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Autore: aphrodite_    17/03/2017    5 recensioni
Arriva un nuovo ragazzo a scuola determinato a rendere un inferno la vita di John. Chi l’avrebbe saputo che sarebbe finita così?
TRADUZIONE AU || autrice originale: johnandsherlocks - traduttrice: aphrodite_
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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DISCLAIMER: Niente di questa fan fiction - traduzione esclusa - mi appartiene. Né i personaggi, né la storia in sé. 

AUTRICE:  johnandsherlocks
TRADUTTRICEaphrodite_

 
Note iniziali: Ci sarà una sorta di parentesi adesso perché la storia si sta facendo lunga! Ma ad ogni modo, questo capitolo vi darà un contesto, in modo da comprendere meglio la storia, e cosa accadrà d’ora in poi. Non dovete leggere per forza se non volete, ma è una cosa che vi raccomando di fare. Sarà un bel salto nel passato!
D’accordo, adesso un piccolo annuncio: sono molto impegnata con l’università, quindi se posto con ritardo sapete già il motivo.

*** 
INTERLUDE: DREAMING
 
1952

 “Sherlock! Devi trovarti degli amici!” Disse sua madre con decisione.
 
 “Avere amici è noioso!” Disse Sherlock mentre coglieva dei fiori dal giardino. “Parlare con le persone è noioso! Le persone sono noiose!”
 
 “L’ha detto il dottore, Sherlock. E faremo ciò che dice, caro!”

“Chi ha detto che quell’uomo che è fedele al suo lavoro, ma che sta attraversando un divorzio e che non parla con suo fratello, dica cosa io debba o non debba fare?”

“E’ esattamente quello che sto dicendo! Non è normale, Sherlock. Dovresti giocare a football e socializzare, non provare ad indovinare cosa succede nelle vite delle persone come se fossi un indovino! Hai tredici anni! Sei solo un bambino!”

“Indovinare? Indovinare? Io non indovino, io deduco!” Disse Sherlock, chiaramente offeso.
 
 “Certo, d’accordo: deduci.” Disse sua madre, dubbiosamente.

Sherlock ridusse i suoi occhi a delle fessure e tirò i fiori per terra. “Non mi credi.”
 
“Ottima deduzione.”

Diede le spalle a sua madre, tornando in casa. “Quindi che farai adesso? Mi porterai in una clinica?”
 
 “Caro, sto cercando di evitarlo, ma voglio che tu stia bene.”
 
Sherlock mosse le mani per aria, chiaramente infastidito. “Sono in perfetta salute!”
 
“Non mangi, Sherlock!”
 
“Mangiare mi rallenta!” Disse con calma, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
 
 “Stai crescendo, hai bisogno di cibo!”
 
 “Mangiare è NOIOSO!”
 
 “Non usare questo tono con me, ragazzino!” Incrociò le braccia contro il petto.
 
 “Quindi cosa proponi? Cosa ti ha detto Mr. Maniaco del lavoro?”
 
Sua madre lo guardò, non voleva rispondere a Sherlock. “Un convento.”
 
Sherlock spalancò gli occhi. “No.” Si voltò per salire le scale.
 
"Sherlock..." Disse sua madre con calma.
 
 “No.” Continuò a salire.
 
"Tesoro..."
 
"NO!"
 
Andò al piano superiore cercando di scacciar via le lacrime che si stavano formando nei suoi occhi.
 
