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Autore: Manto    15/03/2017    10 recensioni
Il cuore di Clitemnestra è sempre stato avvolto dall'oscurità: le storie che la riguardano trasudano sangue, rancori mai svaniti e sogni infranti dal filo di una Sorte infelice, che si svela in un disegno dalla trama cupa.
Ma la regina di Micene è ben di più che donna vendicativa; nel suo sguardo si agita una presenza antica, pronta a portare giustizia là dove questa viene estirpata... e a svelare la forza di una madre violata.
(Anche se in ritardo, buon compleanno, Flos Ignis!)
Genere: Angst, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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Dea

III – Il Ritorno della Regina





Dopo la partenza del re, un nuovo sovrano si insediò nella città: il profondo silenzio dell’Attesa si prese il palazzo e le case, i campi e i fiumi, sorgendo dal suolo arroventato dal mezzogiorno o cavalcando il vento della prima sera insieme alle nubi che scivolavano lente e morbide sopra i tetti, verso il mare.
In alcune di quelle notti prive di luce, mi ritrovai a pregare gli Dèi per il ritorno del re, perché solamente Agamennone avrebbe potuto dissolvere un futuro angoscioso e incerto.
Elettra liberò tutte le lacrime che i suoi piccoli occhi potevano spremere, ma dopo qualche giorno si calmò, e ricominciò a dormire, seppur di un sonno inquieto; Ifigenia era ansiosa quanto la sorella di rivedere il padre, ma non rinunciava ai suoi lavori, mentre Crisotemi e Oreste erano troppo piccoli per provare nostalgia.
Io vegliavo tutti loro fino a quando il sonno non mi coglieva, perché la lontananza
del nostro signore non spingesse qualcuno a tentare di far loro del male: quando il leone allenta la sorveglianza, i suoi nemici non aspettano altro che chiudere gli artigli sui suoi cuccioli; ma, anche se pochi lo sanno e ancor meno lo raccontano, la leonessa è forte quanto il suo compagno, intimorita da nulla.
Solamente una cosa mi distoglieva dalla cura della mia famiglia: il richiamo della Natura che cresceva libera tutto intorno a me, davanti ai miei occhi. Fin da piccola mi scoprii legata al pacato divenire del bocciolo in splendido fiore, alla costellazioni di gemme e foglie che rendevano la primavera un sospiro di bellezza, alle distese di grano impreziosite dalle chiome dei papaveri; dalle mie stanze potevo guardare come il vento le faceva giocare, trasformandole in onde fruscianti, e spesso mio padre mi permetteva di allontanarmi per un poco dal palazzo e infilarmici dentro, lasciando che il cielo si riducesse a una pozza di stelle intrappolata in un mare dorato.
Pisa e Micene avevano allontanato quei momenti con il peso del dovere, ma a volte il bisogno di abbandonare gli abiti regali e ritornare quella bambina spensierata batteva forte in me, era parte del mio stesso cuore. L
’assenza del re lo acuiva istante dopo istante, ma la realizzazione di questo desiderio era proibita: avevo scoperto, infatti, che prima della partenza Agamennone aveva incaricato il nostro aedo, il cui sguardo vacuo vedeva e comprendeva più di quanto si immaginasse, di sorvegliarmi e vigilare sulla mia integrità.
Ciò non mi preoccupava in alcun modo, siccome non avevo nessuna intenzione di cercare altri uomini, ma la mia scomparsa, anche se per qualche ora, avrebbe potuto destare sospetti e portato a pericolose conseguenze.
Cercai quindi di calmare la mia smania in lunghe passeggiate notturne nei giardini, rivolgendo canti e preghiere alla mia Dea argentea od osservandola nel silenzio che è proprio dei fedeli.
Un inaspettato aiuto giunse tuttavia dalle mie figlie, in un caldo pomeriggio dove ogni cosa era immobile.

Madre... vorrei vedere il cielo stellato.”
La voce d’usignolo di Elettra fece tintinnare l’aria, spezzando la monotonia del silenzio.
Interruppi per un istante il mio lavoro al telaio, quindi mi voltai a guardarla. Anche Ifigenia e Crisotemi si erano bloccate e mi guardavano con interesse e attesa, facendomi capire che tutte e tre mi stavano porgendo la medesima richiesta. “Che cosa intendi?”

