Ricordai
che, quella notte, gli spasmi muscolari si erano susseguiti uno dopo
l'altro. Ne avevo contati almeno tre, tutti nella fase
dell'addormentamento, al terzo consecutivo ci avevo rinunciato; ero
scesa dal letto, infilando le pantofole, per dirigermi verso la
finestra; la cui tapparella era così alzata da lasciar
permettere a parecchia luce lunare di infiltrarsi dentro. Quale era il
loro nome? Non lo ricordavo, per quanto mi sforzassi.
Qualcosa che iniziava con la "m"? Poteva essere.
Mio-qualcosa? Mmm...
Mioclonie!
Sì, vero si chiamavano mioclonie. Una contrazione improvvisa
dei muscoli, un salto proprio. Una sorta di spasmo ipnico che
disturbavano il mio sonno, esattamente come le mie paralisi mi
impedivano di svegliarmi serenamente alla mattina.
Sbuffai, per poi guardare la finestra di fronte alla mia camera:
nonostante la mezzanotte, già abbondantemente passata da un
bel po', la luce era ancora accesa, ma le stesse tende tirate
dell'altro giorno mi impedivano di guardare dentro.
Decisi di tornare sotto le coperte: avevo curiosato anche troppo.
Il corridoio della scuola, quella mattina, era calmo nonostante
l'orario di ricreazione. Forse, visto il sole e la bella giornata che
si era presentata, la maggior parte degli studenti si era riversata in
cortile; forse, semplicemente, quella giornata doveva essere
così.
Sbadigliai: non avevo chiuso occhio.
"Che occhi gonfi! Sicura di aver dormito bene?"
Furono le prime parole che Eris mi rivolse appena entrai in aula. Come
al solito la ringraziai mentalmente per avermi ricordato l'evidenza
delle cose: avevo passato molto tempo davanti allo specchio a
correggere le mie palpebre utilizzando il correttore di mia zia.
"Così non hai ancora deciso in che club entrare, eh?" Mi
domandò Eris, appoggiata con i palmi delle mani ad una delle
tante finestre nel corridoio che davano sul cortile; guardava fuori con
aria allegra, come se quella mattina qualcosa l'avesse fatta alzare dal
letto di buonumore. Beata lei.
"Non ho neanche potuto conoscere la presidentessa del tuo club." Le
ricordai, grattandomi il capo.
"Ah, vero." Esclamò Eris. "Ma ho parlato di te a Syria e non
vede l'ora di conoscerti." Mi sorrise.
Quel giorno, notai, Eris era incredibilmente di buonumore.
"E anche con parecchia fretta."
Udii una voce femminile, dietro di noi, che mi fece voltare all'istante
proprio per scoprire che una bella ragazza castana ci aveva avvicinato.
Il sorriso divertito sulle labbra mi fece indietreggiare
istintivamente. Quella mattina si erano davvero alzati tutti bene a
parte me.
"Syria!" La chiamò Eris; sembrò stupita di
trovarsela davanti.
Dopo lo stupore iniziale mi ricomposi immediatamente: quindi era lei
Syria, non ero riuscita a conoscerla il giorno precedente dentro al
club e ora eccola qua.
Syria scambiò un veloce paio di saluti con Eris prima di
tornare a parlarmi; loro due sembravano andare parecchio d'accordo:
Eris era solita tenere lo sguardo rivolto verso il basso quando
qualcuno le rivolgeva parola, ma con Syria la cosa sembrava essere
parecchio differente.
"Veniamo a noi: ti unirai al nostro club, dunque?" Mi
domandò direttamente, al punto tale da spiazzarmi con la
risposta.
"Non lo so, io..."
Syria fece scivolare un suo braccio attorno alle spalle di Eris.
"Eris mi ha detto che, in compagnia tua, si trova molto bene. E questo,
per me, è sufficiente a fare di te una benvenuta."
Mi sentii lusingata da quelle parole, al punto tale da risponderle
timidamente.
"Ora, se vuoi scusarci..." Syria non finì la frase, ma
afferrò Eris trascinandola con sé; forse disse
anche qualcosa, che io non riuscì a capire e che mi fece
assumere una posa da ebete ferma e fissa nel corridoio.
"Dovranno discutere di qualcosa."
Quel sussurro mi arrivò dritto all'orecchio e, quando mi
voltai, mi trovai Letty accanto a me.
Non mi ero proprio accorta che fosse uscita dalla classe. Anche quella
mattina portava i lunghi capelli scuri sciolti su tutto il busto; la
camicetta e i pantaloni neri contrastavano con il suo pallore.