***

1953
 
Aveva trascorso la sua infanzia girando il mondo. Come poteva legare con le persone se le uniche persone con cui parlava erano i suoi genitori? In quel momento era in una stanza grigia, piena di stupidi ragazzini, a cui interessavano solo cose banali, come lo sport e le ragazze. Noioso, troppo, troppo noioso.
Nessuno gli parlava, non andava bene a scuola e Dr. Drivers affermò che Sherlock fosse depresso. Depresso. Come se lui riuscisse a provare cose simili.
Era Mrs. Hudson che prendeva gli appuntamenti a Sherlock, che lo incoraggiava a mangiare ed a prendere le sue medicine, e perché gli servivano le medicine? “Medicina” era l’eufemismo di “Sedativo”.
Solo quando Sherlock era troppo giù, silenzioso, e sempre assonnato, Dr. Divers ebbe paura e sospese la cura. E Sherlock ne aveva bisogno, aveva bisogno dei sedativi per sopravvivere a quella specie di scuola in convento. Aveva bisogno dei sedativi per vivere, in generale.
Viveva in costante sindrome di astinenza, e ciò incrementava la sensazione di solitudine. Ma no, non era solo, perché non aveva bisogno di amici. Non aveva bisogno di nessuno. Non aveva mai avuto bisogno di qualcuno.
Victor Trevor era il nuovo ragazzo della scuola, l’anno successivo. Attirò subito l’attenzione di Sherlock. Quando si presentò alla classe, disse che per lui tutto era noioso e stupido e che suo padre girava il mondo sulla sua nave, e lo vedeva raramente. Finalmente aveva qualcosa in comune con qualcuno della sua età.
Qualche anno dopo, Sherlock si sarebbe pentito di averlo salutato.
 
***
 
 “Ciao, sono Sherlock Holmes.” Disse dopo averci pensato per tutta l’ora di pranzo, avvicinandosi a Victor, che sedeva sul prato, guardando il suo pranzo.
Victor non lo guardò. Fece a malapena un “mhm”.
Sherlock sorrise. “Anche io sono annoiato. Ed anche io vedo raramente i miei genitori.”

Victor guardò, finalmente, Sherlock. “Non l’ho mai detto.”

Sherlock lo guardò. “L’hai detto.”

“No. Ho detto che non vedo mai mio padre. E tu hai insinuato che io non veda mai neanche mia madre.”

Sherlock si schiarì la gola. “Beh, è morta, non è vero?”

Pensò seriamente che Victor stesse per prenderlo a pugni, chiuse addirittura gli occhi perché si aspettava una reazione simile, ma non accadde nulla. Li riaprì e vide il ragazzo di fronte a lui, con il capo inclinato. “Come fai a saperlo? Com’è possibile?” Non sembrava arrabbiato, sembrava… Sorpreso.”

 “Riesco a dedurre facilmente le cose.” Sherlock fece spallucce.

Victor sorrise. “Lasciami indovinare… Sei stato portato qui per farti nuovi amici.”

Sherlock alzò gli occhi al cielo. “Ovviamente.”

Victor ridacchiò. “Sherlock Holmes, mi sarai molto d’aiuto.”

Sherlock non sapeva cosa significasse, ma sicuramente significava qualcosa.
 
***

Improvvisamente Sherlock si ritrovò a casa di Victor, presentato come “amico”, ed aveva addirittura trascorso le vacanze a casa sua. La famiglia di Trevor sembrava sorpresa ed eccitata perché Victor avesse trovato un amico, e stranamente a Sherlock piaceva la sua compagnia. La loro amicizia diventò sempre più forte durante il corso dell’anno. Sherlock incontrò il padre di Victor durante le vacanze, ed avevano anche parlato dei suoi viaggi, di lingue e persone.
E lì, tra saluti e chiacchierate, Sherlock capì due cose:
Uno, anche Victor aveva un terapista. Aveva perso l’abilità di parlare con la gente dalla morte della madre per via dello shock, per questo motivo era andato in terapia. Anche lui prendeva dei sedativi, stava cercando di smettere, ed anche lui aveva riscontrato delle difficoltà.
Due, provava… Qualcosa per lui. E quanto era stupida come cosa? Ma forse era la verità: era stupidamente innamorato di Victor. Non aveva senso. Sapeva che non avesse senso. Dovevano piacergli le ragazze, non i ragazzi. Doveva sposarsi, metter su famiglia, mantenere il nome della sua famiglia… Come potevano piacergli i ragazzi? C’era qualcosa di sbagliato in lui?
Forse gli piaceva Victor come amico. Sì, ovviamente. Non era innamorato, no. Lo ammirava e basta. Non sapeva cosa si provava ad avere un amico, quindi probabilmente aveva confuso i sentimenti.
 
