Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: _Dynamis_    13/03/2017    3 recensioni
[Ereri]   [Angst, Drammatico]
*****
< Heichou. >
< Uhm? >
< Cosa succederà dopo? >
< Ti sembro per caso un fottuto veggente, moccioso? >
Una risata leggera si perse nel vento.
[...] E con la Morte come unica compagna, bisogna imparare presto che
l’unico modo per proteggere qualcosa di importante
è lasciarla andare. Ma, ti giuro, che se fossimo nati in un
mondo senza muri, ti avrei preso la mano e non l’avrei
più lasciata.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Requiem -
 


Il cielo in cui ci illudiamo di volare non è mai stato limpido. Nonostante ci sia il sole e le nuvole non ingombrino l’orizzonte, l’ombra che appesantisce i nostri cuori ci impedisce di vedere l’azzurro brillante sopra i tetti delle case. Quelle ali che difendiamo con così ostinato orgoglio sono macchiate di rosso cupo: non hanno niente a che fare con il candore di quelle degli angeli . 
Tutto è così effimero e fragile, in questa triste terra. Non c’è niente che duri più di un sospiro strozzato: ciò che crediamo d’aver raggiunto scivola via come sabbia tra le dita. E con la Morte come unica compagna, bisogna imparare presto che l’unico modo per proteggere qualcosa di importante è lasciarla andare. Per questo, e solo per questo, ho rifiutato l’occasione di amarti come Amore comanda.
Ma, ti giuro, che se fossimo nati in un mondo senza muri, ti avrei preso la mano e non l’avrei più lasciata.


Le stelle illuminavano il firmamento, gioielli di pura luce incastonati nel nero mantello della notte. Il silenzio era la colonna sonora di quella che, probabilmente, sarebbe stata la sua ultima sera. L’indomani, infatti, avrebbero combattuto ancora una volta in nome di quella Libertà che faceva fremere d’impazienza i loro animi, avrebbero messo su le maschere per recitare  l’atto finale dell’amara tragedia in cui s’erano ritrovati coinvolti. 
Aspettava quel momento da tempo, ma ad una piccola parte di sé non importava minimamente se, il giorno seguente, la Vittoria avrebbe sorriso loro o meno: desiderava soltanto che finisse. Era stanco, la terra veniva bagnata dal sangue sempre più spesso e tutte le vite cadute in quegli anni urlavano nella sua memoria chiedendo vendetta. 
Bevve l’ultimo sorso di tè nero che si era portato dietro dalle cucine, constatando con leggero disappunto che si era ormai intiepidito: il familiare calore che di solito scendeva lungo la gola era sparito.
Rimase ad osservare la fredda luce delle stelle per lungo tempo, ripassando il piano ideato per l’imminente scontro, simulandolo nella sua testa infinite volte, cercando un errore, un dettaglio che non avessero calcolato, qualcosa che gli fosse sfuggito mentre consumavano ogni briciolo di energia a studiare cartine spiegazzate e schemi imperfetti. Tenne in considerazione gli scenari più catastrofici, non dimenticandosi mai quanto la Nera Signora fosse loro vicina in ogni istante.
Se tutto andava come avevano programmato, cosa altamente improbabile, sarebbero riusciti a sconfiggere i Titani sacrificando circa un terzo degli attuali soldati. Se, invece, uno degli ingranaggi di quell’audace strategia non avesse funzionato a dovere, avrebbero avuto comunque delle probabilità di vittoria, ma le perdite sarebbero salite pressoché a metà degli uomini. Infine, restavano altre due sole possibilità: la prima era la sconfitta; la seconda era che, grazie ad un miracolo, ne sarebbero usciti vincitori, pagando però come prezzo il quasi totale sterminio della Legione. Proprio a causa di tutti quei rischi, Erwin gli aveva chiesto in privato di imparare anche il piano B che aveva ideato: “Un’alternativa nel caso in cui il progetto iniziale fosse a rischio”, aveva detto. Ed era proprio quella seconda strategia a creargli dei problemi. Levi si rendeva perfettamente conto che salvare tutti era impossibile, ma l’idea di Smith si spingeva ai confini della sopravvivenza: era sensata in modo quasi folle, rischiosa ai limiti del possibile. Un’idea a cui degli animi disperati avrebbero acconsentito senza batter ciglio. 
Il loro geniale “piano di riserva” consisteva, in pratica, nel mettere un moccioso istintivo e suicida in prima linea per usarlo sia come esca che come macchina distruttiva. La probabilità di lasciarci la pelle era quasi certa: il sacrifico di uno per il bene di molti. 
Ancora assorto nei suoi intricati ragionamenti, Levi si accorse a malapena del rumore di passi alle sue spalle.  Non ebbe bisogno di voltarsi, per capire chi fosse.
<< Che vuoi, moccioso? >> chiese, continuando a tenere lo sguardo puntato davanti a sé. Percepì una figura avvicinarsi, e pochi secondi dopo si ritrovò accanto un ragazzo dalla pelle abbronzata e gli occhi scintillanti. La maglietta leggera e i pantaloni erano stropicciati e sporchi, segno evidente che aveva trascorso le ultime ore ad allenarsi nonostante il coprifuoco fosse passato da un pezzo.
<< Hanji ti sta cercando >> gli  rispose, senza riuscire a nascondere un mezzo sorriso davanti alla sua espressione infastidita.
<< Per quale diavolo di motivo? >> 
Un’alzata di spalle.
Uno sbuffo. << Erwin vi ha fatto il suo brillante discorso sulla battaglia di domani? >>
<< Prima di cena. Non è stato molto morbido, ma penso sia giusto che ci informi di come stiano davvero le cose… >> Si fermò un momento, come se stesse riflettendo su qualcosa, poi aggiunse: << Be’, dopo parecchi di noi non hanno toccato cibo e altri sono corsi in bagno a vomitare. >>
Un sorriso appena accennato, poi il silenzio li avvolse entrambi. Un silenzio fatto di sguardi fugaci e avidi, di respiri bollenti che avrebbero voluto intrecciarsi ma che, invece, si disperdevano nell’aria fresca della notte. 
<< Combatterò per te, Capitano.  >>
<< Combatterai per restare vivo.  >>

