Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: argosy    05/06/2009    5 recensioni
Lui la strinse ancor più vicino, e lei si dimenticò completamente della musica. Si dimenticò di tutto tranne che della magia che stava crepitando tra di loro: scintillando al tocco delle loro labbra, scaldandola come un raggio di sole. E forse lui non avrebbe suonato per lei ora, e magari nemmeno in futuro; non sapeva quello che sarebbe successo l’indomani, ma aveva quello in quel momento.
Genere: Generale, Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve! :)

Prima di tutto, un grazie enorme a chi ha letto e commentato Quirks di empathapathique! Sono contenta che vi sia piaciuta e i vostri complimenti mi hanno fatto un gran piacere (:

Poi, rieccomi qui con una nuova traduzione, stavolta di argosy, di cui avevo già tradotto, tempo fa, Breathe. Personalmente, avevo adorato quella two-shots (e se non l'avete ancora letta, che aspettate a farlo? Sarò di parte, ma credo che sia veramente una storia deliziosa ^^) e da allora mi sono sempre fiondata a leggere qualunque altro racconto di questa autrice. Quando mi sono imbattuta in Six Strings non ho potuto far altro che tradurla (ai miei tartarughici (???) tempi, ovviamente XD) e ora, eccola qui.

Spero possiate apprezzarla anche voi tanto quanto l'ho apprezzata io.

Kit_05


Titolo: Six String
Autore: argosy Link alla versione originale: Link
Rating: PG
Personaggi: La musica, conta? :P Draco, Hermione, più o meno tutti i membri dell'Ordine^^
Genere: Malinconico, Romantico, Generale
Note: Scritta dopo l'uscita del Principe Mezzosangue, ma prima dei Doni della Morte.


Quando Hermione aveva dieci anni, sua madre la portava a Londra due volte a settimana per farle prendere lezioni di piano nel piccolo studio musicale di Covent Garden. Da tempo padroneggiava con sicurezza i classici appropriati alla sua età – la “Sonata al Chiaro di Luna” o “Per Elisa” di Beethoven, le Invenzioni di Bach – e i suoi genitori avevano grandi speranze che un giorno lei avrebbe intrapreso la carriera di concertista che a loro era stata negata.

I dottori Granger amavano la musica sopra ogni cosa, e ciascuno dei due era un pianista a suo modo dotato. (Dotato per un dentista, avrebbe inevitabilmente detto suo padre agli amici che si congratulavano con lui ad una festa.) Si erano incontrati infatti non come la gran parte delle persone pensava, a qualche sorta di convention professionale sull’odontoiatria o ad essa collegata, ma ad un concerto all’Albert Hall del grande Shoshana Rudiakov. Entrambi erano più che consapevoli – non nel profondo dei loro cuori, ma lì, proprio sulla superficie – che se era vero che entrambi erano tecnicamente competenti e dall’orecchio fino, nessuno dei due aveva quella scintilla, quell’extra che li avrebbe resi davvero dei musicisti. Entrambi consideravano l’essere dentisti un nobile compromesso.

Hermione, invece, doveva diventare un’artista, una pianista da concerti nella tradizione di Dame Myra Hess. Era con questo pensiero fisso in testa che sua madre affrontava senza timore il traffico londinese ogni domenica e ogni mercoledì. E con questo stesso pensiero che aspettava nell’anticamera, leggendo l’ultimo numero del Giornale dei Dentisti Britannici, mentre per due ore Hermione si esercitava sulle scale o su un pezzo di Chopin con l’anziana maestra russa.

A Hermione piacevano quei pomeriggi (sebbene tra sé e sé credesse che sarebbe diventata una dentista quando fosse cresciuta, e avesse già iniziato a sbirciare nei libri dei suoi genitori.) Dopo le lezioni, aveva sempre la possibilità di passare un’ora o due nella stanza delle esercitazioni; era la sua unica occasione in cui usare un pianoforte a mezzacoda – a casa lo spazio era sufficiente solo per uno a muro.

Un giorno, nel tardo luglio, stanca per il caldo e Beethoven, Hermione aprì con slancio la porta della stanza delle esercitazioni e sentì qualcosa di nuovo. Era musica, naturalmente, ma diversa da qualsiasi cosa avesse sentito prima d’allora, attraverso i muri non-molto-insonorizzati dell’edificio. Sapeva che avrebbe dovuto esercitarsi, ma si lasciò invece trascinare fino alla porta socchiusa dall’altra parte della stanza.

Un giovane ragazzo riccioluto era seduto al pianoforte della piccola stanza, incurvato sopra una chitarra. Hermione aveva visto delle chitarre prima di quel giorno, non era un’infante, ma le erano sempre sembrate strumenti più piccoli e dalle forme classicheggianti, e i musicisti erano sempre seduti in maniera rigida, con il corpo della chitarra che appoggiava tra le loro gambe, il collo alto. Questo ragazzo era invece chinato sopra il suo strumento color caramello e caffè, assorbito nella propria musica, i pesanti riccioli che gli cascavano selvaggi sulla fronte. Il suono era diverso da quanto avesse mai sentito prima d’allora, allo studio o a casa – forte, pungente, e veloce.

Dovette aver fatto un rumore: lui alzò lo sguardo all’improvviso, e lei si sentì timida, e più piccola ancora della sua età. Ma lui le sorrise, musicista a musicista. “Ti piacciono gli Stones, eh? Hai buon gusto,” disse, lanciandosi in un’altra canzone.

Fu solo dopo diverse ore di negoziati che i genitori di Hermione le accordarono il permesso di imparare a suonare la chitarra. L’anno successivo, dissero, forse – se riuscirai a padroneggiare Debussy e Liszt, e comunque solo la chitarra classica. Fu un accordo dato contro il loro istinto, ma il padre di Hermione non sapeva resistere ai grandi occhi color cioccolato della figlia.

Ma poi, naturalmente, la lettera di Hogwarts arrivò.


La Prima Stringa – E

La dimora a Grimmauld Place era vecchia, piena di spifferi, e odorava di broccoli irrimediabilmente bruciati. E soprattutto, l’aria era viziata – per la troppa gente – e tesa, motivo per cui Hermione approfittava di ogni opportunità che aveva per scappare da lì, almeno per un poco.

