Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: Mikirise    19/03/2017    3 recensioni
Calypso sembra essere stata condannata ad aspettare alla stazione dei treni persone che non arriveranno mai.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Leo/Calipso
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

È tutto iniziato quando dovevo aspettare una mia amica alla stazione dei treni. Sto sempre aspettando persone alle stazioni, a dirla tutta. Sia un membro della mia famiglia o un'amica tutti fanno un ritardo impressionante, mentre io sono così ansiosa da partire di casa tre ore prima l'appuntamento e rimanere lì, ad aspettare il triplo per questo. Vabbè. Comunque doveva essere una specie di 4 volte in cui Calypso ha aspettato una persona +1, ma è venuto fuori qualcos'altro? Io non lo so cos'abbia la mia testa. So che dovrei studiare piuttosto, e leggermi un buon libro e non rompere le scatole alla gente con fanfiction dei miei bellissimi Caleo *accarezza le fanart Caleo* ma... ormai è troppo tardi?? 

 

 

 

La Grande Stazione Centrale




# 0

Appena arrivata, con la sua valigia in mano, rendendosi conto di quanto lei fosse piccola, di quanto poco avesse e di quanto poco sapesse, Calypso aveva guardato verso il tetto del struttura e aveva sorriso, con il fiato corto.

La grande stazione centrale. È grande. È una stazione. Ed è centrale. Citazione, ovviamente. Sempre citazioni, almeno dicono. Lei nemmeno se ne rendeva conto. (Chi ha visto Madagascar?) (Non Calypso.) (Mai Calypso.)

I corsi d'arte sarebbero iniziati una settimana dopo e lei sarebbe stata bene. Bene davvero. Bene non per modo di dire. La sua valigia era piccola, sedeva con le ginocchia strette su una panchina gelida e guardava verso il soffitto. Sarebbe stata bene.

Poi un idiota coi capelli ricci l'aveva urtata con una valigia e aveva gridato “Scusa!” prima di scomparire tra la folla.

E addio incanto iniziale.






#1


Trovarsi bene, come dice la sua coinquilina, o compagna di stanza, o che importa, è così dannatamente relativo che per un po' non si rende conto di quanto stia bene. Rachel è divertente, le lezioni sono tante, stancanti e, nonostante non faccia che lamentarsi, le adora. Non vorrebbe trovarsi in nessun altro posto al mondo. Muove le dita dei piedi, per cercare di ricordare loro di non staccarsi, congelate. Ha i piedi freddi, e anche il sedere. Non vede l'ora di mostrare a suo papà quanto stia bene.

Atlante non aveva preso bene la sua decisione di studiare in una città così lontana dal loro paesino vicino al mare. Non aveva preso bene neanche il fatto che stesse andando ad un'Accademia d'Arte. Non ha preso bene che Calypso avesse scosso la testa e chiesto di poter essere quello che voleva essere (per una volta soltanto), non quello che doveva essere. Ma le aveva detto che poteva andare, a patto di non tornare mai più. Lo fanno tutti i papà. Minacciano e poi non sanno compiere. Almeno, Calypso spera che non sappiano compiere, perché lo sta aspettando su una panchina di metallo freddo, con un cappello che non riesce nemmeno a contenerle i capelli, figuriamoci tutta la testa, con il naso congelato e le braccia incrociate, mentre batte le dita sul braccio. I papà non possono lasciare andare così una loro figlia, vero? Perché, okay, Calypso è la più piccola, prima di lei ci sono ben quattro figlie, tutte hanno seguito le orme del papà (tranne Zoe, ma Atlante non vuol che si parli di Z-… oh.) Quindi i papà possono lasciare indietro una figlia, eh? Comunque, qua, Calypso, si trova bene. E Alcippe l'ha chiamata, le ha detto che Atlante voleva andarla a trovare. E quindi Atlante non può non venire. Non può non aver preso quello stupido treno e non essere venuto. Che razza di persona farebbe una cosa del genere? Un mostro. Atlante non è un mostro, quindi verrà, caso chiuso. Sbuffa e una nuvoletta di anidride carbonica si materializza davanti alla sua bocca, mentre un ragazzo trascina la valigia verso un treno ed è così dannatamente rumoroso da attirare la sua attenzione. Distrarla dai suoi pensieri.

“Certo che torno” dice il ragazzo, trascinando la valigia più grande di lui. E c'è una ragazza alta, col taglio di capelli asimmetrico, con gli occhi di tanti colori diversi, che gli cammina accanto. “Torno appena in tempo per il tuo…” Corre in avanti. Calypso si stringe nel suo giubbotto rosa. Il ragazzo fa un gesto vago.

