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Autore: Amens Ophelia    17/03/2017    3 recensioni
[MadaMito; AU ambientata nel Giappone feudale]
Madara Uchiha è un samurai fedele al suo signore, ma di fronte all'irriverenza e alla spontaneità della promessa sposa di quest'ultimo riuscirà a rimanere tutto d’un pezzo?
***
«Dovreste concedervi più lussi anche voi,» concluse la donna, portandosi una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio. «E meno rimpianti.»
(Storia scritta per un evento del gruppo Facebook We Are Out For Prompt)
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Madara Uchiha, Mito Uzumaki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Quando non fu che
                              un uomo

 
 
«Distesa di rugiada,
i semi dell’inferno
sono gettati»
 
(Kobayashi Issa)
 
 


Avevano cavalcato per due giorni e mezzo, quasi senza concedersi sosta, attraversando l’intera regione, scortati da una modesta truppa di tre uomini. La sera era già scesa, ma la marcia proseguiva.
«Non potremmo fermarci?» domandò a un certo punto Mito, sfinita, raggiungendo l’uomo che galoppava proprio davanti a lei.
«Hashirama attende il vostro arrivo per domani mattina, mia signora. Abbiamo in programma di alloggiare in una locanda a due ri1 da qui,» le spiegò, rivolgendole un’occhiata fredda e fugace.
La nobildonna sbuffò, indispettita. «Al diavolo: io mi fermo, sono esausta,» decise, obbligando il destriero a inchiodare di colpo. Nei pressi c’era una casa da tè2 ancora aperta, nonostante l’ora – se anche fosse stata chiusa, mostrando qualche ryō3 i padroni le avrebbero spalancato pure la porta del Tōdai-ji4, ne era sicura –, e una tazza di quella bevanda avrebbe indubbiamente giovato ai suoi nervi, oltrché alla sua condizione fisica. «Voi andate pure avanti, io vi raggiungerò tra un’ora, forse due.»
A quelle parole, Madara Uchiha ordinò al resto della truppa di arrestarsi. «Come dite, prego?» domandò incredulo alla donna, assottigliando gli occhi.
Non cedette alla lieve provocazione insita alla domanda, né cambiò idea. «Credo che una pausa, dopo ore di viaggio, sia più che legittima,» dichiarò.
L’uomo scambiò qualche parola con i suoi subordinati, per poi accomiatarli con un rapido gesto della mano. «Vi raggiungeremo a breve, intanto andate alla locanda,» ordinò loro.
Mito sorrise soddisfatta, smontando con grazia dalla groppa, e andò a legare il cavallo alla staccionata dietro il locale.
«Vedo che siete ragionevole, onorevole Uchiha,» ammise trattenendo un risolino e precedendolo all’ingresso.
Lui scosse il capo. «Non quanto dovrei.»



