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Autore: Sacchan_    08/03/2017    0 recensioni
Selena si è da poco trasferita in una nuova città, ma il suo primo giorno non sarà dei migliori.
In questa long si muovono diversi personaggi, ognuno di loro nasconde qualcosa o convive con qualcosa che tenta di tenere nascosto al prossimo. In fondo, abbiamo tutti i nostri scheletri nell'armadio.
Warning!: presenza di tematiche delicate, più coppie slash [boyxboy] e fem!slash [girlxgirl]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ricordai che, quella notte, gli spasmi muscolari si erano susseguiti uno dopo l'altro. Ne avevo contati almeno tre, tutti nella fase dell'addormentamento, al terzo consecutivo ci avevo rinunciato; ero scesa dal letto, infilando le pantofole, per dirigermi verso la finestra; la cui tapparella era così alzata da lasciar permettere a parecchia luce lunare di infiltrarsi dentro. Quale era il loro nome? Non lo ricordavo, per quanto mi sforzassi.
Qualcosa che iniziava con la "m"? Poteva essere.
Mio-qualcosa? Mmm...
Mioclonie!
Sì, vero si chiamavano mioclonie. Una contrazione improvvisa dei muscoli, un salto proprio. Una sorta di spasmo ipnico che disturbavano il mio sonno, esattamente come le mie paralisi mi impedivano di svegliarmi serenamente alla mattina.
Sbuffai, per poi guardare la finestra di fronte alla mia camera: nonostante la mezzanotte, già abbondantemente passata da un bel po', la luce era ancora accesa, ma le stesse tende tirate dell'altro giorno mi impedivano di guardare dentro.
Decisi di tornare sotto le coperte: avevo curiosato anche troppo.
Il corridoio della scuola, quella mattina, era calmo nonostante l'orario di ricreazione. Forse, visto il sole e la bella giornata che si era presentata, la maggior parte degli studenti si era riversata in cortile; forse, semplicemente, quella giornata doveva essere così.
Sbadigliai: non avevo chiuso occhio.
"Che occhi gonfi! Sicura di aver dormito bene?"
Furono le prime parole che Eris mi rivolse appena entrai in aula. Come al solito la ringraziai mentalmente per avermi ricordato l'evidenza delle cose: avevo passato molto tempo davanti allo specchio a correggere le mie palpebre utilizzando il correttore di mia zia.
"Così non hai ancora deciso in che club entrare, eh?" Mi domandò Eris, appoggiata con i palmi delle mani ad una delle tante finestre nel corridoio che davano sul cortile; guardava fuori con aria allegra, come se quella mattina qualcosa l'avesse fatta alzare dal letto di buonumore. Beata lei.
"Non ho neanche potuto conoscere la presidentessa del tuo club." Le ricordai, grattandomi il capo.
"Ah, vero." Esclamò Eris. "Ma ho parlato di te a Syria e non vede l'ora di conoscerti." Mi sorrise.
Quel giorno, notai, Eris era incredibilmente di buonumore.
"E anche con parecchia fretta."
Udii una voce femminile, dietro di noi, che mi fece voltare all'istante proprio per scoprire che una bella ragazza castana ci aveva avvicinato. Il sorriso divertito sulle labbra mi fece indietreggiare istintivamente. Quella mattina si erano davvero alzati tutti bene a parte me.
"Syria!" La chiamò Eris; sembrò stupita di trovarsela davanti.
Dopo lo stupore iniziale mi ricomposi immediatamente: quindi era lei Syria, non ero riuscita a conoscerla il giorno precedente dentro al club e ora eccola qua.
Syria scambiò un veloce paio di saluti con Eris prima di tornare a parlarmi; loro due sembravano andare parecchio d'accordo: Eris era solita tenere lo sguardo rivolto verso il basso quando qualcuno le rivolgeva parola, ma con Syria la cosa sembrava essere parecchio differente.
"Veniamo a noi: ti unirai al nostro club, dunque?" Mi domandò direttamente, al punto tale da spiazzarmi con la risposta.
"Non lo so, io..."
Syria fece scivolare un suo braccio attorno alle spalle di Eris.
"Eris mi ha detto che, in compagnia tua, si trova molto bene. E questo, per me, è sufficiente a fare di te una benvenuta."
Mi sentii lusingata da quelle parole, al punto tale da risponderle timidamente.
"Ora, se vuoi scusarci..." Syria non finì la frase, ma afferrò Eris trascinandola con sé; forse disse anche qualcosa, che io non riuscì a capire e che mi fece assumere una posa da ebete ferma e fissa nel corridoio.
"Dovranno discutere di qualcosa."
Quel sussurro mi arrivò dritto all'orecchio e, quando mi voltai, mi trovai Letty accanto a me.
Non mi ero proprio accorta che fosse uscita dalla classe. Anche quella mattina portava i lunghi capelli scuri sciolti su tutto il busto; la camicetta e i pantaloni neri contrastavano con il suo pallore.
Proprio come un'ombra, pensai.
"Sicuramente, non vedrai più Eris per tutto il resto della ricreazione." Disse semplicemente. "Posso restare io con te."
"Ah, mh, sì... Ah!" Allungai lo sguardo verso la fine del corridoio: era davvero Brendon quello che avevo visto passare, veloce come un fulmine?


