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Autore: Lilium__    18/03/2017    3 recensioni
[Storia Interattiva. AU!Soulmate, What If...?]
Iscrizioni aperte fino al 26/03
Dal prologo
La vita di un Nephilim, - le aveva insegnato Claude quand’aveva cinque anni,- era una trappola mortale, un campo minato sul quale avanzare con la cura di un soldato consapevole della morte imminente. Non v’era spazio per l’amore o per la gentilezza. La morte arrivava più in fretta se ci si fermava ad aiutare gli altri a sfuggirle e i fili della vita dei Nephilim erano già corti di per sé.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Per me si va ne la città dolente,
 per me si va ne l'etterno dolore,
 per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
 la somma sapïenza e 'l primo amore.
 Dinanzi a me non fuor cose create
 se non etterne, e io etterno duro.
 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno.
 
Margo Fairfax aveva sempre creduto nelle leggi di Murphy: la fetta biscottata sarebbe sempre caduta dalla parte del burro e della marmellata; se v’erano due modi per fare qualcosa e uno dei due avesse condotto a una catastrofe, allora sicuramente qualcuno avrebbe scelto di farla in quel modo; il sonno era sempre un breve intervallo tra una sconfitta e un’altra, sempreché non fosse popolato da incubi.
Per questo non si stupì quando il suo parabatai, suo fratello in battaglia, l’unico che conoscesse davvero la sua anima, la tradì nel peggiore dei modi: concedendo la propria attenzione e condividendo il proprio spazio vitale con il suo peggior nemico.
In fondo era stata perseguitata dalla malasorte sin dalla più tenera età, costretta com’era ad affrontare la sua algida e sprezzante madre ogni giorno senza l’aiuto di una figura paterna né una famiglia alle spalle. Claude Fairfax non era mai affettuosa, non aveva una parola gentile per nessuno e non si sarebbe piegata, coerente con se stessa com’era, a trattare diversamente la sua unica figlia.
La vita di un Nephilim, - le aveva insegnato Claude quand’aveva cinque anni,- era una trappola mortale, un campo minato sul quale avanzare con la cura di un soldato consapevole della morte imminente. Non v’era spazio per l’amore o per la gentilezza. La morte arrivava più in fretta se ci si fermava ad aiutare gli altri a sfuggirle e i fili della vita dei Nephilim erano già corti di per sé.
Margo scosse il capo, abbandonando quel ricordo nel vaso di Pandora che era la sua mente. Doveva stare attenta a non lasciar sfuggire il pizzico di speranza che era sul fondo. E quella speranza aveva gli occhi dorati come l’icore angelico, qualcosa che rasentava il divino, come se fosse stato benedetto a sua insaputa e la sua nascita fosse stata annunciata da un cielo favorevole e benigno. La sua speranza era Jace, il sorriso storto che lasciava intravedere il canino scheggiato, l’unica imperfezione di una creatura che sembrava aliena, inumana, troppo perfetta per essere mortale.
La ragazza sospirò, scostando una ciocca di capelli castani che erano sfuggiti dallo chignon, scosso dalla brezza settembrina. Chiuse gli occhi verdi e chinò il capo, come se si attendesse una sentenza mortifera. S’era sempre sentita inadeguata a quel mondo di grazia e sarcasmo che era il cuore del suo parabatai, lei che non era una guerriera in una comunità in cui la guerra era l’unica cosa importante, lei che omaggiava raramente l’Angelo che aveva concesso loro la missione più nobile, lei che era un’artista prima di qualsiasi altra cosa.
Jace era diverso: era un guerriero valoroso, un amico leale, amato dai professori, idolatrato dagli altri studenti, sempre pronto a insegnare mosse ai più piccoli e a illuminare con i suoi discorsi, il suo carisma e la sua intelligenza sopraffina quelli più grandi.
Margo si ritrovava a detestarsi in sua presenza, conscia com’era di averlo ingabbiato in una prigione di peculiarità insensate e discorsi labirintici che sfioravano quelli dei sofisti.
L’Accademia degli Shadowhunters poteva rassomigliare a una bolgia infernale, un girone dei più vicini a Lucifero, per come la interpretava Margo che era scansata come la peste da quando aveva annunciato, nel bel mezzo della seconda lezione di Storia dell’Alleanza, a nove anni, che avrebbe sposato una fata solo per poter avere una conversazione arguta. Il suo parabatai riusciva a renderla apprezzabile, alle volte anche piacevole, come quando si liberavano degli insegnanti e andavano all’avventura, per scoprire cosa si nascondeva negli anfratti più oscuri dell’Accademia, dove si diceva vivessero demoni e lumache giganti.
