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Autore: Atra    12/03/2017    0 recensioni
Oerba Dia Vanille.
Oerba Yun Fang.

Oerba.
Un viaggio introspettivo attraverso la personalità delle due
L'Cie originarie di Pulse, alla scoperta di tutto ciò che le
lega a Oerba.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fang, Un po' tutti, Vanille
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oerba Dia Vanille.

Riconobbe il cielo, candido e splendente della luce fredda di un sole distante.
Riconobbe la consistenza granulosa e cristallina del suolo, tanto fine da sembrare sabbia, tanto freddo da essere stata la neve con cui giocava da bambina.
Vanille la fece scricchiolare sotto le scarpe, la usò per disegnare con la punta, come faceva da piccola, quando aveva appena imparato a scrivere e aveva marchiato con il suo nome tutti i centimetri di neve disponibili.

Oerba Dia Vanille.

-Oerba...Dia...Vanille!-.
La lingua fra i denti, le ginocchia affondate nella neve, una piccola ed entusiasta Vanille scriveva qualcosa con il ditino, a caratteri grandi e svolazzanti.
Dalla cima della sua altura preferita, appena fuori dal villaggio, si intravvedeva appena l'immensa distesa di mare che lo circondava, così come era difficile riuscire a scorgere la sinuosa autostrada, a quell'ora chiusa, che si snodava nel vuoto, sopra l'acqua, attraverso l'aria.
La nebbia albina sfumava i colori e le forme più lontani, smorzando persino la già flebile luce del sole e quasi appesantendo il lento movimento dei mulini, che tuttavia continuavano instancabili il loro moto circolare.
La piccola Vanille inspirò forte l'aria fresca proveniente dal mare e dal ghiaccio che la circondava, senza badare alle mani e alle ginocchia rosse per il freddo, tanto era concentrata sui simboli di cui solo da poco aveva scoperto il significato.
Dentro di essi si trovava la sua identità, la sua personalità, la sua forma. Quelle lettere erano i suoi capelli rossi, i suoi occhioni splendenti, le sue espressioni scavate nel viso, la sua voce acuta, la sua esuberanza.
Erano lei, semplicemente lei.
Era così affascinante...
-Ehi, sei ancora qui, eh?-.

Oerba Yun Fang.

Oerba era diverso, com'era ovvio che dovesse essere.
Nonostante se lo fosse ripetuto così tante volte da essersene duramente convinta, Fang avvertì lo stesso la stretta al cuore che proverebbe chiunque torni nel suo luogo natio e lo trovi privo di vita.
Quel villaggio era completamente vuoto, in balìa del tempo che man mano se lo divorava, dello spazio che lo conquistava, della natura che si riprendeva ciò che era proprio, scavalcando l'opera dell'uomo.
Abbandonate le case, con i pavimenti tappezzati di polvere e sabbia, con gli infissi chinati e sfondati dal peso degli anni, con i tetti scoperchiati dagli agenti atmosferici.
Abbandonate le barche, depredate da chi faceva di un viaggio la propria fortuna, spolpate di ciò che poteva servire e con solo lo scheletro della loro inutilità. Fang non riuscì a biasimare nessuno mentre le guardava giacere immobili sulla sabbia, il mare a pochi metri ma nessuna ragione per tornarci. Probabilmente avrebbe fatto lo stesso dei razziatori, se si fosse trovata nelle loro condizione.
Abbandonate le strade, calcate solo dal piede del vento, dal vagare degli oggetti abbandonati e sensibili alla brezza del mare, dalle ombre irregolari delle case e dei segnali, che ormai indicavano la via al nulla che si stava impadronendo di quel luogo.
Il cuore gonfio di ricordi, scorse l'ennesima ombra semovente allungarsi davanti a lei, due braccia si protesero verso il cielo in un gesto disperato, per poi orientarsi nella sua direzione. Con immensa tristezza, Fang guardò il Cie'th davanti a sé, cercandone lo sguardo in quelle fattezze mostruose.
Una volta quello era un uomo, una donna, un...bambino che abitava lì, che poteva aver incrociato per strada fra una commissione e l'altra, con cui poteva aver riso, litigato, condiviso un momento importante o anonimo.
Allo stesso modo, quel popolo di Cie'th una volta era una comunità che si supportava, prendeva decisioni insieme su ciò che era giusto e sbagliato, amava la natura cercando di vivere in simbiosi con essa.
Immobile, preda dei ricordi, la ragazza non si accorse che il mostro era passato all'attacco e sarebbe stata ferita se qualcuno non fosse intervenuto in suo aiuto, scagliando via il pericolo.
Non disse niente Snow, si limitò a posare una mano sulla sua spalla e a scrollarla appena, come per districarla dal groviglio formato dall'intrecciarsi fra realtà e ricordi.
"Qui nulla è più vivo" - pensò Fang e subito fu presa da una strana rabbia, il furore di chi è saturo di disperazione e cerca uno sfogo in cui annichilire i pensieri, ritrovare un equilibrio - "Oerba non rivivrà".
La sua lancia fendette l'aria, poi fu solo strage di mostri, di anime disperate che ora cercavano solo pace nella morte, di persone disperate che allora cercavano solo pace nella vita. Una strage ben diversa da quella silenziosa operata dal tempo, una strage compiuta con il viso solcato dalle lacrime e insulti misti a grida di dolore, invece che con il volto impassibile degli anni, susseguitisi tutti uguali ma così assassini al mondo.
Una strage che avrebbe portato il suo nome, in un villaggio che con il proprio nome l'aveva già ribattezzata.