 

Si vedevano ogni sera, nelle cucine ormai deserte, quando la luna era alta nel cielo e Morfeo aveva accolto l’intera Magione nel suo regno . Era diventata un’abitudine  a cui nessuno dei due poteva rinunciare, un prezioso momento in cui gli orrori visti e le pesanti responsabilità sparivano, e tutto nel mondo sembrava andare  di nuovo nel verso giusto.
Si mettevano seduti, uno difronte all’altro, sempre allo stesso tavolo, nonostante ne avessero molti altri a disposizione. Levi sorseggiava il suo tè ed Eren gli faceva compagnia. Alcune volte conversavano serenamente, altre tacevano e lasciavano che fossero i loro sguardi a parlare. Ogni tanto, quando né i gesti né gli occhi bastavano più, avvenivano anche i baci. 
Baci rubati, leggeri, appassionati, veloci, amari. 
Baci troppo pericolosi, troppo delicati per resistere in un mondo impazzito come quello.

 
La mattina dello scontro era finalmente arrivata. Rivaille osservò le fila di soldati, le espressioni concentrate e tese. Alcuni stringevano convulsamente le briglie dei cavalli, altri cercavano di mostrarsi forti, mentre altri ancora lanciavano occhiate nervose in giro, come se si aspettassero di veder comparire il nemico all’improvviso.
Se glielo avessero chiesto, Levi avrebbe detto che tutt’intorno aleggiava una quiete quasi irreale, la quale racchiudeva in sé tutta la solennità e la tensione di quel momento. In realtà, l’unica cosa che sentiva davvero era il tanfo della paura insinuarsi tra le fragili corazze della Legione. Se la situazione non fosse stata così estrema, gli sarebbe venuto quasi da ridere per la scena che gli si presentava davanti: ragazzini che puzzavano ancora di latte si preparavano a combattere contro qualcosa di più forte e tremendo di loro;  i veterani, invece, segnati da mille battaglie, indurivano il cuore pur sapendo che le loro lame sarebbero state sempre troppo morbide per la pelle dei Titani. Nonostante si illudessero di poter vincere, le loro possibilità di uscirne vivi, o addirittura vittoriosi, oscillavano pericolosamente vicino allo zero. Eppure erano tutti lì, pronti a combattere per un ideale che esigeva un costo sempre maggiore. Era quasi ridicolo
Levi aveva capito da tempo che la guerra non era una cosa seria, e coloro che sostenevano il contrario erano degli illusi. La guerra era solo un gioco tra morti, e l’unico premio concesso ai vincitori era quello di poter respirare un po’ di più rispetto agli altri: anche ognuno di quei soldati, a modo suo, se ne era reso conto. Per questo, in quel giorno tanto atteso, immersi nella luce accecante del sole, liberi dalla presenza opprimente delle mura, nessuno si arrischiava a pensare al futuro. 


