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Autore: Makil_    14/03/2017    2 recensioni
"Sarebbe entrata nel bosco col capo alto, fiero, e lì avrebbe portato la giustizia bianca dei suoi poteri: avrebbe dato a Pancrazio il dono che la morte le aveva dato un tempo, giusto per vederlo soffrire come aveva sofferto lei. Giusto per vederlo morire, proprio come era morta lei. Sheyla moriva ogni giorno, ogni volta che il riflesso del suo volto impresso nelle acque o nel vetro di qualche ampolla le ricordava chi era diventata a causa di chi".
Storia partecipante al Contest "L'Aquila e il Falco" indetto da Jadis_ sul forum di efp.
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                         L'ombra del bosco 


La luce non era mai entrata in quel bosco.
Se il mondo degli uomini era la casa del sole, il bosco dei folletti altro non poteva essere che la dimora delle ombre.
Sheyla stava camminando da un paio di ore ormai, ignorando del tutto il terreno su cui posava i piedi nudi, totalmente incapace di dire con certezza quali strade imboccare. Era una strana sensazione quella da cui si sentiva pervasa: non ricordava di essersi sentita mai tanto distante da quel luogo, dalla sua casa. Un tempo gli alberi che la circondavano erano stati per lei il nascondiglio verso cui correre quando la pioggia si faceva copiosa, le vette da cui poter osservare il mondo degli uomini, i padri della sua famiglia e del suo popolo. Ma ora non erano altro che semplici arbusti imbruttiti dall’oscurità, stranamente contorti come possenti figure grottesche pronte ad afferrarla e a fermarla. Tutto ciò che un tempo era stata la sua casa, adesso le era sconosciuto come una dimora che non le era mai veramente appartenuta.
Il grande laghetto su cui si gettava la strada che stava seguendo era desolato e vuoto, e nasceva proprio sul punto in cui Sheyla aveva sperato di trovare almeno un segno della sua stirpe. La sua memoria l’aveva ingannata un’altra volta, si disse. Se una volta era lì che sorgeva il grande albero cuore, adesso doveva essere stato estirpato.
Si guardò a lungo attorno prima di decidere verso quale strada proseguire. A nord si stagliava il laghetto dalle acque grigioverdi, cosparso in superficie da melma e letame. Tutt’attorno alle sue acque e agli ammassi di fango che si erano formati sulle rive ronzavano mosche e scie di zanzare-lupo, le enormi e fastidiose creature che tormentavano i sonni dei folletti; per quanto di questi non ci fosse alcuna traccia. Sugli argini della pozza d’acqua crescevano giunchi grigi ed incartapecoriti, alcuni dei quali secchi ed accasciati su un solo lato. Le erbacce del bosco non avevano risparmiato quel luogo neppure un secondo. Attorno allo sperone di roccia che sorgeva sopra le acque del laghetto crescevano indisturbati rovi spinosi e secchi, il cui unico scopo era quello di prosciugare e rendere debole il terreno. Sul tronco spezzato e caduto di un enorme albero secolare, due cervi snelli e poco aggraziati stavano giocando a chi trovasse più riprovevole quel luogo contaminato dal grigiore del fumo che fuoriusciva dalle acque. Se fosse stata uno di quegli animali, Sheyla avrebbe vinto ad occhi chiusi. Per un attimo le sembrò come se fosse tornata dentro al rogo che si era lasciata alle spalle la mattina stessa, abbracciata nuovamente dal fumo delle fiamme e dai vapori verdi fuoriusciti dalla fiala di Illymio. Lo scenario era uno dei più tristi che la strega avesse mai visto. Che dopo la sua morte anche il bosco avesse smesso di vivere? Una solidarietà del tutto inconsiderabile, dal momento che questo era governato da niente poco di meno che il suo unico nemico: Pancrazio.