***

O forse no. Sherlock si era ritrovato ad interrogarsi sui suoi sentimenti più e più volte. Ma perché ci stava pensando così tanto? Perché non poteva accettare il fatto che avesse un amico e che fosse felice a riguardo?
Forse perché voleva qualcos’altro, oltre l’amicizia.
Confermò i suoi pensieri, una notte, durante l’ultimo giorno a casa di Victor. L’estate era quasi finita, e Sherlock sarebbe tornato a casa. Victor l’aveva guardato per tutto il tempo. Quando erano di fronte il camino, leggendo libri seduti sul tappeto, il ragazzo non aveva tolto gli occhi di dosso a Sherlock. Sherlock era terrorizzato. Ovvio che sapesse, ovvio che Victor Fottuto Trevor sapesse. Sherlock si alzò dopo un po’, chiudendo il libro e dandogli la buonanotte, quando la mano di Victor afferrò il suo polso e lo fermò. Victor si alzò, e baciò Sherlock. Un casto, rapido e nervoso bacio. In quel momento Sherlock non pensò a niente. Ricambiò il bacio. E man mano i baci diventarono sempre più bramati. Dio, si sentiva così bene.
Infine saluto Victor ed andò nella sua stanza.
 
***

Apparentemente erano una coppia. Non l’aveva previsto. Ma gli andava bene. Le persone non dovevano sapere, ma Mycroft lo sapeva. Lo sapeva già, quando aprì la porta di casa per far entrare Sherlock, dopo esser tornato dalle vacanze. Lo squadrò dalla testa ai piedi, accigliato. Sherlock fece spallucce e salì al piano superiore. Entrambi sapevano che l’altro sapesse, e quello era il modo in cui i fratelli Holmes comunicavano. A Mycroft andava bene così. O almeno così sembrava, visto che non aveva mai menzionato la cosa.
Ma nessun altro poteva sapere, perché l’avrebbero rifiutato. Quindi dovevano tenere tutto segreto. Era bello avere dei segreti. Era il loro piccolo segreto.

***

Victor era cambiato. Dopo un po’ di tempo, presentò a Sherlock i suoi nuovi… Amici. E non sembravano affatto bravi ragazzi. Victor era diverso, iniziò ad indossare giacche di pelle, ad ascoltare strana musica, quel tipo di musica che tutti odiavano, e si comportava in modo strano. Ma era ancora il suo Victor. Suo, suo, suo.
Un giorno in particolare, mentre Sherlock era a casa di Victor, guardando il soffitto, e mormorando incessantemente “mi annoio, mi annoio…”, Victor poggiò il palmo della sua mano sul viso, alzando gli occhi al cielo, chiaramente infastidito da Sherlock. Si voltò per guardarlo.

 “Potresti fare i compiti, lo sai.”

“Fare i compiti è noioso.”

“Allora cosa vuoi fare Sherlock? Per l’amor di Dio, deciditi.”

“Voglio smettere di annoiarmi.”

Victor si alzò, prese un respiro profondo ed andò in bagno. Tornò con una piccola scatola tra le mani, guardando Sherlock. “Cos’è?” Chiese Sherlock.

“Hai preso le tue medicine?” Disse Victor, sollevando il sopracciglio.

“Non esser stupido, Victor. Sai che sto cercando di smettere.” Rispose Sherlock, con serietà.

 “Ovvio. Ma non è facile, vero?”

“Perché me lo chiedi? Lo sai che non lo è.”

“Il mio terapista mi ha dato delle nuove medicine…”

“Sedativi, Victor. Questi sono sedativi.”

“Beh, sì e no. E’ qualcosa di più forte. E’ buono. Ha detto che mi avrebbero aiutato a smettere con le altre pillole ed aveva ragione. Non mi servono più. Queste sono meglio, molto meglio.”

Mostrò la scatola a Sherlock, era bianca e c’era scritto ‘Laboratorio Sandoz”.
Sherlock guardò Victor, confuso.

“E’ la mia nuova terapia. LSD, loro la chiamano così.”