Remus non aveva espressamente proibito loro di lasciare l’abitazione, non l’aveva detto a parole, almeno, mettendoli solo in guardia sull’andare a Diagon Alley o a Hogsmeade. Era un invito implicito per lei, Harry e Ron a rimanere all’interno della casa - Hermione ne era consapevole - o per lo meno a non allontanarsi troppo, in modo da rimanere fuori dal raggio di azione di chi avesse potuto far loro del male, ma non l’aveva esplicitamente detto. E a volte Hermione aveva bisogno di andare via.

La fine si stava avvicinando, ormai – l’aria stessa sapeva di fine. L’atmosfera a Grimmauld Place era densa e stucchevole; muoversi tra i corridoi era come avanzare nel miele. Cinque Horcrux erano stati distrutti; ne mancava solo ancora uno da trovare e eliminare prima che Harry potesse affrontare Voldermort, e allora sarebbe finita, in un modo o nell’altro.

Era metà settembre. L’aria si stava finalmente raffreddando, e Hermione sarebbe dovuta tornare a scuola, ma non ci sarebbe stata nessuna Hogwarts per lei, quell’anno. Solo Grimmauld Place, numero 12, e tutti i membri dell’Ordine della Fenice lì attorno. Molti vivevano lì; altri passavano tutte le ore possibili a pianificare, prepararsi. Quella era la casa di Harry, ora, e offriva loro molta più protezione di quanto non potesse offrire qualsiasi altro edificio a Londra. Sicuramente era più sicura per Hermione che non la casa dei suoi genitori, e, ancor più importante, era di gran lunga più sicuro per loro che Hermione non vivesse più là.

Quindi non si lamentava di dover condivedere la piccola stanza con Tonks, e più tardi anche con Ginny (che aveva insistito per unirsi alla lotta, nonostante le implorazioni di Molly e Arthur di ritornare a scuola). Hermione aveva un buon talento per la strategia – e aveva sviluppato un incantesimo che aveva permesso loro di distruggere Nagini, il serpente Horcrux. Remus e la McGranitt, ora i capi de facto dell’Ordine, erano soddisfatti di lei, ma c’erano delle volte in cui semplicemente Hermione non riusciva a rimanere più a lungo in quella dimora, in cui aveva bisogno di essere da qualche parte – da qualunque parte – lontano da lì.

E quella era una delle occasioni in cui cedeva alla voglia di andarsene, di salire su un autobus o scendere alla metropolitana, e ritrovarsi in un qualche punto della Londra Babbana. Era un rischio calcolato; lei era in grado di confondersi nella folla londinese come pochi altri membri dell’Ordine sarebbero stati in grado di fare, ed era improbabile che qualche Mangiamorte la cercasse proprio lì. Certo, non era comunque completamente sicuro, e Hermione stava attenta a non farsi vedere da nessuno quando quietamente usciva, o sempre quietamente tornava.

Aveva sentito quel bisogno di fuga iniziare a formarsi quella mattina, quando Draco Malfoy si era fatto inaspettatamente vivo con la McGranitt, stanco e tirato, così diverso dall’arrogante Serpeverde che aveva conosciuto a Hogwarts. Era la prima volta che lo rivedeva da quanto era sparito con Piton.

“Severus è morto.” La McGranitt aveva parlato con semplicità, e Hermione aveva sentito qualcosa torcersi nelle sue viscere, e un bisogno improvviso di sedersi.

Guardandosi intorno aveva visto lo shock sui volti dei membri dell’Ordine, e… anche qualcos’altro. Tristezza, persino angoscia, in alcuni casi. Da mesi sapevano che Silente stesso era stato il pianificatore della propria morte, che Piton aveva giocato nolente il proprio ruolo, costretto solo dalla necessità. Hermione, in fondo al cuore, si era aspettata una notizia del genere, ma riceverla non era per questo meno scioccante.

Ma perché Draco era arrivato? Aprì la bocca per chiederlo, ma si zittì quando incrociò il suo sguardo.

“Il professor Piton voleva che venissi qui se qualcosa gli fosse successo.” La sua voce era pacata, e la stava guardando dritto negli occhi. “Mio padre l’ha ucciso.” Il tono era divenuto duro. “Ma non prima che lui uccidesse mio padre.” Un sorriso di bieca soddisfazione aleggiò per qualche istante sulle sue labbra.

Hermione aveva sentito improvvisamente freddo. Usò il disagio che le sue parole avevano creato per lasciare indisturbata la casa. Ed ora stava vagando per le strade di Londra, a vedere la gente, sentire gli odori degli scarichi della macchine non magiche, a cercare di non pensare al tormento negli occhi di Draco.

Era rimasta immobile con lo sguardo fisso davanti a sé per almeno cinque minuti prima di scrollarsi di dosso il torpore, prima di rendersi conto di dove fosse. Era una delle sue strade preferite a Londra, piena di negozi di cianfrusaglie, senza alcuna pretesa di sembrare antiquari dallo sfarzoso fascino, e negozi per il the, dove si poteva prendere un Earl Grey servito in una tazza di porcellana scheggiata per meno di una sterlina. Fu solo quando qualcuno la spintonò nel passarle accanto che si accorse di essersi fermata nel mezzo del marciapiede, all’esterno di un piccolo monte di pietà.

E lì in vetrina la vide: una chitarra. La chitarra (fu travolta dai ricordi); quella che era rimasta scolpita nella sua mente fin da bambina. Hermione non aveva saputo praticamente nulla sulle chitarre, ma il giorno dopo aver visto suonare quel giovane ragazzo, era andata in biblioteca per trovare un libro che fosse fonte di informazioni. Non c’era voluto molto perché ritrovasse quel modello (aveva iniziato a pensare a quel modello come alla sua chitarra), ed eccola lì, inclinata contro la vetrina di un monte di pietà: una C. F. Martin & Company Style 16, chitarra acustica flat top direttamente dalla metà degli anni sessanta. Aveva persino le stesse sfumature simil bruciato dovute all’uso che aveva avuto quell’altro strumento – il corpo di un lucido marrone scuro agli estremi che scemavano in un’abbronzatura dorata nel centro.

Passò solo un istante tra il momento in cui si chiese se, per qualche strana casualità, quello fosse lo stesso strumento – Magia? Coincidenza? – e quello in cui si ritrovò all’interno del negozio con in mano dei soldi Evocati da un conto di risparmio che i suoi genitori aveva iniziato a suo nome sin dal suo primo compleanno. Era di nuovo a camminare sulla strada, velocemente stavolta, con abbracciata al petto la chitarra come se fosse un bambino perduto, prima di rendersi conto di cosa fosse successo. Almeno il prezzo era stato buono.