Era una mattinata tranquilla, una di quelle che capitava raramente in quei giorni di scompiglio – in quell’epoca di scompiglio, a voler essere precisi.
Eren era appoggiato al tronco della grande quercia ai margini del cortile del Quartier Generale, i muscoli doloranti a causa della sessione di allenamento appena terminata e il sudore che gli imperlava la fronte mentre fissava le nuvole viaggiare nel cielo.
<< Se tutto questo finisse e noi fossimo ancora vivi, cosa vorresti fare dopo, Heichou? >>
Il Capitano aprì un occhio, guardandolo a metà tra lo scocciato e il rassegnato. << Dormirei, moccioso. Per una settimana intera. >>
Il ragazzo si abbandonò a una risata leggera. << Pensavo saresti venuto con me a vedere l’oceano. >> Una richiesta nascosta dietro parole dette apparentemente a caso.
<< Sei davvero fissato con questa storia. >>
<< Ovvio, l’oceano deve essere qualcosa di mozzafiato.  >>
<< Come fai ad esserne così sicuro? Non l’hai mai visto. >>
<< Però l’ho immaginato. E come l’ho immaginato mi piace. >>
Levi sperò davvero di riuscire ad accompagnarlo a vedere quello stramaledettissimo oceano, un giorno,  anche solo per farlo smettere di parlarne così spesso: lo sguardo pieno di entusiasmo di quel ragazzino era una sua priorità, e di nessun altro. Nemmeno dell’oceano.


Levi aveva scelto di osservare gli ultimi preparativi da una collinetta situata poco distante dalle truppe, in modo da poter tenere sotto controllo tutta l’area circostante. Fu facile per lui, dunque, individuare una figura che si avvicinava incerta, alcune volte procedendo spedita, altre fermandosi e ritornando sui propri passi. Aspettò il suo arrivo e, dopo dieci minuti, Eren Jaeger fece infine la sua comparsa.
Il ragazzo non parlò subito, ma rimase a fissarlo da dietro per un po’. Probabilmente stava cercando di mettere in ordine i pensieri, nel tentativo di non fare troppo la figura dell’idiota una volta aperta la bocca. Un’impresa ardua, visto il soggetto.
Quando, però, vide che l’attesa si stava prolungando troppo, Levi decise di voltarsi leggermente a guardarlo, scontrandosi contro i suoi occhi pieni di rabbia – quella stessa rabbia che aveva attirato la sua attenzione in passato. Eppure, c’era anche qualcos’altro a cui non riuscì a dare subito un nome. Era preoccupato? Spaventato? Be’, sarebbe stato sciocco a non esserlo in quella situazione. Ma qualcosa gli sfuggiva ancora. Attese con pazienza, per quanta potesse averne prima di una battaglia mortale.
<< Siamo persi dall’inizio, vero? >> Il moccioso avanzò di qualche passo, arrivando a stargli quasi accanto. Fissava l’esercito sotto di loro, ma il suo sguardo sembrava scrutare un mondo che gli altri non potevano vedere. << Anime perse dal momento stesso in cui sono nate. >>
Per caso, il moccioso aveva paura di morire? No, non gli si addiceva proprio. Allora, forse, aveva paura di non riuscire a salvare i suoi compagni? Molto più credibile. Qualsiasi fosse la ragione, una domanda del genere in un contesto simile gli risultava comunque assurda, ma anche terribilmente azzeccata. D’altronde, i pensieri più illuminanti e profondi nascevano negli uomini quando essi si preparavano ad affrontare la Morte – era una grande musa ispiratrice, la Morte.
<< Può darsi >> si limitò a rispondere, mentre osservava un gruppo di soldati controllare i dispositivi tridimensionali. 
<< Siamo destinati ad esserlo per sempre, quindi? Non troveremo mai pace? >> La voce di Eren assunse una sfumatura più decisa, come se quel pensiero lo irritasse più delle provocazioni di Jean Kirschstein.
Levi si girò a guardarlo, gli occhi grigi affilati come le lame delle sue spade. << Fai troppe domande per essere uno che si sta preparando a combattere fino all’ultimo sangue, ragazzino. >>
<< E lei da troppe poche risposte per essere uno di quelli che ci guiderà in una carneficina, Heichou. >>
Se non fosse stato il loro asso nella manica, Rivaille lo avrebbe ucciso all’istante – tuttavia si ripromise di farlo in seguito, ammesso che fossero sopravvissuti entrambi. Si massaggiò una tempia in un gesto quasi meccanico: quella poteva essere la loro ultima conversazione, infondo. 
<< Siamo persi, ma non come lo intendi tu. >>  A quelle parole, gli occhi del ragazzo si accesero di un interesse tutto nuovo. << Siamo anime perse perché continuiamo a vagare nelle terre della Morte in cerca di qualcosa che forse non raggiungeremo mai. Eppure, nonostante questo, andiamo avanti. Non so per quale ragione, non l’ho mai saputo: chiamala speranza, se vuoi, chiamala stupidità. Però fino a quando continueremo ad avanzare, non saremo mai davvero persi. >>
Silenzio.
“Oh, il moccioso è rimasto senza parole” constatò con una punta di soddisfazione: l’ombra che poco prima oscurava l’ardore del suo animo sembrava sparita. E finché Eren avrebbe tenuto in vita la fiamma della speranza, lui poteva fare lo sforzo di rispondere a qualsiasi domanda.