Elettra chinò il capo, arrossendo lievemente. “Io e le mie sorelle... vorremmo uscire dal palazzo di notte... e guardare le stelle.

Non dalla finestra o dal giardino, ma all’aperto, nelle campagne, senza mura a circondarci.”
Sorrisi dolcemente, quindi sospirai. “Dobbiamo restare nel palazzo. Siamo membri della famiglia reale... e vostro padre non è qui per proteggervi. Se vi accadesse qualcosa?”
Madre...”, intervenne allora Crisotemi, “... non andremmo da sole. Vorremmo che tu venissi con noi.”
Spalancai gli occhi, sorpresa. “Figlie mie...”
Madre, ti supplico!”
Solo per una notte!”
Non fuggiremo dal tuo fianco... ma portaci a vedere le stelle, per favore! Per favore!”
E la Luna! Gli alberi del giardino la coprono sempre, e io vorrei vederla bene...”
Ti prego!”
I loro occhi accesi di supplica e speranza, le loro tre voci che si accalcavano e confondevano fecero morire le parole che già avevo in gola; per riportare ordine dovetti lanciare loro uno sguardo severo, e quando si calmarono mi decisi a parlare. “Dovremmo essere scortate, e le guardie sono indispensabili qui, al palazzo. Tuttavia”, e qui cedetti, forse troppo presto per risultare irritata dalla loro richiesta, “per qualche ora – e solamente per questa volta – potrebbe essere fattibile. Ma che poi non se ne riparli più.”
Lo sguardo complice che le tre sorelle si scambiarono mi fece corrugare la fronte, ma credevo anche che realizzare un desiderio come quello non avrebbe portato ad alcun male. “Riprendete il vostro lavoro, così prima finirete e prima andremo”, terminai quindi, realizzando che anche per me quella breve fuga avrebbe recato giovamento. Era passato quasi un mese da quando gli uomini erano partiti, e i giorni trascorrevano tutti uguali, tranquilli e lenti, logorando le nostre forze: avevamo diritto a un istante di libertà, solo per noi, lontano dalla quotidianità e dalle regole.
Per questo quella sera, quando lasciammo il palazzo seguite da un paio di guardie, inspirammo con forza l
aria fresca come se mai avessimo respirato. “Perché sono così distanti?”, chiese Crisotemi più volte mentre le campagne si aprivano davanti a noi, gli occhi rivolti alla volta traboccante di stelle e le mani tese in un vano tentativo di prenderle.
La presi in braccio, la alzai sopra la mia testa. “Anche se non puoi afferrarle, ora sono comunque più vicine”, le sussurrai con dolcezza, mentre Ifigenia saltellava al mio fianco ed Elettra si sfogava correndo e gridando, facendomi ricordare quando ero io la bambina ribelle, spensierata e forte come lei.
Scegliemmo un piccolo campo traboccante di fiori per osservare la notte volare e lì rimanemmo strette l
’una all’altra, chiedendoci se i Beati ci stessero osservando attraverso gli astri.
Tuttavia, Ifigenia non fissava loro: la sua attenzione era sulla pallida mezzaluna, e per questo mi chinai verso di lei. “Qualunque forma assuma, la Dea è sempre bellissima, non credi?”
Lei sorrise lievemente. “Come fa a non precipitare al suolo? Sembra più pesante del Sole... più concreta.” I suoi occhi rifulsero. “La sua luce non ferisce come quella del mezzogiorno, ma rischiara con discrezione, guidando e aiutando chi è in procinto di perdersi nelle tenebre. Sembra... sembra la mano di una madre.”
Sono parole bellissime”, mormorai colpita, quindi lei si voltò, mi abbracciò appoggiando la testa contro il mio ventre. “Il Sole regna con orgoglio, è potente e ci protegge dal freddo e dal buio; ma è lo sguardo della regina argentea a consolarci quando siamo soli.
Atta
è come il Sole... ma tu sei come la Luna; mai nessuno ci amerà di più.”



