e riprendere velocemente la sensibilità. Fece qualche movimento di prova e si accertò che era tornato come prima.

Si avvicinò ai resti dello Spettro e si chinò. Trovò due denti della creatura, che ripose in un sacchetto per gli ingredienti alchemici, poi raccolse come meglio poté l'essenza dello Spettro in un'ampolla.

Riprese il cammino, e quando arrivò al settimo emblema decise di fermarsi. La vista era semplicemente magnifica, quindi si sedette su una roccia per mangiare qualche boccone dalle sue provviste.

Terminato il pasto frugale, stava per rialzarsi quando si accorse che una capra gli si era avvicinata, e lo stava fissando. Probabilmente mentre mangiava, e distratto dal panorama, non ci aveva fatto caso.

Daric sorrise, «Scusami, ho preso il tuo posto preferito?»

La capra gli rispose con un belato, ma non si mosse.

«Vorresti qualcosa da mangiare? Purtroppo temo di non avere nulla di adatto a te».

La capra belò ancora, irremovibile nella sua posizione.

Daric rise di gusto, «Sei proprio testarda e sfacciata, eh? Forse ho qualcosa che potrebbe piacerti...» estrasse il sacchetto del sale da sotto il mantello e ne versò un mucchietto sul palmo della mano, quindi la porse all'animale. Questi si avvicinò alla mano e, dopo una breve annusata, cominciò a leccare il sale. Dopo che ebbe leccato anche l'ultimo granello dal guanto di Daric, la capra strofinò il muso sulla mano in segno di ringraziamento. Si fece anche fare docilmente qualche carezza, ma poi fu attirata via da qualcosa di più interessante: un cespuglio carico di succose Baccheneve.

Daric ridacchiò e scosse la testa, mentre guardava la capra mordere le bacche. «Vorrei sapere chi si è inventato che le capre sono stupide» disse tra sé.

La pausa era finita, purtroppo. Con malavoglia si alzò, e ricominciò a camminare. Quando ebbe superato l'ottavo emblema, sormontato da una statua di Tiber Septim, si trovò davanti alla scalinata di ingresso al monastero di Hrothgar Alto. Vicino, trovò il nono ed ultimo emblema. Le incisioni recitavano: "La Voce è venerazione. Segui la Via interiore. Parla solo per la Vera Necessità."

Quelle parole riassumevano in modo essenziale e conciso la filosofia della Via della Voce, ideata da Jurgen Windcaller molti secoli addietro.

Salì le scale ed entrò nel monastero. Il silenzio di quel luogo era a dir poco mistico, sembrava che le pareti stesse emanassero una saggezza vecchia di secoli.

Nella sala principale trovò uno dei monaci, inginocchiato a terra in meditazione.

«Bentornato, Sangue di Drago» salutò il monaco, dopo essersi alzato.

«Salute, Maestro Arngeir» Daric chinò brevemente il capo. «Mi dispiace avervi dovuto disturbare, spero che oggi si riesca ad ottenere qualcosa di buono».

Arngeir scosse il capo. «Non devi dispiacerti. Se, nei nostri limiti, potremo aiutarti, non ci tireremo indietro» gli fece cenno di seguirlo e i due si diressero verso il cortile esterno.

«Devo avvisarti però» una volta fuori Arngeir riprese a parlare, «non sarà un compito facile. Non pensare che quelle persone abbandoneranno facilmente la loro belligeranza. Questo consiglio potrebbe diventare una guerra combattuta a parole, e tu ti ritroveresti in mezzo, tuo malgrado».

«Lo so, cercherò di mantenere il controllo».

Il vecchio Barbagrigia annuì, «Ora dobbiamo solo aspettare che arrivino tutti. Puoi aspettare qua, se vuoi, verrò a chiamarti al momento opportuno».

Daric sorrise. «Grazie, Maestro Arngeir».

Questi ritornò dentro il monastero, Daric invece si issò su un muretto e si mise a sedere a gambe incrociate. Si mise a guardare il cielo limpido, cercando di replicare quello stato nella sua mente, sgombrandola da ogni pensiero.

Questa era una pratica che aveva imparato anni fa, quando aveva iniziato lo studio approfondito della magia. La sua sete di conoscenze sempre nuove lo aveva portato spesso ad esagerare con lo studio, ritrovandosi con la testa così piena di idee e nozioni, che semplicemente non riusciva a smettere di pensare e rimuginare. Per questo motivo aveva cominciato a soffrire di mal di testa e insonnia, al punto tale che la sua stessa salute aveva cominciato a risentirne. A nulla erano valsi i consigli di darsi una calmata, fu quindi suo nonno ad insegnargli a sgombrare la mente. Con un po' di pratica, non aveva avuto più problemi. Anche lo studio ne aveva tratto giovamento, perciò aveva iniziato a farlo abitualmente, che ne sentisse o meno il bisogno.

