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Autore: meiousetsuna    16/03/2017    3 recensioni
Un esperimento! In fondo su questo fandom sono di moda…
Una versione inedita di Sherlock e John si trova in una trappola col malefico Moriarty, e al momento ha ben poche possibilità di cambiare le cose.
Non tutto è sempre uguale, o lo sarà, o è necessariamente quello che sembra
Cyber kisses,
Setsuna
[Generi: SteamPunk, curtainfic]
[Avvertimenti: genderbender, AT, what if?, Victorian!AR, lime, femslash, leggerissimo Corporal Punishment]
[Personaggi: Female!Cyber!Sherlock, Female!John, Female!Moriarty, Male!Mrs.Hudson]
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Rating: arancione
Generi: SteamPunk, curtainfic
Avvertimenti: genderbender, AT, what if?, Victorian!AR, lime, femslash, leggerissimo Corporal Punishment
Personaggi: Female!Cyber!Sherlock, Female!John, Female!Moriarty, Male!Mrs.Hudson
Se ce la fate, vi chiedo di leggere bene anche le note finali…

A Sara, che mi ha detto: “Se il primo tentativo steampunk non ti uccide ti fortifica.
Credo che ne scriverai più di uno”.

 


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“Troppo forte?” Il pettine di resina si bloccò in un punto imprecisato dell’impressionante cascata di riccioli scuri che tentava di dipanare, con metà di una ciocca setosa tra i dentini, e altre che lo rendevano praticamente invisibile.
“Se mi facessi male griderei, sei tu che mi chiami ‘reginetta del dramma’, Johanna”.
La bionda sbuffò rassegnata, riprendendo la sua attività preferita della giornata, prima di preparare la sua amica per la notte.
Era una ragazzina viziata e pretenziosa, ma a lei piaceva proprio così.
Shirley pretendeva il suo Earl Grey con i biscotti alle cinque in punto, il bagno profumato alle sei, l’abito da camera ― stirato con quell’assurdo ferro a vapore di sua invenzione che rilasciava fili di fumo, e olezzante di verbena ― infilato dalle braccia sottili e nervose prima di farsi pettinare.
A volte Johanna sbagliava qualcosa; l’acqua nella vasca di cristallo rosso poteva essere troppo fredda o troppo calda, quando la spostava sulle rotelline di rame fino alla camera da letto, o poteva tirarle uno dei suoi stupendi boccoli senza accorgersi di un nodo.
In quel caso sapeva bene cosa la aspettava. Shirley l’avrebbe punita quella notte, facendola gemere e sussurrare parole indecenti, l’avrebbe fatta liquefare sotto le sue dita sottili fermandosi un secondo prima del dovuto; poi le avrebbe legato le mani con un nastrino di raso rosa per impedirle di darsi piacere da sola. Il nodo non era stretto né ben eseguito, quella era la sfida.
Però il mattino dopo, trovandola ancora così le avrebbe chiesto di perdonarla, prima domandandole cosa avesse poi fatto di sbagliato: in fondo era un gioco, vero?
Al mutismo della bionda minuta avrebbe reagito sedendosi sul pavimento per posare la testa sulle sue ginocchia in cerca di rassicurazione, e di fronte al suo “sparisci dalla mia vista” si sarebbe risollevata con aria teatrale, prendendo il frustino dall’espositore sulla parete, tra i quadri a colori acrilici e le casse di risonanza di legno di ciliegio collegate al grammofono, posandolo tra le sue mani morbide e delicate.
Avrebbe porto i palmi all’insù stringendo le labbra a cuore per mostrare tutta la sua superiorità mentre due colpi ― non troppo forti, mai davvero cattivi ― avrebbero pareggiato i conti.
A volte a questo sarebbe stato il segnale d’inizio di un corteggiamento erotico di carezze, morsi e vestiti strappati per non perdere tempo tra pizzi e lacci dei bustini, che sarebbe culminato in un letto disfatto e abitato da sospiri, calore e una nuvola di aromi femminili.
Shirley portava una fragranza che preparava personalmente con gli alambicchi che occupavano il tavolo della cucina, che aveva chiamato “Claire de la Lune”; Johnna aveva gusti più semplici e preferiva l’acqua e sapone.