Loro chi? Si chiese Sherlock. Oh, certo, giusto. I suoi… Amici.

“E?”

“E cosa?”

“Qual è la differenza tra queste e le altre?”

“Oh, tutto è diverso. Queste mi rendono… Felice. Per davvero.”

“Per davvero?”

“Sì, e possono rendere felice anche te.”

“Ne dubito.”

“Provale.” Disse Victor porgendo la scatola a Sherlock.

“Non so, Victor.”

“Ti aiuteranno a smettere. Ti renderanno felice. Che c’è di male?”

Sherlock prese una delle pillole e la mise sotto la lingua.

E vide le stelle.
 
***

1954
 
 “Lasciami stare, vai via.” Ripeté le parole di Victor singhiozzando. Era seduto all’angolo della sua stanza, con le ginocchia contro il petto. Si sentiva così vulnerabile, ma non gli importava, niente importava più, neanche che Victor non fosse più con lui. Le cose tra loro erano finite. L’aveva drogato e l’aveva cacciato via da casa sua.
Non sapeva come fosse arrivato a casa. Non gli importava.
Le sue pupille erano dilatate, le sue mani tremavano. Era come se il suo cervello fosse altrove, riusciva a malapena a parlare, la sua bocca era asciutta, ma la sua faccia era bagnata. Lacrime, lacrime, lacrime… Victor. No. Victor. Non lasciarmi!

 “Sei un fottuto disastro, Sherlock! Seriamente, pensavo che riuscissi a reggere più di così.”

“Zitto e baciami.”

“Abbiamo già scopato due volte! Che altro vuoi?”

“Voglio che tu mi dica che tutto andrà bene. Voglio che tu mi dica che resteremo sempre insieme. Sempre.”

“Non esiste il ‘per sempre’, non essere stupido.”

“Prometti.”

“Non posso prometterti cose non vere.”

“Ti amo. E questo credo sia vero.”

“Quasi vero.”

“Quasi vero?”

“Un’altra pillola, Sherlock?”

 “Ti prego.”

“Non ti ho mai chiesto di amarmi, pensavo di esser stato chiaro. Quel che era, lo sapevi dall’inizio.”

“Era?”

“Dovresti andare.”

“No.”

“Sherlock!”

“NO! So cosa significa! Stai rompendo con me!”

“Non sto rompendo niente! Ci sei solo tu, ti costruisci illusioni che non renderò mai realtà perché io non ti amo! Preferisco scopare con te, amo scopare con te. Ma amare te? Per favore.”

“Pensavo che tu…”

“Pensavo che fossi intelligente.”

“Ti prego, non lasciarmi.”

“Addio, Sherlock.”

“No, per favore. Ti prego.”

“Un’altra?”

“Ti prego.”

Gli diede un’altra pillola. La terza da quando era arrivato a casa.
La sua stanza era scura. Si addormentò mormorando “non lasciarmi…” di continuo.
 
***

Sapeva che non sarebbe durato a lungo senza Victor, non appena lo vide al bar, lo pregò, lo pregò e lo pregò. Riluttante, Victor annuì e lo spinse contro il muro, baciandolo con passione. Fecero sesso nel bagno.
Sherlock ripeteva “mio, mio, tutto mio” più volte che poteva, per assicurarsi che Victor fosse suo. Victor prese dalla sua tasca due pillole gialle, e le mise in bocca a Sherlock per zittirlo. Sherlock sorrise.
Era la sua quarta pillola quella notte.
 
***

1955

“FOTTITI! FOTTITI!” Sherlock andò via dalla festa, mandando via le lacrime. Victor lo rincorreva, alzando la zip dei suoi pantaloni ed aggiustandosi la cintura.

“Non sapevo che saresti venuto.” Disse Victor con calma dopo aver raggiunto Sherlock.

“Da quanto?” Sherlock si fermò e si voltò, chiudendo i suoi occhi, la sua voce tremava.

“Da quanto me la scopo o da quanto mi scopo qualcun altro che non sia tu?” Sherlock lo fissò, scuotendo il capo alle sue parole.