Guardò per un po’ di tempo anche ad ovest, il punto in cui il sole sprofondava prima di salutare per l’ultima volta gli uomini. La sua luce, però, non era mai riuscita a farsi spazio oltre la chioma fitta degli alberi di quel bosco. I folletti non riuscivano ad amare l’ovest neppure sotto tortura. Dicevano che fosse il punto in cui le cose si decomponevano e si inoltravano nel buio, pur non sapendo spiegarne affatto il motivo. Forse per confermare a sé stessa di essere più un folletto che un’umana, Sheyla non trattenne a lungo lo sguardo verso quel punto.
Ovest o Nord; buio o luce.” pensò, malgrado l’unica luce che poteva sperare di vedere era quella della lanterna ad olio che stringeva nella mano sinistra. “Ho già attraversato le ombre, ora è tempo che passi per la luce.”
Decise di avvicinarsi alle acque, prestando ben poca attenzione a cosa le passasse sotto ai piedi. Il terreno era friabile e fangoso, solcato da sassi ricoperti di muschio, radici spezzate e, di tanto in tanto, ossa di animali. Una miriade di lucciole fluttuava mezz’aria attorno a lei, quasi come fossero tante stelle stagliate nel cielo, con l’unica e sola differenza che, per quanto dentro al bosco si potesse affermare il contrario, fuori era giorno. Sheyla avanzò lentamente e si avvicinò ad una delle sponde del laghetto, con la lanterna tenuta a mezz’aria e tesa in avanti. La sua luce fioca non le sarebbe più servita una volta arrivata nel reame dell’albero cuore, ma per il momento quella era l’unica fonte di cui disponeva per orientarsi senza perdere la vita.
Si affacciò lentamente sulle acque del lago, la destra al petto e la sinistra alta. Seppur con poca nitidezza, le acque, inondate dalla luce della lanterna, specchiarono la sua esile figura. La fiala donatale da Illymio aveva avuto, almeno in parte, l’effetto desiderato. Sheyla adesso era la figura che era stata un tempo, prima della morte e prima dell’inizio di ogni sua peggiore disgrazia.
Sorrise nel vedersi sulle acque, soddisfatta di ciò che era riuscita a fare. In pochi avrebbero saputo creare un incantesimo di tale calibro, capace di ridare alle cose la forma originaria, agli uomini la forma primitiva. Era bastata una sola notte per ucciderla, anni fa, e una sola per farla risorgere. Se chiudeva gli occhi poteva ancora avvertire il brulichio delle fiamme che l’avevano avvolta per tutta la durata della notte e che le avevano ridato l’aspetto della creatura che era stata.
Continuò a fissarsi sorridendo. Il suo corpo era sinuoso, molto più di quello che aveva avuto nelle vesti della strega. La pelle chiarissima, sfumante al verde pallido come il manto ruvido delle rane. Dal capo ricadeva una chioma di capelli folti e bruni, intrecciati a giunchi, lillà ed edere. Le sue orecchie erano diventate nuovamente lunghe ed appuntite, proprio come un tempo, anche se ora non sapeva constatarne la loro validità. Se era il bosco a non avere più suoni o le sue orecchie a non funzionare più correttamente, Sheyla non sapeva dirlo.
Fece scorrere la mano sulle acque. Oltre le vesti trasparenti che indossava e che le ricoprivano il busto fino ai palmi, Sheyla poteva avvertire il potere scorrerle dentro le vene. La strega aveva l’aspetto di un folletto, malgrado non avesse perso l’essenza magica di un’umana. Se lo avesse desiderato, avrebbe potuto ricoprire quel lago di energia bianca, mandarlo in rovina, distruggere gli alberi, bruciare la legna, massacrare gli animali, aprire in due metà il cielo e la terra, folgorare le rocce e le erbe. Ma doveva mantenere quelle forze per un altro scopo.
Qualcuno o qualcosa, poco distante da lei, si mosse velocemente nell’erba. Sheyla si guardò attorno per qualche secondo.
«Chi va là?» domandò alzando la voce e la lanterna più del necessario.
Nessuno rispose e l’erba rimase immobile com’era. Il solo fruscio udibile era quello dello scorrere delle acque sporche.
Sheyla posò la lanterna sul terreno, che si spense non appena toccò la roccia nuda. Portò avanti le mani e plasmò una palla di luce. Non appena il bosco fu investito da tutta quella energia, un cupo rombo risuonò il lontananza.
