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Autore: Starishadow    13/03/2017    0 recensioni
Era una settimana che andava in quel luogo, ad osservare l’oceano che si espandeva davanti a lui, libero, indomabile, mai immobile. Gli piaceva restare fermo a guardarlo, mentre nella sua mente i pensieri si rincorrevano uno dietro l’altro, si accavallavano, si aggrovigliavano…
Non erano bei pensieri, nell’ultimo periodo.

(ReijixAine)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aine Kisaragi, Reiji Kotobuki
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fighting on your own is draining you
(A Reiji Kotobuki / Aine Kisaragi fanfiction)



Aine se ne stava seduto su quella scogliera, le gambe strette al petto, il mento sulle ginocchia, le punte dei piedi che sporgevano dal bordo.
Si sentiva solo, e quella era l’unica posizione, con gli arti stretti a sé, che riusciva a limitare la sensazione di vuoto e gelo che l’aveva riempito: ricordava un abbraccio, in un certo senso, sembrava di avere qualcuno insieme a lui, anche se quel qualcuno, alla fine, era soltanto il resto del suo corpo.
Era una settimana che andava in quel luogo, ad osservare l’oceano che si espandeva davanti a lui, libero, indomabile, mai immobile. Gli piaceva restare fermo a guardarlo, mentre nella sua mente i pensieri si rincorrevano uno dietro l’altro, si accavallavano, si aggrovigliavano…
Non erano bei pensieri, nell’ultimo periodo.
Non era sicuro di quando fossero cominciati, quando di preciso aveva smesso di pensare distrattamente alla sua musica, ai suoi amici, o anche ai suoi genitori, per iniziare a pensare al senso di soffocamento che lo coglieva ad ogni concerto e intervista, alla voglia di scappare lontano, dove il suo manager e i suoi colleghi non potevano trovarlo, alla sensazione di non avere nessuno.
Un piccolo singhiozzo trovò la strada dal petto alle labbra di Aine, uscì con una piccola nuvola di vapore: per essere il pomeriggio del primo marzo, era freddo come una mattina di gennaio, e Aine ultimamente soffriva particolarmente il freddo.
Gli mancavano le giornate in cui frequentava ancora l’Accademia Saotome, quando poteva passare l’intera giornata con i suoi amici, quando divideva la camera con Kei, il suo compositore, ma in fondo era come se la dividesse anche con Reiji e Hibiki, dal momento che si radunavano a dormire quasi sempre insieme in un’unica stanza.
Un altro singhiozzo, un po’ più forte del primo.
Era stato felice, vivace, allegro, ricordava quei giorni, e non si capacitava di come le cose potessero essere cambiate così tanto, così improvvisamente.
Aveva iniziato a stare male quando aveva scoperto che Kei aveva una cotta per lui?
No, qualcosa era sbagliato già da prima.
Forse quando lui e Reiji, nonostante i sentimenti di amicizia e amore che avevano iniziato a sviluppare dal primo momento in cui si erano visti, erano diventati quasi rivali?
Quello faceva male, malissimo, ma non era stato allora che tutto era iniziato, le cose per Aine erano diventate nere già da prima.
“Perché mi sento così?”, si chiese miseramente, nascondendo il viso fra le braccia e lasciando il via libera ai singhiozzi e alle lacrime. Tanto a vederlo e sentirlo c’era solo l’oceano, che non l’avrebbe giudicato.
Si sentiva in colpa a stare così male, sapeva che c’era una miriade di ragazzini che sognavano di essere al suo posto, sapeva che persino alcuni suoi colleghi lo invidiavano, ed era grato per tutte le possibilità che aveva avuto: non voleva sembrare un ragazzino viziato la cui vita è tanto perfetta da spingerlo a cercare qualcosa per rovinarsela.
«Mi dispiace», sussurrò a nessuno in particolare, il volto ancora coperto e la voce soffocata dalle lacrime e dalla stoffa dei suoi vestiti.