Ultimamente si era ritrovato sempre più spesso a rimuginare sulla Guerra Civile di Skyrim. Per quanto si sforzasse di comprendere le ragioni che animavano i due fronti, rimaneva sempre convinto che una guerra civile fosse una cosa ignobile. Ecco perché non aveva mai preso parte nella vicenda, perché era sbagliata in principio. In verità c'era anche un altro motivo: da quando aveva scoperto di essere il Sangue di Drago si sentiva doppiamente responsabile delle sue azioni. Per quanto lo riguardava, la Guerra Civile a conti fatti si riduceva ad una questione meramente politica, per cui non voleva averne nulla a che fare. Soprattutto non voleva che il suo essere Sangue di Drago, una figura importante nella cultura di Skyrim, fosse usato come mezzo di propaganda da una fazione contro l'altra.

Ora più che mai, aveva bisogno di una mente lucida e concentrata, e mentre la liberava da ogni pensiero, perse la cognizione del tempo.

«Sangue di Drago» una voce alle sue spalle lo riscosse dalla meditazione, si girò e vide che Arngeir era tornato. «Tutte le parti sono arrivate, stiamo aspettando te».

Daric annuì, scese dal muretto e riprese il suo bastone, quindi seguì Arngeir dentro il monastero. Quando arrivarono alla sala d'ingresso, vi trovò due ospiti inaspettati: Delphine, fiera nella sua armatura akaviri, ed Esbern, il vecchio archivista delle Blade.

Daric si fermò di botto, sorpreso, e lo stesso fece Arngeir, evidentemente erano arrivati proprio in quel momento. Ovviamente Daric li aveva avvisati che si sarebbe tenuto il consiglio, ma non aveva pensato che si sarebbero presentati.

«Sangue di Drago» Delphine lo salutò con un cenno del capo, poi si rivolse al monaco: «Arngeir, giusto?»

«Non siete i benvenuti qui» rispose, glaciale. «Cosa volete?»

«Vogliamo partecipare al consiglio, è merito nostro se il Sangue di Drago è arrivato fino a questo punto» fu la replica, altrettanto fredda, di Delphine.

«Merito vostro? Quanta arroganza».

«Vorresti negarlo? Se fosse per voi, il Sangue di Drago dovrebbe starsene qui tutto il giorno a fissare il cielo!»

Prima che il battibecco potesse proseguire, intervenne Esbern: «Delphine, non siamo venuti qui per scambiarci recriminazioni» poi si rivolse ad Arngeir: «Siamo qui perché vogliamo la sconfitta di Alduin, se la volete davvero anche voi, allora lasciateci partecipare. Le informazioni che abbiamo possono essere di importanza vitale per il Sangue di Drago».

Il monaco lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi sospirò. «Va bene, seguitemi».

Le due Blade si unirono quindi al seguito di Arngeir. Imboccarono un corridoio a destra, e in breve si ritrovarono in una sala con un grande tavolo, vuoto al centro, dalla forma quasi ellittica. Tutti gli ospiti erano attorno al tavolo, ancora in piedi. Da un lato c'era Ulfric Manto della Tempesta, capo dei ribelli e jarl di Windhelm, insieme al suo braccio destro Galmar Pugno di Pietra. Dall'altro c'era il Generale Tullius, capo delle forze imperiali a Skyrim, con il Legato Rikke; poi c'era Elisif la Bella, jarl di Solitude, che probabilmente era venuta per rappresentare la parte filo-imperiale di Skyrim, e c'era anche Balgruuf il Grande, jarl di Whiterun, che avrebbe dovuto essere il principale beneficiario della tregua tra le due fazioni. Con una punta di irritazione, Daric notò che c'era anche l'Ambasciatrice Elenwen, rappresentante dei Thalmor in Skyrim. Anche Delphine ed Esbern rimasero interdetti alla vista di una dei loro acerrimi persecutori, ma se anche rimasero spaventati, non lo diedero a vedere, e si diressero ai posti vuoti vicino ad Ulfric. Anche Elenwen non mostrò di averli riconosciuti, ma si limitò a fissarli mentre prendevano posto.

Daric deglutì a vuoto e strinse nervosamente il bastone, quindi camminò fino all'altro capo del tavolo, dove c'era un posto vuoto. Avvertiva molti sguardi che lo scrutavano, ma non doveva assolutamente mostrarsi intimidito. Arrivò al suo posto ed abbassò il suo cappuccio, non aveva senso nascondere il volto ora.