«Che ci facciamo sdraiati qui fuori?» domandò Madara, scrutando il cielo. La temperatura si era sensibilmente abbassata e la luna era ormai scesa dietro il filare di alberi che costeggiava la strada: la notte s’era consumata senza che se ne accorgessero, come una candela. «Avremmo dovuto raggiungere la locanda da almeno quattro ore,» constatò con un sospiro, abbandonando un braccio sulla fronte.
«Oh, ma lasciateli svagare, poveretti!» sbuffò la giovane donna, estraendo uno spillone dalla complessa acconciatura – che, incredibilmente, aveva retto nonostante quell’odissea. «Vi hanno seguito per giorni senza quasi fiatare, accondiscendendo alle vostre inconcepibili direttive: non meritano una tregua?»
Si rendeva conto dell’assurdità che diceva? «È ciò per cui sono nati, e per quest’obbedienza vengono anche pagati!» sbottò l’uomo, sbalordito.
Il volto di Mito si aprì a un ampio sorriso: quanto poco conosceva il mondo, pensò. «Probabilmente avranno incontrato delle affascinanti ragazze, per la strada. Avranno offerto loro una cena frugale, con quei pochi soldi che hanno con sé, e si saranno abbandonati-»
«È inaudito!» la interruppe Madara, voltandosi di scatto.
«Cosa? Che una donna parli così?» lo stuzzicò lei, divertita da quella reazione tanto umana. Era la prima volta che lo vedeva accendersi: per quei tre giorni aveva resistito al sole, al vento, alle sue sfiancanti proteste, e ora, finalmente, mostrava di essere attraversato da condotti sanguigni e sentimenti, proprio come chiunque.
Scosse la testa, tornando a dedicarsi alla perlustrazione del cielo, nel tentativo di recuperare il fiato e la ragione. Comprese che l’aveva punzecchiato di proposito, e quella caduta era imperdonabile. «Ciò che dite non mi riguarda. Potete asserire quello che volete, non è affar mio,» affermò con il consueto tono piatto. Tuttavia… «È inaudito che parliate così dei miei uomini.»
«Uomini,» ripeté lei, concorde.
«Intendevo dire “samurai”,» si corresse.
«No, avete detto bene: sono uomini. Provano stanchezza, nostalgia della propria casa, degli agi che un viaggio come questo non concede – comodità che possono risultare banali, a una donna cresciuta tra piume e seta, ma che oggi sono sembrati un lusso anche a me: pensate a quella tazza di tè…» spiegò con tono soave e innata sicurezza. «Sono costituiti di carne, di desideri: non possiamo biasimarli se non sono tornati a cercarci, anzi, dovremmo essere felici per loro, per quel sonno ristoratore che si stanno concedendo, dopo un pasto caldo e l’abbraccio di una donna. Sono uomini,» sospirò, voltandosi in sua direzione, «proprio come voi».
Non capì cosa lo spinse ad annuire, perché tutto ciò non aveva senso, andava contro la sua morale, la sua disciplina.
«Non vi fate troppi problemi ad esprimere ciò che pensate, eh?» le fece osservare.
«Se, come il resto degli uomini di corte, pensate che la polvere di riso e i profumi penetrino fin nel cervello di una fanciulla, vi sbagliate di grosso.»
Madara strinse le labbra, lottando contro se stesso pur di non svelare il sorriso che l’ostinazione di quella donna gli provocava. «Prima di conoscervi, sì, avrei giurato che fosse così.»
Mito inspirò, soddisfatta. «Sono lieta di aver fatto breccia nella vostra corazza, almeno un po’.»
“In realtà avete fatto più di quanto vi eravate prefissa, probabilmente,” pensò l’uomo, ragionando su dove una semplice sosta a una casa da tè li avesse portati. Hashirama era un uomo fortunato, forse pure immotivatamente, osservò con una buona dose di amor proprio – altro tassello della sua armatura morale, da anni.
«Dovreste concedervi più lussi anche voi,» concluse la donna, portandosi una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio. «E meno rimpianti.»
Quelle parole, così semplici, lapidarie ma ben piazzate, lo tormentarono per una decina di minuti, mentre cercava di capire se Mito Uzumaki, la promessa sposa del suo signore, fosse ancora sveglia o avesse ormai ceduto alla spossatezza. Era un’autorizzazione, quel consiglio di cui gli aveva fatto dono? Per comprenderlo, c’era solo una strada da percorrere – ed era paradossalmente contraria a quella che si erano ostinati a battere per tre giorni.
«Sapete, io non sono un vero uomo di corte,» sussurrò, facendo perno su un gomito per sollevarsi e ammirarla più da vicino. «Degli agi che ho avuto modo di sperimentare, continuo a preferire quelli conosciuti quando ancora non servivo nessuno, perché non mi davano rimpianti.»
Una lunga ciocca nera sfuggì dall’acconciatura di Madara e solleticò la guancia di Mito, la quale sorrise nello scorgere quel volto così prossimo al proprio.
«Dunque provavate maggior felicità quando non eravate che un uomo?»
Madara Uchiha la guardò negli occhi per un tempo che gli parve infinito, ragionando su quella domanda sibillina, ponderando con cura le parole da offrirle. Intorno a loro, i sottili fili d’erba, coperti dalla prima rugiada, sembravano sudare quanto lui nell’attesa di un esito. «Sì,» annuì alla fine, «in sostanza è la verità».
Mito risollevò quel ciuffo di capelli; lo ravviò dietro il suo orecchio, ma finì solo per causare una cascata d’ebano ancor più copiosa. «Allora cosa state aspettando per liberarvi di quest’armatura?»



 
[1083 parole]
 
 

NdA


1) Ri: unità di misura giapponese, corrispondente a 3927 metri.
2) Casa da tè: quella in cui sostano Mito e Madara è una chashitsu, un locale in cui viene osservata la cerimonia del tè; è diversa dall’altro tipo di casa da tè, l’ochaya, dove le geishe intrattenevano una clientela maschile.
3) Ryō: pezzo d’oro simile a una moneta dalla forma allungata (10-15 cm, in media) usato in Giappone prima della restaurazione Meiji (1866-1869).
4) Tōdai-ji: il “Grande tempio orientale” è un imponente monumento di Nara, antica capitale del regno, costruito tra 728 e 752 d.C..

 
 
 

___________

Scrissi questa storia nel maggio dell’anno scorso per un evento indetto dal gruppo Facebook We Are Out For Prompt; oggi ci sono “inciampata” per caso e ho deciso di pubblicarla. Il prompt mi è stato gentilmente offerto da graciousghost: MadaMito, Medioevo giapponese, Il primo tradimento: «Distesa di rugiada, / i semi dell’inferno / sono gettati» (Kobayashi Issa).
È una rapida OS (doveva essere una Flashfic, ma mi dilungo sempre troppo!) senza pretese, ma adoro questa coppia e immaginarla in un contesto medievale è veramente, veramente facile e intrigante, soprattutto con indizi poetici come quelli che mi hanno proposto ^^
Spero non vi sia dispiaciuta. Grazie per la lettura!
Alla prossima, 

Ophelia

 
   
 
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