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Autore: maffelton    10/03/2017    0 recensioni
La pioggia cadeva insistentemente sulle finestre della mia stanza. Dovetti alzarmi dal letto, era giunto il momento di mettere un punto a tutto questo. Presi a camminare avanti e indietro tra le pareti di quella piccola camera che era ormai diventata casa mia. Com'era possibile? Ero prigioniera dei miei stessi pensieri, non potevo controllarli, ma loro potevano controllare me. Lo odiavo, dio se lo odiavo. Odiavo non avere il controllo della situazione, odiavo non sapere e odiavo non capire. Più di tutto il resto però odiavo quell'uomo che da mesi, ovvero da troppo tempo, gironzolava allegramente nella mia mente, deciso a tormentare la mia esistenza con quel sorrisetto spavaldo, fastidioso ma incredibilmente intrigante.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prologo: "Quella Sera"

Lanciai una rapida occhiata alla mia immagine riflessa nello specchio di uno trai bagni più disgustosi di Londra, mi girai prima su un lato e poi sull’altro, assicurandomi che il vestito si posasse sul mio corpo esattamente come io volevo che fosse. Il tessuto blu notte faceva da contrasto al pallido colore delle mie gambe e delle mie braccia, mi piaceva, e molti sostenevano che si intonasse meravigliosamente anche con i miei capelli castani ramati. Mi avvicinai un altro po’ allo specchio, controllando, questa volta, che il tempo impiegato per trucco e parrucco non fosse stato elegantemente cestinato dalla mia sfrenata voglia di gettarmi nella pista da ballo. Stranamente ciò che potei vedere allo specchio non deluse poi troppo le mie aspettative, fui fiera di me, era un chiaro segno che le mie doti da make-up artist alle prime armi stavano spiccando il volo. Nascosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio, scoprendo un orecchino pendente perfettamente abbinato al vestito, tanto per rendere giustizia alla meticolosa scelta che avevo fatto nel pomeriggio. Uscii dal bagno, armata di sufficiente sicurezza da permettermi di camminare a passo deciso in direzione del tavolo di amiche che mi aspettava, probabilmente carico di bottiglie vuote e di bicchieri a varie colorazioni di rossetto e lucidalabbra. Raggiunto il tavolo adocchiai subito due dita di bourbon, probabilmente sfuggite agli occhi delle mie coinquiline, e non indugiai nel versarlo nel bicchiere che speravo essere mio. Feci per portare il bicchiere alle mie labbra quando Meredith mi afferrò il polso della mano libera, obbligando il mio braccio ad aiutarla in una piroetta tutto fuorché sobria, che le procurò una momentanea perdita di equilibrio. Non ci fu nessuna caduta, no. Da un lato c’ero io a controbilanciare, poi andavano riconosciute le doti di Meredith, sicuramente abituata a tali situazioni.
“Ti avverto, non ti trascino fino a casa su questi tacchi, Red” .
Dissi, cercando di sovrastare la musica del locale con la mia voce. Meredith scoppio in una risata, apparentemente non in grado di fornirmi una risposta composta da parole. Alzai gli occhi al cielo e mi lasciai andare ad un piccolo sorriso, prima di liberarmi dalla sua presa e portare la mia completa attenzione sul sacro bourbon. Roteai un paio di volte il bicchiere, osservandone il contenuto che sbatteva sulle pareti trasparenti, così, per sentirmi come le protagoniste di qualche film hollywoodiano del secolo scorso. Poi lo portai finalmente alle labbra, prendendo a sorseggiarlo con gusto. Meredith era già collassata sui divanetti a bordo pista, con il viso appoggiato al petto di qualche ragazzo inglese, che chiaramente se ne prendeva cura sperando in un regalino più tardi. Rinunciai ad impedirle di finire a casa dell’ennesimo ragazzo, conoscevo Meredith da troppo tempo, ed era sempre stata quel tipo di persona. Mi sentii tirare per il polso, di nuovo, ma questa volta erano Vanessa e Cleo, entrambe con un sorriso stampato sul viso.
“J, muovi il culo e vieni a ballare con noi, andiamo”.
Cleo si fece spazio tra la folla, incitando me e Vanessa a raggiungerla. Così ripresi a ballare sui miei tacchi a spillo, liberandomi dei mille pensieri e dello stress della settimana precedente. Finito il bourbon, persi il mio bicchiere su qualche tavolo non identificato, e, presa da un’improvvisa ondata di energia mi lasciai trasportare dalla musica verso il bar, assicurandomi che le due bionde mi stessero seguendo.
“Tre tequila” .
Ordinai al barman, appoggiandomi per qualche istante al bancone. Vanessa estrasse dalla pochette le nostre banconote. Cercavamo sempre di non portare tutte la borsa, quindi facevamo a turno per tenerne una con gli averi di tutte e quattro. Pagata la tequila, sollevammo i bicchierini, e io esordii urlando al mondo:
“A Londra, e a quanto è maledettamente costoso prendersi una sbronza in questa città!”