Arngeir, dal lato opposto, esordì: «Mi auguro che tutti sappiate il motivo per cui siamo riuniti qui. Ora, se volete sedervi, possiamo dare inizio a questo consiglio».

La replica di Ulfric fu immediata: «Non ci siederemo allo stesso tavolo con quella serpe viscida dei Thalmor, ci stai provocando Tullius?»

«Ecco, ha già cominciato» mormorò Rikke.

«Sono qui per controllare che vengano rispettati i termini del Concordato Oro-Bianco» rispose Elenwen, impassibile.

«Decido io chi portare nella mia delegazione, Ulfric» replicò seccamente Tullius.

Daric alzò gli occhi al cielo. «Divino Stendarr, mandaci un briciolo di buonsenso» mormorò tra sé.

«Per favore, se incominciamo a trattare sui termini della trattativa non ne usciremo più» intervenne Arngeir, «Vogliamo interpellare il Sangue di Drago, per avere un parere neutrale?»

Nessuno si oppose apertamente, e Daric si trovò di nuovo al centro dell'attenzione.

Sospirò per calmarsi. «Jarl Ulfric, con il dovuto rispetto, non credere di essere l'unico qui a non apprezzare i Thalmor. Il fatto che l'Impero si accompagni ad individui discutibili non è l'oggetto di questo consiglio» Elenwen lo fulminò con lo sguardo, Galmar invece ridacchiò. «Quindi, per favore, vogliamo sederci per affrontare il vero motivo per cui siamo qui?»

Ulfric riportò lo sguardo su Tullius. «Va bene, può restare, ma non ammetto intromissioni da parte sua. Noi non trattiamo con lei, è chiaro?»

«Non capisco la tua ostilità, Ulfric» lo canzonò Elenwen, «non sono i Thalmor quelli che uccidono i tuoi uomini».

«Ma non dovrebbe essere dalla nostra parte?» mormorò Rikke.

«Non ammetto intromissioni» sibilò Ulfric minaccioso, «non farmelo ripetere ancora».

Arngeir riprese la parola: «Ora che questa faccenda è sistemata, vogliamo procedere?»

Gli attendenti al consiglio si sedettero.

«Bene, procediamo allora» disse Ulfric. «Il nostro termine per l'accordo è inderogabile: vogliamo Markarth».

La richiesta sollevò una sequela di proteste dalla delegazione imperiale.

«Con quale sfrontatezza avanzi una richiesta del genere?» fece Elisif, oltraggiata. «Questo è un insulto all'ospitalità dei Barbagrigia».

«Mantieni la calma, jarl Elisif» intervenne Tullius, «ci penso io a gestire questa faccenda».

«Generale, questo è inaccettabile!» Protestò lei. «È forse questo il modo di iniziare una trattativa di pace?»

«Elisif!» il richiamo di Tullius fu controllato ma fermo. «Ho detto che ci penso io» quindi si rivolse ad Ulfric: «Cosa stai cercando di fare, Ulfric? Ti sei accorto che non riuscirai a vincere questa guerra, e quindi ora cerchi di favorire la tua posizione con questo negoziato?»

«Sono sicuro che non sia l'intenzione dello jarl Ulfric» intervenne Arngeir. «Se ha deciso di avanzare questa richiesta, immagino che si aspetterà di cedere qualcosa in cambio».

«Oh sì, me lo immagino anch'io» borbottò Rikke, sarcastica.

«Se ti aspetti che cediamo Markarth a questo tavolo, allora tu dovrai cedere qualcosa di altrettanto valore» disse Tullius. «In cambio vogliamo Riften».

Ulfric sembrò soppesare la contro-richiesta, quindi si rivolse a Daric: «Qual è la tua opinione su questo scambio?»

Daric scrollò le spalle «Non so, mi sembra equo?» una risposta che suonò tutt'altro che convinta.

«Ci stai prendendo in giro?» ringhiò Ulfric. «Vedi di mostrare più serietà, qui non stiamo giocando!»

Quel rimprovero fece scattare Daric come una molla. Furibondo, vibrò un colpo al pavimento con l'estremità inferiore del suo bastone, e una singola fiammata guizzò dal braciere al centro del tavolo.

«Questo dovrei dirlo io» sibilò Daric. «Vi state scambiando feudi come se fossero banali pezzi di terra, ma vi importa qualcosa delle persone che ci vivono?»