E ciò vide la luce all’avvento dell’alba.
Ricordo che fu al tramonto seguente che lo vidi per la prima volta: occhi scuri ma dalla sfumatura purpurea, che mostravano come uno specchio il troppo sangue che avevano visto spargere, e quello che intendevano versare per riportare la Giustizia.
Era bianca la sua pelle, neri come le tenebre – quanto è sempre stato simile a me... – i suoi capelli: gli Dèi sembravano averci creato insieme, e poi diviso per tutti quegli anni.
E il suo passo non era indeciso quando avanzò nel mégaron, il fuoco era silenzioso al suo procedere, quasi lo conoscesse già – ed era così [1] – o attendesse di comprendere cosa sarebbe accaduto.
Ricordo bene come i suoi occhi mi penetrarono, senza vergogna o esitazione, fino ad aprirmi il petto e il cuore. Quanta avventatezza, quanta rabbia nel modo in cui mi sorrise: era solo un ragazzino, ma la sua bocca ringhiava il rancore di un’anima vecchia.
E quando chiesi il suo nome, e lui rispose: “Grande wanaxa, il mio nome è Egisto”, desiderai non aver mai udito una voce così profonda e nera, la Morte che rideva e gridava insieme.
Ed era già la cupa notte: il giorno dopo il giovane partì, e altri tre ne sarebbero passati prima il mio Fato giungesse a Micene.
Lui fu il primo a vederlo, a sapere; e a mettermi in guardia, con il suo inquietante silenzio, su ciò che più di tutto dovevo temere.







È il grande Agamennone a mandarmi: richiede la vostra presenza e quella della giovane Ifigenia in Aulide, e vi prega di partire il prima possibile.”
Il messaggero era stanco, ricoperto di polvere e intimorito da me: lessi nei suoi occhi che non c
’era menzogna nelle parole che mi aveva riferito, che era veramente volere del mio signore che lo raggiungessi; quindi presi un grande respiro. “Per quale motivo?”
L’uomo chinò lo sguardo, incapace di sostenere il mio. “Mia regina... il principe dei Mirmidoni desidera prendere la fanciulla in moglie.”
Rimasi immobile per qualche attimo: “Il figlio di Peleo... Achille”, mormorai quindi, chiudendo gli occhi.
Il momento che da tempo avevo iniziato a temere era infine giunto: la prima sarebbe stata Ifigenia, e
dopo di lei sia Elettra che Crisotemi avrebbero lasciato il palazzo per diventare signore e madri al fianco di uomini che, forse, non le avrebbero mai amate.
Ma non volevo, né dovevo pensare al peggio: le mie figlie erano forti, io le avevo preparate ad affrontare la loro Sorte, qualunque forma essa avesse assunto, ed ero certa che l’affetto del loro padre le avrebbe protette dal dolore; quindi, congedai il messaggero e, lasciando in fondo all’animo la mia tristezza, disposi subito i preparativi per la partenza.

Ifigenia ascoltò la notizia sorridendo nel suo particolare modo, gli occhi che brillavano di stupore, e così le sue sorelle, che passarono lintera notte a fantasticare di come sarebbe stato il matrimonio e della bellezza di Achille, che si diceva immensa quanto il suo valore, e quanto avrebbero voluto venire con noi per vederlo.
Io sorridevo ascoltando quei sogni di dolcezza levarsi fino al cielo, sperando che almeno a loro gli Dèi avessero concesso di realizzarsi; e negli occhi di Ifigenia lessi la mia stessa virginale attesa, il ricordo di una vita diversa.