Quello, però, era un ricordo dell’infanzia e né Margo né Jace erano più bambini, o almeno era ciò che sua madre sosteneva. Dal canto suo Margo si sentiva una bambina, inconsapevole e innocente com’era, intrappolata in una situazione che limitava la sua libertà e il suo stesso sguardo. Alle volte si ritrovava a pensare che anche sua madre, dall’alto del suo scranno da Console, fosse ancora un’infante capricciosa che si gloriava di un titolo da regina senza essere tale. Era un pensiero confortante perché ridimensionava il potere e il controllo che esercitava sulle vite di qualunque Shadowhunter fedele a Idris. La faceva apparire umana e non quella chimera misteriosa, quella sfinge infida, quella dea pagana che era il più delle volte.
La spalla destra di Raziel offriva un ottimo punto di osservazione sulla valle sottostante, ma il suo orizzonte era il limite invalicabile di una vita recintata, atta a un solo obiettivo: uccidi quanti più demoni possibile, sposa la tua anima gemella, onora la tua famiglia.  
« Che razza di traditore,» bofonchiò la ragazzina, facendo oscillare le lunghe gambe fasciate dalla divisa nera da allenamento. Il tacco dello stivale si scontrò con la clavicola dell’Angelo di marmo e Margo sollevò gli occhi verdi al cielo, come se si aspettasse di essere fulminata da un momento all’altro. L’Angelo doveva avere in mente altri progetti per rovinarle ancora la vita perché non accadde nulla.  
« Non entri? » sentì dire al platinato pavone sei metri sotto di sé, all’ingresso dell’Accademia, la mano destra che scostava il portone mentre con la sinistra si scompigliava ad arte i capelli mossi. Le ci volle tutto il suo autocontrollo,- che non era molto, a dire il vero,- per non sbuffare sonoramente.
Jonathan Christopher Morgenstern era bello, di questo Margo gliene rendeva atto e merito. Alto, slanciato e fascinoso come l’Apollo Pitico, era il guerriero più promettente della sua generazione, una forza della natura con uno spadone tra le mani. Quegli occhi scuri come l’onice incantavano perché impossibili da leggere e su quelle labbra sottili ed eleganti mille e più lacrime erano state spese, Margo lo sapeva per certo. Così come sapeva quanto era stata invidiata quando il segno delle anime gemelle all’interno del suo polso, la Runa dell’Orologiaia, s’era azzerato mentre si allenavano insieme a circa dodici anni.
Avrebbe dovuto esserne contenta, onora persino, ma s’era sentita come se un terremoto avesse aperto una faglia sotto i suoi piedi per scaraventarla negli più peccaminoso degli Inferi.
« Ti concedo l’onore di scegliere il letto,» replicò Jace, riportandola al mondo.
Jace aveva quella particolare abilità di spazzar via le nuvole della sua mente con piccoli gesti neanche studiati. Per il suo parabatai tutto era naturale come respirare e Margo adorava la sua forza d’animo, più potente di ogni ombra infernale.
« Oh vostra altezza, che riguardo,» scherzò Jonathan, calcando le lettere in quel particolare modo tutto tedesco di dare importanza ad ogni fonema. Margo, che era di origine francese, detestava quei suoni duri e gutturali, preferendo quelli più dolci e carezzevoli, come il tono che Jace adoperava quando declamava poesie e racconti italiani.
Sapeva che era sciocco da parte sua confrontare Jace con Jonathan, che erano tanto diversi da risultare simili. Avrebbe dovuto provare per loro due tipi diversi d’amore perché diversa era la natura del legame che li univa a sé. Eppure Margo non poté impedirsi di notare quanto Jace fosse più fine, elegante, quasi etereo se confrontato con la passionalità e la forza di Jonathan. Se Jane era tutto d’oro, tutta luce, chiazzata qua e là da segni d’inchiostro che non riuscivano a macchiargli l’anima immortale; Jonathan era un gioco di chiari e scuri, come un disegno di Leonardo da Vinci, qualcosa di velenoso e mortale, blasfemo come una fiera selvaggia nella selva oscura.
Curioso che fosse proprio lui la sua anima gemella.
La ragazza si alzò, puntellandosi sui talloni per darsi lo slancio necessario a saltare. Era un gioco pericoloso, nato da una sfida più intrigante delle altre. Saltare da un baratro come un angelo caduto in tentazione era l’unico stile di vita che Margo conoscesse, l’unico atto di stupidità che tollerasse.