“L’ho incontrata oggi, rilassati. Per quanto riguarda gli altri…”

“STAI ZITTO!”

“Sherlock, non so quale sia il problema. E’ solo sesso dopotutto.”

“A te importa solo del sesso, vero? Non te ne fotte un cazzo di me, non te n’è mai fottuto niente di me!”

“Ti ho avvertito, Sherlock. Te l’ho detto mille volte, eppure sei ancora qui. E mi perdonerai, e tornerai, perché è questo che fai. E’ questo che siamo.”

Tirò fuori una pillola dalla sua tasca e la mise in bocca. Dopodiché indico Sherlock. “La vuoi una?”

Sherlock scosse il capo, piangeva ancora.

“Oh, andiamo Sherlock!” Disse Victor, avvicinandosi ed afferrando il braccio di Sherlock. “Lo sai che sarà sempre così. Tu lo ami, tu mi ami.”

E si avvicinò per baciare Sherlock e Sherlock voleva andar via ma non riuscì.

“Io… Sono stanco di tutto questo, Victor.”

“Non puoi vivere senza di me, Sherlock.”

Ed era vero. Diamine, da quando la vita di Sherlock era diventata un tale casino?

Scosse il capo. Victor sorrise. “Lo immaginavo… Tieni, prendine una.”

Mise la pillola in bocca a Sherlock. Non appena la inghiottì, Victor lo baciò di nuovo. Dopodiché lo strinse tra le sue braccia e Sherlock scoppiò a piangere. “Bene… Sapevo che avresti scelto me. Sono felice che tu abbia capito. Hai bisogno di me. Lo sai. Moriresti senza di me.”

Sherlock annuì, stringendosi a Victor.
 
***

Sapeva quanto Mycroft odiasse che Sherlock portasse gente a casa. Non succedeva spesso, ma gli amici di Victor trascorrevano del tempo a casa sua di tanto in tanto, specialmente perché casa sua era vuota (c’era solo Mrs. Hudson) e potevano prendere tutte le pillole ed il liquore che volevano.
Stava con Victor da due anni, due anni di… Felicità. Indossava giacche di pelle, perché Victor gli aveva detto che con quelle giacche fosse eccitante, ascoltava rock’n’roll. Iniziò anche a fumare, era una sorta di terapia, ma non era potente come le pillole. Dio, le amava.
Non parlare con suo fratello per due motivi: 1. Perché lo vedeva a malapena. Mycroft era sempre troppo impegnato con la sua carriera e 2. Perché sapeva che Mycroft avrebbe saputo tutto. Ovvio che avrebbe saputo, e voleva evitare che lo scoprisse. Non era spaventato di deluderlo. Voleva solo evitare la discussione, i suoi genitori, una nuova scuola e separarsi da Victor. Non si sarebbe separato da Victor. No. Non sarebbe successo. Suo fratello non poteva scoprirlo.
La sua vita era sicuramente cambiata dopo aver iniziato a prendere quelle medicine. Non era felice, ma aveva dimenticato la tristezza ed era abbastanza. Dimenticò i suoi genitori, la scuola. Era solo lui, la sua musica, Victor e lui. Il suo cervello funzionava anche in maniera più rapida. Lo amava. Davvero.
I loro amici erano andati via. Mrs. Hudson era al piano inferiore, preparava una zuppa. Sherlock avrebbe dovuto ricordare. Come aveva potuto dimenticarlo? Stupido.

“Tesoro, siamo qui.” Sua madre e suo padre aprirono la porta, Mycroft era dietro loro.

Sherlock era a letto con Victor. La scatola di pillole era vuota. Ritornò alla realtà.
Avrebbe dovuto ricordare che fosse il compleanno di Mycroft prima di portare Victor a casa.

***
Victor era andato via. Sherlock era in salone. I suoi genitori di fronte a lui, le braccia incrociate, lo fissavano. No. Stavano parlando. Sì? Sherlock non sentiva niente. Era perso nei suoi pensieri. Loro non erano nei suoi pensieri. Erano altrove. Poteva giurare di aver visto Mycroft sorridere.