Brendon era ritornato a scuola dopo che i suoi erano ripartiti, di nuovo, per qualche tour fuori città.
Era arrivato tardi, come al solito, perciò pareva ben chiaro da chi doveva passare per primo. Peccato che quel qualcuno, quel giorno, aveva deciso di non farsi trovare e lui aveva già girato tutto l'istituto in lungo e in largo, finendo ben presto per perdere la pazienza.
Poiché si era svegliato tardi, era entrato con ben tre ore di ritardo e ora gli serviva il modulo per giustificare la cosa.
Peccato che doveva passare da Fabian, per forza di cose, e non aveva la benché minima idea di dove si trovasse. Era già passato per la sala del consiglio studentesco, ma, a parte la vice-rappresentante, non aveva ottenuto alcuna informazione utile su dove si trovasse.
Poi, voci di corridoio, gli avevano spifferato che forse si trovava ancora in palestra, dato che la sua classe aveva avuto ginnastica alle prime tre ore; magari, con un po' di fortuna, lo avrebbe beccato in tempo.
"Ginnastica, eh?" Schioccò con la lingua.
Lo ricordava ancora come se fosse ieri. Il giorno in cui loro due si erano parlati per la prima volta.

"Mia! Mia" Passala a me!"
Si trattava dell'anno scorso, quando sia Brendon che Fabian facevano parte della stessa classe.
Entrambi del primo anno, dovettero ricominciare da capo a formarsi nuove amicizie; Brendon, in questo, non ebbe particolari problemi, al contrario di Fabian, più timido e riservato.
Non c'era nulla di cui stupirsi se, durante quella partita di pallavolo, Brendon era stato scelto come membro fisso di una delle due squadre, mentre Fabian doveva accontentarsi di sedere a bordo campo e giocare solo quando la rotazione glielo permetteva.
"Free Ball!" Gridò un ragazzo, salvando la palla dal cadere a terra.
"Vai, Brendon! L'ultimo tocco è tuo." Urlò un altro, alzando la palla verso il centro, dove Brendon saltò con il chiaro intento di fare una schiacciata.
La palla venne colpita e schiantata a terra nel campo avversario con una facilità sorprendente, costringendo Fabian a doversi alzare e dirigersi fuori campo, in zona di battuta.
"Ehi! Tiragli una bomba!" Scherzò qualcuno.
Ma il servizio, sebbene venne battuto, andò a schiantarsi contro la rete, cadendo a terra miserevole, dalla propria parte di campo.
"Che sfigato!" Gridò lo stesso di prima, costringendo Fabian a fare una smorfia deluso.
Lui era sempre stato negato per gli sport; da piccolo non ne aveva praticato neanche uno, preferendo restare curvo sui libri per alzare sempre di più la media dei propri voti.
Sollevò i suoi occhi color ghiaccio giusto in tempo per vedere quelli grigi di Brendon ancora fissi su di lui.
"Non pensiamoci. La partita non è ancora finita."
Chissà perché i ragazzi si infervoravano così tanto quando giocavano a qualcosa; non era nemmeno una partita ufficiale o un'amichevole: era soltanto una partita qualunque di una qualunque ora di ginnastica.
Ciò che contava erano i voti. Sì, i voti e nient'altro.
Più voti alti si ottengono, più è alta l'approvazione che ti viene rivolta. Quando hai l'approvazione hai tutto.
"Tua!" Gridò un compagno, spostandosi di lato, lasciando che la palla gli arrivasse dritta in faccia.
"Ma non ce la fai proprio a prenderla?"
Negli spogliatoi la situazione era più o meno simile: se, da un lato, Brendon era spesso accerchiato da ragazzi che gli parlavano amichevolmente, Fabian sedeva su una panchina sulle sue. Poi, spesso, si erano anche sorpresi a guardarsi l'un l'altro: come se, nel momento esatto in cui uno dei due fissava l'altro, quest'ultimo capiva l'intenzione e faceva lo stesso.
Fabian non aveva ancora trovato il perché a quella situazione, ma di una cosa era certo: Brendon era incredibilmente attento; aveva uno spirito d'osservazione incredibilmente alto e, proprio per questo, Fabian sapeva che poteva diventare estremamente pericoloso.
Tuttavia c'erano volte in cui lo osservava lo stesso, curioso com'era.
Ad esempio, quello era uno di quei momenti: Brendon era distratto a parlare con i compagni, mentre si tamponava il sudore con un asciugamano e rispondeva alle loro battute sceme. Da sotto i suoi capelli biondi e gli occhi color ghiaccio, Fabian poteva notare la pelle perfetta della schiena, senza una sola imperfezione, senza grossi nei che rovinassero l'estetica.
Ah, quindi è così che deve essere...
"Fabian! Fabian!" Sollevò il viso di scatto quando, quello che era il suo compagno di banco, lo chiamò aumentando il tono di voce sempre più in alto.
"Eh?"
"Non ti sei ancora cambiato! Guarda che tutti noi abbiamo finito, ormai."
Fabian si risvegliò immediatamente: tutta l'intera classe maschile si era ammutolita per un attimo, per poi tornare a perdersi in chiacchiere. Anche Brendon aveva fatto lo stesso.
"Ogni volta è sempre la stessa storia." Si lamentò il ragazzo di prima, costringendo Fabian ad afferrare il deodorante e l'asciugamano dal suo zaino.
Era davvero sempre così: tutti i suoi compagni uscivano, pronti e cambiati, lasciando lui dentro da solo.
Fabian non si preoccupava mai di essere l'ultimo poiché, dal muro accanto, si sentiva ancora il vociare delle ragazze, e se inizialmente qualcuno si era anche proposto di restare con lui per fargli compagnia, adesso tutti i suoi compagni si erano abituati a quella sua bizzarria nel voler rimanere da solo e così lo lasciavano.
Ma quella mattina le cose andarono diversamente dal solito.