Poi, poche ore dopo l
’alba partimmo: le parole di Agamennone erano state chiare, non potevamo indugiare. Lesercito doveva partire per Troia il prima possibile, e sicuramente il principe voleva un erede dallillustre casa di Atreo, permettendo al sangue più prezioso di Acaia di vincere la morte: ecco perché un matrimonio così tempestivo, con lombra del futuro più incerto incombente sulle sorti di ognuno.
Sarai una saggia regina, e una madre dolcissima”, sussurrai più volte a Ifigenia, acconciandole i capelli e controllando ogni istante che il suo aspetto fosse perfetto; ma poi la strinsi solamente a me, senza più parlare. Nonostante desiderassi che il carro non andasse così veloce, la distanza che ci separava dall’Aulide svaniva un po’ di più a ogni istante, e ben presto il sentore del sale ci solleticò le narici; e quando divenne troppo forte, sentii Ifigenia tremare tra le mie braccia. “Madre... per favore, potete restare con me? Almeno per i primi mesi... vi prego.”
Lo sai che non mi è permesso. Ma tu non devi avere paura... Peleo è un brav’uomo e tu sei una giovane piena di grazia e virtuosa, sarai come una figlia per lui e lui come un padre per te.”
Lei annuì, quindi alzò gli occhi ambrati su di me. “La famiglia di Tantalo ti ha accolto così, come una figlia?”
Io feci per rispondere, ma tacqui.
Tantalo. “Chi ti ha parlato di lui?”, mormorai. Che cosa sapeva? Da chi lo aveva scoperto?
Una volta... una volta ho sentito le nostre ancelle parlare di te.
Si chiedevano se il re Tantalo ti avesse dato la felicità che
atta non è mai riuscito a donarti.”
Rimasi un attimo in silenzio. Non avevo mai parlato alle mie figlie del re di Pisa né della sua fine, non volendo che fossero a conoscenza di ciò che avevo provato; ma le voci circolavano, non potevo controllarle, e allora mi chiesi quanta verità avessero udito le orecchie di Ifigenia.
Madre...”
Quella era unaltra donna. Ed era unaltra realtà.”
Allora è vero? Atta non è stato il tuo primo marito?”
Chiusi gli occhi, per poi afferrarle una mano e stringerla con forza. “Amore mio... ti prego, non chiedermelo più.”
Ifigenia sgranò gli occhi, sorpresa, quindi chinò il capo per pochi istanti. “Avevano ragione, allora. Ti amava molto.”
Ancor prima di lasciarmi parlare, si gettò sul mio ventre, abbracciandomi. “Mi dispiace, mi dispiace così tanto che tu abbia dovuto soffrire!”
Ifigenia, la tua veste si rovinerà...”
Non me ne importa niente della veste! Se solo immagino... se solo immagino cos’hai dovuto sopportare...”
La presi per le spalle, la scossi costringendola a guardarmi. “Ifigenia”, dissi con durezza, “ciò che ho sopportato non deve ferire anche te; perché tu sarai felice, lo so che
lo sarai. Questo sarà il giorno più bello della tua vita, e niente deve rovinarlo.”
Io devo sapere”, continuò Ifigenia, e lo sguardo si incupì. Quale tempesta la stava sconvolgendo, e da quanto: giorni, o anni?
No, non devi... non c’è bisogno. Grazie a te, alle tue sorelle, a Oreste è tutto finito da molto tempo, e ricordarlo non farà bene a nessuna delle due, ma farà molto più male a te: un dolore che non ha alcuna utilità e nessun onore.
Ti prego, bambina mia... non parliamone più. Ti prego.”
Ifigenia mi guardò un
’ultima volta, quindi girò il viso lontano da me, ferita; tornò a fissarmi solamente quando il carro si fermò e dopo qualche attimo una voce che entrambe conoscevamo bene ci salutò: “Mia regina, figliola... benvenute.”



Ed è sempre a questo punto che le mie mani tremano, che i miei occhi piangono ancor prima che il ricordo raggiunga il cuore.
La mia memoria non è così coraggiosa, non lo è mai stata e non lo sarà mai quando si tratta di affrontare questo frammento del mio passato: tace per proteggermi... o forse, per proteggere gli altri.
Ma chi deve più proteggere?
Chi deve salvare?
Chi deve allarmare?
Sono morta io, così come lo saranno loro.
Sono pazza io, così come devono esserlo loro.
Sono spietata io... così come lo furono loro; e per questo che stavolta non indugerò... non cederò alla tentazione di far fuggire i ricordi, non questa volta.
Non questa notte.


Quella spiaggia è ancora risuonante del boato di tutti quegli uomini radunati, arsa da un Sole che il vento non poteva placare?
Il vento, ecco il problema. Il vento che non c’era.
Il vento che non spirava sul mare e quindi frenava le navi, il vento che la Cacciatrice tratteneva, per ira e vendetta. [2]
Quando Agamennone me lo rivelò, io lo guardai confusa; e istintivamente strinsi la mano di Ifigenia, così come cercai lo sguardo del re, per leggervi la verità.
<< Clitemnestra, sii forte >> mi mormorò una voce, forse dentro me – era la voce di Tantalo, era il sussurro della Luna –, forse proveniente dalla terra stessa; ma le braccia di Agamennone mi strinsero con forza, impedendomi di comprenderla.