Era stata lontana dalla musica così a lungo che pensava di aver perso quell’ossessiva urgenza, che era stata sicura di non averne più bisogno. Ma tenendo stretta la chitarra poteva avvertire una magia unica irradiarsi da quell’oggetto inquestionabilmente Babbano. Era stata una sciocca a pensare di poter vivere senza la musica, solo perché era una strega. Maghi e streghe apprezzavano la musica – Hermione l’aveva scoperto da molto tempo – ma non erano ad essa legati con la stessa viscerale connessione che provavano i Babbani. Supponeva fosse perché era qualcosa di troppo semplice per loro. Sarebbe stato difficile appassionarsi per un’arte dove chiunque avrebbe potuto vantare la virtuosità di un Paganini con un semplice colpo di bacchetta.

Così si era messa a studiare fatture e incanti, e aveva soppresso quella parte di se stessa. Non era stato difficile; non si era ritrovata in un mondo completamente privo di musica, dopotutto, e non aveva avuto comunque molto tempo libero per suonare, e non avrebbe di certo potuto continuare a prendere lezioni alla vigilia di una guerra. (Aveva resistito all’idea di suonare grazie alla magia; le sembrava sbagliato.)

Quando tornò a Grimmauld Place, riuscendo a rientrare dal retro, non vista, sentì una voce provenire dal salotto alzarsi piena d’ira. “Combatterò,” stava dicendo, “quando vorrete che lo faccia e dove vorrete, ma questo è tutto. Ho risposto a tutte le vostre domande, ora mi aspetto di essere lasciato da solo.”

“Draco -” Quello era Remus, la voce roca e frustrata.

La porta del salotto si spalancò. Hermione si ritrovò improvvisamente faccia a faccia con Malfoy, con i suoi occhi così lampeggianti di rabbia e dolore che si sentì mancare il fiato. Lui si bloccò di colpo, poi il suo sguardo scivolò verso il basso. Oh. Si era quasi dimenticata della chitarra che stava tenendo con fare protettivo contro il petto. Una veloce espressione gli passò sul volto – confusione o curiosità, Hermione non avrebbe saputo dirlo – prima che il suo sguardo tornasse ad essere attentamente annoiato e vuoto. Non disse una parola, le passò accanto, urtandole dolorosamente una spalla, e marciò senza tentennamenti verso i piani superiori. Lo stava ancora fissando, quando sentì una voce chiamare il suo nome.

“Hermione?” Il ghigno lupesco di Fred illuminò tutta la distanza che lo separava dalla ragazza. “E’ una chitarra?”

Avrebbe potuto giurare che entrambi i gemelli non vedevano l’ora di provarla. Non sapevano suonare più di lei, naturalmente, ma un veloce incantesimo poteva sistemare la questione. C’erano importanti affari dell’Ordine di cui prendersi cura prima, però, e poi la cena (un compito gravoso e lungo con così tante bocche da sfamare, anche usando la magia), e Hermione si addormentò quella notte con il proprio strumento ancora muto e per lo più ignorato dagli altri; solo Ron e Harry le avevano rivolto delle occhiate curiose, mentre gli occhi di Arthur si erano accesi bizzarramente alla vista di un nuovo artefatto Babbano.

Stava sognando (il pianoforte, e la piovra gigante di Hogwarts) quando Voldemort attaccò.

O – forse non Voldemort, ma… un confuso clamore di suoni stridenti, e luci, e voci in preda al panico. Sbatté le palpebre, cercando di svegliarsi. Tonks e Ginny stavano già scomparendo nel corridoio, e lei le seguì velocemente, il sangue che rimbombava con forza, e la mente incoerente e leggera. Si scrollò, cercando invano di scacciar via le ragnatele del sonno. Il rumore era sempre più forte, ed era… Ed era…

“Fred e George!” Ogni traccia di sonno svanì da Hermione, e la ragazza si ritrovò una volta ancora a sperare ardentemente di non dover mai essere lei quella all’altro capo di una sfuriata di Molly.

Non era che fosse uno scarso suonar di chitarra, quello che c’era in atto. Non poteva esserlo; era magia. (I membri dell’Ordine sbatterono le palpebre, come gufi assonnati nei loro pigiami, solo Remus era riuscito a mettersi addosso una vestaglia). Solo, era un insieme di suoni spacca timpani e rauchi, intramezzati da staccati e aspri riverberi. In un qualunque altro momento diverso dalle (guardò di sfuggita l’orologio) tre di mattina, Hermione avrebbe potuto anche apprezzarlo.

La porta della camera dei gemelli si socchiuse. George, di soppiatto, sbirciò fuori. Dietro di lui, Hermione poteva vedere Fred saltare sul letto, a suonare la sua Martin come fosse stata una Fender elettrica, e atteggiandosi da rock star americana. Sperò che non volesse farsi carico di concludere lo spettacolo sbattendo al suolo o bruciando il suo strumento.

“George! Smettila subito!” Come Molly riuscisse ad elevare il proprio tono di voce sopra quella musica assordante era un mistero che forse era meglio lasciare insoluto.

“Io sono George,” disse il gemello alla porta, con espressione leggermente colpevole. “Quello è Fred.”

Fred stava continuando a suonare, ignaro del resto. Sua madre si spinse dentro la stanza. “Fred!”

La musica si fermò. Hermione poté vedere il sangue defluire dal volto di Fred. “Scusa, Ma’.” Scese dal letto. “Non riuscivamo a dormire.”

Tentò di sorridere, ma era un sorriso privo del suo usuale fascino, e non servì a nulla per far scemare l’ira sul volto di Molly. “Scusa, Hermione.” Le passò la chitarra. “Grazie.”

“Non pensavamo potesse essere così rumorosa,” stava dicendo a sua madre, mentre gli altri tornavano ai propri letti.

Nel salire verso la propria camera, Hermione credette di vedere una porta aprirsi in fondo al corridoio. Colse un barlume di occhi grigi e capelli biondi, prima che lentamente si richiudesse.


La Seconda Stringa – B

La Martin era sparita.

L’assenza di musica spacca orecchie rendeva dubbia la possibilità che avesse trovato nuovamente la strada per la stanza dei gemelli, così Hermione vagò per il resto della casa, attenta a percepire qualsiasi improvviso arpeggio o qualche scala pentatonica.

Fu solo quando si diresse in giardino che la sentì. Un suono chiaro e ritmato, dalle vibrazioni profonde e un piacevolissimo swing, un blues. Si rese conto ancor prima di voltare l’angolo (oltre la fila di alberi dai frutti dai colori pericolosamente brillanti, che sembravano mele ma che non lo erano, nessun dubbio al riguardo) chi la stesse suonando.