 

E’ triste il destino degli uomini.
Uomo. 
Cos’è poi un uomo, se non polvere destinata a ritornare polvere? 
Cos’è, se non un complicato aggroviglio di sogni e contraddizioni?
L’uomo vuole la pace e per averla fa la guerra.
Vuole la verità,  ma si rinchiude nella sua ignoranza.
Brama la libertà, ma si incatena con le sue stesse mani.
Ama, e dall’amore genera odio.
Sogna, e dai sogni genera incubi.
Desidera, e dal suo desiderio nasce una fame insaziabile:
 non si accontenta.
Passa la sua esistenza a correre. Non importa se corra in tondo, o dritto, o all’indietro.
Corre e non si ferma, senza saper neppure dove stia andando, cosa stia inseguendo – o da cosa stia scappando.
Che gran corritore che è, l’uomo: vuole essere vincitore senza pagarne il prezzo. 
Ma non esiste vittoria senza dolore.



Eren Jaeger era convinto di avere una specie di maledizione addosso – oltre quella di trasformarsi in un mostro di quindici metri d’altezza, s’intende. Qualcuno, prima che nascesse, doveva aver deciso di condannarlo a trascorrere l’intera esistenza a vedersi scomparire davanti agli suoi occhi ciò a cui teneva, senza poter fare niente per impedirlo. E non importava quanto provasse a migliorare, non importava quanto credesse di esser diventato bravo o forte: il mondo continuava a  sbattergli in faccia tutti i suoi sforzi, deridendo la sua patetica ostinazione nel non voler cedere davanti ad una crudele realtà.
Di più.
Quanto ci mette un’anima gentile ad essere cancellata? Quella di sua madre, aveva calcolato, ci aveva messo circa venti secondi. Erano bastate un paio di mani più grandi per farle sputare fuori anche l’ultimo alito di vita. Non sapeva quanto ci avesse messo Marco, invece, ma era quasi sicuro che non ci fosse voluto più di qualche attimo per dividergli in due sia il corpo che lo spirito.
Di più.
Quanto ci mette un’anima forte ad essere spezzata? La squadra di Levi era l’élite dell’élite, eppure tutta la loro esperienza non era riuscita a impedire che venissero schiacciati, nel giro di dieci minuti, come insignificanti moscerini su un vetro. 
Di più.
Quanto ci mette il mondo a collassare? Eren non lo sapeva. O, almeno, non sapeva quanto ci potesse impiegare il mondo in generale, ma sapeva che il suo aveva iniziato a tremare, restando in bilico sull’orlo del baratro, quando  Levi era caduto senza più rialzarsi: in circa quattro secondi totali, quindi. Due per rendersi conto che il Capitano poteva essere potenzialmente morto, altri due per accorgersi del Titano che lo stava puntando.
Mentre scattava in avanti, sentì distrattamente qualcuno urlargli di mantenere la posizione e attenersi agli ordini - come se gliene potesse fregare davvero qualcosa, in quel preciso frangente, degli ordini. 
L’assurda strategia di Erwin stava funzionando in qualche modo, e forse sarebbero riusciti anche a vincere se riuscivano a non farsi sterminare tutti prima – cosa a cui erano molto vicini, visto il numero di corpi ammassati nel fango. Ma tutto ciò non aveva nessuna importanza se il cuore del Capitano decideva di fermarsi. Niente aveva più senso, se il sangue smetteva di fluirgli nelle vene e le sue mani diventava di ghiaccio.
Di più.
Correre in mezzo a quella confusione d’acciaio e pelle fu una delle cose più dure che avesse sperimentato nella sua breve esistenza. L’ansia gli rendeva pesanti le gambe e gli dava l’impressione di non inalare mai abbastanza aria nei polmoni. La ferita al pollice bruciava da morire per quante volte l’aveva morso, con rabbia sempre maggiore, come se il suo corpo rispondesse solo all’odio che lo guidava da quando quella guerra era iniziata. Avvicinò il dito alle labbra, e altro sangue andò ad aggiungersi a quello che già macchiava il suo palmo.

