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Autore: NamelessLiberty6Guns_    14/03/2017    3 recensioni
Era ufficialmente la fine.
Le notizie lo dicevano forte e chiaro. Il razzismo aveva toccato picchi fino ad allora ancora non raggiunti. I posti di lavoro si esaurivano sempre di più. L’odio scorreva insieme al sangue nelle vene degli uomini, la rabbia era l’unica lingua conosciuta: gli Stati avevano iniziato ad investire nella produzione bellica. Tutto questo mentre la Terra continuava a scaldarsi, i ghiacci si scioglievano oltre il punto di non ritorno, deserto nasceva dove prima c’era erba, animali morivano, persone morivano. Ma niente, i ricchi non si rendevano conto che fra non molto i loro soldi sarebbero valsi meno del letame. L’unica cosa da fare? Affidarsi alla religione.
Genere: Angst, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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BEFORE THE AEONS CAME



Part 1 - Blow Your Trumpets, Gabriel.

Era ufficialmente la fine.

Le notizie lo dicevano forte e chiaro. Il razzismo aveva toccato picchi fino ad allora ancora non raggiunti. I posti di lavoro si esaurivano sempre di più. L’odio scorreva insieme al sangue nelle vene degli uomini, la rabbia era l’unica lingua conosciuta: gli Stati avevano iniziato ad investire nella produzione bellica.
Tutto questo mentre la Terra continuava a scaldarsi, i ghiacci si scioglievano oltre il punto di non ritorno, deserto nasceva dove prima c’era erba, animali morivano, persone morivano. Ma niente, i ricchi non si rendevano conto che fra non molto i loro soldi sarebbero valsi meno del letame. L’unica cosa da fare? Affidarsi alla religione.
Perché fu così che la presentatrice del telegiornale della sera salutò gli ascoltatori: “Che Dio possa avere pietà di noi.”
‘Già. Dio.’ pensò Akira, spegnendo la televisione. Nel buio della sala, c’era solo lui e i suoi soliti pensieri. Perché nessuno aveva fatto niente per fermare il declino? Perché era esistita gente prima di lui che non aveva capito i messaggi che la Terra stessa mandava ai suoi abitanti, perché i soldi erano rimasti l’unica cosa a cui la gente aveva tenuto? Ma specialmente: perché affidarsi ad un dio quando quest’ultimo non s’era fatto sentire nemmeno per le cose più minime?
Lui non ci credeva mica, in Dio. Nemmeno in una religione. Diceva di essere libero, lui. Forse, anzi, le uniche cose che lo fregavano erano vecchie usanze che gli erano rimaste addosso data la sua educazione cristiana. Sì, sua madre faceva parte della comunità cristiana Giapponese, e questo aveva portato delle conseguenze: la paura di fare qualsiasi cosa considerata “peccaminosa” (sua madre gli aveva raccontato che il Diavolo l’avrebbe portato con sé all’Inferno se si fosse comportato male, e lui ci aveva creduto ciecamente) e tutta una serie di superstizioni che gli rimanevano attaccate addosso come cerotti indossati troppo a lungo. Ad esempio, quello stupido impulso che lo portava a volersi fare il segno della croce prima di affrontare un esame. O quell’orrenda abitudine che aveva di ringraziare Dio quando le cose andavano bene, eppure sapeva benissimo che era merito di una persona in carne ed ossa se quella cosa era andata a buon fine. Erano cattive abitudini che aveva cercato inutilmente di estirpare. Ma ora che si trovava sul filo del rasoio… 
Sospirò pesantemente, alzandosi dal divano e continuando a riempirsi la mente di domande. Era davvero saggio affidare la propria sorte nelle mani di un’entità superiore in cui aveva creduto quand’era poco più che un bambino? Quando ancora credeva nella fatina dei denti e in Babbo Natale? Si disse che non poteva tradirsi così. Avrebbe affrontato qualsiasi cosa sia avvenuta con razionalità, com’era giusto che fosse. No?
Fece qualche passo verso la finestra: il paesaggio del suo piccolo paesino era immerso nel buio completo, aiutato da uno spesso strato di nuvole più nere del nero stesso. In cuor suo sapeva che da quella sera le cose sarebbero peggiorate, l’umanità intera avrebbe toccato il fondo e non sarebbe mai più risalita. Come nel libro dell’Apocalisse. Ne aveva ricordi molto vaghi. Ricordava quattro cavalieri, che sarebbero arrivati dato lo squillo delle trombe dell’arcangelo Gabriele… Si scosse infine, spostandosi dalla finestra, decidendo di andare a prepararsi per dormire e di smetterla di pensare a quelle stupidaggini.
Accese la luce in bagno, aprendo l’acqua e attendendo che si scaldasse. Nel frattempo si studiò per un attimo allo specchio, controllando la ricrescita della barba: decise che il giorno dopo avrebbe rimediato. Si sciacquò quindi il viso, asciugandosi con un asciugamano a portata di mano e lavò bene i denti. Un tuono proveniente dall’esterno lo fece sobbalzare. Considerate le nuvole che aveva visto fuori, di certo non poteva aspettarsi una semplice pioggerellina, quella notte. E dunque giunse nella sua stanza, accendendo la piccola televisione di fronte a sé e lasciandola su un vecchio film in programmazione. S’infilò a letto, senza ulteriori indugi. Ma venne sorpreso.
La ricezione del segnale iniziò ad avere problemi. 
Un enorme boato esplose all’esterno.
E, l’avrebbe potuto giurare su sua madre, quel boato non poteva essere altro che un potente, seppur ovattato, squillo di trombe.
Si sentì rabbrividire fino nell’anima. 
Sentiva terrore puro dentro lo stomaco.
Suona le tue trombe, Gabriele.”, si ritrovò a recitare.




 

Part 2 - Furor Divinus.