«Fatevi avanti, ombre.» mormorò avanzando di qualche passo e perlustrando il luogo. «Non vi temo, spettri del bosco.»
Il fruscio si intensificò alle sue spalle. Si girò di colpo.
«Mi hai insegnato a non temerti, ombra. Non puoi spaventarmi!». Sheyla socchiuse gli occhi ed ascoltò attentamente. Il folletto che era stato la signora dei boschi respirò tutta l’aria malsana di quel luogo inquinato. Portò indietro il palmo della mano e si fece luce alle spalle.
«Ti comando di uscire, nel nome di Sheyla Spina d’Argento!»
«E nel nome di Sheyla Spina d’Argento io ti condanno ad una morte rapida e senza dolori!»
Un grosso cervo macchiato dall’età uscì fuori dall’erba fitta che s’innalzava poco distante. Il suo corpo era molto più grasso e formoso di quelli che aveva visto giocare sul tronco, e le sue corna molto più lunghe e contorte.
«Aireo!» urlò la strega sbalordita nel vederlo. «Cervo, non mi riconosci?»
Al contrario della bestia, lei lo conosceva molto bene. Aireo era un cervo parlante – così come tutte le altre creature del bosco del cuore - il segugio di Pancrazio, uno sgherro in grado di compiere ogni suo volere.
«Ho conosciuto il tuo corpo, ma ora non conosco te.» rispose l’animale spingendo avanti il muso e facendosi guardingo. «Il folletto femmina che servivo è morto anni fa.»
«Ed è risorto adesso, Aireo. Conosco il tuo nome, tu non far finta di non ricordare il mio.»
«Sheyla…» mormorò lui. «Era questo il suo nome. Lei era bella come le pietre luccicanti dell’entroterra. Ma tu non sei lei. Le donne non possono morire per ritornare a vivere.»
«E i cervi non possono parlare.» ribatté lei.
«Questo non è vero, incantatrice. La tua insolenza ti costerà cara.»
«Che ne sai tu di cos’è vero e cosa non lo è?»
Aireo chinò il capo verso terra. Le lunghe corna contorte tracciarono un solco a croce sul fango e poi iniziarono a brillare. Il cervo aveva sempre avuto il potere di creare illusioni e smascherare i sortilegi attraverso le sue corna. Il punto scavato iniziò a franare lentamente e a rimodellarsi, la terra si spaccò giusto un po’ e si frantumò in tanti piccoli pezzi. Un fiore sorse esattamente nel punto in cui le due linee che aveva disegnato si incrociavano.
«Questo luogo non è ciò che credi sia. Agli occhi di non chi non sa vedere, il bosco appare solo come un bosco. Il signore delle illusioni può permettersi di saper distinguere il vero dal falso, il giusto dall’errato. Per caso hai mai redarguito un uccello perché non sapesse volare? Donna spergiura, il tuo inganno ti costerà un paio di dita.»
«Non hai il permesso di rivolgerti a me in questo modo. Un tempo avresti chinato il capo solo per baciare la terra su cui posavo i piedi.»
«Tu desideri ingannarmi, lo leggo nei tuoi occhi. Dici di essere Sheyla Spina d’Argento, eppure i tuoi occhi negano ogni tua singola parola. Leggo paura e dolore nei tuoi, fastidio e… disonore.»
«Non mi fai paura. Il tuo bosco non mi fa paura. Io sono Sheyla Spina d’Argento, Regina del Bosco, signora dello spietato e velenoso Pancrazio. E io sono qui per ucciderlo.»
Quella frase non piacque per nulla ad Aireo, che dimostrò il suo dissenso con un nitrito impacciato.
«Questo non ti è concesso, incantatrice. Le tue mani non si poseranno mai sul corpo di Pancrazio, sappilo bene.»
«Questa è una cosa che spetta a me decidere.»
«Non qui» rispose secco il Aireo. Scavò tre volte la terra con lo zoccolo. «Non nel nostro bosco.»