Mio re...”, mormorai, quindi unombra calò su di me, quando le mani dellAtride mi coprirono gli occhi; e il freddo mi invase le membra, mentre il grido di mia figlia macchiava laria e le grida degli uomini si placavano, tutte insieme, quasi ognuno avesse smarrito la voce o uno dei Beati fosse apparso.
Che succede?”, gridai, cercando di divincolarmi; lacrime cocenti mi bagnarono i capelli e mi scottarono le pelle, e mi accorsi che il re stava piangendo copiosamente; sembrava che i suoi occhi si stessero tramutando in uninfinita pioggia.
Non volevo tutto questo...”, lo sentii mormorare, e io urlai di nuovo: “Che cosa vuol dire questo, Agamennone? Rispondimi!”, ripresi, riuscendo infine a liberarmi dalla sua presa; e ai miei occhi attoniti comparve, nel mezzo della spiaggia, un altare bianco, allestito per un sacrificio.
Ma dov
erano i sacerdoti?
E dov
erano gli animali sacrificali?
E perché Ifigenia vi veniva trasportata a forza, contro la sua volontà... perché urlava?
E il suo sposo... dov
era Achille?
Non riuscivo a capire...

capivo, ma non riuscivo, non volevo credere.
No...”, mormorai allora, girandomi verso Agamennone e prendendogli le mani, “... dimmi che cosa vogliono dalla nostra bambina. Dimmi... sono qui, parlami...”
Perfino le mie parole si rifiutavano di prendere forma.

Clitemnestra...”
Afferrai il volto del re, guardandolo con intensità. Oltre il velo del pianto, vidi la colpa e la vergogna, la disperazione.

Perdonami”, mi sussurrò, prima di lasciarmi cadere nella sabbia e alzarsi, allontanarsi da me.
Agamennone... non te ne andare!”, implorai, trascinandomi dietro di lui, accecata dalla luce e dal calore, “aspetta...”
Mama!”, urlò Ifigenia, e anche se non riuscii a vederla seppi che stava per fuggire, rifugiarsi da me.
Non le vidi, ma seppi che le braccia di suo padre la fermarono, ci separarono. Lui, suo padre, la divise da me; lui… che aveva promesso di tenere il male lontano da noi.

Agamennone!”, urlai allora con tutto il fiato che avevo, la consapevolezza che sbocciava ferendo come una lama, “hai promesso! Hai promesso di proteggerla!”
Atta! Atta, ti prego!”
Ascoltala, Agamennone!”
Era un unico grido, un’unica preghiera.

Mama... aiutami!”
Agamennone...”
Mama... atta...”
Hai promesso!”
<< Non voglio morire. >>
Le sue ultime parole. Non voglio morire.
Il ruggito del vento si alzò all’improvviso, portandomele.

Non voglio morire... ancora”, mormorai anchio, prima di alzare il capo e guardare. Non importa che il desiderio di cavarmi gli occhi con le mie stesse mani divenne così feroce da dovermi mordere le dita per reprimerlo; non importa che non scorsi altro che sangue, un rigagnolo che diveniva ruscello e fiume e onda e mare: per la seconda volta gli Inferi mi accolsero, e allora corsi.
Corsi via da quel luogo, corsi dovunque i miei piedi mi portarono, fino a quando le forze mi sostennero. Via da lì, via da me stessa, via dalla realtà e dai suoi inganni, via da quella vita che non poteva appartenermi, non poteva essere vera: troppo crudele, troppo spietata per essere mia.