Alla sua innamorata piaceva così, col suo profumo di vera bionda che si liberava quando strofinava la sua pelle appena dorata dai bagni di sole che prendeva sul terrazzo, come un’ambra che lascia la sua preziosa essenza sulle dita di chi ne testa il valore.
Altre volte il gioco si sarebbe protratto, e una pentita infermierina avrebbe fasciato le estremità offese della sua compagna bruna, dopo averle cosparse di balsamo delle Indie. Le avrebbe baciato il dorso delle mani, le punte delle dita, e avrebbero proseguito così finché una delle due fosse impazzita se non avesse potuto ottenere l’altra.
Come ogni giorno, alle sette in punto tutto era pronto: il tavolino basso al centro della stanza, apparecchiato con porcellane cinesi e bicchieri di vetro infrangibile, il chiarore giallino delle lampade a carburo che creavano un’atmosfera ovattata e seducente, i tappeti persiani quasi totalmente coperti di cuscini di seta blu pavone, viola e rosa cipria.
Il signor Hudson aveva personalmente cura di tutto il rituale, anche se non mancava di rimbrottare le fanciulle per considerarlo il loro maggiordomo; in fondo era il tutore legale, non sarebbe stato compito suo. Però adorava quelle ragazzine, avrebbe voluto vederle felici, ma era una cosa difficile, vero?
Non data a tutti, non in ogni momento. Sapeva per primo che ogni sera sarebbe entrato da quella porta, ricevendo l’abbraccio filiale di Johanna e la stretta di mano compita di Shirley. Avrebbe spiegato una tovaglia inamidata e sbiancata con quell’assurda miscela candeggiante che la più alta insisteva che si usasse invece della lisciva, e disposto lo cherry, le tartine, la frutta, i pasticcini di zenzero decorati di caramelle gommose, i muffin di cioccolato, e il vassoio d’argento con formaggi e miele e si sarebbe ritirato. Non giudicava, era solo dispiaciuto per loro.
Le ragazze si accomodarono sui cuscini da un lato del tavolo, la biondina incrociando le gambe come nelle illustrazioni del libro di discipline orientali che aveva preso in prestito, Shirley sdraiata come un’odalisca, le gambe lunghissime mollemente adagiate di lato, un braccio col gomito puntato su un cuscino a sorreggerle la testa. I boccoli erano talmente lussureggianti che sembrava che il loro peso dovesse sfidare la forza di gravità per non trascinarla giù con loro, ma no. Lei era imperturbabile, elegantissima nel kimono adattato a fungere da sopravveste ad una leggera crinolina violetta, la babbucce di seta che svelavano i piedi bianchissimi.
I due anelli d’oro che circondavano uno dei suoi inverosimili occhi azzurri ― quello di acquamarina ― ruotarono con precisione da cronometro, uno in senso orario, l’altro all’opposto, le palpebre si chiusero e al loro riaprirsi un lieve ‘click’ riempì il silenzio innaturalmente perfetto.
“Scontato, noioso!” La voce petulante e melliflua della ragazza che era comparsa di fronte a loro riempì la camera grazie alla tensione nervosa che accompagnava il suo manifestarsi.
“Vi piace il mio nuovo taglio? L’ha fatto un parrucchiere di moda”.
Un caschetto sbarazzino copriva appena i lobi delle orecchie di Jaimie, la folta frangia liscia che evidenziava i grandi occhi neri.
Un lunghissimo foulard, bianco come il resto dei capi d’abbigliamento, fermava la pettinatura con un nodo dietro la nuca, le cocche sottili che scendevano sullo scollo a barchetta della blusa. Un’ampia gonna pantalone dalle pieghe larghissime corredava il tutto.
“Ho giocato a tennis, oggi. Quello che per voi è ancora il volano”.
“Bene arrivata, ci preoccupavamo che fossi in ritardo per scroccare l’aperitivo!”
“Oh, guarda, la gattina sta mostrando gli artigli!” La nuova arrivata scoprì una chiostra di denti candidi che illuminavano il suo sorriso da folle, e ancora ridacchiando prese un muffin, affondandovi un morso lascivo che impresse la forma della bocca truccata di rossetto carminio.