“Sherlock, mi stai almeno ascoltando?”

di suo padre. Avrebbe dovuto rispondere, per fargli sapere che stava bene. Aprì la bocca, ma nessun suono fuoriuscì. Rise. Non poteva fare a meno di ridere.

“Dovremmo portarlo in ospedale.” Ovvio, perché quella era sempre la fottuta soluzione, vero?

“No!” Oh, guarda, può parlare!

Suo padre lo afferrò per il braccio. “Andremo in ospedale.”

“NO!” Disse Sherlock, scansandosi dalla presa. I suoi pensieri si stavano ricomponendo.

“Sherlock!” Disse sua madre, con tono da rimprovero.

“Non avete mai pensato che non sono io quello a cui servono terapie? Non avete mai pensato che forse non sono depresso? Non avete pensato che forse sono solo infelice? Non avete mai pensato che fosse colpa vostra? Non avete mai pensato che chiudete la porta in faccia all’unica persona capace di darmi qualcosa? O di rendermi felice?”

“Sherlock! Stavi facendo sesso con un altro ragazzo in casa nostra mentre eri drogato e dici di non aver bisogno di terapie?” Disse sua madre alzando il tono della voce.

“Sto bene.” Rispose Sherlock.

“No, non stai bene.” Mycroft si alzò dal divano e camminò verso il fratello. I suoi genitori lo guardarono, come se avessero dimenticato che lui fosse lì.

“Ciò non ti riguarda.” Disse Sherlock voltandosi.

“Ovvio che mi riguarda! Sei mio fratello.”

“Oh, adesso sono tuo fratello. Dove sei stato per tutta la vita?”

“Sherlock, smettila!” Disse Mycroft esasperato.

“Altrimenti?”

Mycrot lo guardò in maniera provocatoria.

“Come mi forzerai?”

“Smettetela, tutti e due!” La loro madre si mise tra di loro. “Mycroft, va nella tua stanza, ORA!”

“Sono deluso, fratellino.”

“Oh, no. Ti ho deluso. Che farò adesso?!” Disse Sherlock, sarcasticamente.

“VIA!” Mr. Holmes urlò prima che Mycroft potesse rispondere.

“Sherlock, guardami.”

 Con una strana sensazione nella sua mente, Sherlock guardò sua madre.

“Non vedrai più quel ragazzo.”

Improvvisamente la voce di sua madre era lontana, molto lontana. Sollevò la sua mano e toccò la sua guancia. Era bagnata. Stava piangendo? Forse. No. Non provava certe cose. Un’altra lacrima. Stava piangendo.

“… Tornerai con noi. Viaggerai insieme a noi.”

Sentiva la voce da lontano. “No…” Mormorò. Si sentiva debole.

“Non era una domanda, era un ordine, Sherlock.”

“Non voglio andar via, mamma.”

“Te la sei cercata. Ti abbiamo dato la libertà, e l’hai gettata via. Ti sei rovinato!”

“IO. STO. BENE!”

“Guardati, Sherlock!” Disse sua madre disperatamente, piangendo.

“Ti senti davvero bene, tesoro?” Disse sua madre, toccandogli la guancia.

Chiuse gli occhi e scosse il capo, piangendo ancora ed ancora.

“Immaginavo.”

“Non voglio andare dal terapista.” Disse con fermezza.

“Non ci andrai. Ma verrai con noi. Capito?”

Sherlock annuì. Aveva altra scelta?