“Compleanno.”

“Lo sapevo.”

Poi corre su un treno, tira su la valigia, più grande di lui, viene schiacciato dalla valigia, ride, perché è questo che fanno le persone quando sono in imbarazzo e fa entrare nel vagone anche la valigia, mentre la ragazza alta ruota gli occhi.

“Giuro che torno” dice il ragazzo, nascondendo il fiatone e posando le mani suoi fianchi. Calypso sente i suoi stessi occhi andare verso l'alto, davanti alla sua evidente bugia. Si stringe un po' più nel suo giubbotto, anche se credeva fosse umanamente impossibile, e continua ad osservare come quella ragazza stia cercando di far finta di credergli.

Arriva un treno, che potrebbe essere uno di quei treni su cui sta arrivando suo padre. Potrebbe. Viene da Ovest. Viene dal suo stupido paesino e lei si alza in piedi e lascia che i suoi occhi scorrano sul viso di ogni persona che scende sul binario. Vede coppie che si rincontrano, vede persone che si guardano intorno, a voler esplorare un posto nuovo, vede giovani mamme, con la mano dei loro bambini stretta tra le loro, vede giovani donne e uomini col cellulare per avvisare di essere già arrivati in stazione. Non vede suo padre.

Alcippe ha detto che verrà. E allora verrà. Calypso si siede di nuovo sulla panchina e riporta lo sguardo alla ragazza alta di prima, perché lei è veramente bella, sembra un'opera d'arte e lei non può non guardare un'opera d'arte, a quanto pare. Il treno del ragazzo è già partito, forse da qualche minuto e lei sta ancora lì, a guardare il binario, con le braccia incrociate e gli angoli delle labbra piegate verso il basso.

Non tornerà. Calypso lo sa. La ragazza dagli occhi a caleidoscopio, tristemente, lo sa.





#2

Calypso nasconde le mani nelle tasche e affonda il collo nella sciarpa blu che le ha regalato Rachel. Che Atlante non sia venuto a trovarla non vuol dire che anche Ulisse non la venga a trovare. Continua a ripeterselo in testa. Ulisse le ha detto che la ama, ha detto che l'avrebbe amata anche nella distanza, che i loro percorsi si sarebbero incrociati un'altra volta e che sarebbero stati insieme, ancora una volta. Aveva detto che era la sua isola felice. Sarebbe arrivato. Non capisce perché si dovrebbe convincere, ma sa di averne bisogno.

Ulisse è un viaggiatore, lo sa. Un esploratore. E forse per questo le era piaciuto così tanto, con la sua teoria sulla vita, sulle galassie, sulle stelle e la luna e la sua voglia insaziabile di conoscenza, era una ventata fresca, la novità di New York. Ma lui aveva corsi e via dall'altra parte del paese. E va bene. Va benissimo. Calypso non avrebbe abbandonato la sua vita per lui, per quanto fosse innamorata. E ad Ulisse andava bene. A Calypso andava bene. Andava bene a tutti.

Ulisse però aveva detto che sarebbe venuto a trovarla. Le aveva dato orario e tutto, quindi, non c'era motivo di essere nervosa. Perché lui sarebbe arrivato. Sarebbe comparso dal vagone del treno con uno zainetto e un sorriso divertito e lei potrà abbracciarlo e dirgli quanto le è mancato.

Il treno deve arrivare alle 4. Sono le 3 e 50 minuti, quindi va tutto bene. Deve solo respirare. Profondamente e dimenticare l'ultima volta che ha aspettato una persona alla Grande Stazione Centrale. Perché Ulisse non è Atlante. “Ulisse non è Atlante” dice in un sospiro e si sistema il cappello sulla testa.

Il ragazzo vicino a lui, un tipo coi capelli ricci e disordinati e delle guance paffute che ricordano un folletto sotto il periodo di Natale, si gira verso di lei e sbuffa una risata, prima di prendere il cellulare e iniziarci a giocare nervosamente. Calypso non può fare a meno di fulminarlo con lo sguardo.

“Qualcosa di divertente?” chiede, e sente la sua stessa espressione indurirsi. Rachel dice che non succede spesso, ma che Calypso arrabbiata fa più paura di suo padre quando ricatta persone.