L’oceano in burrasca si rovesciava con incommensurabile rabbia in enormi onde sulla costa. Nel cielo, le nuvole nere come la pece facevano cadere gocce di pioggia grandi come granate, inoltre erano attraversate da abbaglianti lampi e i susseguenti tuoni erano potenti come esplosioni di bombe. In cima ad una ripida scogliera, ammirando la catastrofe che la natura stava generando, se ne stava un uomo apparentemente anziano, dato che il suo volto era coperto da un enorme cappello nero, una lunga tunica dello stesso colore lo rivestiva. Un enorme paio di ali color dell’ebano erano richiuse sulla sua schiena. Si reggeva poi ad un lungo bastone, una mano decrepita unica testimonianza della sua più che avanzata età. Sembrava che quelle condizioni atmosferiche non lo turbassero per nulla al mondo, anzi, affascinato, sembrava divertirsi a guardare gli schizzi delle onde sugli scogli ritornare mare, per poi essere di nuovo lanciati in aria. D’un tratto, qualcosa all’orizzonte attirò il suo sguardo: da lontano, portati da ali più nere delle nuvole, arrivavano tre persone. Sorrise. I tre si avvicinavano velocemente, tanto che in breve tempo atterrarono a fianco del vecchio. Il primo aveva lunghissimi capelli neri, il corpo completamente rivestito di bende e garze, dalle quali però si distinguevano chiaramente bubboni e ferite infette. Non aiutava di certo il colore cadaverico della sua pelle e gli occhi completamente infossati. Il secondo invece era bellissimo: capelli chiari, viso dall’espressione fiera ed altera, in raffinati abiti militari. E infine il terzo era messo peggio del primo: magro, affamato, i poveri stracci che indossava non nascondevano le sue ossa completamente visibili. I capelli neri mettevano ancora più in mostra il viso completamente scavato, tanto da poter chiaramente vedere gli zigomi, e la carnagione era talmente pallida da essere incolore. Ma l’uomo anziano sorrise. “Aoi, Uruha, Kai. Che piacere rivedervi.”
“Piacere è nostro, Ruki.” rispose Uruha, togliendosi il cappello militare dalla testa. “Non ci potevamo credere: le trombe hanno squillato.”
“È giunto il momento di porre fine a questo scempio…” mormorò il vecchio quindi, reggendosi al bastone e mettendosi in cammino. I nuovi arrivati lo seguirono. “Gli umani hanno superato ogni limite. Mi chiedevo quando sarebbe arrivato il momento…”
“Che hanno combinato per arrivare finalmente a questa decisione?” mormorò stancamente Aoi.
Ruki si fermò, indicando le alte montagne a parecchi chilometri di distanza da loro. “Lo vedi quel ghiacciaio, Aoi?”
“Ehm… No, non lo vedo.”
Ruki si voltò verso di lui. “Appunto.
“Mi stai dicendo che….”
“Sì, fratelli.” disse il vecchio, rivolgendosi a tutti loro. “L’hanno fatto. Hanno portato la Terra sull’orlo del baratro. Il loro odio non conosce più limiti; si sono creati mille trappole in cui loro stessi sono cascati, mettendo in ginocchio loro, oltre che le generazioni future e la Terra, loro casa. E l’unico modo per fermarli… Siamo noi.”
Aoi non rispose, turbato da queste parole.
Si rimisero dunque in cammino.
“E chi di noi andrà per primo?” chiese Uruha.
“Tu, ovviamente. Seguiranno Kai e Aoi, in quest’ordine. Poi… Poi ci penserò io.”
“Avrai un mucchio di lavoro da fare… Sette miliardi di persone non sono poche…” disse Kai.
“Lo so… Ma voi mi darete un grossissimo aiuto, dovreste saperlo.”
Arrivarono quindi ai margini di un’enorme foresta.
“Vai, Uruha, fratello mio.” invitò Ruki. “Io vi seguirò quando avrete compiuto i vostri doveri. La mia vecchiaia non m’impedirà di arrivare in ritardo, ve lo posso assicurare.”
Rimbombò dal cielo un altro, potente, squillo di tromba.
Uruha dunque aprì le enormi ali. “È giunto il mio momento, quindi.”
E così dicendo, prese il volo, scomparendo nel vento impetuoso. Gli altri tre rimasero assorti ad osservare il cielo, le nubi ancora più scure di prima.
“Venite con me, non è ancora il vostro momento.” disse Ruki, entrando dunque nella foresta e camminando a fatica, seguito dai due uomini.
“Secondo te, Ruki, quanto ci vorrà per finire il lavoro?” chiese Kai.
“Meno di due anni.” rispose Ruki, con voce gutturale, maniaca. “Quello che gli uomini chiamano furia divina la proveranno sulla loro pelle… E credimi, pagheranno tutto ciò che hanno da pagare.” E, calato di nuovo il silenzio, continuarono a camminare.




 

Part 3 - Messe Noire.