“Hermione.” Remus alzò lo sguardo, ma non smise di suonare, mentre lei si sedeva accanto a lui sulla panchina di pietra. Lei guardò le sue dita volare avanti e indietro sulle corde, complicate fughe piene di colori che la lasciavano senza fiato per la loro semplicità. Si poteva contare su Remus per rendere triste un ritmo spavaldo. No, non triste, ma consapevole – ricolmo di speranza e allo stesso tempo vuoto di essa. Parlava di una profonda solitudine che era parte così intrecciata a Remus stesso che Hermione si chiese come avesse fatto a non vederla fino a quel momento.

Si sentì a disagio, come se gli avesse carpito accidentalmente un segreto. Si chiese se avesse potuto sgattaiolare via, facendo finta di non aver visto nulla, quando lui smise di suonare.

“Mio nonno era un musicista.” Il sorriso veloce che gli si formò in volto era punteggiato di tristezza. Come aveva potuto non notarlo prima?

Remus sembrava aspettarsi che lei dicesse qualcosa. “Oh?”

Lui annuì e iniziò a pizzicare dolcemente le corde. “Violino. Era un Babbano.”

Chiuse gli occhi, strimpellando e sembrando perdersi in quei suoni spensierati. Hermione fu sul punto di andarsene, quando lui parlò di nuovo.

“Consideravo Severus un amico.”

Non era quello che si aspettava dicesse. Cercò di trovare una risposta appropriata – una qualunque risposta – ma la sua mente era imbarazzatamente vuota.

Remus sorrise di nuovo, gli occhi ancora chiusi. “Non credo che lui mi considerasse tale e, Merlino sa, forse aveva anche buone ragioni per non farlo, ma… c’era molto da ammirare in Severus.”

Di nuovo, Hermione non trovò altro da dire – perché me lo stai dicendo?, l’unica risposta che le sovvenne le sembrava quasi incivile accostata al sottofondo fornito dalla chitarra inclinata.

Remus aprì gli occhi. “Hermione, io -”

Le parole sembrarono tradire pure lui, mentre le riconsegnava la chitarra. Hermione la tenne stretta; respirando l’odore leggermente muschiato del legno vecchio e sentendosi più ancorata alla realtà, riuscì a sorridere a Remus in maniera che sperò essere incoraggiante.

“Volevo solo dire… quel momento sta arrivando e – E farò tutto quello che è in mio potere per far sì che tu possa non sapere mai cosa voglia dire perdere i propri amici.”

Non c’era nulla che potesse dire. Forse non avrebbe parlato mai più con Remus. Così si limitò ad annuire, gli occhi lucidi, e si aggrappò con maggior forza ancora alla sua chitarra.


La Terza Stringa – G

Aveva perso la riunione di pianificazione.

E l’aveva saputo, aveva saputo che si sarebbero incontrati, saputo che avrebbero deciso in quell’occasione la strategia migliore per andare a distruggere l’ultimo Horcrux – un ritratto a Malfoy Manor, avevano scoperto. (Ora Quartier Generale dei Mangiamorte, nonostante Lucius non ci fosse più.) Ma si era sentita in trappola, inquieta e nervosa, e aveva preso la metropolitana fino a Piccadilly Circus e si era persa tra la folla di turisti – gente che non sapeva nulla di battaglie alle porte, gente che poteva andare a letto la notte ed essere ragionevolmente sicura che il proprio mondo sarebbe stato ancora come lo conoscevano al risveglio, il proprio mondo e le persone che amavano. Aveva avuto l’intenzione di tornare indietro in tempo, ma poi… non l’aveva fatto.

E la cosa peggiore fu quando barcollò nuovamente a Grimmauld Place (dall’ingresso principale, vista da tutti) e nessuno la guardò con rabbia per aver saltato una riunione dall’importanza vitale, tutto quello che vide fu solo la compassione sui loro volti. La McGranitt – la McGranitt! – le sorrise persino, tristemente, mentre Harry e Ron la prendevano per i gomiti e la trascinavano di sopra, mormorando di come l’avrebbero aggiornata sulle decisioni.

Non si rese conto di star tremando finché non si ritrovò seduta sul letto di Ron. I due amici la osservarono con occhi preoccupati.

“Sto bene,” disse, l’irritazione che cresceva di nuovo in lei all’essere sottoposta a quegli sguardi dubbiosi. “Sono pronta.”

Si zittì, aspettando di sentire quale fosse il piano, di scoprire quale sarebbe stato il suo ruolo, ma i due rimasero in silenzio. Avrebbe voluto urlare; se credevano che non l’avrebbe fatto, si sbagliavano di grosso. Aprì la bocca per dire – qualcosa, poi il suo sguardo si posò sulla sua chitarra, abbandonata in un angolo.

Ron sorrise con ritrosia. “Scusa, Hermione. Non sarei dovuto entrare nella tua stanza.”

No. Non avrebbe dovuto. Si stavano prendendo tutti un po’ troppe libertà con le sue cose, ultimamente, e lei era pronta a dirglielo. “L’hai suonata?” chiese, invece, sorprendendo anche se stessa.

Ron scosse il capo. Lei lo guardò con impazienza, e il volto di lui si aprì in un sorriso sollevato. “Davvero? Non ti scoccia?”

“Ti prego, Ron. Non ti maledirò nel sonno. Vai.”

La luce del tardo pomeriggio era brillante, e si rifletteva sugli occhiali di Harry e sui capelli rossi di Ron, e Hermione dovette sbattere la palpebre per un bagliore inaspettato. Lasciò chiusi per un momento gli occhi, aspettando qualcosa che non avrebbe saputo quantificare, e quando li aprì di nuovo, la stanza le parve diversa – tutta lentiggini e occhi verdi, e capelli scuri e rossi. Le parve quasi di sentire un click, quando tutto riprese il proprio posto. Le sembrò che tutto fosse di nuovo giusto, naturale in una maniera che le mancava da tempo, nell’essere lì con i suoi ragazzi.

Ron continuò a rimanere fermo, così Harry prese la chitarra e gliela porse. “Vai, allora. Mostraci quello che sai fare.”

Ron rimase dubbioso, ma prese la chitarra e afferrò la propria bacchetta dal comodino. “Cantus.”