<< Mai nessuno ci amerà di più >>
, mormorava la voce.
E al suono di un canto malinconico, una nenia funebre per me e per la mia povera bambina, morii ancora: le ali che mi avevano sorretto si spezzarono, mi fecero ricadere nel baratro da cui molto tempo prima ero riuscita a emergere. Fui libera di andare in frantumi, come una volta avevo desiderato; libera di non essere, di smettere di cercare una cura... libera di essere completamente tenebra, senza limiti né freni, senza rimorsi.
In un solo istante, gli artigli di Thanatos [3] si strinsero intorno al mio cuore, tramutandolo in acciaio.
Un cuore duro, freddo...
un cuore d’uomo. [4]



Il dolore era così profondo che faticavo a sentirlo.
La strada era una disegno di vento e polvere, feriva la gola e gli occhi ma senza impedirmi di avanzare.
La sua voce fu la prima che mi raggiunse quando i miei piedi stanchi e gonfi varcarono la soglia del palazzo; le sue mani mi afferrarono per adagiarmi al suolo, per permettermi di respirare ed espellere l’orrore.
Un respiro, e l’inganno prendeva forma; un rantolo, e si svelava la bramosia, la crudeltà, l
immoralità.
Una lacrima, un’altra morte.
I suoi occhi purpurei non mi lasciarono neppure un istante; e io li guardavo, vedendo in loro un rifugio... e un aiuto.
Chi sei?”, gli chiesi, seppur già conoscessi la risposta; ma sapevo che vi era altro, che la sua era una voce e un sospiro degli Dèi.
Lui, il ragazzino pallido, Egisto, tacque per un istante; poi mi prese forte una mano. “Vendetta”, sussurrò piano.









Wanaxa, il segnale!
Il re è oramai vicino!”


Dieci anni.
Sono dieci anni che ti attendo, Agamennone, che il mio pensiero ti raggiunge e abbraccia ogni giorno, e desidero rivedere il tuo volto.
Non sono una moglie fedele? Attento a ciò che risponderai, le parole feriscono e uccidono come una lama.

Ti stupirà scoprire quanto siano simili.




Clitemnestra...”


Dieci anni.
Sono dieci anni che mi chiamano regina: prima non lo ero, chiedi?
No, perché come la Luna regna nel cielo solo fino a quando non nasce il Sole, è stata la tua lontananza ad avermi permesso di sorgere e guidare questa terra e la mia stessa vita.

E ad una lunga notte, difficilmente seguirà un luminoso giorno.




Atta metterà fine a tutto questo, finalmente.”


Il mondo, Agamennone?
È cambiato. È mutato nei sentimenti, nelle stagioni, nelle regole.
Non è lecito, non è consentito, gridi.
E sei proprio tu a urlarlo... tu che per primo hai confuso e distrutto la realtà, la legge, la pietà.

Dimmi: in cosa sei diverso da me?




Figlia della Dea, sei pronta?”


Alzo lo sguardo, sorpresa; ma non è più la voce del messaggero, di Egisto o Elettra a chiamarmi, ad accarezzarmi, a biasimarmi... è la mia, ed è l’unica che riesce a strapparmi dai pensieri.
Per quanto sono rimasta loro prigioniera?
Ed è già giunto il momento, dunque? Eppure solamente un’ora fa era ancora una debole luce... una promessa, un’attesa.




Gioite! Il wanax è qui!”


Hai vinto, dunque: la tua potenza ha piegato Ilio superba.
E dimmi: quante ragazze hai ucciso, laggiù?

Nostra figlia muore ogni giorno nella tua bramosia
di dominio.




È tutto pronto.”


Annuisco, e con calma mi volto verso l’ancella timorosa.
Il wanax non è ancora troppo vicino, vero?”
No, mia signora... mancano ancora pochi istanti.”
Benissimo. Fai portare immediatamente un tappeto rosso [5] davanti alla porta, perché lo calpesti da vincitore; e poi attendimi.”