Non aveva nemmeno il diritto di sentirsi solo, probabilmente: solo il giorno prima aveva festeggiato il suo ventesimo compleanno con i suoi amici, avevano riso e scherzato insieme, sembrava quasi di essere tornati ai tempi dell’Accademia… quasi, perché Kei gli era sembrato più rigido del solito quando l’aveva abbracciato per ringraziarlo del regalo, e perché Hibiki non era più lo stesso da mesi ormai, sebbene si fosse sforzato di scherzare e ridere insieme a tutti gli altri, e forse non lo sarebbe più stato, e perché Reiji, pur tenendolo fra le sue braccia per quasi tutta la sera, pur avendogli regalato una catenina con un anello infilato dentro a simboleggiare la promessa di “per sempre”, gli aveva parlato poco, e aveva tenuto d’occhio il cellulare per tutto il tempo.
Aine non lo biasimava, aspettava la convocazione ad un provino importante, anche lui sarebbe stato concentrato su quello.
Avevano comunque riso, erano comunque stati bene, era facile stare tutti insieme in quel modo, e per poche ore, Aine non si era sentito totalmente fuori posto. Solo un po’ isolato, in certi momenti, ma poteva capitare, era stanco, dopotutto.
Sono stanco”, si disse mentre prendeva un respiro tremante e alzava nuovamente il viso verso le onde, che ora si erano alzate, quasi a riflettere il suo turbamento.
La verità era che gli sembrava di combattere ogni giorno, di lottare dal momento in cui si svegliava la mattina a quello in cui chiudeva gli occhi la sera, costantemente all’erta, continuamente preoccupato, di cosa poi non ne era nemmeno sicuro! Sentiva solo l’eterno bisogno di stare in guardia, di non perdere il controllo di ciò che lo circondava, e questo lo sfiniva: fisicamente aveva energie da vendere, ma mentalmente? Aveva l’impressione di aver finito quel genere di energia molto tempo prima, e di andare avanti solo in modalità automatica, ormai lasciava che la sua mente facesse ciò che voleva: se voleva allarmarsi per una canzone non ancora scritta, la lasciava fare, se voleva terrorizzarsi per una notizia letta da qualche parte, nessun problema.
Aine ormai si limitava a subire ciò che succedeva nella sua testa, ad osservarlo stancamente così come la sera prima aveva osservato i suoi amici che ridevano e giocavano davanti ai suoi occhi, senza intervenire.
Deglutì, e la sua mano si strinse attorno alla catenina che gli aveva dato Reiji.
I suoi pensieri stavano prendendo una piega pericolosa, di questo se n’era accorto, e sperava che qualcosa, o qualcuno, lo tirasse indietro da dove quelli lo stavano spingendo.
Si alzò in piedi, anche se le gambe gli tremavano.
Sperava con tutto se stesso di sentire dei passi alle sue spalle, una voce che lo chiamava, qualcuno che contrastasse le voci nella sua testa al posto suo.
Ma dietro di lui c’era solo silenzio.
Staccò la catenina dal collo e la strinse in mano, chiudendo gli occhi per trattenere altre lacrime.
Non aveva motivo di farlo! Andava tutto bene, stava bene, era solo lo stress, solo la stanchezza… Se fosse tornato a casa e avesse dormito un po’, vicino a Reiji magari, tutto sarebbe tornato a posto.
Era solo un periodo.
Un periodo che andava avanti da quasi cinque anni, ma un periodo.
Non stava male, non aveva bisogno di aiuto, e tanto meno aveva motivo di fare una cosa simile.
Prese il cellulare mentre il respiro gli si faceva irregolare, e con la mano libera digitò un numero che sapeva a memoria.
Ciao! Sono Reiji, e al momento non posso rispondere--
«Ti prego, no», sussurrò Aine con voce flebile e spezzata, provando a chiamare di nuovo.
Ciao! Sono Reiji, e al momento non posso--
«Per favore, non può essere spento, non può…», implorò il ragazzo cominciando a piangere più forte.
Ciao! Sono Reiji, e al momento non posso rispondere, mi dispiace tanto! Lasciami un messaggio, però, e ti richiamerò immediatamente appena lo vedo!