Fu rumoroso, naturalmente, e pieno di retroazioni continue e distorsioni, e come poteva la magia rendere quella sua piccola chitarra acustica simile a un pedale wah? Fu veloce e eccitate, e pieno di una gioia che non pensava potesse esistere ancora a Grimmauld Place. Ron chiuse gli occhi mentre le sue dita volavano, e la chitarra vagì in un modo che lei avrebbe associato alla magia in qualunque posto si fosse mai trovata. Sentì un sorriso tirarle le labbra, e alzò lo sguardo per vedere sorridere anche Harry. Si rese improvvisamente conto che non si ricordava quando fosse stata l’ultima volta in cui l’avesse visto felice.

La sua espressione dovette essere cambiata, perché Harry allungò una mano verso di lei. La stretta della sua mano rimise tutto a posto, almeno per quel momento, e lui la strinse vicina, cingendole le spalle con un braccio. Sederono insieme, ascoltando le note piegarsi e inseguirsi le une con le altre, così velocemente da creare insieme un caldo marasma, e c’era qualcosa che assomigliava alla pace in quell’esplosione di suoni.

La porta della stanza si spalancò di colpo. Hermione avvertì una folata d’aria infiltrarsi tra i capelli, e la musica cessò di botto. Malfoy era lì in piedi, arrossato, gli occhi lampeggianti. Per un momento rimasero tutti a fissarsi l’un l’altro. Hermione si fece forza per affrontare l’ira di Draco, ma quando lui parlò la sua voce fu pacata.

Guardò Hermione. “Per piacere, fa' sì che le tue scimmie smettano di fare questo fracasso.” Il tono di voce era distante ed educato, a dispetto delle parole. Era la prima volta che le parlava da quando era arrivato, e Hermione non riuscì a trovare dentro di sé una scintilla che potesse alimentare la sua rabbia, nonostante avvertì Ron agitarsi di fianco a sé.

“Ti va di provarla?” Prese la chitarra da Ron, si alzò e gliela porse.

Poteva vedere la sorpresa sul suo volto. Le sue pupille si dilatarono in maniera appena percettibile, e poté anche vedere la sua ricerca di una risposta adeguatamente tagliente.

Hermione sorrise, tentando di apparire calorosa e rassicurante. All’improvviso desiderava davvero che lui rimanesse. Avrebbe voluto poter sentire quale musica avesse estratto dalla chitarra, ed era stanca di quella stupida frattura che c’era tra loro. Come poteva esserci così tanta solitudine in una casa dove vivevano praticamente gli uni in testa agli altri? Non era giusto, ed era estenuante.

Draco batté le palpebre, poi le rivolse un’occhiata di puro disprezzo (sebbene a Hermione parve che dovette impegnarsi più del solito per ottenerla), e voltò i tacchi senza proferire altra parola. Lei lo guardò andarsene. Dietro di lei, Ron iniziò nuovamente a suonare.


La Quarta Stringa – D

Le note salivano dal piano inferiore: tristi, formali, ordinate.

Dopo cena, la Professoressa McGranitt aveva sorpreso Hermione, chiedendole di poter provare la chitarra. Lei aveva acconsentito, felice, ed era persino rimasta un poco per ascoltare quell’improvvisato concerto, che aveva attratto anche molti altri nel salotto. La musica era melanconica – veloci note barocche in scala minore. A Hermione ricordò con forza la sua infanzia (ore e ore di Bach e Handel sul suo vecchio Steinway), al punto che le dita si intorpidirono per il ricordo del dolore, e avvertì una nostalgia così intensa – per la sua casa, per sua madre – che dovette lasciare la stanza.

Era scuro fuori. Se avesse lasciato la casa in quel momento, l’avrebbero perdonata – prima o poi – ma sarebbero stati tutti delusi da lei. E dove sarebbe potuta comunque andare? L’unico posto dove avrebbe voluto essere era la casa dei suoi genitori a Hampstead, per tenerli al sicuro. Ma era colpa sua se erano in pericolo; e la sua presenza avrebbe reso le cose solamente peggiori.

Così rimase seduta sul pianerottolo fuori dalla propria stanza, ad ascoltare quei deliziosi suoni che si diffondevano nell’aria, cercando di ignorare il contorcersi delle proprie viscere. La musica era splendida – comunicava sì solitudine, ma con una base forte di note basse. Lasciò che si riversasse su di lei con il suo crescendo, e che portasse via un po’ del suo dolore con ogni risacca. Appoggiò la testa contro il muro, e cercò di respirare profondamente. Da bambina aveva sempre cercato di trattenere dentro di sé ogni nota, in maniera quasi possessiva, ma ora – mentre chiudeva gli occhi – lasciò passivamente che le note la attraversassero con il loro ritmo.

Una porta si aprì, e lei avvertì qualcuno in piedi, dietro di lei. Quindi anche Draco era attratto dalla musica. Tenne gli occhi chiusi, non volendo rischiare di disturbare quella fragile pace che potevano costruire sui tintinnii delle chiare note in chiave minore. Per lungo tempo non ci fu alcun movimento, poi lui si sedette vicino a lei, in silenzio. Era abbastanza vicino da permettere a Hermione di respirare il suo profumo, fumo misto a dolcezza, come un cedro che stesse bruciando.

Si sentì inspiegabilmente alleviata dalla sua presenza, e qualcosa nel suo petto di strinse così improvvisamente che quasi le fece aprire gli occhi. Non si mosse, però, non volendo perdere il suo calore, e sperò che anche lui potesse ricevere qualche conforto dalla sua presenza. Si ricordò che anche lui aveva voluto proteggere la propria famiglia.


La Quinta Stringa – A

Dopo quell’episodio, osservò Draco ogni volta che ne ebbe la possibilità, ovvero non spesso. Lui passava la maggior parte del suo tempo da solo nella sua stanza, l’unica camera privata a Grimmauld Place. (Privilegi per i Mangiamorte, aveva borbottato stizzito Ron, digrignando i denti.) Non mangiava mai con loro, ma scendeva di tanto in tanto a depredare la cucina dopo che i pasti degli altri erano conclusi, e Hermione rimase spesso più a lungo del necessario dopo cena, offrendosi come volontaria per riordinare la stanza. Se c’era qualcun altro con lei quando Draco arrivava, allora lui si voltava e se ne andava senza dire una parola. Ma se lei era sola, allora rimaneva per un paio di minuti, raccattando quello che poteva dai resti della cena. Hermione si fece carico di lasciargli qualcosa da parte, ogni sera.