Il cervo s’impennò sulle zampe anteriori e nitrì furiosamente scuotendo da una parte all’altra il capo. Quando si rimise sulle quattro zampe, la terra vibrò sotto di loro.
«Non costringermi a prenderti, furfante. Esci da questo posto di tua volontà e torna da dove sei venuta. Pancrazio sarà informato dell’inganno, e non sarà certo contento di sapere che un’incantatrice ha rubato le sembianze della sua dipartita signora.»
«Che lui stesso ha ucciso.» aggiunse Sheyla guardandolo in cagnesco.
«Non puoi permetterti di parlare del Signore senza neppure conoscerlo. La sua signora è morta, e tu non puoi essere lei.»
Aireo spinse in avanti la testa, la calò rapidamente e la fece passare sotto al braccio di Sheyla, poi la rialzò con la medesima velocità. Il braccio della strega rimase incastrato tra le due corna della creatura.
«Lasciami andare, Aireo! Io non ti permetto di toccarmi!» urlò. Non voleva mettersi contro quella creatura, un tempo amico fidato e leale. Eppure, il cervo la stava proprio costringendo a fare il peggio. Scosse il braccio prima da un lato e poi dall’altro, mentre lui piegava il capo a tempo per non permetterle di staccarlo. Le corna le infilzarono la veste, poi, lentamente, anche la carne del braccio. Non appena avvertì i primi dolori, la sua rabbia ebbe la meglio sulla sua forza. Sheyla alzò l’altra mano e la scaraventò sul suo capo, contorcendo le dita sulla sua mascella. Spinse il cranio della creatura invano, finché questa non nitrì più forte. Allora Sheyla si sentì risalire l’energia attraverso il braccio, scorrerle lungo tutte le dita. L’onda di luce fuoriuscì con un bagliore dal suo palmo e si schiantò sul volto del cervo, senza che neppure la strega riuscisse a rendersene conto. Sheyla tirò indietro il braccio dalla sua morsa. Un’altra volta la creatura s’impennò sulle zampe anteriori, scalciò, nitrì di furore e poi cadde per terra.
Sheyla iniziò a correre senza una meta. Il cervo si stava contorcendo sul fango, le zampe che andavano alla ricerca di un pezzo di terreno meno molle su cui poter essere poggiate. Non appena lo vide rialzarsi goffamente, iniziò a correre attraverso l’intricato ammasso di erba alta. Si fece strada in quel mare verde allargando le braccia come se stesse nuotando, spezzando piccoli arbusti e abbassandosi di tanto in tanto per superare dei ramoscelli. Corse su per una piccola collinetta scoscesa, e continuò a correre finché non pensò di essersi liberata di Aireo. Ma il cervo conosceva più di una scorciatoia in quel luogo e, a dimostrazione di ciò, fuoriuscì da una piccola grotta proprio sulle pendici della collinetta. Sheyla trasalì e poi riprese a correre nella direzione opposta, le sue piccole e minute gambe da folletto che si contorcevano doloranti.
Aireo continuò a seguirla correndole dietro e lasciando che i suoi passi risuonassero acuti in tutto il bosco. Sheyla non aveva mai visto Aireo così infastidito dalla sua presenza. Passò attraverso una caverna breve e sbucò dall’altro lato del bosco. Ancora una volta, il cervo si perse alla sua vista. Sheyla però non si fermò, e corse finché non fu ad un passo dallo sfinimento, finché la strada di rovi contorti non si ridusse a nulla poco di meno che un vicolo senza via d’uscita. Tutt’attorno a lei si innalzavano possenti alberi secolari, un vallo di pietre e fango sulla via principale e rocce ammassate lungo i lati. Sheyla era estranea a quel luogo, talmente tanto lontana da quegli animali e da quelle piante da sentirsi mancare il fiato, sebbene non fosse per la lunga ed estenuante corsa.
Rimase a fissare le tenebre per un’eternità, prima che il silenzio di quell’ambiente fosse distrutto dal suono di passi delicati in lontananza. Sheyla sussultò.