Gli ultimi istanti devono essere solo per me. Li chiamo ultimi, perché la realtà sta per cambiare nuovamente: ma questa volta il volto che mostrerà mi sarà sorridente e benigno.
La colpa di tutto quello che accadrà? È solamente tua, mio sposo.
Se solo tu avessi compreso la mia essenza, se solo tu avessi rispettato le leggi che governano gli uomini non sarei giunta a tanto.
Mi hai umiliato e messo in ginocchio, ma non sconfitto: dovevi piegarmi, schiacciarmi per vincere. Non lo sapevi, vero?
Ma ora questo non ha alcuna importanza; è solamente Passato.
È un regno ricco [6] quello che ti attende, ma non è questo; è una primavera rigogliosa quella in procinto di nascere, ma tu non la vedrai né sentirai, la potrai solamente piangere.
È finita, Agamennone: una nuova età sta per nascere con me, e finalmente la Madre ritornerà, indomabile e pietosa, per cancellare i soprusi e punire i colpevoli.
E sorrido, mentre penso a questo e lascio il palazzo, ponendomi sulla soglia e aprendo le braccia come per stringerti al mio cuore...
e sorrido, mentre ti invito a entrare e a godere dei tuoi beni, del mio amore e di ciò che Ilio ti ha fatto mancare...
e sorrido mentre ti guardo avanzare nel mégaron, la sala del potere, con la tua superbia, senza che tu ti accorga che, appesa alla parete alle tue spalle, la scure dallo sguardo di rame già tramuta i miei desideri in realtà.






NOTE


[1] Secondo una versione del mito, Egisto era figlio di Tieste, quindi nipote di Atreo e cugino di Agamennone: alla luce delle crudeltà che i fratelli si perpetrarono l’un l’altro, la sua partecipazione all’assassinio del re si caricherebbe così anche dell’aspetto vendicativo che contraddistingue la storia di questa famiglia. In questo senso le fiamme lo riconoscono: tutto il sangue che hanno visto scorrere sta nuovamente per sporcare il palazzo, per opera di un animo nero quanto quello di coloro che l’hanno preceduto.


[2] Tutto ebbe origine per uno sgarbo di Agamennone: durante una battuta di caccia, colpendo una cerva da una grande distanza, dichiarò di essere migliore della dea Artemide (la “Cacciatrice”). Questa ne fu offesa, e trattenendo il vento impedì per giorni alla flotta achea di partire per Troia.
Interpellato, l’indovino Calcante rivelò che l’unico modo per calmare la furia d
ivina era sacrificare Ifigenia. Nonostante un primo rifiuto, alla minaccia dell’esercito di ribellarsi e scegliere un altro capo, il re fu costretto ad accettare: quindi mandò dei messaggeri a Micene, chiedendo a Clitemnestra di raggiungerlo con Ifigenia, ingannandole con la notizia di un matrimonio.
Nonostante alcune versioni del mito riportino non la morte della ragazza, ma il suo rapimento da parte della Dea e la sostituzione con una cerva – versione che però Eschilo non inserisce nella sua tragedia, dove Ifigenia viene appunto sacrificata –, non cambiano le ripercussioni che questo gesto avrà sulla sorte di Agamennone.


[3] Il dio della Morte.


[4] Così Eschilo definisce Clitemnestra. Tramite il dolore e la ricerca della vendetta, lei scavalcherà tutte le imposizioni e le regole del genere femminile: prenderà il potere e sarà lei a governare, assumendo tutte le prerogative del re, mentre Egisto lo farà solo formalmente.


[5] Scena famosa nellAgamennone di Eschilo: prelude al massacro – assomiglia a un torrente di sangue – che la donna compirà sul marito e su Cassandra, la principessa indovina, che Agamennone aveva ricevuto come bottino dopo il saccheggio di Troia. Pur essendo innocente, la regina non risparmierà nemmeno lei.


[6] La ricchezza degli Inferi sta nella moltitudine di anime che lì dimorano; e il dio Ade è chiamato “ricco” per l’identico motivo.




ANGOLO AUTRICE

Ben ritrovati a tutti.
Come al solito, quando concludo una storia non so mai cosa dire: se non un doveroso, enorme grazie che rivolgo alle mie due fanciulle Flos Ignis e Ori_Hime, e alla mia dolcissima Leaina: molte di queste parole sono state ispirate da voi, quindi senza la vostra presenza sarei ancora lontana dal concludere questo piccolo ma sentito viaggio nel cuore della Regina.
Spero che canterete ancora per me, mie Muse!
Grazie anche a tutti coloro che hanno recensito o semplicemente letto questa storia: avete condiviso con me molto più di quanto possiate pensare, e ve ne sono grata.
Va bene, ormai abbiamo capito che sono negata nello scrivere note finali decenti, quindi vi lascio prima di peggiorare ancora di più le cose -.-


Alla prossima!


Manto

   
 
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