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Autore: TheLoneDarkness    17/03/2017    2 recensioni
Il Sangue di Drago è ormai leggenda, Skyrim non è più quella di un tempo, l'orgoglio nord è sopito ormai, ma non distrutto. Saewen è una ragazza che vive a Solitude, sembrerebbe una comune ragazza, se non presentasse tratti tipici di Aldmeri e Nord. Sebbene la ragazza non sia una nord, trascorre molto tempo a immaginare le storie del passato, ascoltare leggende sul Sangue di Drago e a sembrare una nord. In un clima di tensione tra Impero e Thalmor, ribellioni e il ritorno di alcuni draghi, quale ruolo avrà questa fanciulla? E soprattutto, quale legame ha con Alduin e il Sangue di Drago?
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Si avvicinò di nuovo alla bandiera. Lei era nata trenta anni dopo gli eventi del sangue di drago e della guerra civile, dieci anni dopo la seconda guerra, perciò non aveva mai visto la Skyrim di un tempo, non conosceva le leggende e la cultura di quel paese, che gli Aldmeri avevano messo a tacere. Quello che conosceva, lo sapeva per aver ascoltato alcuni bardi nelle taverne, ma non era certo che quello che raccontavano fosse vero: ormai il sangue di drago era diventato una leggenda e le sue gesta erano state talmente cantate da essere in parte inventate.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alduin, Altri, Vilkas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Una bandiera proveniente dal passato-
 
 
 
 

Cinquanta anni dopo la sconfitta di Alduin e la vittoria dell’Impero sui Manto della Tempesta. L’impero sta riuscendo a risollevarsi dall’indebolimento subito, ha riammesso il culto di Talos, eppure non tutto il territorio di  Skyrim da loro controllato vede di buon occhio il dominio imperiale. I Thalmor controllano la parte nord di Skyrim, comprendente i territori di Haafingar, Hjaalmarch, Wintherold, Pale e Eastmarch, mentre l’Impero ha il suo dominio su Whiterun, Reach, Rift e Falkreath.
 
 
Solitude era innevata come sempre, e troneggiava sul grande fiume su cui si affacciava. Le sue acque melmose erano totalmente ghiacciate e riflettevano i raggi del pallido sole che ivi si specchiava. Solitude era tinta di grigio e bianco, come sempre: i cittadini  avevano imparato a coprirsi dal freddo, le pellicce di Solitude erano tra le più pregiate e calde di tutta Skyrim, se non dell’intera Tamriel. Una volta, quando ancora vi si recavano viaggiatori, essi rimanevano sempre stupiti riguardo al vestiario, nonché alle costruzioni, alle vie innevate che abbracciavano la collina. Il Palazzo Blu ancora spiccava al di sopra di essa, ma non vi erano più appese le bandiere di Skyrim o dell’Impero, bensì quelle degli Aldmeri, che ormai popolavano la città. L’ultima bandiera rimasta si trovava su una torre di quello che una volta era Castel Dour, quartier generale dell’Impero. Era una bandiera vecchia, stracciata, sporca, ma che ancora lasciava intravedere il fiero lupo, simbolo di Hjaalmarch.