Oerba Yun Fang.

-Come mi hai chiamata?!-.
I capelli al vento, alcuni incollati alle labbra, i vestiti spiegazzati e la pelle crivellata di graffi, la piccola Fang strepitava nel piazzale di Oerba.
Il tramonto aveva calato un velo indaco su tutto il cielo e un vento gelido stava spirando dal mare e dai monti, circondando il villaggio e stringendolo in una morsa di gelo. Nonostante questo, nonostante le raffiche la investissero da capo a piedi, nonostante la pelle d'oca su tutto il corpo, quella bambina rimaneva salda e fiera in mezzo alla folla attorno a lei, piegata per resistere al freddo.
-Sei ancora una bambina - ripeté una voce dolce, seppure con una nota di preoccupazione - Non puoi andare all'avventura in questo modo, rischierai di farti...-.
-Qui nessuno è mai troppo piccolo! - la interruppe con violenza Fang, stringendo nella mano destra un artiglio di fiera, coraggiosamente strappato al proprietario - Il mondo è crudele con tutti allo stesso modo, se non ti sai proteggere!-.
Detto questo, si voltò sprezzante verso la spiaggia e lanciò l'artiglio con tutte le proprie forze, mandandolo a conficcarsi debolmente nella sabbia, dove un'onda lo sommerse e lo trascinò con sé, chissà dove.
-Non basta aggrapparsi ad una certezza e smettere di lottare - disse a bassa voce, come se parlasse a se stessa - Bisogna diventare noi stessi una certezza e io voglio iniziare da ora!-.
Prima che qualcun altro potesse replicare, stava già correndo lungo la via principale di Oerba, verso l'esterno del villaggio. Sfrecciò accanto a molta gente, domandò scusa a chi veniva colpito, raccattò qualcosa da terra per chi l'aveva perduto, ma non si fermò fino a quando non passò accanto a un'altra bambina, che sedeva sola sul muretto esterno.
-Ho sentito ciò che hai detto - mormorò quella, scrollando i capelli rossi ma tenendo il capo chinato - A me qualche volta dicono che sono strana, ma io non gli dò retta - a quel punto Vanille sollevò lo sguardo e intercettò quello dell'altra bambina, che l'aveva appena superata ma la stava ancora guardando di sottecchi - È questo che significa "essere una certezza per noi stessi"?-.
Fang si fermò.

Vanille.

Fang.