«Allontanati, Aireo!» urlò al vuoto. Si voltò e diede le spalle al vallo, la mano aperta verso la via principale, vuota. «Se non lo farai giuro che manderò alle fiamme il tuo bosco. Eccoti una dimostrazione!». Tese maggiormente il braccio e sprigionò una serie di palle d’energia bianca che si frantumarono contro i tronchi di tre alberi e che appiccarono un incendio. Le lingue di fiamme presero immediatamente a risalire lungo il tronco di ognuna delle piante, mandandole presto in rovina.
Sul sentiero calò il silenzio e il brulichio delle fiamme s’intensificò. Sheyla guardò a sinistra nella coltre di arbusti e piante, poi a destra nell’intricato ammasso di foglie e rovi. Tese lo sguardo alle sue spalle, dove il vallo non permetteva alla via di proseguire. Di Aireo non c’era traccia.
Dalla via provenne un altro rumore ovattato. Gli occhi della strega saettarono nella direzione del suono. Lentamente e con una grazia propria di pochissime creature, Aireo emerse dall’erba folta con il suo fiero portamento e con il capo alto. I suoi occhi neri scagliavano in ogni direzione il suo monito di inequivocabile serietà. Il suo manto era cosparso di qualche pelo grigio sotto al mento e sul collo, che gli conferiva un aspetto più saggio e anziano del dovuto. Aireo era sempre stato quel che era ora. Difatti, le creature del bosco non potevano invecchiare, specie quelle che, come loro, avevano un potere e il sacro obbligo di difendere l’albero cuore nelle vene.
Aireo avanzò con lentezza, un passo alla volta, mentre Sheyla indietreggiava sempre più. La strega dovette fermarsi non appena toccò con le spalle e con le mani il grande vallo di pietra. Non c’era più scampo, ora. Se da una parte si trovava una barriera inequivocabile e testarda come la pietra robusta, dall’altra c’era un vallo costruito appositamente per sbarrare i percorsi. Sheyla chiuse appena gli occhi.
«Il bosco ti ha imbrogliata, incantatrice. Lo fa con tutti coloro che sono estranei alle sue vie. Se fossi stata davvero chi dici di essere, non avresti avuto problemi a sfuggirmi. Sheyla Spina d’Argento non aveva rivali in campo di fuga.» mormorò il cervo scuotendo avanti il capo con fare regale. «Persino le sue spoglie hanno abbandonato il bosco con una fuga del tutto inspiegabile. Nessuno ha mai saputo dire in che modo il corpo della mia signora evaporò dal giaciglio in cui era stato lasciato. Nessuno.»
“La tua signora è ancora qui, cervo, ma tu sei diventato troppo cieco per rendertene conto”. Sheyla abbassò il capo e mandò avanti le ciocche dei suoi capelli. «Tu non mi crederai, Aireo. Ma io sono Sheyla, la tua signora. È stato Pancrazio a togliermi la vita, e lui stesso a bruciare i resti del mio corpo. Credimi, cervo, non avrei motivo di dirti delle bugie.»
«Fandonie, incantatrice.» sibilò Aireo. «Non provare a menzionare un’altra volta il suo nome, o dovrò toglierti la vita.»
«Sei un suo servo, ecco tutto. Con cosa ti ha pagato quell’essere viscido?»
Il cervo nitrì.
«Vorresti spaventarmi? Non temo la morte, Aireo, ho smesso di farlo anni orsono. E tu, cervo, hai paura di morire oggi e di essere confinato all’inferno?»
«Non parliamo di simili argomenti nel bosco: gli esseri bianchi non temono la morte. Tu dovresti farlo invece, sappilo. Assumere le sembianze di un folletto deceduto è un reato che va contro ogni sacra morale del bosco.»
«Non hai risposto alla mia domanda, Aireo». Sheyla lo redarguì con lo sguardo. «È l’inferno a farti tremare?»
«L’inferno è qui» disse. «Qui per te e nessun altro.»
«Dimostramelo allora, avanti. Io sono pronta.»
