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Autore: nikita82roma    09/03/2017    7 recensioni
È la mattina del funerale di Montgomery. Kate si sta preparando per andare al distretto dove si incontrerà con gli altri prima di andare al cimitero. Riceve, però, una telefonata che cambierà la sua vita.
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Terza stagione
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- Detective Beckett, buongiorno, dovrebbe venire subito, dobbiamo parlarle.
- Scusatemi, ma oggi è una giornata particolare, c’è il funerale del mio capitano. Possiamo rimandare?
- No, mi spiace. È molto urgente. Si tratta di una cosa di pochi minuti. Avrà tutto il tempo di presenziare al funerale del capitano Montgomery.

 

Era cominciata così quella mattina per Kate. La mattina di una notte passata senza dormire. L’ennesima, dopo il fatto. Dopo l’hangar, la sparatoria ed il patto con Castle, Ryan ed Esposito. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva Roy a terra, pensava alle sue ultime parole che rimbombavano nella sua mente. Avrebbe dovuto fare di più, avrebbe potuto fare di più se non ci fosse stato Castle a bloccarla a fermarla, se non si fosse messo in mezzo in due di sicuro ce l’avrebbero fatta e Roy sarebbe ancora vivo e lei non avrebbe dovuto ritirare fuori quell’uniforme nera, troppo solenne, troppo scomoda, troppo triste. Il tempo che era passato dall’ultima volta che l’aveva indossata era tanto, ma le sembrava troppo poco. Una giovane vita, un collega morto in servizio durante un inseguimento. Ora era di nuovo lì, appoggiata sul suo letto e la doveva solo indossare. Solo. Buttò il telefono sul letto e cercò un porta abiti dove riporla. Non voleva certo andare in giro vestita in quel modo. L’avrebbe tenuta il meno possibile, solo per la cerimonia.

Passò al distretto dove Ryan ed Esposito erano già vestiti di tutto punto, con il distintivo in vista listato a lutto.

- Ehy Beckett non hai la divisa? - Le chiese Javier e lei gli mostrò il portaabiti appoggiandolo sulla sua scrivania.

- Devo sbrigare una cosa. Torno più tardi.

- Farai in tempo, vero? - Domandò Kevin preoccupato.

- Certo. - Tornò agli ascensori a passo spedito. Prima andava, prima sarebbe tornata, prima avrebbe fatto finta che era una giornata normale.

 

Guardò l’orologio. Aveva poco più di mezz’ora per tornare al distretto, cambiarsi e andare con gli altri colleghi. E con Castle.

Kate stringeva tra le mani quei fogli che le avevano appena dato al laboratorio. Ripensava a quelle domande strane sulla sua salute, erano giorni o forse più che non faceva caso alla sua salute. Stava bene? No, ma era normale, si ripeteva, visto quello che era accaduto. Come si poteva stare bene? Si era anche dimenticata di aver fatto quella visita di routine, obbligatoria ogni anno. Perché doveva pensarci, poi? Non l’avevano mai chiamata dopo averla fatta, era solo la prassi. Ti chiamavano solo se c’era qualcosa che non andava. E a lei l’avevano chiamata quella mattina, con la massima urgenza, perché come le aveva detto il medico, lei non può continuare a svolgere il suo lavoro. Le era crollato il mondo addosso, in quel momento ed ancora stava cercando di rimetterlo sù, in qualche modo, seduta in quella panchina del piccolo giardino non lontano dal distretto.

Il medico era sembrato volerla rassicurarla. Non doveva essere né la prima né l’ultima persona che si era trovato davanti in quelle condizioni, eppure lei non aveva visto nulla di rassicurante in quello che le diceva.

Aveva sfogliato negli ultimi minuti quei fogli più volte, guardando i valori con gli asterischi ed uno inequivocabilmente troppo altro che voleva dire solo una cosa: era incinta. Era stata forse l’unica donna al mondo a non credere alle analisi e ad usare come controprova un test di gravidanza comprato nel primo negozio incontrato e fatto in un bagno pubblico. Due volte, per sicurezza. Perché si ripeteva, anche se non ne era convinta nemmeno lei, che magari potevano aver sbagliato persona, uno scambio di provette, poteva capitare, no? No. Non era capitato. Aveva aspettato i fatidici minuti sola, chiusa in un bagno pubblico e poi aveva visto che entrambi dicevano la stessa cosa: era incinta.

Aveva poi nello stesso bagno vomitato non sapeva nemmeno cosa visto che non ricordava l’ultima volta che aveva mangiato, forse solo la vodka bevuta la sera prima, con l’intento di stordirsi e dormire. Inutile. Le aveva chiesto quel medico proprio poco prima se avesse mai avuto casi di nausea o vomito negli ultimi giorni e no, non li aveva avuti, ma sembra che ora che sapeva, si presentassero tutti insieme con gli interessi in un solo momento.