Tornare a Oerba da solo lo fece scontrare con un carico emotivo notevole. Effettivamente in quella circostanza non si sentiva in dovere di proteggere nessuno, non doveva essere un sostegno morale, quindi era più vulnerabile.
Eppure, Snow non capì subito perché quel villaggio abbandonato, ancora più corroso dal tempo impietoso, gli addossasse una malinconia che pesava sulle spalle più di ogni altra preoccupazione.
Camminò sperduto per le strade, scavalcando piani sconnessi e crepe profonde come voragini. Entrò nelle case chiedendo rispettosamente permesso, facendosi poi strada tra veli di ragnatele, attraverso la patina polverosa illuminata dal sole morente del pomeriggio. Passeggiò sulla spiaggia e lasciò vagare lo sguardo sul luccichio danzante del mare, fino ai mulini a vento più lontano, fino a Cocoon, che splendeva ancora nel cielo, sorretto dalla colonna di cristallo.
Fu allora che il sentimento di malinconia si fece più opprimente, gravando sulla sua coscienza e lasciandolo senza fiato, arrabbiato, amareggiato da un'ingiustizia che non riusciva a sopportare.

Fang.

Snow guardò Fang, lo sguardo di lei perso nella sofferenza di vedere il Cie'th cadere in ginocchio davanti a lei, prima di stramazzare a terra immobile.
Sapeva cosa stava provando, lo sapevano tutti quanti. Capiva, fino a un certo punto, il timore che uno di quei mostri potesse essere una persona cara, oppure semplicemente qualcuno con qui si aveva interagito in passato.
Quante volte, durante le notti insonni, aveva pensato all'eventualità che Serah diventasse una Cie'th e spettasse a lui il compito di liberarla dalla sua sofferenza. Il pensiero lo tormentava persino ogni volta che ne affrontava uno: "E se fosse lei...?", "Se fosse lei...?", "E se fosse...".
La sua mano scattò in avanti a strattonare Fang, per liberarla dall'incubo che lui viveva troppo spesso perché potesse augurarlo ad altri, men che meno ad un'amica.
Forse un giorno avrebbero potuto abbandonarsi ai ricordi e viverli in tutta la loro asprezza e crudeltà, ma non era quello il giorno e non lo sarebbe stato nemmeno domani o dopodomani. Forse avrebbero vissuto abbastanza a lungo per arrivare al giorno in cui ciò non sarebbe più stato necessario. Oppure avrebbero vissuto talmente poco da non raggiungere mai tale bisogno.
Tutto ciò che sapeva, dopotutto, era che la disperazione rendeva gli uomini dei mostri.
Guardando Fang farne strage, disperata allo stesso modo delle sue vittime, Snow convenne che era meglio sfinirsi per aver agito, piuttosto che per aver rimpianto.

Vanille.

Si chinò sui fiori e inspirò profondamente il loro profumo familiare, affondando le dita nella terra mista a frammenti di cristallo.
Vanille sorrise: era incredibile come fossero sopravvissuti al tempo, nutrendosi solo dell'occasionale sostentamento offerto loro dalla natura. Forse quelle piante erano ancora lì proprio perché parte della natura stessa. Essa non abbandonava mai i propri figli, no...ma allora perché si sentiva improvvisamente così...orfana, estranea?
Era tornata su Pulse ed era stata accolta come una figlia, nello stesso modo crudele in cui era stata salutata alla sua nascita, fino alla sua prima dipartita.
Era tornata a Oerba e ciò che aveva trovato erano stati solo dei miseri resti, brandelli di ricordi, gli stessi che navigavano sperduti nella sua mente, cercando disperatamente di intrecciarsi per non perdersi.
Era tornata a Oerba e la dolcezza della vita vissuta lì aveva dischiuso le porte all'amara consapevolezza che tutto ciò che ricordava non sarebbe mai stato più lo stesso, senza che lei potesse irrimediabilmente far qualcosa.
Aveva fatto strada ai suoi amici in quel mondo a loro sconosciuto, a lei estraneo, dolorosamente alieno, tanto da coglierla impreparata e contaminare il suo entusiasmo, fino a renderlo forzato.
Sorrideva Vanille, ma il suo desiderio più grande era affondare il viso nelle corolle di quei fiori e inspirare quel profumo che il tempo aveva lasciato inalterato, almeno quello.
-Ti ricordi, Vanille? Le lezioni nella serra...- sospirò Fang, in piedi accanto a lei a guardare il paesaggio, in cui era così facile perdersi per ore. Anche Hope e Sazh se n'erano innamorati e lo contemplavano entusiasti, lasciando Lightning a contemplarlo sola e assorta, un'espressione indecifrabile sul viso.
Vanille sorrise nostalgica, abbassando le palpebre sulle prime lacrime che facevano capolino, scivolando infine fra le ciglia fino alle guance, dove furono prontamente asciugate dal vento.
-Mi ricordo. Ricordo tutto-.