Ovviamente era stato incapace di dormire. 
Aveva passato la notte a seguire telegiornali su telegiornali, i quali ovviamente avevano cercato in ogni maniera di trovare una spiegazione a quel roboante squillo di tromba, non riuscendoci. Ma ovviamente avevano inventato delle rassicuranti scuse con cui calmare le persone a casa, a cui Akira non aveva minimamente creduto. Poi, verso le prime luci dell’alba, un tuono così forte da far tremare le pareti di casa diede inizio alla più grande tempesta a cui mai avesse assistito.
Poi quel maldetto suono era tornato, di nuovo dal cielo.
Incuranti di tutto ciò che era successo nelle ultime dieci ore, un’altra edizione straordinaria del telegiornale annunciò al mondo che ufficialmente gli Stati Uniti avevano dichiarato guerra alla Russia. Insomma, il fondo stava iniziando ad avvicinarsi pericolosamente.
Difatti, varie nazioni dichiararono guerra ad altre nazioni, si segnalò un aumento spropositato della richiesta di manifattura bellica nel giro di forse un mese, e in tutto questo la Nord Corea era in qualche maniera riuscita a far arrivare un missile sul Giappone. Il caos totale era iniziato.
E lui era rimasto lì a chiedersi ancora da dove provenisse quel suono. Chi l’aveva fatto. Perché dopo quello squillo era scoppiato tutto quel casino. Non riusciva a trovare una risposta, povero Akira. Quella sera, mentre dal cielo pioveva un’altra, immensa, tempesta, qualcuno venne a suonare alla sua porta: era il pastore della comunità di cui aveva fatto parte.
“Oh, signor Kawamura, che piacere!” disse Akira, facendolo entrare. Certo, una cosa che non voleva assolutamente fare era essere scortese, anche con una persona che non aveva mai apprezzato.
“Piacere mio, caro Akira. Grazie per avermi fatto entrare.”
“Si figuri, non potevo lasciarLa là fuori con questo tempo.” disse gentile il ragazzo, invitando con una mano il pastore ad accomodarsi nella sala.
L’uomo si sedette sul divano.
“Non posso non chiederLe il come mai di questa visita.” disse Akira, sedendosi dirimpetto al pastore.
“Akira… Lo vedi come stanno andando le cose. Ho bisogno di appellarmi anche a te. Io e il resto della comunità abbiamo deciso di organizzare dei rituali giornalieri per poterci salvare.”
Avrebbe voluto urlare. Avrebbe voluto dire parole piene d’odio. Ma lui non era così. Dovette appellarsi a tutte le sue forze. Prese un profondo respiro. “Signor Kawamura, io… Io credo che in questo esatto momento storico le preghiere possano fare ben poco.”
“Perché dici questo, Akira?” chiese curioso il pastore.
“Perché, e credo lo sappia molto bene, io non credo nell’esistenza di un’entità superiore. Di nessun tipo.”
“Come me lo spieghi quel suono che abbiamo sentito tutti più d’un mese fa? Allucinazioni uditive?”
“Non lo so spiegare, signor Kawamura. Ma sicuramente non è stato l’arcangelo Gabriele a far suonare le trombe dell’Apocalisse.”
Ma fu allora che lo colpì. La realizzazione che il primo dei cavalieri dell’Apocalisse era proprio lui: Guerra. E com’era il mondo in quell’esatto istante? In guerra totale. Dovette
rabbrividire. 
“Io credo invece che sia iniziata l’Apocalisse, sai.” sospirò il pastore. “E non possiamo fare altro che pregare per la nostra salvezza. Tu per me sei una pecorella smarrita, Akira. Vorrei approfittare di quest’occasione per riportarti nella salvezza dell’ovile.” 
Akira strinse forte i pugni. L’odio gli bolliva nelle vene. “Io non sono una pecora smarrita, signor Kawamura. Ho fatto un lungo ragionamento e ho capito che non è mai esistito alcun tipo di dio.”
“Ne sei proprio sicuro?” chiese l’uomo, alzandosi in piedi.
Akira lo imitò. “Sicurissimo.”
“Allora non ho niente da fare qui.” e dunque s’incamminò verso la porta. Akira lo precedette di corsa per aprirla.
“Ricorda, Akira: non sarà una messa nera a salvarti.” e prese l’ombrello, che aveva lasciato in un contenitore fuori dalla porta.
Akira sbiancò. “Mi sta dando del satanista, signor Kawamura?”
“Chi non serve Dio è automaticamente servo di Satana, ricordalo bene.”
“Lei non ha capito!” disse Akira, perdendo dunque tutta la pazienza. “Io non credo in nessun tipo di dio! E non credo in alcuna stronzata che abbia a che fare con Lucifero e affini!”
Ma, senza dire nulla, il pastore gli rivolse un ultimo sguardo, prima di andarsene.




 

Part 4 - Ora Pro Nobis, Lucifer.