A volte, nel tardo pomeriggio, quando quasi nessuno era in giro, camminava per il giardino. Hermione capiva il bisogno di andar via, di cercare la solitudine, così non gli parlò mai quando lo incrociava nel proprio vagare. Il giardino era grande, rigoglioso di decadenti piante velenose e esperimenti botanici falliti. C’era spazio a sufficienza perché due persone trovassero lì la propria privacy, nessun motivo per cui lei e Draco dovessero lì incontrarsi. Eppure, i loro percorsi si intrecciavano quasi ogni pomeriggio.

Oggi sarà il giorno, questo pensava Hermione ogni volta che lo incrociava. Oggi mi chiamerà Sanguesporco, o lancerà una fattura ai miei capelli, o mi guarderà come se fossi al di sotto di un vermicolo. Si faceva punto di rallentare il passo ogni volta che gli passava accanto, per mostrargli che non aveva paura, per rimanere più vicina a lui il più a lungo possibile.

Ma ogni volta che lo guardava, occhi tormentati rispondevano al suo sguardo. Hermione quasi sperava di potervi scorgere di nuovo il vecchio disprezzo, l’odio ingiustificato. Le faceva male, in un posto profondo dentro di lei che non voleva esaminare troppo da vicino, vedere la linea incurvata delle sue spalle, l’incavo delle sue guance. Stava piangendo suo padre, si chiedeva Hermione, o Piton? O entrambi?

Avrebbe dovuto smettere di fare quello che stava facendo con Draco, qualunque cosa fosse quel gioco pericoloso a cui stavano giocando. Ma ogni volta che gli ronzava vicino, pensava di vederlo ergersi un po’ più dritto, immaginava di scorgere occhi un po’ più in pace. Iniziò a bramare la silenziosa folata di tranquillità che avvertiva quando gli passava accanto sulle scale, vicina al punto da poter sentire il calore del suo corpo, vicina abbastanza perché le loro mani potessero sfiorarsi. E anche lui la stava cercando. Quando lei si guardava intorno per vederlo (nei corridoi, nelle retrovie delle loro riunioni), lo trovava con lo sguardo fisso su di lei. Lui distoglieva sempre gli occhi quando veniva scoperto, ma non riusciva a nascondere la fugace espressione di sollievo che gli attraversava il volto. Almeno lei era tra amici. Come doveva sentirsi lui?

Hermione decise di porre fine alle sue scappatelle per Londra. Nessuno le aveva detto nulla, ma Harry era parso così… preoccupato l’ultima volta che lei era tornata, che Hermione non poté perdonarsi di essere causa ancora di quella preoccupazione. Così, se riuscì invece a trovare una qualche misura di pace nella quasi-compagnia di una vecchia nemesi, si rifiutò di questionarne troppo dettagliatamente i motivi.

Forse era la musica ciò che avevano in comune. Neanche Draco aveva mai toccato la chitarra, ma se qualcuno si metteva a suonarla, allora di solito lui era nelle vicinanze, ad ascoltare. Non si avvicinava mai abbastanza perché qualcuno potesse parlargli. Hermione iniziò a rimanere ai margini del pubblico che si raccoglieva in quelle occasioni, tentando di fargli compagnia, a modo suo.

Quella sera fu Arthur Weasley ad avere l’onore di provare lo strumento. Era stato consumato dalla curiosità fin dal primo istante in cui la chitarra era entrata in casa – Hermione l’aveva sempre visto incombere, gli occhi che brillavano, quando qualcuno suonava, ma non l’aveva ancora testata di persona.

Non aveva programmato di suonare nemmeno quella sera. Dopo cena, Fred le aveva chiesto il permesso di prendere lo strumento, cosa strana già di per sé, e Hermione gli aveva dato la Martin. Si era sistemato nel salotto, e suo padre gli aveva girato attorno con quei suoi occhi affamati di domande – Cosa si sente? Da dove esce la musica? Come fa a sapere quale musica suonare? – che Molly aveva infine tolto dalle mani la chitarra a Fred per porgerla a Arthur con un sussurro, “Oh, per amor di Merlino.”

Arthur aveva fissato stordito lo strumento per un momento, prima di accettarlo. “Beh,” aveva detto, sistemandosela su una coscia e facendo scorrere una mano sul corpo, “se credi davvero…”

“Oh, vai, Papà.” Fred pronunciò l’incanto, muovendo la propria bacchetta sopra la cassa. “Strimpella. Suonerà la musica che hai dentro di te.”

Gli occhi di Arthur si spalancarono. Sembrò essere ancora più scoraggiato, ma posizionò giocosamente una mano sul plettro, l’altra sul corpo e inspirò profondamente. Tutti i membri dell’Ordine presenti che si erano radunati sembravano, almeno agli occhi di Hermione, essersi inchinati in avanti, come in attesa.

Un flamenco innaturalmente veloce vibrò dalla chitarra. Hermione dovette trattenere le risate al vedere l’espressione scioccata sul viso di Arthur. La sua mano sinistra si muoveva frenetica sopra le corde, pizzicandole forte e rapido. A quanto pareva dentro Arthur c’era uno spirito di appassionato ballerino e di caldi e secchi deserti andalusi. Beh, perché no?, pensò Hermione, mentre l’espressione sul volto del patriarca dei Weasley si trasformava da sorpresa a gioia. Nessuno di noi è solo quello che sembra.

Si mosse silenziosamente fino a raggiungere il fondo della stanza, avvicinandosi a Draco, mimetizzato contro la parete vicino alla porta. Lui non disse una parola, ma lei lo sentì rilassarsi, e fu felice di poter fare qualcosa di buono per qualcuno. Il braccio di lui era ad un respiro di distanza da lei, se si fosse mossa un poco, si sarebbero toccati, uniti insieme dalla spalla all’anca.

Il flamenco finì con un abbellimento. Prima che qualcun altro potesse sottrargli la chitarra, Arthur iniziò a strimpellare di nuovo: una canzone da cowboy americano echeggiante bestiame e selle. Questa volta Hermione scoppiò a ridere, e credette di vedere Draco sorridere di fianco a lei, ma prima che potesse controllare, lui se ne andò, scivolando fuori dalla stanza e toccandole velocemente una mano, quasi una carezza.


La Sesta Stringa – E

Era fissato per l’indomani, appena prima dell’alba.

Era ancora solo pomeriggio. Aveva tutto il resto del giorno e tutta la notte per – cosa? Preoccuparsi? Stringersi stretti gli altri? Dire addio?