Aireo s’impennò sulle zampe anteriori e mosse rapidamente le altre due. Sheyla tese in avanti entrambe le mani puntando il corpo del cervo, che ricadde di peso sul terreno. La creatura sibilò e inspirò l’aria del luogo con le sue enormi narici. Le lunghe corna presero ad illuminarsi assumendo lo stesso colore dell’oro appena fuso. Prese una lieve rincorsa e poi si gettò su di lei con furia. Sheyla scagliò le prime folgori sul terreno. Un’enorme barriera di fuoco si levò in alto e formò una linea di fiamme davanti a lei. Il cervo arretrò di qualche passò, scalciò e poi ringhiò. Chinò in basso il capo e impresse dei solchi sul terreno. La luminescenza delle sue corna si disperse nelle tracce sul fango, e le fiamme si spensero come se bagnate da tonnellate d’acqua. Sheyla posò una mano sul vallo e lanciò altre sfere di luce verso la creatura. Il cervo le schivò tutte con eleganza, lasciando che andassero a sbattere sugli alberi e sull’erba. Riprese a correre verso di lei. Sheyla concentrò tutte le sue forze sull’obiettivo e spalancò entrambe le mani. Socchiuse gli occhi e s’impuntò sui talloni. La forza che impiegò nello scagliare quelle sfere d’energia la fece ricadere per terra, ma non produsse alcun risultato. Aireo scansò ogni attacco e ne parò uno con le lunghe corna. La creatura abbassò il capo e si preparò all’impatto contro il suo corpo, la testa che mulinava da un punto all’altro con le corna lucide e lucenti. Sheyla chiuse gli occhi. La morte e le ombre l’avrebbero presa lì, senza neppure accorgersene… proprio come l’ultima volta. Strinse le mani in pugno finché le proprie unghie non si conficcarono sulla pelle, lasciando che iniziasse lentamente a sanguinare.
Poi un soffuso bagliore divampò nell’aria, e Aireo non la colpì mai.
La luce s’intensificò. Non appena Sheyla fu inondata da quell’immenso bagliore, si rimise immediatamente in piedi e osservò con stupore la scena. Una lunga scia di luce proveniva dall’estremità superiore del vallo che aveva alle spalle e si diradava verso il cervo, trattenuto a mezz’aria da tutta quella forza. Aireo stava scalciando e nitrendo furiosamente, colto da un improvviso impeto di violenza. Sheyla avanzò giusto quanto bastava per vedere chi fosse il suo salvatore, trattenendo le vesti con la destra. Fu costretta a posare una mano sulla fronte per non essere accecata dall’immenso bagliore proveniente dal vallo, e dovette ammiccare un paio di volte prima di poter scorgere anche solo una figura in ombra.
Infine riuscì a vedere.
La longilinea figura di una donnola si ergeva proprio al centro della barriera di pietra, le corte zampette ritirate sul dorso e il muso sporto all’infuori. Erano i suoi occhi a proiettare tutta quella luce, forte ed accesa come quella del sole. Si sentì richiamata da quel potere, avvolta da tutto quel calore. Alzò improvvisamente le braccia al cielo e si fece abbracciare dal caldo furore della luce, mentre alle sue spalle Aireo si contorceva fluttuando a mezz’aria. La luce l’avvolse dal capo ai piedi e lei fu obbligata a chiudere gli occhi per non accecarsi; quando li riaprì fu come se non fosse servito a nulla. Credé di essere diventata cieca, credé di aver perso la vita. Le ombre si stagliavano tutt’attorno a lei, coprendola e soffocandola come se la stessero stringendo da ogni lato. La luce iniziò pian piano ad affievolirsi lasciando spazio alla fredda aria delle tenebre.
L’ombra del bosco adesso era più scura che mai.

                                                                          

Note d'autore: 
Un grazie immenso a Spettro94 e a The3rdLaw, che ormai conosco bene, per le loro preziose recensioni lasciate al precedente capitolo. Un ringraziamento speciale anche ai miei lettori silenziosi: spero di avervi soddisfatto anche con questo secondo. Il prossimo aggiornamento è previsto per la settimana seguente [martedì 21]. 
A presto, Makil_
   
 
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