«So che sembra ingiusto, ma in una guerra le trattative si fanno anche in questo modo» disse Tullius. «Non pretendo che tu capisca»

«No, non lo capisco!» sbottò Daric. «Non capisco perché in un consiglio di pace si debba comunque parlare di guerra, non capisco perché portate ancora avanti questo strazio che voi chiamate Guerra Civile, e non capisco perché deporre le armi debba per forza essere una faccenda così dannatamente complicata!» le parole uscirono dalla sua bocca in un crescendo di frustrazione, finché si ritrovò in piedi ad urlare le ultime due, battendo il pugno sul tavolo «Io qui vedo due cani pastori che si azzannano, mentre c'è un lupo che sta divorando il loro gregge, e non capisco perché!» ripeté quelle parole con veemenza per l'ennesima volta «E che Julianos mi perdoni, ma preferisco non capire, preferisco l'ignoranza» mormorò, sconfitto.

Nel silenzio attonito che seguì, Daric si sedette di nuovo, una mano a coprire gli occhi, già pentito di essersi lasciato andare in quel modo.

Tutti sembravano ammutoliti, quindi fu Arngeir a prendere la parola: «Purtroppo la situazione è questa, Sangue di Drago, che ci piaccia o no. Respira e concentrati, devi tenere a mente l'obbiettivo che ti sei posto».

Daric fece due profondi respiri, quindi annuì. «Vi chiedo scusa» disse, con la rinnovata calma, «a quanto pare siamo partiti tutti con il piede sbagliato, quindi permettemi di ricominciare» prese un altro profondo respiro. «Innanzitutto, vi ringrazio per essere qui, mi rendo conto che non è piacevole per nessuno».

«Puoi dirlo forte» borbottò Galmar.

«Non avrei insistito se non fosse così importante. Come saprete, i draghi sono tornati a Skyrim. Anzi, in realtà non se ne sono mai andati, sono sempre rimasti qui, sepolti nella terra e nella memoria. Ciò che veramente è tornato a Skyrim, è un pericolo ancora più grande. Esbern, vorresti parlarcene per favore?» in un qualche modo sentiva che nessun altro, più di lui, aveva diritto di parlarne.

«Certo, certo» il vecchio si schiarì la voce. «Alduin, il Divoratore del Mondo, è tornato» annunciò gravemente, «Helgen è stato solo un assaggio di ciò che è capace. È stato Alduin a risvegliare i draghi dalle loro tombe, gli stessi draghi che ora vagano per Skyrim seminando terrore e distruzione. Il Sangue di Drago lo ha costretto a ritirarsi a Sovngarde, ma abbiamo solo guadagnato un po' di tempo. Ora sta recuperando le forze, mentre noi parliamo qui, e sta divorando le anime dei soldati che avete mandato a morire in questo inutile fratricidio».

L'ultima frase sembrò irritare sensibilmente Ulfric. «Delphine, lui è con te?» chiese, e la donna annuì.

«Se è così, allora avvisalo di tenere a freno la lingua. Non sono qui per ascoltare i suoi giudizi personali».

«Io invece avviso tutti voi di starlo a sentire» replicò lei. «Per troppo tempo abbiamo ignorato i suoi avvertimenti»

«Non i miei avvertimenti» specificò Esbern con veemenza, «ma gli avvertimenti dei nostri antenati! Siamo stati noi stessi ad attirare questa calamità, abbiamo deciso di dimenticare e ci siamo cullati in una falsa sicurezza. La profezia era chiara, dovevamo sapere che prima o poi Alduin sarebbe tornato, e ora la nostra ultima speranza è il Sangue di Drago».

Vedendo che aveva finito, Daric riprese a parlare. «Gli dèi ci hanno concesso la possibilità di scegliere. Qui avete uno strumento per fermare Alduin» allargò le braccia, come se volesse offrirsi ai suoi interlocutori, «ora sta a voi decidere se utilizzarlo».

Breve ma diretto, il suo discorso aveva ottenuto l'effetto sperato. La belligeranza delle due parti sembrava essersi in parte sgonfiata, ora che erano stati messi davanti alla loro responsabilità.

«Non avete nulla da perdere e avete tutto da guadagnare» continuò, «al momento la vostra guerra è in stallo, avete quattro feudi ciascuno. L'unico feudo rimasto fuori è quello di Whiterun, ed è normale che jarl Balgruuf si senta minacciato. Io, però, ho assolutamente bisogno di catturare un seguace di Alduin, e Dragonsreach potrebbe essere la nostra unica opzione. Quello che vi chiedo quindi, è che voi cessiate le ostilità per qualche giorno, così che si possa catturare un drago in sicurezza, ho la vostra parola?»

Ulfric scoppiò in una risata amara. «Apprezzo lo sforzo, davvero, ma non mi fiderò mai più della parola dell'Impero».

«Lo stesso vale per noi» ribatté Elisif. «Non potremmo mai fidarci della parola di un assassino».