Chiunque altro sarebbe apparso perlomeno sorpreso nel vedersi spuntare accanto una ragazza avvolta come una palla che si preparava a toccar terra ferendosi il meno possibile. Chiunque tranne Jonathan Caradog Herondale. Era abituato alle sue peculiarità, dopotutto, ed era l’unico ad adorarle.
« Non pensi che stia diventando un po’ blasfemo? Raziel potrebbe anche arrabbiarsi,» domandò il biondo, più incuriosito che turbato, mentre le porgeva la destra per aiutarla a rialzarsi. La runa di Jace doveva ancora azzerarsi, segno che la sua anima gemella tardava ad arrivare. Una parte di sé, la più egoista e la più crudele, sperava che non arrivasse mai, che Jace non la lasciasse mai. Perso lui, tutto il resto del mondo sarebbe sprofondato in un abisso oscuro senza significato né attrattiva.
« Stavo ripensando al passo di Dante. L’iscrizione sulla porta che conduce all’Inferno,» soggiunse quando notò l’occhiata incuriosita del suo parabatai. Qualsiasi cosa che riguardasse Dante o Milton, l’Inferno e il Paradiso, sembrava interessare il biondo come poco altro al mondo, un tratto che contrastava così tanto con la sua indole da guerriero instancabile da risultare attraente per l’artista che era in lei. Jace non era soltanto armi, sangue e furia guerriera. Jace era anche pace e poesia, un’anima affine che vibrava per l’arte e la musica.
Jace rise, gettando all’indietro il capo leonino, lasciando scoperta la gola, il pomo d’Adamo che si alzava e si abbassava a velocità folle. Margo lo osservò incantata e si lasciò sfuggire un sorrisetto orgoglioso: Jace rideva così di rado per puro e semplice divertimento e lei era una delle poche persone a saperlo prendere.
« L’Accademia non è l’Inferno, Reine Margo,» bisbigliò lui come per svelarle un segreto, carezzandole lo zigomo in un bacio di farfalla, qualcosa che avrebbe fatto sospirare qualsiasi altra ragazza al mondo, ma non lei che lo amava di un amore diverso, più puro, ultraterreno.
« Cambierà molto in Accademia quest’anno,» profetizzò, gesticolando appena verso la struttura, lo sguardo rivolto verso la finestra del Rettore Morgenstern, il padre di Jonathan, l’uomo più strano sul quale Margo avesse mai posato lo sguardo. Valentine sembrava al contempo di ghiaccio e di fuoco, come un pugnale appena pressato in una fucina, affilato come un artiglio e altrettanto pericoloso. Le sue regole erano severe, gli allenamenti quasi dispotici. Era tremendo, ma rispettato ovunque per la sua disciplina ferrea. Assomigliava a sua madre, in un certo qual modo. Forse perché entrambi erano stati educati dallo stesso padre.
« Hanno paura, i nostri guardiani. I Demoni diventano sempre più forti, noi sempre più deboli. Stringono la cinghia sul nostro mondo,» continuò imperterrita, svelando gli antichi timori di un sogno che non accennava ad abbandonare il suo sonno, costringendola a bere pozioni che la intontivano e la rendevano docile come un agnello, lei che era un lupo.
« Margo,» la rimbeccò lui, scoccandole uno sguardo di puro oro liquido, come per esortarla a non parlare a voce così alta nel cortile dove ovunque poteva sentirla e giudicarla. Jace era come un angelo custode, un padre, qualcosa che Margo non aveva mai conosciuto.
« Perdona il tragico. Conosci bene il mio amore per la poesia. Questa situazione mi sta facendo diventare matta. Riparate Prometeo dalle aquile voraci. Divelti debbono essere i cardini che imprigionano in questo triste luogo…»
Una risata frizzante interruppe la sua arringa appassionata, i versi di una ballata che aveva tutte le intenzioni di comporre prima che qualcosa di terribile accadesse. Era una risata piena e alta, gioiosa e sbarazzina. Era tintinnate come la ragazza che l’aveva prodotta. Helen Blackthorn era bellissima come soltanto qualcuno che apparteneva, anche solo in parte, alla nobiltà dei Seelie poteva essere. Boccoli biondi e occhi verdemare su uno sfondo d’alabastro, in quel momento appena punteggiato di rubino sulle gote. Se si fosse specchiata e avesse confrontato l’immagine di Helen con la propria, avrebbe visto due persone completamente diverse. Non che Margo non fosse attraente, - pochi Nephilim erano davvero sgradevoli alla vista, essendo per metà angeli,-  ma i suoi tratti erano troppo marcati, le gote troppo tirate sugli zigomi alti e fieri, gli occhi di quel colore strano, di quel verde misto al dorato e al bronzeo, che da piccola le era costato l’amaro e ignobile soprannome Faccia da  Capra, come se il suo nome di battesimo non fosse già abbastanza stupido di per sé.