***

Ciao, tesoro. Come va? Immagino che tu sia impegnato. Riguardo la scorsa lettera, scusaci se non abbiamo risposto, ma Sherlock ha avuto una ricaduta, anche se non si è mai ripreso effettivamente, ma la settimana scorsa è stata particolarmente difficile. Siamo stati svegliati dalle sue urla, continuava a ripetere il nome di quel ragazzo, pregandolo di non andar via e non appena l’abbiamo svegliato, ha lasciato la stanza singhiozzando, e non l’abbiamo più visto per tre giorni.
Non abbiamo avuto tempo per cercarlo, ma alla fine è tornato, non devi essere un genio per sapere cosa abbia combinato in quei tre giorni. Per questo abbiamo deciso di mandarlo in una clinica. E’ stato più difficile di quanto pensassi, ma a quanto pare l’ha accettato. Non ci parla, ma non l’ha mai fatto. Il dottore ci ha detto che gli piace ascoltare musica ad alto volume e che sembra felice, anche se la musica che ascolta è orribile. Non socializza, ma non ha cercato di scappare o di prendere pillole, ed è un buon segno. Non faremo nulla per la vigilia di Natale. Abbiamo dovuto rimandare il viaggio a Roma, almeno fin quando Sherlock non si riprende. Puoi rispondere a questo indirizzo.
Buon Natale, mio caro Mycroft.
Con amore,
Mamma.

***

1956

 “Ciao, Sherlock.”

Gli ci era voluto un lungo anno in giro per il mondo, mesi di riabilitazione e molte, tante pillole per dimenticare quella voce. Ma scoprì di non aver mai dimenticato. Quella voce seducente, adorabile. Bella, bellissima voice.
Sherlock si voltò. La vista di Victor lo fece star male. Sentì qualcosa in lui rompersi, una sorta di vecchia ferita che pensava fosse guarita. Merda, aveva bisogno di una pillola.
Aveva superato una dipendenza, ma superarne due era troppo.
Dopo aver pregato i suoi genitori, suo padre riluttante aveva accettato di far ritornare Sherlock in città. A condizione che fosse costantemente monitorato dalla polizia. Polizia. Come se fosse un criminale. Iniziò ad aiutarli. All’inizio non credevano alle sue ipotesi, ma quando le confermarono, Sherlock Holmes diventò il miglior ‘acquisto’ della polizia locale.
Gli piaceva aiutarli. Sembravano persi senza il suo aiuto, in ogni caso.
Aveva smesso di prendere le pillole un mese prima. Era diventato bravo a resistervi. Aveva disperatamente bisogno di provare qualcosa. Lavorare con la polizia, risolvere omicidi ed allenare la mente gli permetteva di provare qualcosa.
Victor Trevor gli faceva provare tutto.
Dimmock gli aveva chiesto di andare sotto copertura ad una festa per controllare lo spaccio di allucinogeni, per vedere quali prodotti venissero spacciati, chi li vendeva e chi li comprava. Sherlock sapeva che sarebbe stata una sfida, e voleva affrontarla, voleva superare il suo bisogno per le pillole.
Avrebbe dovuto sapere che Victor sarebbe stato lì. Ovvio. Era ovvio che Victor sarebbe stato lì.

“Victor.” Annuì. Non sapeva come aveva fatto a non batter ciglio.

“Non ti ho visto in giro, ultimamente.”

“Ero fuori città.”

“Mi sei mancato.”

“Bene.”

“Sei stato in riabilitazione, vero?” Victor scoppiò a ridere.

“Vaffanculo.”

“Oh, quindi è così che vuoi giocare?”

“Non sto giocando, e non farò il tuo gioco. Non con te, non ancora.”

“Scommetto che anche io ti sono mancato.”

“Ne dubito.”

“Ne sei sicuro?”

“Certo che sono sicuro.”

“Allora scommetto che ti sono mancate queste.” Mostrò la scatola a Sherlock, la stessa scatola che gli aveva mostrato tre anni prima. Sherlock leccò le sue labbra istintivamente. Dannazione, gli mancavano, e gli mancava Victor. Doveva andar via.
La prima pillola non gli fece effetto. La seconda nemmeno. Ne prese cinque e dopo iniziò a sentire l’effetto di esse. Voleva solo dimenticare Victor. Ma com’era possibile farlo quando la lingua di Victor era nella sua gola? Aspetta. Quand’era successo? Com’era possibile che fosse accaduto?
Sherlock tornò alla realtà momentaneamente, ma si distrasse nuovamente non appena sentì le mani di Victor sul suo corpo. Victor, Victor, Victor.
Victor, colui che l’aveva reso un drogato.
Victor, colui che aveva spezzato il suo cuore.
Victor, colui che era andato via.