Si guardò le dita sporche di cioccolato, per trovare che la miglior soluzione fosse succhiarle coscienziosamente una ad una, fissando le pupille buie nelle iridi azzurre, sia quella che sembrava ritagliata dal cielo che quella che la stava fotografando.
“Sempre le stesse cose, non cambiate mai gusto... a volte credo che la vostra vita senza di me non sarebbe niente. Queste stoviglie così antiche, a fiori, il lino ricamato…”
“Sono un riguardo per Johanna, a lei non piace ricordare com’è il tavolo che c’è sotto”.
Shirley aveva parlato con fare distaccato, lasciando che la sua voce seducente facesse il resto del lavoro.
L’interesse della loro ospite si accese in un lampo, e senza farsi problemi Jaimie tirò via la tovaglia, rovesciando a terra tutto quello che c’era sopra.
“Brutta idiota, credi di essere a casa tua?” La bionda si era inalberata, ma bastò un tocco della sua amica sulla mano per fermarsi prima di andare in azione e insegnare a quella maledetta cosa voleva dire un po’ di sana educazione.
Quello che emerse era un piano di semplicissimo marmo grigio, levigato e smussato agli angoli.
“Era un tavolo per autopsie, l’ho avuto da un amico medico. È comodo, questo tipo di marmo non si macchia quando faccio esperimenti con parti di corpi umani”.
L’espressione di Jaimie si rischiarò come davanti al più bello spettacolo del mondo.
“Qui c’erano dei cadaveri? Forse è rimasto qualche residuo di pelle, sai che si deposita perfino…”
“…come polvere. Con chi pensi di parlare?”
“Uhmm… controllo”. La giovane posò le mani sul bordo del mobile ed estratta la lingua per tutta la sua lunghezza, la passò lentamente sul piano, senza interrompere il contatto visivo. Poi chiuse gli occhi, inghiottendo la saliva per gustarla a pieno.
“Non ce n’è traccia, peccato. Ma lo spettacolo a qualcuno è piaciuto, vero, piccina?”
“Ho la tua età, o forse intendi che sono bassa?” Johanna intrecciò le dita spingendole verso il basso, lasciando che scrocchiassero il loro minaccioso avvertimento: ‘sto per usarle, non mi provocare’.
“A Sherly piaci così, vero? È talmente gelosa. Posso provare, Sherly cara?”
Jaimie avanzò a quattro zampe sul tavolo, fino a posizionarsi a pochi centimetri dalla sua preda. Insinuò una mano dalla manicure francese sotto il tulle della sottoveste celeste nascosta dal semplice abito color crema, tenendo d’occhio la bruna.
“Fino al ginocchio non m’importa”.
“Hey, sono qui, te ne sei scordata?”
“Non potrei mai”. La giovane esperta di chimica era terribilmente seria, tanto da placare i nervi tesi dell’oggetto della contesa.
“Calzettoni da bambina, davvero! E poi cos’hai, mutandoni da educanda?”
“Moriarty” ― l’uso del cognome era l’annuncio di un temporale ― ti ricordo che conosco trenta modi di avvelenarti il liquore, o che potrei prendere il coltello sulla mensola del camino e infilzarlo nella tua mano sudicia. Lei è mia”.
Le prove sono meglio della teoria per una mente scientifica, così Johanna non si stupì troppo quando per dimostrare cosa intendesse, Shirley fece scivolare piano le dita sotto lo scollo del suo abito, forzando la stretta del corpetto per stringerle il seno pieno, l’altra mano che si insinuava tra le sue gambe sopra la gonna.
Jaimie si passò due dita in bocca, avvicinandosi fino a soffiare nell’orecchio di Shirley.
“Fammi giocare con la tua bambola con le trecce… oppure provvedi tu”.
In un momento la loro avversaria si trovò stesa sul tavolo, con Johanna seduta a cavalcioni su di lei che le stava assestando un formidabile schiaffo che le fece sbattere la testa abbastanza forte da lasciarla un attimo senza parole. Seguì una presa sulla gola che stringeva la mandibola e premeva sulla carotide nello stesso momento.
“Mio padre era un soldato, non vuoi vedermi arrabbiata!”
L’altra rideva come impazzita, mentre spingeva via la bionda come poteva.