«Reiji, sono io, scusa, scusami tanto… S-so che hai un’audizione, spero che ti prendano a proposito», la voce di Aine era terribile, tremula, spezzata, gonfia di pianto. «Sono alla scogliera, sai, q-quella dove ti ho portato…», altri singhiozzi lo interruppero, e finalmente si decise a lasciar esplodere la bolla di dolore che gli si era gonfiata in petto tutto quel tempo. «Non credo di poterlo più fare, Reijyn. Fa male, fa male tutto, e ho paura! Sono qui da solo… ho freddo, e non riesco a pensare lucidamente. Ho paura di fare qualcosa che… che al momento mi sembra una buona idea, ma… ma che sarebbe terribile dopo. Voglio farlo, in realtà, ma n-non ne sono così sicuro. Senti, ti dico qui delle cose che non ho il coraggio di dirti a voce, va bene?», tirò su col naso e tentò di rendere più ferma la sua voce, ma sembrava ancora un bambino spaventato mentre proseguiva. «So che nessuno capirà mai che cosa mi passa per la testa, non lo capisco nemmeno io. Ma mi sembra di essere di troppo ovunque vada… a-anche ieri… ero lì con voi, ma… non era come quando eravamo tutti insieme, prima, mi sentivo staccato, lontano da voi. Vedevo voi che andavate avanti, verso strade luminose e piene di calore, e vedevo me fermo, al freddo, al buio… Lo so che hai promesso di esserci sempre per me, ma so anche che io e te non saremo mai del tutto insieme: siamo rivali, al lavoro, e all’inizio era una cosa divertente, forse, ma adesso… n-non credo di reggere più. Voglio poter essere felice per te sempre, senza provare nemmeno la minima punta di invidia, e voglio che sia lo stesso per te… è così che dovrebbe funzionare per una coppia, no? È così che funzionerebbe per me e te, se non fossimo questo. Quand’è che essere idol ha smesso di essere una passione, un sogno, ed è diventato solo lavoro? Compromessi, imbrogli, litigi… Perché siamo diventati questo?».
Stava tremando come una foglia e più che respirare gli sembrava di ansimare.
Ricordò distrattamente suo zio che diceva qualcosa riguardo al suo sguardo che sembrava quello di un febbricitante, quella mattina, ma non gli aveva dato modo di approfondire la sua analisi perché era scappato via.
«F-forse sto delirando», ammise con una risatina, mentre la sua voce suonava estranea anche alle sue orecchie. «non dovrei nemmeno lasciarti questo messaggio, accidenti, ma ormai…», fece spallucce e riaprì gli occhi, tornando ad osservare le onde davanti a sé. «Ti ho mai detto che mia mamma soffriva di depressione? Mi sa di no… ti ho sempre detto solamente che mi ha cresciuto mio zio, lontano dai miei. Beh, la verità è che mamma soffriva di depressione, e la mia nascita ha peggiorato le cose, così hanno chiesto a mio zio di prendersi cura di me lontano da lei, dalla sua influenza, credo. La depressione è genetica, a quanto pare. E ora credo di aver capito, finalmente, perché mi sento così male anche se tutto sta andando bene. Il mostro che ha vissuto per anni nella testa di mia madre, a quanto pare ora è venuto a stare nella mia, e io vedo tutto nero. Non distinguo più cos’è nella mia fantasia e cos’è reale… Reiji? P-pensi che faccia male? O forse vedrò tutto veramente nero prima di toccare l’acqua? Credi che a mia madre dispiacerà vedermi così presto? O forse mi capirà?».
Le sue parole si trasformarono in balbettii incomprensibili, e a quel punto continuare a registrare il messaggio divenne impossibile.
«Ti amo, Reiji… e mi dispiace. D-dillo anche agli altri, e per favore, restate insieme? S-so che il gruppo si è formato p-perché vi ho fatti conoscere, ma… ok? Perdonatemi», concluse fra le lacrime, prima di riattaccare e appoggiare il telefonino a terra, insieme alla catenina e alla collana con la pietra blu che indossava sempre.