No. Fin dal principio sapeva che sarebbe successo; non si sarebbe coperta di ridicolo, ora. Almeno non più di ridicolo di quanto non si fosse coperta già in quelle ultime settimane, a piangersi addosso, a impazzire.

Era un buon piano. Aveva senso. L’attacco a Malfoy Manor per l’ultimo Horcrux sarebbe coinciso anche con la missione per distruggere Voldemort. Era semplicemente logico stanarlo prima che avesse la possibilità di dividere ulteriormente la propria anima in altri pezzi ancora.

Avrebbero avuto tutti un ruolo da svolgere. Remus, Tonks e Ron avrebbero condotto alcune squadre in attacchi per distrarre l’attenzione su altri obiettivi. Lei e le McGranitt sarebbero state le responsabili dell’Incantesimo Incatenante che avrebbe impedito a Voldemort di fuggire dal maniero una volta che l’attacco fosse iniziato.

Harry. Deglutì, costringendosi a respirare ritmicamente. Naturalmente, Harry sarebbe stato al centro della tempesta. L’intero piano era stato disegnato affinché potesse fronteggiarsi con Voldemort. Aveva dovuto mordersi la lingua per impedirsi di chiedere che le fosse consentito accompagnarlo. Sarebbe stata più utile per lui da un’altra parte.

E Draco. Draco avrebbe accompagnato Harry. Conosceva Malfoy Manor meglio di chiunque altro, dopotutto. Ma d’altra parte, si sarebbe gettato nel peggio della mischia comunque. Lei aveva visto quel bagliore nei suoi occhi, e l’aveva sentito come un pugno nello stomaco. Sapeva che lui sentiva di aver qualcosa da provare; e non gli interessava molto se fosse tornato vivo o meno.

Hermione era sempre stata una persona pratica, e poteva vedere il perché e l’appropriatezza di quello schema di azioni. Quindi cosa c’era che non andava in lei? Perché sembrava non riuscire a mettere da parte la sua paura, come aveva sempre fatto, e riprendere il controllo di se stessa? Voleva che finisse tutto. (Voleva che non fosse mai iniziato.) Voleva nascondere la propria famiglia e i propri amici. (Stava scoppiando d’orgoglio per Harry, per Ron, anche per Draco, sbalordita dal loro coraggio, dal loro senso del dovere.) Desiderava poter essere impavida come i suoi amici. (Desiderava che loro fossero dei codardi, così qualcun altro sarebbe andato a combattere.) Voleva fuggire. (Avrebbe combattuto Voldemort da sola per tenere al sicuro gli altri.) Era tutto così ridicolo. Perché allora si sentiva dilaniata da schegge di vetro?

Sedette sul proprio letto, con la chitarra in braccio, ad ascoltare le vibrazioni delle corde d’acciaio all’essere percorse dalle sue dita. Erano corde rigide contro i suoi polpastrelli; se le avesse premute con più forza, avrebbero tracciato delle scanalature sulla sua pelle. Le piaceva avvertire quella rigidità sotto le mani, lo spigolo duro del legno che affondava nelle sue cosce la faceva sentire ancorata alla realtà.

Sentì la porta aprirsi, e Harry entrò. Aveva creduto che lui fosse da basso, a parlottare con Remus, o a giurare eterno amore a Ginny. Aveva di nuovo quell’espressione preoccupata in volto, e lei, davvero, apprezzava il sentimento, ma lui avrebbe dovuto preoccuparsi di cose ben più importanti in quel momento.

Mordendosi la lingua per evitare di dar voce alle parole dure che le erano venute in mente, gli sorrise, cercando di rendere il più aperta possibile la propria espressione. Lui si sedette sul letto accanto a lei, e Hermione si sentì invadere da un’ondata di affetto così forte che dovette impedirsi con tutte le proprie forze di non gettargli le braccia al collo e cingerlo così stretto da non farlo respirare. Ma se l’avesse abbracciato in quel momento, non avrebbe più saputo come lasciarlo andare, e non voleva che lui si portasse addosso anche il peso della sua paura. Aveva già fardelli a sufficienza.

Così, invece, gli porse la chitarra.

Lui la guardò per un momento, confuso, poi se la mise in grembo. Mormorò l’incanto, diede un colpo di bacchetta, poi rimase immobile per un istante. Infine, sollevò la mano destra e sfiorò le corde.

La musica fu pensierosa; pacata e lenta, cantava un desiderio di serenità che le fece stringere il cuore. Si era aspettata uno strapazzare di corde, un eccitato staccato, ma la musica di Harry era intrisa di pace. Le sue tonalità cristalline parlavano di… no, non inevitabilità, ma di accettazione. Era passato davvero così poco tempo da quando Harry s’era dimostrato così arrabbiato – contro i suoi amici, contro il mondo, contro il destino?

La sua musica fu, in quell’istante, quella di un uomo che era venuto a patti con il proprio ruolo. Che era determinato, sì, ma non impaziente. Che sapeva che sarebbe potuto morire, ma che sarebbe andato avanti comunque, con la calma di chi sa che c’è qualcosa da fare, e che solo lui può farla.

Quando la canzone finì, Hermione lo cinse stretto a sé, e lo tenne vicino per lunghi istanti.

La cena, quella sera, fu tranquilla. Tutti si guardavano gli uni con gli altri con gli occhi spalancati, finché Tonks non divenne all’improvviso di un blu brillante.

“Mirtillinfuso.” Fred ghignò all’espressione oltraggiata sul viso di sua madre. “Non preoccuparti, non durerà molto.”

Tonks fece un gran singhiozzo, e ritornò quasi completamente alla normalità. Solo i suoi capelli rimasero del colore dei Non-Ti-Scordar-Di-Me. Sembrava piuttosto compiaciuta.

Dopo quell’incidente, la cucina si riempì nuovamente di chiacchiere, e forse anche di qualche risata in più rispetto al solito. Nessuno parlò di quello che stava per arrivare, sebbene Hermione avesse notato come fossero tutti più vicini gli uni agli altri, e di come nessuno si fosse lamentato delle troppe persone intorno al tavolo, al contrario di quanto qualcuno (per lo più Ginny) di solito faceva.

Non tutti avevano trovato posto a tavola, e diverse persone stavano mangiando in piedi, appoggiate contro le pareti, o anche sedute sul pavimento. Draco scese a cena per la prima volta da quando era arrivato, quella sera, rannicchiato in un angolo, riusciva a rimanere solo anche in quella folla rumorosa. Hermione tentò di sorridergli, ma non riuscì a capire se lui l’avesse vista in mezzo alla massa che li separava. Non le sorrise in risposta, e lasciò la stanza prima che la cena fosse finita, prima che lei potesse avere una possibilità di parlargli.