Era stanco. Maledettamente stanco.
Il dover costantemente lavorare e l’età decisamente avanzata stavano giocando orribili scherzi su di lui. Camminava a fatica fra le macerie, reggendosi sul suo bastone. Fra i rumori atroci della guerra sentiva gemiti provenire dalla devastazione che lo circondava, ma gli bastava muovere una mano per far tornare il silenzio.
“URUHA!” urlò, con tutto il fiato e la forza che aveva, continuando a camminare, mettendo a tacere urla di dolore e grida di aiuto. “URUHA!” urlò ancora.
Finalmente apparve: la divisa distrutta, lui completamente ferito, le ali ridotte a brandelli.
“Ruki, eccomi!” disse, trafelato.
“Basta così.”
“C-come basta così? Non…”
Basta così.” ripeté Ruki con voce gutturale. “Sei stato grandioso. Ora però tocca a Kai.”
“Ma… Ma sono a metà dell’opera, sono quasi riuscito a convincere vari governi dell’uso di armi nucleari…”
“No, Uruha. Le armi nucleari porteranno la Terra ancora più sull’orlo della fine. Basta. Vai a riposarti, ora.”
Uruha quindi abbassò il capo. Ruki posò una mano sui bei capelli chiari incrostati di polvere e sangue. Uruha cadde in ginocchio, per poi sparire completamente.
Sembrò quasi che l’aria si fosse placata, un silenzio surreale regnava dove prima si sentivano fischi di pallottole, esplosioni e dolore. Ruki inspirò profondamente. 
Nessuno avrebbe dato sepoltura a quei corpi, sparsi ovunque intorno a lui, anche sotto le macerie.
Ed erano soltanto all’inizio. 
Un rumore dietro di lui lo fece voltare. Kai stava giusto chiudendo le enormi ali sulla schiena, facendo un debole sorriso a Ruki.
“Ben arrivato, fratello.” disse l’anziano.
“Ti ringrazio, Ruki. Vedo che Uruha si è decisamente dato da fare.”
“Sì, ho dovuto porre fine al suo lavoro. Ma ora tocca a te.”
“Non ti deluderò.” e così dicendo, si mise in cammino.
Lo guardò andare via, prima di sentire un lamento flebile provenire da un alto edificio vicino a lui. Da una delle poche finestre superstiti udiva molto bene un pianto infantile. Impietosito, aprì le ali a fatica, per poi balzare in aria e raggiungere quell’esatta finestra. Le pareti all’interno dell’appartamento erano completamente crollate, i mobili spazzati via e ridotti in mille pezzi erano sparsi ovunque. Sotto uno vecchio armadio caduto, spuntavano delle esili braccia, probabilmente di una giovane donna; Ruki non lo seppe determinare. E proprio accanto ad esse, un fagottino di stracci emetteva quel lamento disperato. Ruki estrasse dalla tunica un guanto nero, e una volta indossato, spostò alcuni lembi del fagottino per trovare un bambino di pochissimi mesi, affamato, ferito, salvato dal crollo della sua casa evidentemente dal genitore. Indossato anche l’altro guanto, se lo prese quindi fra le braccia, cullandolo appena. A volte provava pietà. 
Sapeva che non doveva farsi intenerire, ma odiava, odiava davvero quando era il turno di quelle minuscole creature. Il piccolo strinse nella manina un dito di Ruki, succhiandolo appena: aveva fame, era evidente. Ma Ruki non poteva fare nulla.
Sospirò pesantemente. Non aveva altra scelta. 
E, tolto un guanto, appoggiò una mano sulla fronte del neonato. Gli dolse il cuore quando sentì la manina lasciargli il dito, i suoi occhietti chiudersi, il flebile lamento terminare e il respiro interrompersi.
Una lacrima nera gli solcò la guancia.
DIO NON C’ASCOLTA PIÙ!” sentì urlare, in strada. S’affacciò alla finestra, con il bimbo ancora fra le braccia. Una vecchia signora, trascinando una gamba rotta, sanguinante, avanzava fra pochi spettatori giunti evidentemente mentre Ruki era stato distratto. La donna ruppe con un gesto il rosario che portava al collo. “DIO C’HA ABBANDONATI!” urlò ancora. “E ALLORA NON ABBIAMO ALTRA SCELTA! PREGA PER NOI, LUCIFERO! PREGA PER NOI!” urlò, gettandosi a terra, in lacrime. Chi la circondava rise di lei. Ma lei continuò ad urlare “Prega per noi, Lucifero!”
Ruki dovette concedersi un’amara risata. “Ridicoli, ridicoli umani.” si disse, ritornando il bambino alle braccia del genitore. “Sempre affidarvi ad idoli, e sempre quand’è troppo tardi. Mai vi siete accorti che loro non hanno mai fatto nulla per voi…” 





Part 5 -  Amen.

Le guerre dunque erano finite, quasi così com’erano iniziate. I grandi si erano resi conto di aver rovinato ulteriormente il fragile equilibrio della Terra, certo, ma senza ovviamente rendersi conto di quanti erano stati privati della loro vita. Quindi, si decise di provare a ricominciare, tutti insieme, per il bene dell’umanità. “Questa verrà ricordata come la Terza Guerra Mondiale.” disse qualcuno. E tutti, fiduciosi, sapevano che dopo ogni guerra avveniva il boom economico. Tutto sarebbe tornato al meglio. 
Ma le loro speranze furono tradite. 
Il cibo scarseggiava, i campi erano quasi tutti diventati infertili e nella maggior parte dei casi non c’erano nemmeno più contadini ad occuparsi delle terre, rimasti ovviamente vittime delle guerre appena concluse. Le fabbriche erano quasi tutte chiuse, padroni e operai anch’essi morti o dispersi. 
E Akira lo sapeva, Akira ormai ne era certo che il signor Kawamura aveva avuto ragione: quella era proprio l’Apocalisse. Perché non riuscivano a rialzarsi dal fondo del baratro? Perché i campi non producevano più nulla? Semplice: il secondo cavaliere era Carestia. E quella, era una carestia in piena regola. 
I supermercati erano completamente vuoti. I pochi sopravvissuti disperati entravano nelle case distrutte o abbandonate alla ricerca di cibo. Le poche informazioni che circolavano riportavano addirittura casi di cannibalismo. E la cosa che faceva più incazzare Akira era che, invece di provare a salvare la situazione, di provare a vedere se anche un lembo dei loro curatissimi giardini in stile giapponese avrebbero potuto produrre anche solo una patata, quelli della sua comunità se ne stavano chiusi in chiesa, a morire di fame, certo, ma a pregare. A pregare purché Dio finalmente muovesse il culo a far qualcosa. Lui infatti nei mesi che avevano seguito la fine delle ostilità era riuscito ad arraffare qualche seme da un piccolo ortivendolo purtroppo vittima della guerra, ed era anche riuscito a far crescere qualcosa in giardino, con immensa pazienza. Ma, ovvio, qualcuno era riuscito a rubare ciò che aveva coltivato mentre lui dormiva, assieme ai semi che custodiva nel garage. E lui era rimasto esattamente come prima: affamato e quasi senza cibo. E vedere loro fermi lì, con le donne più anziane venire addirittura a mancare fra i banchi, lo facevano veramente incazzare. E quindi, morente di fame, doveva ridursi come chiunque altro: doveva farsi i chilometri per andare a cercare case da depredare. Tutto questo sotto le peggiori delle tempeste, o del sole più cocente, e molto spesso entrambe le condizioni atmosferiche nello stesso giorno, una dopo l’altra. A volte arrivava troppo tardi, alle volte prima di tutti gli altri. E sapeva, lo sapeva benissimo, che un giorno anche l’ultima casa del Giappone sarebbe stata depredata. E allora sarebbe morto. 
Ad essere sinceri, lui non aveva paura della morte. Mai ne aveva avuto paura, e l’essere ateo lo aiutava molto in questo senso. Ma era l’istinto di sopravvivenza che lo fregava. E quindi, troppo impegnato a capire come fare a resistere ancora qualche mese, aveva lasciato le sue domande esistenziali a riposare in un angolo.
Poi iniziò a non esserci più corrente elettrica.
Poi l’acqua iniziò a scendere con il contagocce dai rubinetti.
I pochi superstiti della chiesa organizzavano processioni, ancora convinti che prima o poi sarebbe arrivata una risposta dall’alto. Ma dal buio della sua casa, Akira vedeva quelle processioni come un passaggio di scheletri: il signor Kawamura in testa, lui e tutti quello che lo seguivano erano ridotti a pelle e stracci. E continuavano inesorabili a chiedere aiuto. 
Non si sentiva migliore di loro. Sapeva che per loro tutti la stessa fine sarebbe giunta. Certo, trovava ridicoli i loro continui tentativi, ma non si sentiva migliore di loro. Ma mentre li osservava, si ritrovò a chiedersi se davvero Dio esisteva. I suoi pensieri ritornarono tutti insieme, dopo averli per così tanto tempo accantonati. Non poteva essere un semplice caso se tutto ciò che venne predetto nel libro dell’Apocalisse stava avvenendo. Prima lo squillo di trombe, poi Guerra, ora Carestia. E poi… E poi Pestilenza. E infine… “Infine venne la Morte, su grandi ali nere.” recitò. 
Non ebbe paura di questa realizzazione. Aveva piuttosto paura del dubbio, l’unica cosa che sembrava rigogliosamente germogliare in mezzo a quella totale devastazione. Il dubbio che forse aveva sbagliato tutto. Le preghiere dei fedeli in strada sembravano amplificate nella solitudine totale della cittadina, voci stanche e gutturali che ripetevano senza sosta vecchie formule. Con un sospiro, Akira s’allontanò dalla finestra, recitando a mente.
“…prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte, amen.” 