Proprio come un'ombra, pensai.
"Sicuramente, non vedrai più Eris per tutto il resto della
ricreazione." Disse semplicemente. "Posso restare io con te."
"Ah, mh, sì... Ah!" Allungai lo sguardo verso la fine del
corridoio: era davvero Brendon quello che avevo visto passare, veloce
come un fulmine?
Brendon
era ritornato a scuola dopo che i suoi erano ripartiti, di nuovo, per
qualche tour fuori città.
Era arrivato tardi, come al solito, perciò pareva ben chiaro
da chi doveva passare per primo. Peccato che quel qualcuno, quel
giorno, aveva deciso di non farsi trovare e lui aveva già
girato tutto l'istituto in lungo e in largo, finendo ben presto per
perdere la pazienza.
Poiché si era svegliato tardi, era entrato con ben tre ore
di ritardo e ora gli serviva il modulo per giustificare la cosa.
Peccato che doveva passare da Fabian, per forza di cose, e non aveva la
benché minima idea di dove si trovasse. Era già
passato per la sala del consiglio studentesco, ma, a parte la
vice-rappresentante, non aveva ottenuto alcuna informazione utile su
dove si trovasse.
Poi, voci di corridoio, gli avevano spifferato che forse si trovava
ancora in palestra, dato che la sua classe aveva avuto ginnastica alle
prime tre ore; magari, con un po' di fortuna, lo avrebbe beccato in
tempo.
"Ginnastica, eh?" Schioccò con la lingua.
Lo ricordava ancora come se fosse ieri. Il giorno in cui loro due si
erano parlati per la prima volta.
"Mia! Mia" Passala a me!"
Si trattava dell'anno scorso, quando sia Brendon che Fabian facevano
parte della stessa classe.
Entrambi del primo anno, dovettero ricominciare da capo a formarsi
nuove amicizie; Brendon, in questo, non ebbe particolari problemi, al
contrario di Fabian, più timido e riservato.
Non c'era nulla di cui stupirsi se, durante quella partita di
pallavolo, Brendon era stato scelto come membro fisso di una delle due
squadre, mentre Fabian doveva accontentarsi di sedere a bordo campo e
giocare solo quando la rotazione glielo permetteva.
"Free Ball!" Gridò un ragazzo, salvando la palla dal cadere
a terra.
"Vai, Brendon! L'ultimo tocco è tuo." Urlò un
altro, alzando la palla verso il centro, dove Brendon saltò
con il chiaro intento di fare una schiacciata.
La palla venne colpita e schiantata a terra nel campo avversario con
una facilità sorprendente, costringendo Fabian a doversi
alzare e dirigersi fuori campo, in zona di battuta.
"Ehi! Tiragli una bomba!" Scherzò qualcuno.
Ma il servizio, sebbene venne battuto, andò a schiantarsi
contro la rete, cadendo a terra miserevole, dalla propria parte di
campo.
"Che sfigato!" Gridò lo stesso di prima, costringendo Fabian
a fare una smorfia deluso.
Lui era sempre stato negato per gli sport; da piccolo non ne aveva
praticato neanche uno, preferendo restare curvo sui libri per alzare
sempre di più la media dei propri voti.
Sollevò i suoi occhi color ghiaccio giusto in tempo per
vedere quelli grigi di Brendon ancora fissi su di lui.
"Non pensiamoci. La partita non è ancora finita."
Chissà perché i ragazzi si infervoravano
così tanto quando giocavano a qualcosa; non era nemmeno una
partita ufficiale o un'amichevole: era soltanto una partita qualunque
di una qualunque ora di ginnastica.
Ciò che contava erano i voti. Sì, i voti e
nient'altro.
Più voti alti si ottengono, più è alta
l'approvazione che ti viene rivolta. Quando hai l'approvazione hai
tutto.
"Tua!" Gridò un compagno, spostandosi di lato, lasciando che
la palla gli arrivasse dritta in faccia.
"Ma non ce la fai proprio a prenderla?"
Negli spogliatoi la situazione era più o meno simile: se, da
un lato, Brendon era spesso accerchiato da ragazzi che gli parlavano
amichevolmente, Fabian sedeva su una panchina sulle sue. Poi, spesso,
si erano anche sorpresi a guardarsi l'un l'altro: come se, nel momento
esatto in cui uno dei due fissava l'altro, quest'ultimo capiva
l'intenzione e faceva lo stesso.