«Vi prego, lasciate che mi spieghi» Daric intervenne subito prima che scoppiasse un alterco. «Vi chiedo di fidarvi della mia parola, farò io da garante per questo mutuo accordo. Se voi mi giurate che non muoverete attacchi, io vi giuro che non ne riceverete».

L'ultima frase lasciò spiazzati un po' tutti, ma fu Tullius a dare voce alla domanda che probabilmente si chiedevano anche gli altri: «Per quanto sarei propenso a crederti, come puoi assicurarmi che non vengano attaccati i feudi leali all'Impero? Non sei tu a controllare i suoi uomini» indicò Ulfric con un cenno del capo.

Daric alzò le spalle con noncuranza. «Hai ragione, in realtà non posso assicurarvi che non riceviate attacchi. Posso però assicurarvi che chiunque di voi si dovesse rimangiare la parola data, avrebbe poi di cui pentirsene amaramente».

Nonostante il tono tranquillo, la minaccia non tanto velata cadde con l'impatto di un macigno. La verità era che nessuno di loro aveva pienamente idea di cosa fosse capace, ma già il fatto che fosse un Sangue di Drago lasciava un'impressione abbastanza convincente. Dopotutto, si diceva che quelli che possedevano un grande potere non avevano bisogno di utilizzarlo per incutere timore, ma gli bastava solo minacciare di utilizzarlo.

«Vi faccio un esempio» continuò con lo stesso tono leggero, «come pensate che reagirebbero gli uomini e le donne di Skyrim, qualora venissero a sapere che mentre il Sangue di Drago rischiava la sua vita per fermare Alduin, mentre la sorte del Mondo stesso era in bilico, voi ne avete approfittato per avvantaggiarvi in questa guerra? Sapete, queste voci si spargono in fretta, e la brava gente di Skyrim non ama questo tipo di vigliaccherie».

Un certo senso di disagio cominciò a serpeggiare tra i presenti, e Daric decise di rincarare ancora la dose: «Voglio rassicurarvi pienamente» il tono si fece improvvisamente freddo e spietato, «chi romperà questo accordo ne risponderà a me. Se nel periodo di tregua uno di voi si dovesse azzardare a sottrarre anche un semplice pozzo per l'acqua all'altra fazione, mi occuperò io stesso di restituirlo a chi lo possedeva prima. Ho affrontato le fauci e il fuoco del Divoratore del Mondo, non pensate che abbia paura dei vostri soldati».

Forse Daric era riuscito a far valere quella metà di sangue imperiale che gli scorreva nelle vene, il suo discorso era stato abbastanza convincente da lasciare gli altri di stucco.

Galmar emise un fischio basso. «Sei piccolo ma fai paura, dico sul serio».

«Non è piccolo, Galmar, sei tu che sei troppo cresciuto» commentò Rikke.

Daric riprese a parlare, stavolta in modo più pacato: «Jarl Ulfric, Generale Tullius, questa è la terza volta che vi incontro. La prima volta è stata ad Helgen, la seconda è stata quando vi ho chiesto di venire qui. Vi dico questo perché vorrei che sia chiaro un fatto: in questa guerra io non sto né con i ribelli né con l'Impero» scandì lentamente l'ultima frase. «Se pensate che l'esito di questa guerra sia più importante della sorte del mondo, allora forse meritiamo di essere divorati tutti da Alduin. Se invece, come dite, tenete veramente alla sorte di Skyrim, allora aiutatemi a salvarla».

Ora stava a loro decidere, lui non poteva certo obbligarli ad essere aiutati, sarebbe stato a dir poco ridicolo.

«Voglio crederti, Sangue di Drago» disse Ulfric. «Ho visto cosa è successo ad Helgen, e mai vorrei che succedesse in un'altra città, fosse anche schierata con l'Impero, non sono così meschino. Quanto tempo ti serve?»

Daric soppesò la domanda per qualche secondo. «Dieci giorni, a partire dalla prossima settimana. Avrete cinque giorni per avvisare tutte le vostre truppe e i vostri accampamenti».

«E sia, hai la mia parola» disse Ulfric.

Daric si rivolse quindi verso Tullius, aspettando la sua risposta. L'imperiale sospirò: «Tocca a me, immagino. Ebbene, alcuni potrebbero sostenere il contrario, ma l'Impero ha da sempre a cuore la sorte di Skyrim. Se questo è l'unico modo per impedire che i draghi la mettano a ferro e fuoco, allora hai il mio appoggio, Sangue di Drago».

«Molto bene» Arngeir si alzò in piedi, «Generale Tullius, jarl Ulfric, giurate voi di cessare le ostilità, per dieci giorni a partire dalla prossima settimana?»

Entrambi risposero a turno con un «Lo giuro».