Riuscì ad uscire da lì, lavarsi il viso con l’acqua gelida e riprese a camminare. Buttò tutto nel primo cestino che incontrò. Aveva bisogno di qualche minuto per riflettere, per capire, ma la sua mente non collaborava. Non riusciva a fare né una cosa né l’altra. Guardò l’orologio ancora. Mancava sempre poco più di mezz’ora, lo aveva già fatto pochi istanti prima. Quanto era stata lì Senza riuscire a pensare a nulla di sensato? Ripiegò più volte quei fogli e li chiuse nel taschino nella borsa ed andò al distretto.

 

Era sola nello spogliatoio. Chiuse uno dopo l’altro i bottoni della camicia, fece il nodo alla cravatta. Indossò la giacca con le mostrine ben in vista. Si guardò allo specchio e vide tutti i segni delle notte insonni e di quella giornata. Si legò i capelli rapidamente, senza badare troppo al come, non si sarebbe sentita bella quel giorno nemmeno se fosse venuto un parrucchiere ed un truccatore professionista a sistemarla.

Con il cappello sottobraccio uscì da lì e si pietrificò nel trovarsi davanti Castle. Sapeva che doveva venire anche lui, ma averlo lì davanti a lei la mise a disagio e lui lo percepì.

- Ciao Beckett, stai bene? - Le chiese preoccupato

- Stiamo andando al funerale di Roy, come posso stare bene? - Gli rispose con rabbia eccessiva per quella domanda.

- Beh, si non intendevo per quello è che… No, niente, lascia stare. Sono stato inopportuno. - Il suo sguardo lo aveva bloccato, aveva smesso di parlare e fatto finta di nulla. Loro erano campioni in questo, fare finta di nulla era la loro specialità.

Si erano baciati ed avevano fatto finta di nulla. Avevano rischiato di morire insieme ed avevano fatto finta di nulla. Avevano messo in pericolo la propria vita per salvare l’altro ed avevano fatto finta di nulla. Avevano fatto l’amore ed avevano fatto finta di nulla. Anzi no, avevano fatto sesso, come si ripeteva Kate per dare una spiegazione a quel nulla che era seguito. E ringraziava il destino che si era sempre messo in mezzo, quando era stata sul punto, più di una volta, di dichiararsi, di dirgli cosa voleva. E che il destino si chiamasse Gina, Josh o un qualsiasi medico aveva poca importanza. Castle credeva nel destino ed allora doveva essere destino a volere che lei non gli dicesse quello che voleva, quello che provava. E allora perché era successo quello?

 

Era seduta in macchina. Non se la sentiva di guidare. Nessuno fece domande, nemmeno Castle che in un’altra occasione avrebbe approfittato per prenderla in giro. Era normale tutto, il nervosismo, le lacrime, il cattivo umore. Quello era il giorno che dovevano dedicare a Roy, avrebbe dovuto pronunciare lei il discorso al suo funerale e non riusciva a pensare a niente. Pensava solo a quella notte a Los Angeles, alla porta che si riapriva all’improvviso e a tutto quello che c’era stato dopo. Pensava a Castle, alle sue mani sul suo corpo, ai suoi baci, a come lei lo aveva cercato e voluto quella notte e a quanto erano stati stupidi e distratti evidentemente. Pensò alla mattina dopo, a lui nella sua stanza, uscito dal suo letto troppo velocemente perché se ne accorgesse e a come aveva fatto finta di niente, evitando ogni discorso e lei si era adeguata, facendo lo stesso, come se non parlarne voleva dire che non era successo e poteva essere giusto, poteva avere un senso se non ci fossero stati gli effetti. Avrebbe voluto parlargli tornati a New York, avrebbe voluto chiedergli perché era successo, anche se lei una spiegazione se l’era data ed era stata anche convincente, era successo perché perché lo avevano voluto, perché si erano voluti e per lei era stato speciale e sperava lo fosse anche per lui. Si era imbarazzata più volte nel guardarlo i giorni seguenti, quando lui le portava il caffè come sempre, come se nulla fosse, quando faceva le sue battute idiote con Ryan e Esposito, quando qualche volta l’aveva anche stuzzicata più del dovuto, ma sempre senza mai fare il minimo accenno a nulla di quello che c’era stato. Come, semplicemente, se non fosse successo. Come quel bacio sotto copertura che era stato un vero bacio ma non se lo erano mai detto. Poi un giorno lo aveva sentito parlare con i suoi colleghi delle sue ultime conquiste della settimana, di come quella modella e quell’attrice fossero state due bombe a letto, faticando anche a riconoscerlo così poco galante nello scendere in discorsi fin troppo privati. Lei era stata solo una delle tante, in fondo. Perché cercare motivazioni diverse che forse erano esistite solo per lei, motivazioni che per lui non esistevano. Era stata solo una notte di sesso. Con conseguenze.