Brendon aveva visto giusto.
La sua ex-classe, quella di Fabian, aveva davvero avuto ginnastica quella mattina e, difatti, i suoi ex-compagni ora si stavano godendo la ricreazione concedendosi a qualche sigaretta.
Nonostante fosse stato bocciato, quindi spostato di classe, aveva mantenuto i suoi buoni rapporti con ognuno di loro. Salutandoli uno ad uno notò che Fabian non era ancora uscito dallo spogliatoio, prevedibile come sempre. Qualcuno lo intuì anche e scherzò con qualche frase del tipo: il principino ci sta mettendo troppo, così lo avevano soprannominato al primo anno, a causa dei suoi capelli biondi e degli occhi chiari.
Brendon rispose con un sorriso eloquente, per poi lasciarli e dirigersi verso gli spogliatoi maschili: se c'era qualcuno che aveva il diritto di entrarvi, in questo preciso momento, era soltanto lui.

Fabian si lavò come prima cosa il viso: odiava la sensazione del sudore appiccicato alla pelle, era proprio una cosa a cui non era abituato.
Sollevò faticosamente le braccia per togliersi la maglietta madida. Dio, quanto dolore che gli facevano. Adesso era solo; all'inizio dell'ora gli risultava anche più problematico doversi cambiare senza farsi scoprire. Per fortuna che nessuno aveva ancora detto niente sulla sua tattica del 'prendi i vestiti che ti servono e vatti a cambiare in bagno'.
Sospirò davanti allo specchio, che gli restituiva la sua immagine riflessa e nitida. Fabian era consapevole di essere bello: sua madre glielo ripeteva sempre e la bellezza nella società aveva un certo peso. Il suo viso era bellissimo. Liscio e perfetto pareva lavorato in porcellana, ma allora perché...
Perché questi? Che cosa sono? Ripeteva ogni volta che si osservava allo specchio.
Macchie violacee si estendevano in modo esagerato sulla sua schiena, in alcuni tratti più scure, in altre parti più rosse; gialle lì dove stavano per guarire, nere dove erano più fresche. Quelle macchie erano il suo segreto, che disperatamente tentava di nascondere a tutti.
Quell'uomo, evita il mio viso solo per salvare le apparenze...
Era una delle prime verità che aveva scoperto: il suo viso non veniva mai toccato, e anche le braccia, dal gomito fino alla punta delle dita erano sempre salve, così come le gambe. Ma la schiena... quella proprio Fabian non ricordava se e quando l'aveva vista sana almeno una volta.
Fabian si toccò una di quelle ecchimosi con la punta delle dita. Era in via di guarigione, quasi, quindi non faceva male; tuttavia la pelle pareva più calda al tatto. C'erano persino state volte che, tutte quelle contusioni, gli avevano procurato un innalzamento della temperatura, costringendolo a restare a letto.
Scrollò il viso con vigore: doveva cambiarsi in fretta e raggiungere gli altri, doveva salvare anche lui le apparenze o altrimenti sarebbe stato peggio. Ma quel peggio doveva ancora arrivare.
Con un grugnito di frustrazione si allontanò dallo specchio, giusto in tempo per vedere qualcuno che, aprendo la porta dello spogliatoio, aveva visto tutto.
In quel momento, Fabian ebbe l'impressione che l'intero mondo gli fosse cascato addosso. I suoi occhi si sgranarono più che poterono, sentendo un orrore tale accrescere in lui al punto da provare ribrezzo verso se stesso. Ma la persona che l'aveva scoperto non stava tenendo nessun tipo di reazione: non c'era sorpresa nel suo sguardo, non c'era orrore, non c'era nulla di nulla. Era lo sguardo tipico e composto di sempre, quello che analizzava sempre tutto.
"Mi stavo giusto chiedendo... il motivo per cui rimanevi sempre indietro."