“Invece sì, è fantastico, mi sta piacendo… se fa soffrire Sherly puoi starmi addosso quanto vuoi, sono tutta eccitata”.
La ragazza col caschetto non stava scherzando, ma la voce maligna dall’inconfondibile accento irlandese le morì in gola, quando si accorse di non sostenere più alcun peso perché Johanna era tra le braccia di Shirley e stavano praticamente per cominciare a fare l’amore con lei presente.
“No, no, no… siete ovvie, scontate, stupide! Almeno per una volta avreste scritto qualcosa di nuovo su quel diario. È sempre del 4 Maggio1895, giusto?” Terminò con fare indisponente.
“Sì. È aggiornato sempre alle otto. Cioè adesso”.
L’orologio a carica automatica segnò l’ottava ora del pomeriggio, le dita crudeli di Moriarty portarono velocemente le lancette ventiquattro ore indietro ― oltre non giravano, l’occhio biomeccanico non lo permetteva.
“Ti strapperò quell’occhio, e lo brucerò, vedrai! Vi stancherete prima o poi, mi chiederete di smettere, verrete con me. Pensateci, non sono io che ho fretta. Tornerò a salutarvi, ieri”.
Dopo un istante era come se fossero sempre state sole, mentre il concetto di tempo si piegava in un nuovo cerchio, ma sempre uguale a se stesso.
“Lasciamelo fare, Jo. Ho commesso un errore di calcolo, il primo che abbia mai fatto, e lo stai pagando con me”.
“Rinunciare ad uno dei tuoi occhi? Sei impazzita? Troverai il modo, ti aiuterò e distruggeremo quell’orologio dannato!”
“Già non è uno dei miei occhi. Non ti conoscevo ancora e non mi importava, volevo provare la mia teoria delle dimensioni parallele. Non sono mai stata una ragazza del mio tempo”.
“Ma lo sei del mio, Shirley. Sei la misura della mia vita, non ti lascerò ferirti. Devi giurarlo, o smetterò di amarti, davvero!”
“Non ti credo fino in fondo. Ma non posso rischiare questo. Vieni da me, fammi stare bene”.
Johanna si lanciò tra le sue braccia, sciogliendo, con mani tremanti per la fretta, il nodo della cintura di seta, poi si fermò per prendere il viso delicato della bruna tra le dita.
Gli occhi di Shirley brillavano di diverse stelle, soltanto per lei; erano luce liquida e pietra preziosa, umano amore e lampi siderali.
Johanna decise di non aver mai visto qualcosa di più bello.



Note
: esse servirebbero a non essere uccisa, o peggio, scartata a priori da chiunque per altre letture… T__T
I nomi: ho fatto del mio meglio. John/Johanna è facile, ok.
Shirley viene direttamente da Shirley Temple. È un nome tanto da bambina boccolosa… ^_^ Mi sono rifiutata di usare “Sherly” che in slang americano vuol dire “ragazzina ninfomane” ed è per questo che Moriarty sbaglia appositamente il nome, in questa fiction.
Jaimie è suggerito come più antica forma femminile di James
Le protagoniste – per restare nel lecito – hanno non meno di 16 e non più di 18 anni. Fate vobis
Significato e scelta del titolo (nonché interpretazione del senso della storia – per fortuna brevissima)
Il monologo di Old Tart Toter (maggiordomo Biscotto) nell’episodio: "Princess Cookie" di Adventure Time
This cosmic dance of bursting decadence and withheld permissions twists all our arms collectively, but if sweetness can win, and it can, then I'll still be here tomorrow, to high five you yesterday my friend. Peace.
Credo parli degli intrecci del tempo in AT (ma è la mia interpretazione) per cui questo si muove in due direzioni, negando il valore assoluto di “ora”. Ieri e domani si rincorrono in cerchi concentrici, quindi non sono davvero passato e futuro, non essendoci un valore assoluto di presente. Moriarty mette sempre indietro l’orologio di Sherlock. Il tempo è un loop per Sherlock e John, mentre lui ogni giorno va avanti, ma apparentemente non invecchia perché torna da loro a “ieri”. I suoi vestiti sono anni ‘20. No, non so spiegarlo meglio: quindi, ripensandoci, potete uccidermi quando volete. Anche in modi dolorosi.

 

  
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