 
Scontrandomi con un numero indefinito di mobili e imprecando infinite volte raggiunsi il bagno ad occhi socchiusi per via della luce che entrava insistentemente nell’appartamento, il numero 6. Il mio viso dallo specchio urlava pietà, mentre i miei capelli avevano preso la forma di una disordinatissima criniera. Come sempre iniziai a pentirmi di aver messo il muso fuori dalle mura della mia stanza la sera precedente, e poi di aver intrapreso la via verso l’ennesimo hangover londinese. Il mio rimprovero a me stessa durò poco più di qualche istante però, ero curiosa di verificare le condizioni delle altre, ma soprattutto quelle di Meredith, poiché non ero sicura di aver sentito rientrare durante la notte. Raccolsi di fretta i capelli in una lunga coda, e, nonostante l’aspetto a dir poco spaventoso, mi diressi verso le stanze delle mi coinquiline. Cloe dormiva ancora, avvolta comodamente nelle coperte. Vanessa, al contrario, era seduta sul letto, come in attesa di ottenere le forze per mettersi in piedi. 
“Buongiorno, Van”.
Riuscii a dire, facendo molta attenzione a non svegliare Cloe nella stanza accanto. Mi appoggiai allo stipite della porta, ancora distrutta per il poco sonno rimediato, e mi lasciai sfuggire una risata non appena vidi Vanessa rispondermi con un sorriso debole e ancora sognante. In quell’istante sentimmo entrambe le chiavi di casa infilarsi nella serratura e di conseguenza dei rumori provenire dal piano di sotto. Meredith. Feci cenno a Vanessa che sarei andata io a controllare che Red stesse bene, non era sicuramente la prima volta che tornava da una delle sue avventure la mattina dopo, ancora un po’ brilla oppure estremamente nervosa, e ormai avevo imparato a prendermene cura. Scesi le scale e mi diressi verso la sala d’ingresso, dove trovai la mora intenta a sfilarsi i tacchi, mentre con una mano trovava sostegno sulla spalla di un ragazzo, quello con cui l’avevo vista ballare tutta la notte. Mi avvolsi nella mia caldissima felpa di lana e sospirai, forse in maniera troppo evidente. Meredith alzò lo sguardo, e così fece anche il misterioso accompagnatore.
Ehilà J. Sono tornata”.
Il tono energico con cui aveva pronunciato quelle parole mi aveva lasciata di stucco, possibile che non riuscissi mai a trovare quel tipo di carica di mattina, e per giunta dopo una serata in discoteca? Qual era il suo segreto? Sorrisi lievemente, un po’ in imbarazzo per le mie condizioni e per il fatto che mi trovassi davanti ad un completo sconosciuto.
Lo vedo, Red” .
Risposi io, prima di fare un breve cenno di saluto con la testa e voltarmi per andarmene e lasciarli soli.
“Brad è stato molto gentile ad accompagnarmi fino a casa quindi se non ti spiace si ferma per la colazione”.
Mi sentii dire a quel punto, e, benché rimasta un po’ sorpresa, pronunciai un “tranquilla” mentre entravo in cucina in cerca della mia fonte di vita, il caffè. In attesa della macchinetta del caffè, presi dei biscotti al cioccolato da una delle mensole della cucina e mi appoggiai al muro, pronta a godermeli a pieno. Fu in quel momento che vidi il ragazzo di Red, Brad, entrare in cucina da solo e, con evidente imbarazzo, sedersi a tavola. Gli sorrisi nella speranza di farlo sentire a suo agio, ed ebbi anche l’occasione di osservarne l’aspetto. Era moro, capelli leggermente mossi, occhi scuri, lineamenti dolci, nonostante avesse tutta l’aria di un giovane uomo sui 24. Indossava una semplice camicia bianca, che metteva in evidenza le spalle larghe e le braccia forti, muscolose, e dei normalissimi jeans.  Armata di caffè, biscotti e di un pizzico di intraprendenza, mi sedetti al tavolo, al mio solito posto, ovvero a due posti dal nuovo arrivato. Fu a quel punto che decisi di presentarmi, un’altra volta colpita dalla pietà per il suo palese sentirsi a disagio.
“Comunque piacere di conoscerti, sono Jessie”.
Dissi prima addentare un biscotto e voltare il viso di lato per poter posare lo sguardo su di lui. Lo colsi alla sprovvista, ci mise qualche secondo a rispondere.
“Brad, piacere mio”.
Aveva una voce profonda e calda, il tono però era piatto, sembrava controllato. Il suo modo di fare mancava di spontaneità, forse per l’imbarazzo della situazione, e non mi convinceva per nulla. Fortunatamente entrò Meredith, e l’atmosfera si fece meno pesante. Lei gli preparò qualche pancake e gli offrì un caffelatte, gli parlò con disinvoltura, il che non sembrava affatto naturale visto che non si conoscevano. Non l’unica ad essere di quell’idea, anche Brad sembrava non capire quel modo così aperto di relazionarsi, difatti le sue erano risposte brevi e distaccate. L’atteggiamento che Red assumeva con i ragazzi era sempre lo stesso, e ciò si verificava perché fondamentalmente non le importava delle sue avventure. Si divertiva con una tale serenità da farlo sembrare semplice. Per me non lo era mai stato, non mi era possibile fare una scappatella con un qualsiasi uomo conosciuto al locale, qualsiasi mio rapporto con il sesso opposto doveva essere dettato da sentimenti, non era fattibile diversamente.