 

Part 6 - The Satanist.

Decisamente non era un bello spettacolo.
Reggendosi con sempre più fatica al suo bastone, Ruki osservò l’ambiente che lo circondava, mentre camminava. Campi brulli, la terra spaccata in enormi zolle aride. Fiumi asciutti, con pesci e anfibi in ormai avanzato stato di decomposizione. Animali morti nelle stalle. Gli unici a divertirsi sembravano essere i corvi ed altri rapaci, pronti ad attaccare qualsiasi carcassa, animale o umana, nel loro raggio d’azione. Era da un lato compiaciuto: stava andando esattamente secondo tutti i piani. Aveva sentito dire che Kai, ridotto allo stremo dal suo più che eccellente lavoro, non aveva più la forza per volare; si era quindi ritrovato a doverlo raggiungere. Entrambi non se la passavano molto bene, era evidente. Sapeva dove trovarlo, le voci era molto ben informate. Camminò, calpestando foglie secche, erba completamente bruciata dal sole che da decisamente troppo tempo stava splendendo nel cielo. Non la traccia di una nuvola ad avere pietà di quel deserto. Ruki quindi trovò Kai seduto davanti ad un vecchio capanno abbandonato, sull’orlo dello svenimento per la troppa fatica. Ancor più deperito, sembrava non aver forza nemmeno per respirare.
“Kai, fratello mio.” disse Ruki, inginocchiandosi davanti a lui, preoccupato.
“Ruki, salve.” mormorò l’altro.
“Hai fatto uno straordinario lavoro. Può decisamente bastare.”
L’altro accennò un sorriso. “Sono felice che tu sia orgoglioso di me.”
“Scherzi? Io sono sempre orgoglioso di te.” rassicurò l’anziano.
“Grazie, Ruki.”
Senza rispondergli, Ruki appoggiò una mano sulla fronte di Kai, e così come aveva fatto Uruha, scomparve nell’aria.
Ruki trasse un profondo sospiro, tirandosi a fatica in piedi. Rimase per qualche interminabile minuto immobile, rapito dal paesaggio. Non s’accorse, che, silenziosamente, l’acqua nel fiume poco lontano riprese flebilmente a scorrere. Era poco più di qualche umile goccia, ma, si sa, dove c’è acqua c’è speranza. Il silenzio venne interrotto da un potente batter d’ali, che distrasse Ruki: si girò per vedere arrivare Aoi.
“Aoi, fratello.”
“Ciao Ruki. Eccomi, mi cercavi.”
“Sì. È arrivato il tuo momento. Uruha e Kai ti hanno già tolto gran parte del peso.”
“Sono molto grato.” disse Aoi, avvicinandosi curioso ad una carcassa di toro poco lontano dal vecchio capanno.
“Sono sicuro che farai un più che ottimo lavoro.”
L’uomo sorrise. “Ne puoi essere certo.”
“Vai, allora.”
Fatto un breve inchino, Aoi si chinò sulla carcassa, toccandola con mano tremante. Quest’ultima sembrò rigenerarsi, le parti mancanti vennero a riformarsi e il nauseabondo odore di morte scomparve. Ruki prese il volo poco dopo, mentre invece Aoi si mise in cammino per cercare altre carcasse.
L’anziano riapparve poco più lontano, attirato da canti cristiani. Venivano celebrati dei funerali in una grande chiesa, quasi completamente vuota. Si accorse che non era presente quando le salme davanti a lui erano morte, ma ciò non gli diede fastidio: il suo potere era illimitato. Non serviva la sua presenza per fare il suo lavoro, la stragrande maggioranza delle volte.
Si sedette in un banco in fondo, volendo riposare per la fatica che aveva fatto. “…preghiamo per le nostre sorelle,” recitò il prete, “che si sono addormentate nella speranza della resurrezione. Affidiamo a te le loro anime.” Con un sospiro, guardò le tre scarne bare davanti a lui, ottenute con materiali di recupero. “Preghiamo per Akira, il satanista, che possa redimersi e ritrovare la strada verso la luce del Signore…”
Ruki fece uno scatto. Un satanista? Nella comunità? 
Sapeva benissimo che quello era il nome che veniva erroneamente affibbiato a chi non credeva, a quei pochi che erano certi della non esistenza di idoli. S’alzò, deciso a voler incontrare questa persona. Non sapeva nemmeno perché lo volesse in realtà: anche lui come tutti gli altri avrebbe dovuto morire. Eppure, qualcosa lo tormentava, dopo aver saputo come veniva nominato dai suoi stessi compaesani, qualcosa gli diceva che doveva trovarlo. Ma, sentendosi chiamare nell’aria, capì che in quel momento non aveva tempo di cercarlo. Uscì quindi dalla chiesa, prendendo immediatamente il volo. 