Dopo cena, l’Ordine si frantumò in piccoli gruppi (i Weasley, Harry e Ginny, Remus e Tonks) o si ritirò nelle proprie stanze, anche se Hermione non avrebbe saputo dire come fosse possibile che qualcuno di loro riuscisse a dormire. Lei avvertiva quel familiare disagio, quel pizzicore abituale appena dietro le palpebre. Tentò di vagare per il giardino, ma non incontrò nessuno. Sedette perfettamente immobile nella propria stanza, ma fu lasciata sola. Salì tutte le scale, e le ridiscese di nuovo, ricordandosi una mano che sfiorava la sua.

Infine, ritornò nella propria stanza e afferrò la chitarra. Doveva saperlo.

Entrò nella stanza di Draco senza bussare. Lui era fermo, rigidamente, alla finestra, le mani tese sul vetro, a guardare l’oscurità del cielo. Quando si voltò verso di lei, la sua espressione – sfinimento misto a qualcosa che sembrava molto vicino all’arresa – le fece venire le vertigini. Gli prese una mano e si sedette sul bordo del letto, trascinandoselo dietro. Ci fu un momento di confusione – al sentire il calore del suo corpo, a vedere il suo volto confuso – prima che lei frapponesse la chitarra tra di loro, mettendogliela tra le braccia.

“Voglio saperlo.”

“Cosa?” Tentò di spingere via lo strumento, ma lei lo tenne fermo con testardaggine.

“Quello che la chitarra suonerà per te. Voglio sentire la musica.”

“No.” Questa volta riuscì a liberarsi dello strumento, poggiandolo sul letto alle loro spalle.

“Perché no?” Lei era così stanca; le sembrava che tutto la stesse colpendo all’improvviso, e si mise la testa tra le mani, quasi incapace di rimanere lei stessa seduta in equilibrio. Lui sarebbe morto l’indomani, forse (probabile), e non sarebbe stato il solo. Che cosa importava tutto quello?

Avvertì una mano sulle reni, che la sorreggeva, così calda che quasi scottava. “Perché tu non suoni mai, Hermione? È la tua chitarra.”

“Non la so suonare.” La sua voce era un sussurro. La testa le stava rimbombando.

“Nemmeno io.”

“Ma -”

“La musica non dovrebbe essere qualcosa di facile.” Le prese una mano. Fece scorrere un dito sul suo palmo, lasciando dietro una scia di calore. “Dovrebbe essere una conquista.”

Lei avrebbe dovuto andarsene. Si sentiva la pelle bruciare, e la mente annebbiata, e non sapeva cosa sarebbe successo l’indomani.

“Hermione?”

Come poteva la sua voce suonare così calma? Così certa, quando non c’era nulla nelle loro vite di cui essere sicuri? Ma quando lo guardò in viso, vide la paura nei suo occhi. Non di morire, quello sarebbe stato buon senso, ma che lei se ne potesse andare. Si rese improvvisamente conto che la mano che stringeva la sua stava tremando.

E lei poteva dargli almeno quello, poteva dargli un piccolo conforto, e prendere in cambio un poco da lui. Sostenne senza vacillare il suo sguardo, e ignorò il battito furioso del proprio cuore. Le sembrò che la sua espressione si facesse più limpida, e poi lui sollevò il palmo della sua mano alla bocca e lo baciò. Sentì la punta della sua lingua: carta vetrata, come quella di un gatto.

Si sentì gli occhi caldi, e umidi, e prima di poter fare qualcosa di immensamente ridicolo, come piangere, lo baciò.

Le braccia di Draco la strinsero, avvicinandola a sé, così tanto che Hermione poteva sentire il battito impazzito del cuore nel suo petto. Sollevò una mano per affondarla nei suoi capelli, e sentì la sua lingua, timida contro le sue labbra, e poi più sicura, a spingere e strusciare contro la sua. Le mani di lui erravano senza posa (tra i suoi capelli, sulla sua schiena, sul suo collo), e lei non voleva nulla più che avvicinarsi maggiormente a lui, così stretta da potergli entrare dentro.

Quando ruppero il bacio, il respiro di Draco era ansante, e le sue gote arrossate. Hermione si sentiva la testa più leggera di quanto non lo fosse stata da giorni. “Sicuro che non vuoi suonare per me?” Era la sua voce? Così senza fiato?

“Un giorno.” L’aveva mai visto sorridere così? “Lo prometto.”

Lui la strinse ancora più vicina, e lei si dimenticò completamente della musica. Si dimenticò di tutto tranne che della magia che stava crepitando tra di loro: scintillando al tocco delle loro labbra, scaldandola come un raggio di sole. E forse lui non avrebbe suonato per lei ora, e magari nemmeno in futuro; non sapeva forse quello che sarebbe successo l’indomani, ma aveva quello in quel momento.

Mentre le inclinava dolcemente la schiena, sdraiandola sul letto, Hermione sentì la magia pulsare dai loro corpi, diffondersi nella stanza come un’onda ad alta frequenza, e fu sicura di sentirne la musica, soffice e dolce, piena di speranza e di tristezza.



The End



NOTE

Argosy ha accompagnato la pubblicazione di questa shot con le tracce proposte. Nel dettaglio, le tracce (con linkati dei video di youtube, ove disponibili) sono:
Fred and George: "Mr. Eliminator," suonata da Dick Dale
Remus: "St. Louis Blues," suonata da Django Reinhardt
Ron: "Double Guitars," suonata da Jimi Hendrix
McGranitt: J.S. Bach’s "Preludio in D Minor," suonata da Julian Bream
Arthur: "Tango Flamenco," suonata da Andres Segovia and "Ghostriders in the Sky," suonata da Chet Atkins
Harry: "Cavatina," suonata da John Williams
Draco and Hermione: "Pavane," suonata da John Williams


Special Bonus Track: "Anyone Can Play Guitar," degli Radiohead

Se siete interessati e volete ascoltare anche le tracce mancanti (o ascoltare quelle presenti in file di qualità migliore), basta che mi contattiate (preferibilmente a partire dal mio account qui su EFP) e ve le spedirò.


E con questo è tutto ^^
Ricordando che, come sempre, ogni commento è più che gradito, un grazie alla moglia che è riuscita a piegare alla sua volontà megaupload (al contrario di me ^^') e appuntamento a breve con un'altra traduzione :)


  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: argosy