Fang.
Vanille.

"Ti ricordi, Fang? Sembra passata un'eternità".
"Mi ricordo, Vanille. Lo sogno in continuazione".
Sostenere il peso di Cocoon era semplice, se paragonato al gravante peso dei ricordi.
Il loro compito aveva reso i loro cuori di cristallo, ma le emozioni ardevano ancora nella loro anima, localizzata chissà dove in quella colonna scintillante alla luce del sole morente.
"Vanille, quella che ricordi tu non è la prima volta in cui ci siamo incontrate".
L'interpellata rise, la sua risata si ripercosse cristallina lungo tutta la colonna, scorrendo fluida come acqua.
"Lo so bene, Fang. Ma quella fu la prima volta in cui non ebbi bisogno di difendermi. Dopotutto, tu non mi hai mai detto che sono strana".
Fang soffiò divertita, in quel verso era chiaro che stava sorridendo.
-Se vuoi rimedio subito, non vorrei offenderti-.
E la colonna di cristallo, colpita da raggi rossi come il fuoco, per un breve momento tremò  di due giovani risate.

***

-Ehi, sei ancora qui, eh?-.
Vanille sollevò lo sguardo, incrociando quello di una bambina scura di capelli, vestita trasandata. Si sentì braccata, una sensazione sgradevolissima che si sovrappose immediatamente a quella di soddisfazione che l'aveva invasa appena un attimo prima.
Poi si decise a rispondere, dal momento che l'altra la stava guardando con un'espressione interrogativa.
-Ho scritto il mio nome nella neve tutta la notte - ammise, con una punta di orgoglio - Ho imparato solo ieri e ora lo so fare alla perfezione!-.
Non ce l'aveva fatta, aveva dovuto dirlo, era troppo entusiasmante.
Vanille osservò il viso dell'altra distendersi e temette di suscitare una risata canzonatoria, a cui era peraltro abituata, ma che avrebbe rovinato tutto.
-Sì, lo so di essere strana, non è necessario che tu me lo dica- si arrese, abbassando il capo.
A quel punto, l'altra schioccò la lingua e si chinò al suo fianco, cancellando una delle scritte di Vanille. Prima ancora che potesse provarne delusione, l'altra tracciò dei segni nella neve, velocemente e con una calligrafia spigolosa.
Al termine, si voltò verso di lei e con un suo solo sguardo interrogativo Vanille capì che doveva leggere quanto scritto.
-Oerba...Yu..n...Fa...ng...- articolò, ancora in difficoltà con alcuni caratteri. La mano sicura di Fang la guidò alla scoperta delle nuove lettere e poi, ricavato altro spazio nella neve, alla replica delle stesse.
-Visto? Hai imparato a scrivere anche il mio nome - commentò infine soddisfatta Fang, rialzandosi e contemplando soddisfatta il proprio nome in mezzo ai tanti uguali della rossa - La vera stranezza è non essere disposti a imparare, di certo non esserne orgogliosi-.
Detto questo, le tese la mano e fece un cenno con il mento per invitarla a rialzarsi.
Fu in quel momento che Vanille la riconobbe, ricordandosi di quando le aveva chiesto, tempo fa, se non riconoscersi strana fosse un passo verso il diventare una certezza per se stessa.
La sua risposta non era arrivata in quell'occasione: Fang allora si era fermata, si era voltata e l'aveva fissata intensamente, prima che qualcuno chiamasse Vanille e la facesse rientrare a casa.
Tuttavia, ciò che Fang le aveva detto pochi giorni dopo, in mezzo alla neve che riportava i loro nomi, era stata il suo mantra, il pretesto per impostare il proprio carattere come le suggerivano il proprio cuore e il proprio istinto.
Quella risposta l'aveva accompagnata per tutta la vita, così come lei e Fang erano diventate inseparabili da quel giorno, indipendentemente da tutto, perfino dal loro luogo natio; e quel rapporto era l'unico pezzo di Oerba rimasto vivo, pulsante in una colonna di cristallo che il tempo non avrebbe mai scalfito.
   
 
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