 

Part 7 - Ben Sahar.

Come aveva immaginato, era venuto il turno di Pestilenza.
Qualche umano estremamente intelligente (e qui era volutamente molto sarcastico), trovate delle carcasse apparentemente perfette di animali, se ne era cibato delle loro carni crude. Sapeva benissimo che in quegli anni aveva visto la disperazione degli umani raggiungere livelli prima inimmaginabili, ma anche prima dell’Apocalisse chiunque sapeva che il mangiare carni crude avrebbe portato solo a problemi di salute. E non accadde che con l’arrivo di tutto quelle catastrofi il fuoco non esisteva più! Poi, con tutte quelle case disabitate, le padelle e i tegami abbandonati si sprecavano… Ma, in ogni caso, quell’incauta azione aveva dato il via alla sequenza di malattie peggiori che avesse mai visto. Sostanzialmente, lo stadio a cui si trovava quella misteriosa malattia era sicuro essere l’esatta rappresentazione della peste, la stessa che aveva decimato la popolazione mondiale nel medioevo. Bubboni fetidi, di colore violaceo, che spesso e volentieri scoppiavano per rivelare liquidi giallognoli possibilmente ancor più fetidi. 
Lui si era letteralmente barricato in casa, sbarrando ogni fessura o pertugio, mangiando qualsiasi cosa trovasse in casa, da pagine di libri (riempivano lo stomaco in maniera eccellente) all’imbottitura del divano (in piccole dosi, l’aveva imparato a proprie spese dopo che aveva passato una notte d’inferno a vomitare possibilmente anche il suo primo pranzo). Come se non bastasse, persino l’acqua era stata contaminata da quella malattia. E, se ora l’unica reale fonte di salvezza dell’umanità scorreva tranquillamente dai rubinetti, era completamente non potabile. E cavolo se era peggio morire di sete che di fame. Ma non aveva altra scelta: o così o ammalarsi. Come se non bastasse, anche altri esseri viventi affamati s’erano cibati di quelle carcasse, e quindi anche loro erano malati, riducendo ancor di più le risorse di cibo disponibili. Era assolutamente la fine del mondo. Il fondo del baratro era stato raggiunto e addirittura superato, dato che una forza inarrestabile sembrava spingere i pochi superstiti sempre più in basso, scavando sempre più.
Comunque, da quando era cominciata l’epidemia, in meno di due mesi Akira s’era ritrovato ad essere l’unico superstite del suo paese. Completamente solo. Tutti erano rimasti vittime delle malattie. Il signor Kawamura compreso. Aveva sentito dire, quelle rare volte che si metteva alla finestra per cercare di udire cosa succedesse all’esterno, che il pastore era morto sull’altare, ancora in preghiera, fino al suo ultimo respiro.
Aveva avuto la forza di trarre solo un lungo sospiro. Era sinceramente dispiaciuto. Certo, molte volte aveva sentito anche dire che il signor Kawamura aveva pregato per lui, perché tornasse all’ovile. Durante l’ultima processione che venne fatta (ancora la malattia non aveva raggiunto il paese), il pastore aveva iniziato a pronunciare la seguente invocazione esattamente davanti a casa del ragazzo: “Preghiamo per Akira, il satanista,” (qui dovette costringersi a non prendere a pugni il muro), “Perché vittima di Ben Sahar, l’uomo dai molti nomi, e delle sue tentazioni. Possa il nostro fratello ritrovare la via…” e prima che la frase finisse se ne era andato dalla finestra, ribollendo nella rabbia più atroce. Che quell’uomo non avesse mai capito la sua visione delle cose gli era evidente, ma cazzo. Era convinto di essere stato chiaro durante il loro ultimo incontro.
Da quando era rimasto completamente solo aveva solo tre cose da fare: cercare di sopravvivere, andare in bagno e pensare. Pensare fino a consumare il cervello. E ancora la risposta non la trovava, il seme del dubbio ormai piantato troppo in fondo nel cuore.
Da un lato, ragionando secondo le convinzioni con cui era cresciuto, Dio avrebbe dovuto ascoltare le preghiere, fare qualcosa, venire in soccorso e come sempre non l’aveva fatto. Ed era anche stupido, si disse, ragionare con la mentalità del “Questi sono i piani di Dio”, perché, se davvero quelli erano i suoi piani, allora era davvero un grandissimo stronzo. Dall’alto aveva visto i suoi fedeli morire uno dietro l’altro, senza muovere un dito, senza fare nulla. Non aveva senso. 
Ma dall’altro… Le trombe, i cavalieri dell’Apocalisse… Come dare una spiegazione razionale a tutto ciò che aveva visto, come spiegare quel suono che a volte risentiva ancora nelle sue orecchie? Come giustificare quella sequenza di catastrofi, se non con un: “Tutto questo venne predetto da Giovanni nei libri dell’Apocalisse”?. E dunque, stremato, dovette arrendersi.
La risposta non l’avrebbe mai trovata. C’erano troppe contraddizioni, e lui era un umano. Un essere troppo semplice per arrivarci da solo.
Realizzò infine che l’unica cosa che era davvero rimasta da fare era attendere l’ultimo cavaliere: la Morte.
Sulle sue grandi ali nere.
E poi che avrebbe trovato? Il buio eterno? O la vita eterna?