<< Heichou, com’è essere forti? >>
<< Non lo so, moccioso: non mi ci sono mai sentito. >>
<< Ma sei il Più Forte dell’Umanità! >>
<< Tu vieni chiamato “Ultima Speranza dell’Umanità”, ma sei disperato. Io vengo chiamato il Più Forte, ma sono comunque umano. La gente tende a definirti solo in base alla tua apparenza, moccioso. Dovresti saperlo meglio di me.  >>
 

Il Tempo non era mai stato un amico di Eren. Gli si rivoltava contro ogni volta, sfuggendo al suo richiamo, nascondendosi ai suoi occhi e non concedendogli nemmeno un istante per intervenire – per non sentirsi così dannatamente impotente.
Eren era arrivato in ritardo o in anticipo: mai al momento giusto. Eppure quella volta pregò con tutto se stesso di giungere in tempo. Non si rivolse a nessuno in particolare, ma se davvero c’era qualcuno lassù, in mezzo all’azzurro sconfinato del cielo e alla morbidezza delle nuvole, lo supplicò di concedergli un istante. Voleva che funzionasse, lo voleva con ogni singola cellula di quel corpo anomalo che gli era toccato - e se il prezzo da pagare era quello di diventare un mostro, lo sarebbe diventato.
Nel caos della battaglia, intravide un paio di ali che svettavano in mezzo alla terra scura. 


Fissava con cipiglio ostinato le Ali della Libertà cucite sulla bandiera che si innalzava in cima alla Magione. 
<< Che diavolo stai guardando? >>
Fece un piccolo cenno in direzione dell’oggetto che aveva catturato la sua attenzione, trattenendo un sorriso davanti all’espressione interrogativa e corrucciata che il Capitano gli rivolse subito dopo aver individuato lo stemma della Legione.
<< Combattiamo per la Libertà. Ma cos’è la Libertà? >> spiegò, esprimendo finalmente a voce i dubbi che lo tormentavano da giorni.
<< Be’, sicuramente non è stare rinchiusi dentro quattro mura, moccioso. >>
Eren annuì, condividendo a pieno quel pensiero. Tuttavia, c’era ancora qualcosa che non gli quadrava. << Sì, però com’è esseri liberi, Heichou? >>
Un bacio a fior di labbra fu l’unica risposta che ottenne. E, forse, era l’unica di cui avesse davvero bisogno. 


Ce l’aveva fatta. Contro ogni previsione, contro la sua maledettissima sfortuna.
Levi era dietro di lui, al sicuro, e lo stava guardando dalla posizione supina in cui era costretto a causa di una ferita alla gamba. Quegli occhi grigi lo fissavano con un’intensità tale da farlo sentire piccolo anche se si era trasformato in Gigante. Ah, a proposito di Giganti… Si guardò rapidamente intorno, osservando come le creature lo stessero accerchiando con i loro orrendi visi sogghignanti. Sentì qualcosa dentro esplodere, i muscoli si irrigidirono, il fuoco divampò. 
La Rabbia dell’Umanità: questo era davvero. E non gli sarebbe servito essere nient’altro, finché quel sentimento avesse continuato a dargli la forza per disintegrare i suoi nemici. 