Reiji odiava i messaggi in segreteria telefonica, magari non avrebbe mai nemmeno ascoltato tutto il suo patetico discorso.
Tornò ad avvicinarsi al bordo della scogliera, e il vento gelido lo colpì violentemente, quasi a volerlo scuotere dal suo torpore, fargli cambiare idea.
C’erano delle rocce subito sotto la superficie dell’acqua, e Aine si chiese se magari quelle avrebbero reso tutto più veloce e meno doloroso.
“Se hai così tanta paura, non farlo”, si disse, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo.
Era questione di pochi secondi, avrebbe avuto paura per pochi secondi, minuti al massimo, cos’erano contro quei cinque anni di terrore, di lacrime e di stanchezza?
Si preparò a farsi cadere.
«Aine!».
L’aria che aveva appena raccolto nei suoi polmoni, li abbandonò di colpo, come se avesse ricevuto un colpo.
Una voce da dietro di lui, qualcuno che voleva fermarlo…
Era reale? O la stava immaginando?
«Aine, per l’amor del cielo, cosa stai facendo??».
La voce alle sue spalle era disperata, spaventata.
«Zio», sussurrò con un piccolo sorriso, gli occhi ancora chiusi.
«Aine, ti supplico», mormorò l’uomo, fermandosi a qualche passo da lui, quasi temesse che ad avvicinarsi l’avrebbe spinto a buttarsi. «Qualsiasi cosa stia succedendo ora…».
«“Possiamo risolverla”?», gli chiese il ragazzo con voce vuota, riaprendo gli occhi e tenendoli fissi sulle onde così invitanti e così spaventose al tempo stesso.
«Non so come, e non so quando, è vero, ma ti prometto che sì, la risolveremo. Aine, per favore… mi sto avvicinando, ok?».
Avrebbe potuto minacciarlo, dirgli di restare fermo dov’era o si sarebbe lanciato giù, nell’abbraccio di quell’acqua e quelle rocce, ma non lo fece, e Hakase mosse qualche passo esitante verso di lui.
«Vuoi parlarmi, intanto?», gli chiese l’uomo, procedendo lentamente e con passi silenziosi, lottando contro l’impulso di correre e afferrare il nipote prima che quello avesse il tempo di fare qualsiasi cosa.
«E di cosa?».
«Quello che vuoi, Aine-kun… Fai un passo indietro, se vuoi…».
Hakase era terrorizzato, aveva vissuto un’esperienza del genere con sua sorella, la madre del ragazzo ora in piedi davanti a lui sul bordo del precipizio, e come non aveva saputo aiutare sua sorella all’epoca, temeva di non poter fare nulla per il nipote in quel momento.
«Non mi va di parlare».
«Allora ascoltami, va bene?», chiese con voce gentile mentre faceva un altro passo, e poi un altro. Ormai era quasi abbastanza vicino da prendergli la mano. «Mi dispiace di non essermene accorto prima, ma non ti lascerò più a combattere contro tutto questo da solo, va bene? So quanto può fare paura sentirsi così tutto d’un tratto, senza sapere cosa sta succedendo, o come è iniziato…».
Aine si irrigidì, e Hakase con lui mentre realizzava di aver scelto le parole sbagliate. Fece un altro passo più affrettato, approfittando del fatto che il ragazzo non potesse vederlo.
«No, non lo sai, invece, perché saresti qui sul bordo con me se lo sapessi, o giù in quell’acqua, come mamma!», replicò l’altro, istericamente.
Ancora un passo, e Hakase avrebbe potuto afferrargli la mano.
«Giusto», sussurrò, spaventato, mentre faceva quell’ultimo passo. Qualcosa era sbagliato nella voce di Aine: non solo nel tono vuoto di chi ha perso tutte le speranze, ma nel modo in cui trascinava alcune parole, quasi stesse biascicando, quasi fosse sul punto di… «Per carità, no!», esclamò l’uomo, allungandosi in avanti e afferrando saldamente la mano del nipote, tirandolo fra le sue braccia con uno strattone nel momento stesso in cui quello perdeva conoscenza, cadendo all’indietro e al sicuro contro di lui, piuttosto che in avanti, verso la sua fine.