 

Aveva letto e riletto i risultati, fatto conti con le settimane tornando indietro nel tempo e non poteva sbagliarsi. Poteva solo essere lui il padre. Josh era fuori in quel periodo, non poteva essere lui e poi con lui era sempre stata attenta, non voleva complicazioni e non aveva mai perso completamente la testa come con Castle. Josh… non aveva pensato minimamente a lui. Stavano insieme, se così si poteva dire. Era il suo ragazzo e fino a quel momento non aveva pensato nemmeno per un istante al fatto che fosse incinta di un altro e non riusciva nemmeno a sentirsi in colpa. Perché aveva ragione Castle, era una storia vuota, una storia facile che la toccava nel profondo, che non la faceva mai scoprire. 

Avrebbe chiuso con lui glielo avrebbe detto appena si fossero rivisti, quando i suoi turni l’avrebbero permesso. Gli aveva chiesto di accompagnarla, ma lui le aveva risposto che non poteva proprio lasciare l’ospedale quel giorno ed era per l’ennesima volta sola ad affrontare una tappa importante della sua vita. Che senso avrebbe avuto andare avanti con lui adesso? Ora aveva solo bisogno di affrontare quella situazione, in qualche modo, e prendere delle decisioni. Cosa voleva dire avere un figlio? Era sicura di volerlo? Sarebbe stato giusto decidere senza che Castle sapesse nulla? Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla ed intimamente la prese. Rick era seduto proprio dietro di lei e come se la leggesse dentro ed avesse sentito il suo bisogno di aggrapparsi a qualcosa le aveva offerto la sua mano. Era sempre il destino. Voleva chiamarlo così.

 

L’emozione davanti alla bara di Roy avvolta nella bandiera ebbe la meglio su di lei. Non era giusto quello che era successo e lei non era pronta a dirgli addio. Ancora una volta la mano di Castle si poggiò sulla sua spalla prima che ognuno prendesse il suo posto vicino al feretro per portarlo a mano e rendergli tutti gli onori che meritava. Rick era l’unico civile tra loro e Montgomery sarebbe stato felice di sapere che lui era lì. Era stato il primo a dargli fiducia, a prenderlo in simpatia e a tifare per lui, lei lo sapeva e sicuramente ora sarebbe stato il primo ad essere felice per lei. Prima di se stessa, perché ancora non sapeva se era felice o meno.

Ripensò alle parole che le aveva detto Roy prima di fare il discorso in suo onore e pronunciandolo non potè fare a meno di guardare Rick, in piedi, vicino a lei. Come sempre. Perché lui aveva sempre preso la sua posizione ed era sempre stato al suo fianco, in ogni situazione di pericolo, ogni volta che ne aveva avuto bisogno, aveva sempre potuto contare su di lui e lui non l’aveva mai lasciata sola. Mai. Tranne quella mattina, quando se ne era andato troppo presto dal suo letto. Si voltò a guardarlo e riprese fiato, continuando a parlare.

Poi fu un istante. Un lampo, un sibilo, un dolore al petto. Cadde a terra e vedeva solo il cielo e Rick su di lei.

 

- Kate… resta con me Kate... Kate ti prego non mi lasciare… Ti amo Kate, Ti amo! - Avrebbe voluto dirgli che anche lei lo amava. Non sapeva quando lo aveva capito, forse lo aveva sempre saputo, forse in quel momento, ma il suo pensiero fu subito un altro. Fu per qualcosa di importante, che solo lei sapeva, che lui doveva sapere.

- Rick… il bambino, il bambino… - Lo guardò con gli occhi sbarrati, cercando di stringere la mano di Castle con la sua, racchiusa in quel guanto che da bianco era diventato rosso come il suo sangue. E quelle parole sembravano una supplica ed una preghiera.

- Il bambino? - Rick non capiva la vedeva faticare a tenere gli occhi aperti e sentiva la sua presa farsi sempre più debole. - Kate stai con me, guardami Kate, guardami!

- Il nostro… - Chiuse gli occhi lasciando la mano di Rick che si guardò intorno allarmato. Lanie stava correndo da lui. Quanto tempo era passato? Secondi, minuti? Non lo sapeva.

- Hanno già chiamato un ambulanza! Dio mio Kate resisti! - Disse Lanie inginocchiandosi sul corpo dell’amica e premendo con forza sulla ferita. Rick la guardava in evidente stato di shock: percepiva che la dottoressa gli stava dicendo qualcosa ma non capiva, sentiva come un ronzio tutto intorno a lui che lo avvolgeva mentre spostava lo sguardo da Lanie e Kate priva di conoscenza su quel prato. 

   
 
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