Fabian non aveva ancora trovato il perché a quella
situazione, ma di una cosa era certo: Brendon era incredibilmente
attento; aveva uno spirito d'osservazione incredibilmente alto e,
proprio per questo, Fabian sapeva che poteva diventare estremamente
pericoloso.
Tuttavia c'erano volte in cui lo osservava lo stesso, curioso com'era.
Ad esempio, quello era uno di quei momenti: Brendon era distratto a
parlare con i compagni, mentre si tamponava il sudore con un
asciugamano e rispondeva alle loro battute sceme. Da sotto i suoi
capelli biondi e gli occhi color ghiaccio, Fabian poteva notare la
pelle perfetta della schiena, senza una sola imperfezione, senza grossi
nei che rovinassero l'estetica.
Ah,
quindi è così che deve essere...
"Fabian! Fabian!" Sollevò il viso di scatto quando, quello
che era il suo compagno di banco, lo chiamò aumentando il
tono di voce sempre più in alto.
"Eh?"
"Non ti sei ancora cambiato! Guarda che tutti noi abbiamo finito,
ormai."
Fabian si risvegliò immediatamente: tutta l'intera classe
maschile si era ammutolita per un attimo, per poi tornare a perdersi in
chiacchiere. Anche Brendon aveva fatto lo stesso.
"Ogni volta è sempre la stessa storia." Si
lamentò il ragazzo di prima, costringendo Fabian ad
afferrare il deodorante e l'asciugamano dal suo zaino.
Era davvero sempre così: tutti i suoi compagni uscivano,
pronti e cambiati, lasciando lui dentro da solo.
Fabian non si preoccupava mai di essere l'ultimo poiché, dal
muro accanto, si sentiva ancora il vociare delle ragazze, e se
inizialmente qualcuno si era anche proposto di restare con lui per
fargli compagnia, adesso tutti i suoi compagni si erano abituati a
quella sua bizzarria nel voler rimanere da solo e così lo
lasciavano.
Ma quella mattina le cose andarono diversamente dal solito.
Brendon
aveva visto giusto.
La sua ex-classe, quella di Fabian, aveva davvero avuto ginnastica
quella mattina e, difatti, i suoi ex-compagni ora si stavano godendo la
ricreazione concedendosi a qualche sigaretta.
Nonostante fosse stato bocciato, quindi spostato di classe, aveva
mantenuto i suoi buoni rapporti con ognuno di loro. Salutandoli uno ad
uno notò che Fabian non era ancora uscito dallo spogliatoio,
prevedibile come sempre. Qualcuno lo intuì anche e
scherzò con qualche frase del tipo: il principino ci sta
mettendo troppo, così lo avevano soprannominato al primo
anno, a causa dei suoi capelli biondi e degli occhi chiari.
Brendon rispose con un sorriso eloquente, per poi lasciarli e dirigersi
verso gli spogliatoi maschili: se c'era qualcuno che aveva il diritto
di entrarvi, in questo preciso momento, era soltanto lui.
Fabian si lavò come prima cosa il viso:
odiava la sensazione del sudore appiccicato alla pelle, era proprio una
cosa a cui non era abituato.
Sollevò faticosamente le braccia per togliersi la maglietta
madida. Dio, quanto dolore che gli facevano. Adesso era solo;
all'inizio dell'ora gli risultava anche più problematico
doversi cambiare senza farsi scoprire. Per fortuna che nessuno aveva
ancora detto niente sulla sua tattica del 'prendi i vestiti che ti
servono e vatti a cambiare in bagno'.
Sospirò davanti allo specchio, che gli restituiva la sua
immagine riflessa e nitida. Fabian era consapevole di essere bello: sua
madre glielo ripeteva sempre e la bellezza nella società
aveva un certo peso. Il suo viso era bellissimo. Liscio e perfetto
pareva lavorato in porcellana, ma allora perché...
Perché
questi? Che cosa sono? Ripeteva ogni volta che si osservava allo
specchio.
Macchie violacee si estendevano in modo esagerato sulla sua schiena, in
alcuni tratti più scure, in altre parti più
rosse; gialle lì dove stavano per guarire, nere dove erano
più fresche. Quelle macchie erano il suo segreto, che
disperatamente tentava di nascondere a tutti.
Quell'uomo,
evita il mio viso solo per salvare le apparenze...
Era una delle prime verità che aveva scoperto: il suo viso
non veniva mai toccato, e anche le braccia, dal gomito fino alla punta
delle dita erano sempre salve, così come le gambe. Ma la
schiena... quella proprio Fabian non ricordava se e quando l'aveva
vista sana almeno una volta.