Part 8 - In The Absence Ov Light.

Il silenzio era spettrale.
Sempre con più fatica, Ruki arrancava ormai, il bastone un inutile appoggio. Aoi probabilmente era stato il migliore fra loro, la malattia che aveva portato agli umani era stata mortale forse ancor più della peste, che lui stesso aveva portato sulla Terra in tempi antichi. Con il fiatone, la schiena a pezzi e le gambe sempre più claudicanti, si fermò ai margini di un’enorme cascata.
“AOI!” tentò di urlare, con poco successo. Ma evidentemente l’uomo era in ascolto, arrivando immediatamente con le sue ali. Era in condizioni a dir poco pietose, le ferite spurgavano pus e i bubboni erano ancora più infetti; il pallore cadaverico metteva ancor più in risalto le profonde borse nere sotto i suoi occhi.
“Aoi, fratello mio…” rantolò Ruki, poggiando una mano inguantata sulla spalla dell’interlocutore.
“Ruki, ti vedo veramente in difficoltà…” intervenne Aoi, dandogli un braccio per aiutarlo a riposare.
Ruki s’aggrappò a lui ed ancor di più al bastone. “Lo so… Sto faticando enormemente… Hai fatto davvero uno splendido lavoro, immacolato, per la verità… Ma io… Io sono sempre più vecchio…” Si diede poi del tempo per riprendere fiato.
“Sono contento che tu sia felice del mio lavoro. Ma sono molto preoccupato per le tue condizioni di salute…”
“Non ti preoccupare per me… Me la so cavare. Sono stato peggio.”
“Posso aiutarti?”
“No, che dici, hai già fatto tutto ciò che dovevi fare… Devo… Solo…” disse, reggendosi ad Aoi mentre con fatica si sedeva su un’enorme pietra ai margini del fiume, “Riposarmi un po’.”
“Dimmi, ci sono superstiti?”
“Sì. Era previsto. Lo sai, ora è il mio turno.”
“E ce la farai, in queste condizioni?”
“Non c’è nulla che io non possa fare.” disse, con un ghigno sul viso, che Aoi interpretò come un sorriso.
Aoi si sedette accanto a lui. “Mi domando come agirai.”
Ruki sospirò lentamente. “Sono più o meno due mesi che la Terra non conosce altro che sole. Direi che il momento è propizio per agire nell’assenza di luce.”
Aoi annuì. “Hai pienamente ragione.”
“Abbiamo davvero fatto un ottimo lavoro.” constatò Ruki, osservando distrattamente la vegetazione secca.
“Sì, sono davvero orgoglioso. Ma… Che cosa ci sarà… Dopo?
Ruki alzò le spalle. “Chi lo può dire? Forse ci sarà abbastanza tempo perché la Terra si rigeneri, e poi forse di nuovo delle forme di vita inizieranno ad evolversi… L’unica cosa che so è che il nostro lavoro è a tempo indeterminato. Sicuramente tornerà il momento per un altra Apocalisse, prima o poi. Spero solo che, quando gli umani torneranno, non faranno gli stessi identici errori di questi umani.”
“Lo spero anch’io. Puoi ferire la Terra, ma lei troverà sempre un modo per rigenerarsi. Ma stavolta… Stavolta eravamo davvero ad un passo dal perderla.”
“Hai pienamente ragione, fratello mio. Ma ora, Aoi, è il momento per te di riposare.”
L’altro sorrise. “Grazie, Ruki."
Sfilato un guanto, poggiò la mano sulla fronte di Aoi, e come i suoi precedenti fratelli, scomparve nel nulla. Ruki sospirò.
E così, dopo meno di un anno e mezzo, erano quasi giunti alla fine. Rimase per un po’ a riflettere, seduto sulla pietra. Il rumore dell’acqua probabilmente ancora infetta creava un piacevole sottofondo ai suoi pensieri.
Ma, ricordandosi di dover fare l’ultimo, necessario sforzo, si alzò in piedi, reggendosi al bastone.
Attraverso il fogliame, il sole splendeva cocente.
Alzata la mano sprovvista di guanto, si concentrò ardentemente. 
Pian piano, la luce del sole iniziò ad affievolirsi. Sempre meno luce, sempre meno luce…
Fino a scomparire del tutto.
La notte era appena iniziata. 
Ruki quindi prese il volo, ricordandosi di quel ragazzo definito satanista, in quel paesino sperduto.
Si chiese se era ancora vivo.
Quella necessità di volerlo per forza incontrare non se la sapeva spiegare.




 

Part 9 - O Father! O Satan! O Sun!