«Sangue di Drago» il monaco si rivolse a lui, «vuoi essere tu il garante di questo giuramento, e assicurarti che ognuna delle due parti mantenga la sua parola?»

«Lo voglio».

«Che la dèa dei cieli e del vento vi sia testimone» concluse Arngeir con solennità. «Questo consiglio è sciolto».

«Andiamo, Galmar» Ulfric si alzò, ansioso di andarsene.

«Sì, mio signore» il suo huscarlo lo seguì. Arrivato all'uscita, Ulfric si rivolse a Daric per un'ultima volta: «Ritiro quello che ho detto prima, Sangue di Drago. Hai cuore e passione, e la tua serietà ti fa onore. Ti auguro di avere successo, che Talos ti accompagni» e se andò senza aspettare una risposta.

La delegazione imperiale però non se andò subito.

«Ti faccio i miei complimenti» gli disse Balgruuf, genuinamente impressionato. «Il mio palazzo è a tua disposizione. Basta una tua parola, e i miei uomini prepareranno la trappola».

«Grazie, jarl Balgruuf».

«Quale metodo avete escogitato per attirare un drago?» domandò Elisif.

Domanda legittima, pensò Daric. Esbern gli aveva promesso, durante il loro ultimo incontro, che avrebbe trovato un modo, quindi lo guardò speranzoso di una risposta.

Per fortuna colse il significato del suo sguardo. «Oh! Sì, in questo posso aiutarvi io» intervenne. «Sono riuscito a trovare i vecchi registri della Guardia del Drago Akaviri, su cui tenevano nota di tutti i draghi che uccidevano. Confrontandoli con la mappa dei tumuli tracciata da Delphine, sono riuscito a trovare il nome di un drago che è stato riportato in vita da Alduin».

Daric rimase interdetto per un momento. «Il nome? In che modo il suo nome può esserci utile?»

«Ah, forse non lo sai» Esbern spiegò pazientemente, «il nome di ogni drago è formato da tre parole di potere, esattamente come se fosse un Urlo. Se urlerai il nome di un drago, questo ti sentirà da ogni angolo di Skyrim».

«Sei sicuro che verrà?»

«Non sottovalutare l'orgoglio di un drago. Quando capirà che sei stato tu a chiamarlo, non resisterà alla tentazione di sfidarti, soprattutto dopo la tua recente vittoria contro Alduin».

«Suppongo che lo scopriremo solo provandolo. Qual è il nome di questo drago?»

«Dammi solo un momento» Esbern frugò nella tracolla che aveva con sè, tirò fuori un libro e lo aprì ad un segno. «Dunque, il nome penso che si traduca in 'Cacciatore alato delle nevi', ma per la pronuncia corretta mi rimetto a chi è più esperto di me» si rivolse ad Arngeir, che gli era vicino, e gli porse il libro.

Il monaco prese il libro, e dopo aver letto il nome in questione lo restituì.

«Il nome è Odahviing. Tienilo bene a mente: Od-Ah-Viing» Arngeir scandì bene le tre parole di potere.

Daric ripeté più volte il nome sottovoce, per imprimerlo al meglio, quindi annuì. «Grazie, a tutti voi».

Mentre la delegazione imperiale si apprestava da andarsene, fu avvicinato dal Legato Rikke. «A nome mio, ma anche della mia terra, volevo dire grazie a te, per tutto quello che fai» gli disse discretamente, a mezza voce. «Detto da me potrà sembrarti strano, ma sono contenta che tu non ti sia schierato in questa guerra. Skyrim è lacerata, e ora più che mai ha bisogno di un eroe che la unisca».

«Sventurata è quella terra che ha bisogno di eroi» rispose amaramente Daric. Poi, vedendo l'espressione confusa sul volto di Rikke, sospirò e si passò una mano sul viso. «Scusami, sono un po' stanco. Apprezzo la fiducia, veramente».

La voce di Tullius mise fine al loro breve dialogo: «Andiamo, Rikke. Dobbiamo tornare immediatamente a Solitude». Poi si rivolse a Daric: «Ti auguro di riuscire nella tua missione, che gli Otto possano guidarti e sostenerti».

Rikke lo salutò con un cenno, quindi seguì Tullius fuori dalla sala, insieme ad Elisif e Barlgruuf. Elenwen, prima di andarsene, gli scoccò un ultimo sguardo tagliente, e lo stesso fece con Esbern e Delphine.

Daric si abbandonò sulla sedia. La tensione lo aveva sfiancato, e il peggio doveva ancora arrivare.

Quando anche Arngeir lasciò la sala, Delphine si avvicinò. «Dobbiamo parlare, è importante» gli disse.

Sentì la tensione tornare, il tono non prometteva buone notizie. «Ti ascolto».