Durante la colazione notai un curioso simbolo tatuato sulla mano destra del moro, e mi fermai ad osservarlo, certa di averlo già visto ma incapace di ricordarmene il significato. Red e Brad sembrarono rendersi conto della mia concentrazione riposta sulla mano di lui e smisero di parlare, aggrottando le sopracciglia nel tentativo di capire cosa stessi facendo. Me ne accorsi e scossi la testa un paio di volte. Nel tono più disinvolto che riuscissi a simulare diedi una spiegazione:
“Oh nulla, un bel tatuaggio”.
Red scrollò le spalle, alzandosi subito dopo per andare a sistemare i fornelli. Brad invece, in un primo momento seguì Red con lo sguardo, poi rivolse a me un mezzo sorriso.
“Ti ringrazio, è un tatuaggio importante”.
Annuii non sapendo che altro aggiungere, e probabilmente ciò lasciò trapelare l’imbarazzo che stavo provando, perché il sorriso di Brad si ampliò, come se trovasse divertente il fatto che sembrassi un po’ impacciata. Scelsi quel momento per tagliare la corda, frettolosamente salutai entrambi e mi rintanai in camera, maledicendomi per essere così tremendamente timida. Seduta sul letto a gambe incrociate con in grembo Tender is the night di Fitzgerald, tentai di leggere qualche pagina, ma continuava a tornarmi in mente quel ragazzo, la one night stand di Red. Perché? Nel disperato tentativo di pensare ad altro mi fiondai sotto la doccia, sperando che l’acqua calda mi cullasse e mi svuotasse la mente, e in quei venti minuti di serenità ci riuscì. Nelle giornate successive però, di tanto in tanto, i miei pensieri ricaddero sulla mattina successiva a quella sera tra coinquiline, e una parte di me iniziò a provare il desiderio di rincontrarlo, magari in un mondo parallelo, in un mondo dove io ero Red e senza problema alcuno mi ritrovavo a casa di Brad, avvolta tra le sue braccia.

 
 
 
  
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