Fabian si toccò una di quelle ecchimosi con la punta delle
dita. Era in via di guarigione, quasi, quindi non faceva male; tuttavia
la pelle pareva più calda al tatto. C'erano persino state
volte che, tutte quelle contusioni, gli avevano procurato un
innalzamento della temperatura, costringendolo a restare a letto.
Scrollò il viso con vigore: doveva cambiarsi in fretta e
raggiungere gli altri, doveva salvare anche lui le apparenze o
altrimenti sarebbe stato peggio. Ma quel peggio doveva ancora arrivare.
Con un grugnito di frustrazione si allontanò dallo specchio,
giusto in tempo per vedere qualcuno che, aprendo la porta dello
spogliatoio, aveva visto tutto.
In quel momento, Fabian ebbe l'impressione che l'intero mondo gli fosse
cascato addosso. I suoi occhi si sgranarono più che
poterono, sentendo un orrore tale accrescere in lui al punto da provare
ribrezzo verso se stesso. Ma la persona che l'aveva scoperto non stava
tenendo nessun tipo di reazione: non c'era sorpresa nel suo sguardo,
non c'era orrore, non c'era nulla di nulla. Era lo sguardo tipico e
composto di sempre, quello che analizzava sempre tutto.
"Mi stavo giusto chiedendo... il motivo per cui rimanevi sempre
indietro."
"Sei
patetico." Mormorò Brendon, guardandolo dall'alto in basso.
Fabian non rispose, sollevandosi da terra a capo chino.
"So già quanto sono patetico da solo. Non serve che tu me lo
ricordi."
La destra di Brendon partì da sola, avventandosi contro la
guancia di Fabian con un sonoro schiaffo che lo fece vacillare di lato.
"Per quanto tempo andrai avanti così? Si tratta
già di un anno."
Fabian si strofinò l'angolo della bocca, dove era stato
colpito. Non disse nulla, rimase solo muto, incapace di fronteggiare la
persona davanti a sé.
"Considerati fortunato: io ti colpisco in pieno viso, dove tutti ti
possono vedere. E se qualcuno dovesse venire a lamentarsi per un
graffio o un livido ammetterei di essere stato io."
Fabian continuò a restare muto.
"Dì qualcosa, dannazione!" Gli gridò contro
Brendon, ormai giunto al limite della propria sopportazione.
Fabian abbassò il braccio affranto, giusto per venire
afferrato rudemente da Brendon che lo costrinse a sollevare lo sguardo.
Di natura calma e gentile, tendente a reprimere qualsiasi impulso che
sentiva nascere dentro di sé, Fabian aveva imparato da tempo
che solo Brendon sapeva tirare fuori il peggio di lui.
Afferrò quella stretta forte, facendo resistenza con
entrambe le mani; la forza ce l'aveva, semplicemente nessuno gli aveva
mai insegnato a usarla.
"Che cosa dovrei dire? Quell'uomo è mio padre, maledizione!"
Solo allora Brendon lo lasciò andare, facendolo barcollare
all'indietro.
"Non c'è modo, per me, di oppormi." Mormorò a
voce bassa.
Si formò un silenzio opprimente fra i due, uno di quelli che
ti pesava persino sul petto. Fabian sollevò il viso
lentamente, poi si mosse avanzando fino a stringere le maniche della
giacca di pelle di Brendon. Appoggiò la fronte sul suo
petto, poco sotto il collo, dando finalmente sfogo a quelle lacrime che
volevano uscire già da prima.
Brendon sospirò capendo il gesto: quello era il segnale che
Fabian voleva essere consolato, in un modo o nell'altro.
Lo spinse indietro, fino al muro, inchiodandolo con le braccia per poi
avventarsi sulle sue labbra forzandole ad aprirsi. Rumori provenienti
dal corridoio implicavano il passaggio di alcune ragazze, che stavano
parlottando tra di loro, ma questo non li frenò nel volersi
fermare. Fabian ambiva a quei baci, così violenti e
seducenti, tali da togliergli l'ossigeno; Brendon era l'unica persona
capace di darglieli.
Non si spiegava il perché, per un anno intero, Brendon aveva
mantenuto il suo segreto, come da accordi. Tuttavia, sapeva che, se di
un uomo aveva bisogno nella sua vita, questi non poteva che essere che
lui. Un gemito gli sfuggì dalle labbra quando si
sentì baciare il collo.
Quali furono le prime parole che si scambiarono? Ah, già.
"Mi stavo giusto chiedendo... il motivo per
cui rimanevi sempre indietro."
"Ma perché sei tornato indietro?"