"Sei patetico." Mormorò Brendon, guardandolo dall'alto in basso.
Fabian non rispose, sollevandosi da terra a capo chino.
"So già quanto sono patetico da solo. Non serve che tu me lo ricordi."
La destra di Brendon partì da sola, avventandosi contro la guancia di Fabian con un sonoro schiaffo che lo fece vacillare di lato.
"Per quanto tempo andrai avanti così? Si tratta già di un anno."
Fabian si strofinò l'angolo della bocca, dove era stato colpito. Non disse nulla, rimase solo muto, incapace di fronteggiare la persona davanti a sé. 
"Considerati fortunato: io ti colpisco in pieno viso, dove tutti ti possono vedere. E se qualcuno dovesse venire a lamentarsi per un graffio o un livido ammetterei di essere stato io."
Fabian continuò a restare muto.
"Dì qualcosa, dannazione!" Gli gridò contro Brendon, ormai giunto al limite della propria sopportazione.
Fabian abbassò il braccio affranto, giusto per venire afferrato rudemente da Brendon che lo costrinse a sollevare lo sguardo.
Di natura calma e gentile, tendente a reprimere qualsiasi impulso che sentiva nascere dentro di sé, Fabian aveva imparato da tempo che solo Brendon sapeva tirare fuori il peggio di lui.
Afferrò quella stretta forte, facendo resistenza con entrambe le mani; la forza ce l'aveva, semplicemente nessuno gli aveva mai insegnato a usarla.
"Che cosa dovrei dire? Quell'uomo è mio padre, maledizione!"
Solo allora Brendon lo lasciò andare, facendolo barcollare all'indietro.
"Non c'è modo, per me, di oppormi." Mormorò a voce bassa.
Si formò un silenzio opprimente fra i due, uno di quelli che ti pesava persino sul petto. Fabian sollevò il viso lentamente, poi si mosse avanzando fino a stringere le maniche della giacca di pelle di Brendon. Appoggiò la fronte sul suo petto, poco sotto il collo, dando finalmente sfogo a quelle lacrime che volevano uscire già da prima.
Brendon sospirò capendo il gesto: quello era il segnale che Fabian voleva essere consolato, in un modo o nell'altro.
Lo spinse indietro, fino al muro, inchiodandolo con le braccia per poi avventarsi sulle sue labbra forzandole ad aprirsi. Rumori provenienti dal corridoio implicavano il passaggio di alcune ragazze, che stavano parlottando tra di loro, ma questo non li frenò nel volersi fermare. Fabian ambiva a quei baci, così violenti e seducenti, tali da togliergli l'ossigeno; Brendon era l'unica persona capace di darglieli.
Non si spiegava il perché, per un anno intero, Brendon aveva mantenuto il suo segreto, come da accordi. Tuttavia, sapeva che, se di un uomo aveva bisogno nella sua vita, questi non poteva che essere che lui. Un gemito gli sfuggì dalle labbra quando si sentì baciare il collo.
Quali furono le prime parole che si scambiarono? Ah, già.
"Mi stavo giusto chiedendo... il motivo per cui rimanevi sempre indietro."
"Ma perché sei tornato indietro?"

   
 
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