Stavano tremando entrambi, ma la pelle di Aine era bollente, la sua fronte corrucciata e le sue labbra fremevano leggermente mentre continuava a balbettare qualcosa con voce impercettibile.
Hakase aveva visto giusto quella mattina: Aine non stava bene, non sarebbe nemmeno dovuto uscire di casa.
«Mi dispiace», mormorò mentre appoggiava il nipote a terra per togliersi il cappotto e avvolgerlo attorno al suo corpo, tentando di fornirgli altro calore. Vide il cellulare e le collane di Aine appoggiate lì vicino, e le raccolse con un gesto rapido e deciso, prima di sollevare in braccio il ragazzo e incamminarsi verso la parte più bassa della spiaggia, lontano da quel mare agitato che sembrava ululare in protesta mentre gli portava via Aine.
 
Reiji si presentò davanti alla porta dello studio di Hakase stravolto, con il cellulare in mano e gli occhi spalancati.
«Aine…», sussurrò con voce strangolata.
«Sta bene», fu l’unica risposta dell’uomo, mentre invitava il ragazzo ad entrare.
«N-no, lui… mi ha chiamato, ma avevo il telefono spento, dobbiamo andare a…!».
«Reiji, Reiji-kun, va tutto bene», lo rassicurò Hakase con un sospiro, prendendolo per le spalle. «So cosa voleva fare Aine, ma l’ho fermato in tempo. È in camera sua adesso, il suo senpai lo sta tenendo d’occhio finchè non si sveglierà».
Vide Reiji piegarsi in due dal sollievo, tirando un sospiro così lungo da farlo quasi preoccupare, ma poi vide che tutti i muscoli del giovane si rilassavano, e quando incontrò di nuovo il suo sguardo, era carico di lacrime di sollievo:
«Credevo che fosse troppo tardi! C-credevo che Ne-ne…», disse, ma alla fine gli si spezzò la voce e i suoi occhi cercarono quelli del professore, grandi e spaventati. «Perché? N-non mi sono accorto di nulla, i-io…».
«Purtroppo spesso è così: ci accorgiamo dei mostri che vivono nella mente delle persone solo quando è troppo tardi. Ma non è stato così stavolta, Reiji-kun. So che sarà difficile, ma cerca di non pensare a cosa poteva succedere, non è successo, Aine-kun è ancora qui con noi, e ha più bisogno che mai del nostro aiuto, va bene?».
Reiji annuì nonostante il nodo alla gola che sentiva, e si morse le labbra per qualche istante prima di chiedere:
«Posso andare da lui?».
«Certamente. Credo che Aine sarà felice di trovarti al suo fianco, quando si sveglierà».
 
Ed effettivamente, Aine si aprì in un sorriso quando, una volta risvegliatosi, riuscì a mettere a fuoco il volto di Reiji, ma scoppiò a piangere subito dopo, scusandosi mille e mille volte, insultandosi per non essere riuscito ad andarsene una volta per tutte, e subito dopo ringraziando per lo stesso motivo…
Hakase aveva detto a Reiji che il ragazzo era ancora febbricitante, e non era improbabile che delirasse  ancora una volta sveglio, ma questo non l’aveva certamente preparato a quello spettacolo terrificante.
Aine era sempre stato una presenza silenziosa, stabile e costante nella sua vita, non era pronto ad affrontare tutto quello… non da solo.
«Ne-ne», lo chiamò con voce dolce, rassicurante, e gli strinse una mano gelida fra le sue, tentando di scaldarla. «Va tutto bene, sono qui ora, e non ti lascerò più da solo. Non avevo idea di tutto quello che ti stava succedendo, sono io a dovermi scusare. Tu non hai fatto nulla di male, ok? Sei caduto, ma ora sei qui, sei ancora qui, e faremo di tutto per farti star meglio, per aiutarti a rialzarti e restare in piedi, va bene?».