Davanti a quella bandiera, ad osservarla sventolare in direzione del faro, c’era una strana persona. Era una ragazza incappucciata da un manto verde, che indossava un’armatura leggera sotto il mantello. Una treccia color castano chiaro, tendente all’arancione, le scivolava sulla spalla destra, ondeggiando morbida al vento. La particolarità della fanciulla non erano i suoi occhi verde smeraldo, leggermente obliqui dotati di un particolare taglio oblungo, ma le orecchie, appuntite quasi come quelle elfiche ma poco più grandi di quelle umane. Le teneva ben nascoste nel cappuccio, quasi fossero un peccato. La ragazza osservava la bandiera sgualcita, contemplandone il fiero stemma. Sembravano trascorsi secoli, eppure un libero Haafingar v’era stato alcuni anni prima. Certo, Skyrim non era mai stata del tutto libera, era sempre stata sotto il controllo e l’influsso dell’Impero prima, poi c’era stata la Grande Guerra e l’avanzata degli Aldmeri, e poi la Seconda guerra. Anche dopo di essa, il clima non si era riappacificato, e gli imperiali si stavano organizzando per riprendersi il nord di Skyrim. Neppure gli Aldmeri se ne stavano con le mani in mano, volevano scacciare gli imperiali dal sud, e oltre a ciò sempre più autoctoni desideravano libertà e indipendenza, perciò erano avvenute varie sommosse per tutta Skyrim. Quel lupo, però, quel fiero lupo, lo si vedeva rappresentato solo in quella sgualcita bandiera, che nessuno aveva avuto premura di levare. L’aveva vista lei per prima: anche se sventolava dalla torre, non era visibile dalla città, perché era stata posizionata dietro alcuni merli. Era come l’orgoglio e la fierezza dei Nord, che sembravano quasi esauriti, ormai, invece erano ancora nascosti ma presenti in quel popolo.
La ragazza si avvicinò a un merlo, vi ci appoggiò e mirò l’orizzonte: oltre la città si vedevano gli acquitrini che formavano il delta del fiume e a est il grande faro e le navi della Compagnia Orientale, confiscate dagli Aldmeri e utilizzate per i loro commerci. Avevano chiuso la Compagnia, licenziandone i lavoratori, facendo finire così la loro lunga permanenza a Skyrim. Il faro era comunque in azione, e la ragazza si divertiva ad osservare la luce percorrere una traiettoria circolare, illuminando le acque e parte della costa. Al di là degli acquitrini, si vedevano le paludi dello Hjaalmarch nelle quali in pochi si avventuravano. Il vento che le sferzava la faccia fece scivolare il cappuccio sulla schiena, rivelando così i capelli spettinati della fanciulla.
Si avvicinò di nuovo alla bandiera. Lei era nata trenta anni dopo gli eventi del sangue di drago e della guerra civile, dieci anni dopo la seconda guerra, perciò non aveva mai visto la Skyrim di un tempo, non conosceva le leggende e la cultura di quel paese, che gli Aldmeri avevano messo a tacere. Quello che conosceva, lo sapeva per aver ascoltato alcuni bardi nelle taverne, ma non era certo che quello che raccontavano fosse vero: ormai il sangue di drago era diventato una leggenda e le sue gesta erano state talmente cantate da essere in parte inventate. Come tutti  gli eroi, il sangue di drago era stato circondato da un’aura fantastica e surreale. La fanciulla aveva sentito addirittura cantare di un’avventura in cui il sangue di drago si sarebbe avventurato fino al centro della Terra per sconfiggere un demone a forma di drago, o aveva sentito dire che egli aveva le ali e poteva spostarsi da feudo a feudo librandosi in aria. Queste erano solo alcune delle favolose vicende che i bardi narravano. Quello che era certo, era che il sangue di drago aveva visto la Skyrim di una volta.
La ragazza sospirò, poi scese in fretta la scala di legno che portava dalla torre dentro Castel Dour. Ormai il castello era semi-abbandonato, vi si riunivano solo alcuni mercanti i giorni di festa al pian terreno per allestire alcuni banchetti.
Quando fu uscita dal castello, non fece a meno di pensare a quanto fosse potuto essere bello Castel Dour al suo antico splendore.
 “Saewen!”
La ragazza si voltò di scatto.
Un ragazzo biondo, dai capelli tagliati in modo disordinato che gli ricadevano sudati sulla fronte, vestito di stracci bianchi e grigi, stava correndo verso di lei.
 “Ayral!”
Il ragazzo arrestò la sua corsa davanti a lei, piegandosi in due per la fatica e respirando pesantemente. Quando si fu ripreso alzò lo sguardo su di lei.
 “Saewen, dove eri finita? Dobbiamo terminare il lavoro!”