Jonathan si chinò a baciare Helen sul primo gradino che conduceva all’interno. Erano illuminati da un Sole alto e caldo, i raggi che giocavano con i capelli biondi di entrambi.
« Meow,» esclamò Margo nauseata, sentendosi stringere lo stomaco in una morsa ferina. Era una reazione istintiva, legata alla Runa dell’Orologiaia, qualcosa su cui non aveva affatto potere. Era il suo corpo a reagire per qualcosa che la sua anima non accennava neanche a riconoscere. Lei non amava Jonathan Morgenstern, era una delle poche certezze della sua vita.
Jonathan sembrò captare quel suono perché si volse ad osservarla, cercando i suoi occhi verdi con i propri, di un nero senza alcun accenno di nocciola o grigio. Erano occhi strani, i suoi, pozze che sembravano essere sorte dal Gran Vuoto. Margo ricambiò lo sguardo con uno divertito, non potendone fare a meno. L’intera situazione era ridicola. I Nephilim nascevano con quella runa, ognuno di loro destinato a qualcun altro, e una legge tra le più sacre del Codice comandava che le anime gemelle non venissero separate. Era una legge grottesca, così sciocca e insensata che l’aveva ridotta alle lacrime quando la sua Runa s’era azzerata prima di scomparire, diventando l’ennesima cicatrice sulla pelle e nell’anima. Era un attentato contro il libero arbitrio, un’incongruenza insormontabile, un cavillo che distruggeva vite da più di mille anni.
Sentì Jace sospirare al suo fianco e lo vide scuotere il capo, rivolgendo verso Jonathan uno sguardo di puro biasimo. L’altro ragazzo gli rivolse un ghigno da teschio e prese per mano Helen, dando loro le spalle e avviandosi nella direzione opposta.
« Jonathan è la tua anima gemella,» rimarcò l’ovvio, con una determinazione tale da farle credere a qualsiasi cosa stesse dicendo. Se le avesse detto con quel tono che il cielo era viola e fatto di porcospini, Margo ci avrebbe creduto perché era Jace e Jace non mentiva, « Siete legati, Margo, indissolubilmente,» aggiunse il ragazzo come per imprimerle quel messaggio nel cuore.
« Io e te siamo legati perché ci siamo scelti a vicenda,» replicò lei infervorata, come mille altre volte aveva fatto. Non era disposta a cedere su quel punto, non era disposta a barattare la libertà con qualsiasi altra cosa che avrebbero potuto offrirle. Forse sua madre non sbagliava quando la chiamava ribelle, « Quello che lega me a Morgenstern è soltanto una stupida convenzione basata su una legge ancora più sciocca.»
« È diverso. Noi siamo parabatai, fratelli in battaglia. Il nostro amore è di altra natura,» mormorò Jace con dolcezza, una gentilezza che era tutta sua e che Margo adorava, stringendola a sé e baciandole il capo. Jace profumava di pepe nero e di sapone, un vago sentore di colonia che si percepiva appena, come se avesse abbracciato suo padre prima di recarsi all’Accademia. Era un odore familiare, un balsamo che mitigava gli aspetti grezzi e acuti del suo carattere riottoso, « Jonathan non è un cattivo partito,» continuò sottovoce, carezzandole le nuca con il pollice. Per Jace era diverso: lui non aveva ancora incontrato la sua anima gemella e sapeva che una parte di sé credeva che non l’avrebbe mai trovata. Non poteva sapere cosa significasse essere destinati a una persona che si detestava dal profondo del cuore, avere il cuore spezzato per una speranza tradita.
« Preferirei donare la mia anima a Lucifero e diventare sale come la moglie di Lot piuttosto che concedermi a lui,» esclamò con tutta la sincerità di cui era capace, ergendosi di tutta la sua altezza e guardandolo direttamente negli occhi. Era seria, seria come poche altre volte era stata in vita sua, lei che aveva fatto del sarcasmo un’arma e dell’arguzia una strategia di sopravvivenza.
« Non credo che abbia molta scelta.»
« Ho accettato che l’Accademia sarà la tomba della mia coscienza e della mia intelligenza, che l’istruzione ridurrà la mia anima a un ammasso informe di abilità guerriere senza nessun amore più alto… ma accettare che Jonathan Morgenstern, che quel tronfio, platinato pavone saccente sia la mia anima gemella… non posso proprio, Jace. Ogni tendine, ogni muscolo, ogni corda del mio corpo rifiuta di essere connessa a lui.»
 