Sherlock poggiò una mano sul petto di Victor e lo spinse via. “No!”

Victor lo guardò con uno sguardo omicida. “Zitto, piccolo Sherlock.” Dopodiché si avvicinò nuovamente e baciò Sherlock sul collo.

“Smettila!”

“Che diavolo credi di fare?”

“Non voglio più giocare con te!” Disse Sherlock.

“Oh, Sherlock, smettila di fingere. Tu mi ami.”

“Ti ho amato.”

“Mi ami ancora.”

“Sei andato via, mi hai lasciato da solo. Ero solo. Mentre soffrivo, mentre ero in riabilitazione. Mentre cercavo di rimettere a posto i pezzi del mio cuore, tu sei sparito.”

Sherlock sembrava così ferito, ma non voleva mostrare le sue debolezze.

“Ti piangerai addosso per il resto della tua vita? Che ti aspetti da me?”

“Beh, non ci cadrò di nuovo.”

“Non puoi scappare via, Sherlock. Non sei mai stato in grado di farlo.”

“Guardami.”

Prese un’ultima pillola ed andò via, quasi correndo.

“Te ne pentirai, Sherlock. Tornerai, torni sempre e lo sai anche tu!” Udì Victor gridare mentre saliva in macchina, correndo via.

***
L’ultima cosa che sentì erano delle braccia che lo portavano fuori dall’auto. Dalla sua auto. La sua rocket. Dovettero togliere lo sportello per tirarlo fuori. Si sentiva confuso, ma era una confusione piacevole, quella confusione che provava solo con le pillole. Nove pillole, per l’esattezza.
Poteva percepire il sangue scorrere lungo il suo viso.
Battito: lento. Respiro: irregolare. Se avesse perso i sensi, sarebbe morto. Concentrati sul respiro. No. Non su Victor. Sul respiro. Inspira ed espira.
I suoi occhi si chiusero non appena vide le luci, ed udì l’ambulanza. Le persone attorno a lui parlavano e parlavano. Smettetela! Smettetela!
Gli diedero l’ossigeno, e capì che non era una buona cosa… Non chiudere gli occhi.
Le porte dell’ambulanza si aprirono. Con l’ultimo briciolo di coscienza, guardò il suo amato regalo di compleanno dopo aver rotto con Victor. ElDorado. La sua rocket, la sua compagna, distrutta. Stava per svenire. Chiuse gli occhi. Poi una voce.

“Oh dio, mamma, lei sta bene?”

Qualcuno si avvicinò all’ambulanza. “Dio, Harry. No.”

La sua voce tremava. “Starà bene?” L’infermiera spinse la barella dentro l’ambulanza. “Per favore, mia sorella non è un’assassina. Per favore.”

Sherlock aprì appena gli occhi e lo vide. “Per favore, ditemi che lui si riprenderà. Vi prego, ditemi che sopravvivrà.”

Che voce dolce. Che voce delicata.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare.

***

NOTE: Ce l'ho fatta! Oggi sono tornata a casa per il fine settimana, e sono LIBERA. Almeno fino a domenica. Quindi ho pensato di tradurre e postare il capitolo, perché avete aspettato fin troppo. Adesso vi chiedo: esiste qualcuno più odioso di Irene? Sì. La risposta è: VICTOR. Stronzetto, dovrebbe scendere dal piedistallo. Ha rovinato Sherlock, ma sappiamo bene che il nostro Sherlock è forte... Quanto basta. 
Spero vi piaccia il capitolo, leggermente diverso dagli altri, essendo una sorta di capitolo di 'pausa'. Tra l'altro le note iniziali sono le note della scrittrice, e le ho volute lasciare perché valgono anche per me! Un bacio, spero di postare presto anche se vi avviso: lunedì ritorno a Catania per l'università, e sabato parto per cinque giorni quindi non ci sarò il fine settimana. Se riuscirò, posterò prima di sabato, altrimenti vi posterò il prossimo capitolo dopo giorno 30. Non me ne vogliate! Mi farò perdonare. Vi abbraccio, :*

 
  
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