Ayral era un ragazzo di quasi sedici anni che prestava servizio a corte come servo. Il suo compito era quello del coppiere, ma veniva utilizzato anche per altre mansioni, come le compere. Saewen si era arrampicata su per la torre e vi aveva trascorso più tempo del dovuto.
 “Andiamo, Ayral. Mi dispiace”.
“Voglio sapere dove eri finita. Anche se sei pure tu una serva, la tua posizione è diversa dalla mia. Se non vedessero tornare me, nessuno si preoccuperebbe, ma te…”
 “Ero salita sulla torre”
 “Sulla torre? Quella di Castel Dal?”
 “Castel Dour, Ayral. Castel Dour. Volevo godermi il panorama”
Saewen non aveva mai riferito a nessuno la presenza della bandiera. Non voleva che anche l’ultimo vessillo di Solitude venisse eliminato. A volte, guardando quella bandiera e immaginando le avventure del sangue di drago o dei famosi eroi del passato, si sentiva una vera nord. Ma lei non era una nord. D’istinto si accarezzò le orecchie e sospirò.
 “è grazie a quelle che interessi a qualcuno”
Saewen non ascoltò Ayral. Aveva già sentito varie volte quel discorso, e non aveva più voglia di parlarne. Scesero lungo la discesa che da Castel Dour portava al Palazzo Blu e girarono a destra e poi di nuovo a destra per recarsi nella parte più commerciale della città. Come sempre, nella via principale c’era Ajak, un vecchio avventore che ogni giorno pubblicizzava lo Skeever ammiccante, che si trovava proprio di fronte a “Radiose Vesti”, un negozio di abiti che spesso Saewen si fermava a visitare.
 “Hai indossato l’armatura!”, disse Ayral, contrariato, “Sai che è del signor Corunir?”
Ayral sapeva essere davvero noioso. Certo che sapeva che apparteneva a Corunir. Avanzarono un poco fino ad arrivare alla porta della città. Saewen guardò distrattamente a sinistra e vide il palco che di solito ospitava le pubbliche esecuzioni: a quanto pare aveva da sempre assaggiato il sangue dei condannati a morte.
Le guardie aprirono loro le porte di Solitude, e i due si accinsero a percorrere la discesa che conduceva fino a una torre di vedetta, dopo la quale avrebbero dovuto svoltare a sinistra e poi ancora a sinistra. Un uomo su un carro li superò facendo quasi cadere il maldestro Ayral.
Quando svoltarono dopo la torre, potettero osservare il grande fiume sul quale si affacciava il porto: era talmente immenso da sembrare un mare. Saewen e Ayral avanzarono. Alcuni nord che lavoravano come agricoltori e pescatori dell’insediamento che si trovava fuori città li guardarono con uno sguardo astioso.
 “Di certo non sopportano la tua presenza”
 “Non è colpa mia. E comunque io sono una nord”
 “Una nord con orecchie a punta. Certo, come no”, replicò Ayral.
Saewen sbuffò. Ayral aveva ragione, ma a lei sarebbe tanto piaciuto essere una nord.
Si avviarono verso quello che una volta era il magazzino della Compagnia Orientale, ormai declassato a mercato del pesce. Quella sera si sarebbe tenuta una grande festa al Palazzo Blu e serviva del pesce. Sebbene sembrasse un mercato da quattro soldi, quello vendeva i pesci più pregiati di Solitude. Ayral pose al vegliardo mercante l’elenco delle cose da prendere, pagò e diede a Saewen due sacchi con il cibo acquistato, mentre lui ne caricava in spalla un altro.
Salire con quei due pesi alla volta della città non fu per niente agevole, soprattutto per Ayral, che cercava di ansimare il meno possibile.
Entrarono in città e si avviarono verso il Palazzo Blu. Lungo la strada che conduceva a quel grande castello, ormai ristrutturato dai Thalmor, si diramava il quartiere ricco e nobile, abitato da soli Thalmor. Saewen e Ayral osservarono quelle persone che indossavano ricche vesti.
Una Thalmor dai lunghi capelli color platino squadrò Saewen da capo a piedi con una smorfia.