Era veramente la fine. 
Se ne stava tranquillo a pensare alla sete mortale quando, maledizione, si era accorto che un fascio di luce che entrava in salotto stava diventando sempre meno luminoso, sempre meno luminoso, fino a spegnersi completamente. Il sole era morto, si disse, era iniziata la notte perpetua, era davvero finita… Aveva paura, cazzo se ne aveva. E usare la ragione era ormai impossibile. Si era quindi rannicchiato ad un lato del divano distrutto, gli occhi allargati per la paura. La Morte. La Morte sta arrivando. Si ripeteva.
Era riuscito ad addormentarsi, quando nell’inconscio sentì un leggero bussare alla porta. Si svegliò di soprassalto. S’alzò in piedi, sapendo già chi poteva essere: il freddo glaciale che sentiva provenire da fuori fugò ogni suo dubbio. Con mani tremanti, aprì la porta al suo destino. 
Mai si sarebbe immaginata così la Morte. Gli apparve come un giovane ragazzo, più o meno della sua età, i capelli tinti di un bel castano, un enorme sorriso rassicurante, ed era veramente di gradevole aspetto. Ma aveva un enorme paio di ali nere sulla schiena. 
“V-voi siete la… La Morte?” chiese Akira.
“Non c’è motivo del darmi del voi, sciocco. Sì, sono io. Tu invece devi essere il ragazzo che non crede.”
“…s-sì, sono io.” mormorò Akira, senza il coraggio di aggiungere altro.
“Sono felice di trovarti ancora in vita.”
“… è la fine questa, vero? La fine del mondo.” osò chiedere.
“No, non è la fine del mondo. È la fine dell’uomo. Credo tu sappia bene cosa siete riusciti  combinare alla vostra Terra. Era giunto il momento di porre fine a tutto questo.”
“Ma… Ma allora…”
“Sento i tuoi dubbi, umano. No, hai sempre avuto ragione tu.”
“Allora come spieghi il suono delle trombe, i Cavalieri…”
“Calma. Nessun cavaliere. La Carestia, la Pestilenza, io stesso… Siamo la Natura, la forza della Natura. È la Natura a non produrre più nulla, è la natura stessa a creare i batteri e le malattie, e… Io non sono altro che l’inizio della rinascita. Sapresti enunciarmi quello che voi umani definite come “il primo principio della termodinamica”?”
“Ehm… “L’energia non si crea né si distrugge, ma si trasforma”…?”
“Sì, umano. Esatto. Voi umani nella vostra semplicità avete chiamato questa energia con molti nomi, la maggior parte di voi la chiamava Padre, alcuni di voi addirittura con il nome di una figura antichissima chiamata Satana, i primitivi invece come il Sole. Avete sbagliato, ma non lo potevate sapere. I misteri dell’Universo sono troppo complicati per voi da comprendere. Anche se, devo ammettere, avevate comunque fatto un ottimo lavoro, nel poco tempo in cui avete cercato di capirli.”
“E allora, le trombe…”
“Anche qui, nessuna tromba. L’Universo produce dei suoni, riscontrati in diversi momenti storici. Diversi umani attraverso i secoli hanno testimoniato dei stranissimi suoni, in pieno spazio aperto, provenienti dal cielo. Anche stavolta non è stato diverso. Questi suoni, energia pura che viaggia attraverso l’universo, stavolta ci hanno risvegliati per porre fine ai vostri scellerati errori.”
Tutto sembrava così chiaro, ma allo stesso tempo così confuso. 
“Ma qualcuno deve averlo fatto quel suono…”
“L’energia, te l’ho detto. Stavolta era più forte del solito, stavolta aveva un preciso messaggio che solo noi, energia a nostra volta, abbiamo potuto interpretare.”
Akira rimase in silenzio, ad elaborare queste parole.
“Lo so che non stai capendo, non te ne faccio una colpa. Ma, almeno sono sicuro di averti dato delle spiegazioni doverose.”
E ora, che ci sarà?” 
La Morte sorrise, avvicinandosi al ragazzo. “Niente. Solo buio. Energia eri, energia sei, ed energia ritornerai. È la regola, è così che funziona. Null’altro.”
“Allora… Allora non devo avere paura.”
“No. Non so chi sia stato il genio ad inventare un posto pieno di fiamme e gente con i forconi, ma credimi, non esiste.
Akira sorrise, in pace, i dubbi scomparsi.
La Morte gli posò un bacio sulla fronte.
E poi il buio.




























 

Non volevo pubblicare questa one shot.
Sono sincera, non lo volevo. Perchè, onestamente, non ne vado pazza. È nata dopo mesi e mesi (e mesi) di silenzio, dove non riuscivo a decidere nemmeno con quale lettera dell’alfabeto cominciare. Poi, dopo essermi sbloccata con una ridicolissima fan fiction che non vedrà mai la luce, è nata “Before the Aeons Came”. È il frutto della Yukiko degli ultimi mesi: i pensieri di un’atea dubbiosa, il vissuto della stessa, l’influenza dell’ennesima band che mi ha rubato il cuore silenziosamente ma con estrema forza, unita all’unica band che continuo ad amare da quando ho quindici anni e che non abbandonerò mai.
Sì, c’è troppo dei Behemoth in questa one shot: l’intera tracklist del loro ultimo capolavoro “The Satanist” (anche il titolo dell’intera O.S. è quello di una loro canzone) dà il nome ad ogni parte della storia e la loro filosofia striscia silenziosa in mezzo alle righe; ma non me ne dispiaccio. I the GazettE fanno solo da sfondo e sono strumenti nelle mie mani per dar voce ai miei dubbi, come d’altronde lo sono stati per le mie certezze. L’intera composizione è avvenuta ascoltando black metal. Era ovvio che dovesse venire fuori questa cosa abbastanza oscura e di difficile interpretazione. Anzi, ho il sospetto che un senso non ce l’abbia proprio.
Ho decisa di pubblicarla perché… È diversa. Molto diversa dal solito. E dai, lo ammetto, perché mi manca pubblicare. Prima ho dovuto imparare di nuovo a scrivere per me stessa, a non dover scrivere esclusivamente per pubblicare, e poi, per fortuna è arrivata questa One Shot. Non mi offendo se vi ha fatto cagare, ripeto, non piace nemmeno a me. Bruciatela pure sul rogo.  
Per quanto riguarda “Toxicity”, al momento dubito fortemente vedrà mai la luce. Me ne dispiaccio, ma… Mai dire mai.
-Yukiko H.

 
  
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