«Abbiamo scoperto chi è Paarthurnax, il maestro dei Barbagrigia».

Daric si rabbuiò, temeva che questo momento sarebbe giunto. «Avete scoperto che è un drago? Sì, l'ho scoperto anch'io».

«Paarthurnax non è un semplice drago, è stato uno dei luogotenenti di Alduin, uno dei suoi seguaci più fedeli e spietati. Durante la Guerra del Drago si è macchiato di diverse atrocità compiute a danno degli umani» la voce di Delphine si fece sempre più dura. «È arrivato il momento che paghi per i suoi crimini, è arrivato il momento che muoia. Questo compito ricade su di te, Sangue di Drago, solo tu puoi ucciderlo».

Per Daric fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Quando si riprese dallo stupore, semplicemente rispose: «Non lo farò».

Delphine assottigliò gli occhi. «Ti avverto, se ti rifiuterai di ucciderlo, non potremo più aiutarti. Noi Blade abbiamo un giuramento a cui tenere fede».

«Questo lo comprendo e lo rispetto, ma se non mi darai una buona ragione per ucciderlo, io non lo farò».

«Quale ragione ti serve? È un drago! I draghi sono una minaccia per tutti, per questo devono essere uccisi».

Daric scosse la testa. «Stai ragionando come quei Vigilanti di Stendarr, è una logica totalmente priva di discernimento. Paarthurnax è un drago, è vero, ma allo stato attuale non è una minaccia per nessuno».

«Come fai a dirlo? È nella natura dei draghi comandare e sottomettere i mortali, e lui non fa eccezione».

«Ne sono consapevole, e ne è consapevole anche Paarthurnax. Ciò nonostante, non posso condannarlo a morte per qualcosa che potrebbe fare».

«E quello che ha fatto invece? Il suo passato non conta nulla?»

«Tutti noi abbiamo un passato, Delphine, e non sempre ne andiamo fieri. Paarthurnax ha compreso i suoi errori molto tempo fa, ha insegnato il Thu'um agli uomini, li ha aiutati a sconfiggere Alduin, e ha aiutato anche me».

«Oh, sì, molto nobile da parte sua» disse Delphine con evidente sarcasmo. «Il fatto che abbia tradito Alduin non lo rende migliore, lo rende solo capace di tradire di nuovo, e stavolta potrebbe tradire te!»

«Stai di nuovo parlando di ipotesi. Non dico che mi fido ciecamente di lui, ma nemmeno ne dubito a tal punto da considerarlo una minaccia».

La pazienza di Delphine sembrava essere a dura prova. «Come fai a trattare questa questione con così tanta leggerezza? Quel drago ha commesso atrocità così terribili da essere ricordate per secoli! Tutte quelle vittime meritano giustizia!»

Anche la pazienza di Daric si stava iniziando a consumarsi. Si alzò dalla sedia: «Non ammetto che mi si accusi di leggerezza» disse con tono fermo. «Non arrogarti la facoltà di parlare a nome dei morti, Delphine, soprattutto per elargire giudizi e sentenze. Senza compassione non c'è giustizia, ma solo una sterile vendetta».

Lei chiuse gli occhi e fece due profondi respiri per calmarsi. «Bene, vedo che è inutile insistere, ma se quel drago creerà di nuovo dei problemi, la responsabilità sarà tua».

«Certo, è così per chiunque. Tutti noi siamo responsabili delle nostre azioni e delle nostre mancanze, ma preferisco essere responsabile di ciò che io scelgo di fare o non fare, piuttosto di ciò che gli altri scelgono per me. Mi dispiace che debba finire così, ma la mia posizione è questa».

Esbern, che aveva sentito il loro diverbio, si avvicinò. «Dispiace anche a noi, Sangue di Drago» disse, prima di rivolgersi a Delphine: «Non possiamo pretendere che lui si prenda carico delle nostre battaglie e dei nostri principi, i nostri giuramenti non sono i suoi giuramenti. Se il Sangue di Drago dice che rispetta la nostra posizione, noi dobbiamo rispettare la sua».

Un'ombra di tristezza scese sul volto della donna, che abbassò lo sguardo. «Sì, hai ragione» disse, poi tornò a guardare Daric dritto negli occhi. «Mi auguro che non ti debba mai pentire di questa decisione, ma, nel caso dovessi ripensarci, sai dove trovarci. Ti ringrazio per ciò che hai fatto per noi, non lo dimenticheremo» gli rivolse un saluto militare, quindi girò i tacchi e se ne andò.

Esbern, rimasto solo con lui, rovistò nella sua tracolla, quindi gli porse un libriccino dall'aria anonima, senza alcun titolo, «Vorrei che tu avessi questo, Sangue di Drago».