Sorrise incoraggiante, cercando qualcosa nello sguardo dell’altro che gli dicesse che anche lui credeva almeno un pochino nelle sue parole, ma Aine non sembrava eccessivamente convinto.
«E se… diventasse troppo? Devi star dietro al tuo lavoro e…».
«E lo farò. Ma non prima di essermi preso cura di te! E poi, non saremo soli, ovviamente! Tuo zio, Kei, Hibiki, i senpai, persino Shining-san hanno detto che vogliono aiutar--- hey! E ora perché stai piangendo di nuovo??», Reiji scattò in avanti, allarmato, ad asciugare le lacrime dalle guance di Aine, usando le dita all’inizio e le labbra subito dopo. «Ne-ne, non piangere più, per favore!».
«S-stavolta è diverso», mormorò l’altro ragazzo fra le lacrime, prima di rivolgergli un minuscolo sorriso che - per quanto debole - fu capace di far fare una capriola al cuore di Reiji. «Credevo di essere solo», spiegò con un sospiro, trascinando Reiji accanto a lui sul letto e raggomitolandosi immediatamente al suo fianco. «Ero convinto di dover stare bene a tutti i costi, di dover risolvere questa faccenda senza chiedere aiuto a nessuno».
Reiji scosse la testa e gli baciò la fronte, ancora calda, e lo strinse più forte a sé. «Mai, Aine. Non sei mai stato solo, e noi faremo in modo di non fartici sentire mai più, ok?».
Sentì Aine che annuiva contro il suo petto e per il momento si fece bastare quella risposta, sollevato di poterlo sentire ancora caldo e vivo fra le sue braccia. Aveva rischiato realmente di perderlo, sarebbe bastato un nulla e ora quel letto sarebbe stato vuoto, e le lacrime che stava versando in quel momento sarebbero state di dolore e rimpianto, piuttosto che di sollievo.
«Hey, Aine?», lo chiamò a voce bassa dopo un po’, sorridendo al mugolio insonnolito dell’altro. «Prometto di non spegnere mai più il cellulare».
Aine fece una piccola risatina a quelle parole, dandogli un piccolo pizzicotto su un fianco.
«Allora farai meglio a comprarti un nuovo caricabatterie», replicò soffocando uno sbadiglio e mettendosi più comodo fra le sue braccia.
Sapeva che la tempesta non era ancora passata, e che altre volte le onde l’avrebbero invitato a trovare rifugio nella loro ombra, ma ora che sapeva di non dover combattere da solo, poteva sempre scegliere di sparire in un abbraccio.


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NdA: 'sera a tutti! Non picchiatemi per l'ennesima storia su Aine... almeno stavolta ho cambiato il finale, no? ^^"" *si nasconde* beh, innanzitutto grazie per la pazienza che avete nel leggere i miei scleri su questo personaggio, che non riesco a non trattare, è più forte di me ... in più, grazie per essere arrivati fin qui! ;) 
Spero abbiate voglia di lasciarmi un parere, anche piccolo, sono sempre felice di sentire cosa ha da dire chi legge le mie storie :3
Nota di servizio: il riferimento a Hibiki e la sua storia è legato ad un'altra fanfiction, scritta da me e Lyel, "let me teach you". (Quando la aggiorneremo e finiremo, tutto avrà più senso, al momento dovrete accontentarvi di immaginare i motivi dell'atteggiamento qui accennato), e sempre a Lyel vanno i credits per uno dei migliori Hibiki in circolazione (magari un giorno la convincerò a condividere col mondo qualcosa su di lui :3) e i ringraziamenti per aver collaborato a betare la storia <3
Un grosso ringraziamento va anche a _Takkun_ per avermi "gentilmente invitata" a pubblicare <3 Vi voglio bene u-u *scappa dopo questa dichiarazione sdolcinata*.
Grazie ancora per la vostra attenzione e mi auguro che la storia vi sia piaciuta!
A presto!
Starishadow
   
 
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