 “Ecco l’ibrido”, disse, sprezzante. “Io non la avrei accettata nemmeno come serva”
Saewen guardò in basso. La verità era che lei non era una nord. E neppure una Thalmor. Lei non era niente.
 “Beh, non tutti ti accettano”, si corresse Ayral, “Lo fanno solo all’interno del palazzo”.
Saewen non rispose e proseguì il viaggio sotto gli occhi indagatori dei Thalmor, che parevano non averla in simpatia. Ormai si era abituata ai loro bisbigli al suo passaggio, a tutte le dita puntate su di lei e anche a molti scherzi effettuati ai suoi danni dai giovani Thalmor.
Entrarono nel Palazzo Blu. La servitù era sempre all’opera: c’era chi correva in su e in giù per le scale, indaffarato a pulire, chi riordinava il castello, chi si dava da fare in cucina.
Ayral e Saewen si avviarono dalle cuoche per portar loro il pesce, ma qualcuno li fermò.
 “Saewen, Lady Mìrdan ti desidera al Suo cospetto”, disse un servitore dai folti capelli bruni.
Saewen annuì e salì le scale che conducevano alla sala del trono e svoltò a sinistra, percorse i corridoi e bussò alla porta di quella che una volta era la camera da letto della Jarl.
 “Entra”
Timidamente, Saewen aprì la porta. Si intimidiva sempre al cospetto della reggente del territorio Thalmor a Skyrim, anche se a governare era il suo consorte.  Lady Mìrdan aveva acconciato i suoi capelli dorati in una treccia a mo’ di corona. I suoi occhi neri stavano guardando Saewen con espressione insondabile. Si alzò dal letto sul quale era seduta e fece frusciare il vestito per terra. la veste Thalmor che indossava era leggermente più lunga di quelle abituali. Saewen guardò in basso, accennando a un inchino.
 “Saewen… sai cosa significa il tuo nome?”
 “Veleno nubile e vergine”, sussurrò la ragazza. Lady Mìrdan le poneva quella domanda ogni volta che la interpellava.
 “Veleno nubile e vergine. Non è nella tradizione aldmera, ma io credo che ognuno di noi debba seguire il significato del proprio nome. Il mio, Mìrdan, significa fabbro di gioielli. Non ho mai creato monili in vita mia, ma onoro il mio nome adornando il mio corpo di collane, anelli e bracciali d’oro o di metalli preziosi”
Saewen conosceva a mente anche questo discorso, ma come poteva una ragazza che si chiamava “Veleno nubile e vergine” rispettare il proprio nome? Doveva forse diventare un’erborista o doveva dilettarsi ad avvelenare le persone?
 “Cosa desiderate?”, osò chiedere Sawen.
 “Mia cara Sae, la festa di questa sera serberà per te grandi sorprese”
 “Spero positive”, si lasciò sfuggire la ragazza.
Mìrdan sorrise benevola.
 “ Corunir desidera la sua armatura”
Saewen tolse i laccetti e fece scivolare l’armatura, rivelando le vesti.
 “Perfetto, mia cara”
Mìrdan si avvicinò alla ragazza e le sistemò i capelli sulla fronte. Saewen arrossì.
 “Anche se il tuo sangue è sporco e sei frutto di un orribile incrocio, peccato che ammetto, non dimentico che sei pur sempre mia figlia. Se fosse accaduto nella mia terra natia, probabilmente non saresti nata, ma qui ho potuto tenerti”.
Saewen accennò a un sorriso.
 “Mìrdan”
Sulla soglia era apparso un Thalmor vestito con le tipiche vesti, dall’aria scura e i contorni del viso spigolosi.
 “Mio caro Hùldaer”, disse Mìrdan, “Cosa desideri?”
 “Non pensi che ci sia bisogno dell’ibrido nelle cucine? Non vorrei che stasera gli ospiti si lamentassero”
Saewen s’inchinò davanti al più potente Thalmor di Skyrim e scese le scale.