Daric lo accettò, titubante, ma quando fece per aprirlo, il vecchio gli afferrò le mani e lo fermò, «Non adesso. Il tuo compito ora è fermare Alduin, e con tutto il cuore ti auguro di riuscirci. Purtroppo però, Alduin non è l'unica minaccia per questo mondo, ce n'è una ben peggiore che da tempo avvelena Tamriel con discordie e menzogne. Sai a cosa mi riferisco...» Daric annuì, «ho seriamente paura che la ragioni che la muovono siano ben più terribili di quanto appaiano ora. Ho scritto io questo libro, leggilo solo quando ti sentirai pronto, nel frattempo tienilo segreto» gli lasciò le mani e quindi gli strinse una spalla, rivolgendogli un raro sorriso. «Se mai ci incontreremo ancora, spero che saremo dalla stessa parte».

«Lo spero anch'io».

Infine anche Esbern se ne andò, e Daric rimase solo, con quel libriccino in mano. Senza pensarci due volte, lo fece sparire sotto il mantello. Come aveva detto Esbern, al momento non aveva bisogno di altre preoccupazioni.



La sera era scesa su Ivarstead, e la locanda Vilemyr si era riempita dei soliti avventori. Wilhelm era al banco, e da bravo oste qual era, stava chiacchierando con i suoi clienti. Jofthor, uno dei due coniugi che possedevano la fattoria Fellstar, gli stava raccontando qualcosa di interessante.

«Dico sul serio, Wilhelm» gli disse Joftho. «In un solo giorno non mai visto così tante persone salire per la montagna». Scosse la testa e bevve un sorso dal boccale che aveva in mano.

«Le hai riconosciute? Chi erano?» chiese Wilhelm, ansioso di avere qualche notizia succulenta da condividere con i suoi clienti. Di solito succedeva ben poco ad Ivarstead. Le uniche voci interessanti che sentiva arrivavano dalle altre città più movimentate.

«Non so chi fossero. Ne ho visti tre vestiti con roba di classe, costosa, altri due invece avevano l'armatura della Legione Imperiale, ed erano assieme ad uno di quegli elfi Thalmor. Poi ho visto una donna con un'armatura esotica, mai visto niente di simile».

Era talmente strana come comitiva, che Wilhelm cominciò a dubitare del racconto. «Jofthor, sei sicuro che il sole non ti abbia giocato brutti scherzi?»

«Per la barba di Ysmir, giuro che è vero!» Batté il boccale, fortunatamente quasi vuoto, sul banco. «Ho visto anche un uomo con una pelliccia d'orso addosso».

Wilhelm rise sonoramente. «Già me li immagino i Barbagrigia, che danno una festa con le persone più strane di Skyrim. Ci mancava solo la focosa servetta argoniana».

«Ah, e ho anche visto un tipo completamente coperto con un mantello» continuò Jofthor, imperterrito.

«Quello lo so chi è, forse...» Wilhelm alzò lo sguardo e ghignò. «Daric, giusto?» domandò alla figura incappucciata che, proprio in quel momento, si era avvicinata al banco.

«Giusto» rispose e si abbassò il cappuccio. Riconobbe il volto del ragazzo che aveva visto quella stessa mattina.

«Sì, sì eri proprio tu quello con il mantello» disse Jofthor, guadagnandosi un'occhiata interrogativa da parte di Daric.

«Il buon Jofthor mi stava raccontando di aver notato un po' di gente strana incamminarsi per la montagna, tu l'hai vista?» Wilhelm riempì un boccale alla botte alle sue spalle, e lo porse a Daric.

«Oh sì, ne ho vista di gente strana» rispose, mentre sedeva ad uno sgabello.




Bene, questo è un rospo che mi tenevo in gola da molto tempo. Secondo me, questa missione non dà sufficiente considerazione a quei giocatori che, per una ragione o per un'altra, vogliono rimanere neutrali nella Guerra Civile. Quello che proprio non mi va giù, nella missione originale, è che Ulfric e Tullius si mettano a scambiarsi feudi di Skyrim come fossero figurine. In questo capitolo ho cercato di raccontare una versione che fosse più vicina alle mie corde, spero che vi sia sembrata credibile. Ho cercato il più possibile di mantenere l'essenza dei dialoghi originali, e spero di non aver snaturato nessuno dei personaggi. Ne ho anche approfittato per inserire alla fine quel dialogo tra Delphine e il Sangue di Drago, che tecnicamente farebbe parte di una missione separata. Non avevo mai pubblicato qualcosa di così lungo, spero che non sia stato pesante da leggere. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Ciao e alla prossima :)

  
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