 
Claude Catherine Fairfax non era una donna facilmente impressionabile. Poteva competere con chiunque, uomo o donna che fosse, Nascosto o Nephilim, umano e non, per forza d’animo e compostezza, per coraggio e ardore, ma soprattutto per la freddezza con la quale accoglieva doveri e dispiaceri.
Quando i suoi genitori erano morti, sconfitti da un Demone Superiore, Claude non aveva versato una lacrima né aveva dato segno di qualsivoglia forma di follia infantile. L’educazione marziale non aveva intaccato il suo spirito e la sua intelligenza, come aveva fatto con altri più deboli di lei. Crescere una figlia da sola non l’aveva marchiata come poco di buono in una comunità in cui la decenza perbenista era idolatrata. Sembrava che nulla potesse sfiorare l’algida Regina di ghiaccio accomodata su un trono di rovi e con al capo una corona di filo spinato.
Così quando aveva scoperto che la sua Reine Margo era in pericolo mortale, non s’era lasciata governare dalle sue emozioni e aveva affrontato la situazione con il maggior pragmatismo possibile, richiamandosi a quei precetti che avevano accompagnato la sua intera esistenza in quel mondo di cicatrici e morte che era Idris.
Accomodata dietro quella scrivania ricolma di carte e fascicoli, di note per sé e per altri, e dell’unica frivolezza che si era concessa, - un piccolo ritratto che aveva disegnato lei, che ritraeva sua figlia, appena nata,-  stava rileggendo la lettera del suo fratellastro, il Rettore Morgenstern, il Nephilim più autorevole della comunità, secondo soltanto a lei e all’Inquisitore Herondale.
 