L’ira che inonda e spazza via ogni cosa.
L’ira che ci ricorda quanto gli uomini siano in realtà bestie che si nascondono dietro maschere di umanità. 
Ma è l’amore la vera origine di ogni male.
Esso provoca odio. L’odio provoca rabbia e vendetta.
E così via all’infinito, 
fino ad arrivare al punto in cui sei disposto a bruciarti da solo pur di soddisfare la sete di sangue.

Vuoi ridurli in polvere, schiacciarli sotto la tua potenza, dilaniarli con le tue mani inclementi.
Non è così male, dopotutto. Se questa è la sensazione appagante che si prova quando si diventa una bestia, forse avrebbe potuto anche…


<< Eren! >> La voce del Capitano era poco più di un sussurro, ma in qualche modo gli arrivò. Era bassa e ferrea, come quando dava gli ordini per pulire la Magione e non ammetteva nessun tipo di replica. 
Eren si fermò quasi meccanicamente, accorgendosi solo in quel momento di non aver idea di cosa stesse facendo fino ad un attimo prima. Era ricoperto di sangue e di pezzi di… Cielo, non sapeva nemmeno lui di cosa. Ai suoi piedi decine di resti di corpi di Titani giacevano come un trofeo di guerra, mentre altri di loro stavano giungendo in soccorso di quei pochi che ancora erano integri.
<< Eren >> si sentì chiamare di nuovo. Si girò, notando che Levi si era rimesso in piedi, nonostante non poggiasse la gamba sinistra a terra. << Vattene. Stai mandando il piano a farsi fottere e stai mettendo a repentaglio la vita dei tuoi compagni. >>
Cosa? Aveva capito bene? Voleva che se ne andasse?  Cercò il suo sguardo, e quando lo trovò il suo mondo andò definitivamente in pezzi – era bastato un secondo per farlo sentire del tutto sperduto, disperato, di nuovo impotente. 
Non poteva chiedergli di lasciarlo lì, a combattere contro il nemico da solo, ferito e con le bombole del gas che quasi certamente erano mezze vuote. E non c’entrava nulla quella dannata strategia, non del tutto almeno, lo sapevano bene entrambi. 
Restarono a guardarsi per un tempo che parve infinito, il Capitano che sembrava l’uomo più determinato e temibile del mondo, ed Eren che pareva il Gigante più frustrato e disperato dell’universo.  
<< Vai >> gli disse, stringendo la presa intorno all’impugnatura delle spade e sorpassandolo a testa alta. << Vai e resta vivo, moccioso. >> 
Ed Eren Jaeger andò, perché quegli occhi gli avevano già detto ogni cosa. Perché evidentemente non erano destinati a vedere l’oceano, non in quella vita almeno. Perché in un mondo simile, pensare davvero di poter restare insieme era un desiderio troppo azzardato, un sogno così lontano che nemmeno volando nel cielo alla massima velocità avrebbero potuto raggiungere. Perché in tempi di guerra bisognava fare delle scelte, e spesso queste non coincidevano con le speranze di un uomo - erano più dolorose di una pugnalata in pieno petto.

Ma, ti giuro, che se fossimo nati in un mondo senza  muri, ti avrei preso la mano e non l’avrei più lasciata.

 


<< Heichou. >>
<< Uhm? >>
<< E’ la fine? >>
<< Probabile, moccioso. >>
<< Ci vediamo, allora. >>
Un cenno. << Assicurati di non essere un simile idiota, nella tua prossima vita. >>
Una risata si perse nel vento.


La guerra era vinta, l’umanità era salva.
La Libertà non aveva mai avuto un sapore così amaro.

 



Salve a tutti!
Piacere di conoscervi, sono Dynamis. Questa è la prima storia che posto nel fandom di SnK, e devo dire che all’inizio non l’avevo prevista: quando mi sono messa a scrivere, infatti, l’idea era completamente  differente. Sempre angst (sono fissata con l’angst, perdonatemi ahaha), ma con risvolti molto diversi. 
Sarei davvero felice se mi faceste sapere cosa ne pensate, in ogni caso spero sia stata di vostro gradimento!
Alla prossima,
Dyn 
   
 
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