Sospirò. Almeno i nord parevano tollerarla, più o meno.
 
La tavola era riccamente imbandita: le luci illuminavano tutta la stanza. Tutti gli jarl erano lì riuniti: Hùldaer aveva pensato di invitarli a un’assemblea per mostrar loro la sua benevolenza nei confronti dell’impero e delle altre regioni di Skyrim e lasciar intendere che più alcuna guerra ci sarebbe stata da parte degli Aldmeri.
Rispetto a cinquanta anni prima, tutti gli jarl erano cambiati, eccetto uno: lo jarl Siddgeir, che si manteneva negli anni stranamente giovane. In molti si erano chiesti il perché di questo miracolo, ma nessuno ancora, neppure i Thalmor, lo avevano scoperto.
Saewen stava appunto servendo il cibo a Siddgeir quando la conversazione verté sulla politica. Hùldaer batté le mani sul tavolo.
 “Quest’oggi desidero non parlare di politica, argomento di varie discussioni. Questa è una riunione pacifica”
Saewen versò da bere allo Jarl del Rift. Si sistemò il cappuccio: non voleva mostrare le sue orecchie.
 “Chi è quella signorina che sta servendo da bere? Possiede strani tratti”, chiese Siddgeir, addentando un’ostrica.
 “Lei è l’argomento di cui volevo discutere a breve”, rispose Hùldaer.
Saewejn interruppe subito il suo lavoro e guardò il Thalmor, sorpresa.
 “Lavora”, le ordinò lui a denti stretti.
 “Che fai? Muoviti! Lo jarl di Whiterun deve essere ancora servito!”, la rimbrottò Ayral, apparso dopo aver versato del vino nel bicchiere della jarl del Reach, che aveva già naso e gote rosse.
 “Volevi parlarci della ragazzina?”, chiese Siddgeir. Pareva quasi interessato.
Saewen servì alcune aringhe allo jarl di Whiterun con malcelata preoccupazione.
Qualunque cosa avesse Hùldaer in mente, non era certamente buona.
 “Avvicinati, fanciulla”, disse Mìrdan.
Saewen posò le aringhe e si pose davanti a Mìrdan e agli invitati.
 “Dì il tuo nome agli invitati”
 “Saewen”
 “Cosa significa il tuo nome, Saewen?”
 “Veleno nubile e vergine”, sussurrò Saewen.
 “Che nome stupido! Chi chiamerebbe così una figlia?”, gridò la jarl del Reach con un grido acuto.
 “Saewen è mia figlia, frutto di una relazione scandalosa”
 “Il punto è che non possiamo più permettere che risieda in territorio Thalmor, neppure da serva.  Susciterebbe scandalo. Ormai anche quegli zoti… volevo dire, anche gli abitanti di Solitude che non sono Thalmor si stanno accorgendo della… diversità della ragazza. La offro a uno di voi, al prezzo di cinquecento pezzi d’oro”
Cosa? Mìrdan e suo marito volevano venderla al miglior offerente? Lei valeva solo cinquecento pezzi d’oro? Saewen guardò la madre, quasi per cercare aiuto, ma il suo sguardo era indifferente. Non le aveva mai voluto bene.
 “Cosa avrebbe di speciale la fanciulla?”, chiese Siddgeir.
 “Togliti il cappuccio”, le ordinò Hùldaer.
Saewen obbedì, tremando.
 “Ooh”, esclamò Siddgeir, “Che strane orecchie. Non sono come quelle degli aldmeri o di qualunque tipo di elfi, eppure le assomigliano. È una fanciulla molto bella”
Saewen iniziò veramente ad aver paura.
 “Io non me ne faccio di niente”, disse la Jarl del Reach.
 “Offro addirittura settecento pezzi d’oro”, disse Siddgeir.
Saewen era incapace di muoversi.
 “Se nessuno ha niente in contrario, settecento pezzi d’oro siano. Da adesso in poi, Saewen, sarai proprietà del signor Siddgeir”, disse Mìrdan.
 
   
 
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