Claude,
 
Non c’era alcun cara per lei, né adorata sorella, o altre sciocche smancerie che non appartenevano né a lei né tantomeno a Valentine. Claude aveva apprezzato quel contatto diretto, forse anche brusco. Le ricordava l’infanzia, quando Christopher Morgenstern l’aveva presa sotto la sua ala protettiva dopo la morte dei suoi genitori e Valentine, figlio unico com’era, l’aveva guardata come un’entità aliena e neanche troppo gradita.
 
Sarebbe per me e Jocelyn un onore e un piacere ricevere te e tua figlia a cena quando più riterrai opportuno, considerati i tuoi vari impegni nella gestione della nostra amata comunità . Bisogna ufficializzare il legame che unisce il mio Jonathan alla tua Reine, rendere la loro relazione lieta, benaccetta e pubblica. Sei anni sono trascorsi da quel giorno in cui le loro Rune si sono azzerate ed è tempo che si cominci a parlarne. Non trovi anche tu? Jonathan e Reine sono entrambi maggiorenni e ben presto, ne sono certo, vedremo indossar loro gli abiti dorati, con la tua e la nostra benedizione.
 
Valentine.
 
Console Fairfax.
La donna sollevò gli occhi azzurri da quella carta maledetta e lo puntò verso l’alta figura in grigio che era appena scivolata senza far rumore all’interno del suo studio. Il Fratello Silente non era diverso dagli altri per figura, costretto com’era in quella tunica di fumo, i tratti deturpati dalle rune, le labbra cucite e il cappuccio sollevato a non mostrare un volto che non poteva più essere definito umano. Eppure il Console riusciva a notare cosa c’era di diverso in lui: aveva delle mani giovani, con lunghe dita da musicista, callose per le lunghe ore d’esercizio con il violino e con le armi.
« Fratello Zachariah. Grazie per essere venuto con così poco preavviso.»
Posso domandare perché è stata richiesta la mia presenza?
« Sei legato alla famiglia Herondale così come lo è mia figlia. E tra i Fratelli sei il solo che potrebbe avvicinarsi a comprendere la mia preoccupazione per lei,» spiegò il Console. Fratello Zachariah non replicò in alcun modo, anche se dalla piega delle sue spalle si notava che era interessato a ciò che stava per comunicargli, « Sarò breve. Nel futuro della mia Reine non vedo che tenebre e dolore, un mostro… non posso permettere che accada,» continuò Claude nel tono più coinciso e obiettivo possibile, ma faticando a tenere a bada il timore ancestrale di una leonessa che vedeva il proprio cucciolo tra le fauci di una belva, conscia com’era che qualunque passo falso gli sarebbe costato la vita.
Una minaccia incombe sulla parabatai di Jonathan Herondale?
« Devo sapere se esiste un modo per spezzare il filo delle anime gemelle,» esclamò decisa, composta, asettica come gli stesse domandato una pozione per un sonno senza sogni e non di spezzare uno dei legami più sacri che l’Angelo avesse instituito.
Fratello Zachariah scosse il capo incappucciato e il suo tono si fece greve da preoccupato com’era stato in precedenza.
Ciò che domandi è impossibile, Console. Le anime dei Nephilim sono destinate ad unirsi mediante un legame inscindibile e sacro, definito dall’Angelo stesso. Se lo recidessi, annienteresti la vera anima di tua figlia. E anche del ragazzo Morgenstern.
« Ti ringrazio per il tuo tempo, Fratello,» lo congedò con un cenno imperioso. Era la risposta che aveva temuto di più. Un cuore spezzato poteva essere guarito e la sua Reine era una ragazza forte e risoluta, implacabile quanto era lei da giovane, ma un’anima dilaniata era ben oltre il curabile da un essere umano.
Se il mio consiglio è benaccetto, Console, ti domando di ascoltarmi: il destino non può essere combattuto, soltanto accettato. E più si interferisce con le trame del fato, più esso si confonde, rischiando di condurre a un epilogo anche peggiore di ciò che era stato prefissato
« Suppongo che tu non abbia avuto figli nella tua vita mortale, Fratello Zachariah,» inquisì la donna stretta in un tubino nero e austero, i lunghi capelli scuri raccolti in una crocchia ordinata e lucente. Tutto in Claude Fairfax irradiava potere ed era proprio quel potere che doveva invocare ancora una volta perché rivolgersi ancora a lui avrebbe richiesto tutta la sua forza d’animo e la sua arguzia.
Non mi è stato concesso il tempo di averne, replicò il Fratello Silente con tono melanconico e serio, come se il solo pensiero di una moglie e di un figlio, di una famiglia, lo tormentasse ancora dopo tanti anni.
« Allora non puoi comprendere. Per Reine io sono disposta a tutto.»
 




Angolo autrice
 
Salve a tutti e grazie per essere giunti fin qui. Come avete potuto notare, la storia è un AU!Soulmate (la questione della Runa dell’Orologiaia verrà ampiamente spiegata nei prossimi capitoli, non temete) e Valentine non ha mai avviato la Rivolta, ma ha trovato altri modi per influenzare le vite degli Shadowhunters. 
Per questa interattiva ci sono poche e semplici regole:
 
  • Potete propormi quanti più personaggi volete, ma non è detto che li prenda tutti;
  • Potete creare OC imparentati con i Canon (Morgenstern, Lightwood, Herondale, Blackthorn e Carstairs) o con altri cognomi già conosciuti;
  • Accetto personaggi Mondani con la Vista;
  • Gli OC dovranno avere età compresa dai quindici ai diciotto anni;
  • Non saranno accettati Mary Sue e Gary Stu. Voglio delle descrizioni accurate nelle vostre schede di personaggi vividi e verosimili;
  • Le schede vanno inviate con un messaggio privato, entro e non oltre il 26 Marzo, incluso.
 
Scheda
Nome completo:
Soprannome:
Età:
Orientamento sessuale:
Aspetto fisico:
Prestavolto:
Carattere (molto, molto accurato. Più è accurato meglio è):
Famiglia (nome e rapporti con essa):
Tratti di forza/interessi/passioni:
Debolezze/paure/fobie:
Cosa pensa dei Nascosti (è favorevole o contrario all’Alleanza?):
Cosa pensa dei mondani:
Cosa pensa degli altri Shadowhunters:
Amicizie:
Inimicizie:
Amore e anima gemella (potete indicare uno dei personaggi Canon o inventarvi da voi un carattere o un tipo di persona):
Parabatai:
Altro:  
 
OC&Canon
 
Reine Margo Fairfax, 18 anni, parabatai di Jace Herondale, anima gemella di Jonathan Morgenstern. Eterosessuale.



Claude Catherine Fairfax, 38 anni, Console di Idris.

 
Jonathan Caradog Herondale, 17 anni, parabatai di Margo Fairfax. Eterosessuale.


Jonathan Christopher Morgenstern, 18 anni, anima gemella di Margo Fairfax. Eterosessuale.

Seraphina Clarissa Morgenstern, 16 anni, parabatai di Isabelle Lightwood. Eterosessuale.

Simon Lewis, 16 anni, mondano con la Vista, al primo anno di Accademia.

Isabelle Sophie Lightwood, 16 anni, parabatai di Clary Morgenstern. Eterosessuale.

Alexander Gideon Lightwood, 18 anni. Omosessuale.

Helen Blackthorn, 18 anni. Bisessuale.

Mark Blackthorn, 18 anni. Bisessuale.

Aline Penhallow, 17 anni. Omosessuale.

 
Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn, insegnante di Storia dell’Alleanza presso l’Accademia.


Raphael Santiago, Capo Clan dei Vampiri di New York.

Camille Belcourt, Capo Clan dei Vampiri di Londra.

Tessa Gray, Somma Stregona di Londra, insegnante di Runologia e Demonologia presso l’Accademia.
   
 
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