Il ragazzo alza le mani e scuote la testa. “Pensavo ad un video di gattini su Tumblr.” Poi alza le spalle e avvicina la sua valigia con un piede. È solo adesso che Calypso si rende conto che il cellulare del ragazzo sta suonando, in vibrazione, notificando una chiamata da una ragazza. L'ha già vista quella ragazza. Non sa dove ma ha già visto quella ragazza. Lui ha le mani che gli tremano leggermente, ma riesce ad infilare il cellulare in una delle tasche della valigia, per poi ricominciare a muovere nervosamente il piede. Tutto in quel ragazzo è nervosismo, a quanto pare. La cosa irrita ancora di più Calypso, che serra la mascella e gira lo sguardo verso i binari.

Sono le 3 e 58, tra poco dovrebbero annunciare il treno.

“Tu sei in partenza?” chiede il ragazzo, ancora, e Calypso potrebbe giurare di aver già sentito quella voce. Non capisce ancora, ci mette un po' a ricordare. Deve girare il viso verso di lui, alzando un sopracciglio, prima di ricordare. Ah. È lui. Il tipo che non sarebbe tornato.

“Aspetto una persona” risponde lei, poi scuote la testa e torna a guardare davanti a lei.

“Ah.” È l'unica risposta di lui. Continua a muovere il ginocchio e le mani gli tremano. “Forte” continua e sembra un commento strano, ma Calypso non ci fa tanto caso. Lui si alza di scatto, prende la valigia e lancia un'occhiata al tabellone delle partenze. “Io vado a Tampa. Che poi dove sta Tampa?”

“In Florida.”

“Ah. Vado a Tampa in Florida, ecco dove vado. Sì. Vado proprio lì.” Sembra voler convincere solo se stesso, ha smesso di guardarla e le mani continuano a cercare disperatamente qualcosa da fare. Lui annuisce, poi le sorride distrattamente e corre via, senza dire nient'altro. Tampa. Il treno per Tampa è il primo nel tabellone per le partenze. Calypso registra distrattamente i dati, prima di prendere in mano il suo di cellulare e abbassare la testa, con la bocca leggermente aperta e la sensazione di aver ricevuto un pugno sullo stomaco.

Una voce automatizzata annuncia il treno che stava aspettando. E lei rimane lì, col cellulare in mano e mordendosi le labbra. “Ah” dice. Poi nient'altro.

Ho la mia Penelope. Non posso venire da te.

Deve dire che è stata stupida lei a crederci.






#3

Se c'è qualcuno al mondo che arriverà in questa stazione deve essere Zoe. È questo quello che dice Calypso a Rachel prima di uscire di casa, e Rachel alza un lato della bocca, ma non sembra crederle. Ed infatti Zoe dovrebbe arrivare. E se Calypso è seduta su quella benedetta panchina anche questa volta, ad aspettare, non è colpa di Zoe, ma del sistema ferroviario, del tempo e della sua sfortuna. Tutti i treni sono stati ritardati a causa della neve. Il treno di Zoe si è bloccato a metà strada su chissà che montagna e chissà quando arriverà.

Calypso è sicura che, come scorta, il massimo che sua sorella si è portata, è una barretta dietetica al falso cioccolato. Rabbrividisce solo al pensiero e sente il suo stomaco protestare. È lì da veramente tanto.

“Sono già dall'altra parte del paese, va bene?” Sente la voce del ragazzo che sembra essere destino debba stare lì tutte le volte che le succede qualcosa di brutto. Si gira verso di lui, e questa volta ha soltanto uno zainetto con sé, nient'altro. “Jason. Jace. Jay. Fermati, okay? Siamo praticamente fratelli, noi due, no? Ti ricordi quella volta, a undici anni, quando mi sono preso la colpa per te e ho detto che ero stato io a dare fuoco alla biblioteca della scuola? Sì, no, non ti preoccupare per la tua tessera della biblioteca, okay? Ascoltami e basta. Ti ricordi perché l'ho fatto? Esatto. Perché io potevo sopportarlo e tu no. Allora ascoltami.” Prende un respiro profondo e si siede sulla panchina di fronte a quella di Calypso, che inclina la testa, senza neanche rendersene conto. “Io non posso sopportare questo, va bene? Non… è colpa mia, non ci riesco. Allora fa questo per me: dì a Piper che sono dall'altra parte del paese, che non ho avuto problemi e che tornerò per il…” Fa una smorfia. “Il matrimonio. Lo sapevo, lo sapevo. È mio padre, no? Lo farai? Grazie. Ciao.” Posa il cellulare e si guarda intorno. Ha sempre le mani nervose e il piede si muove di conseguenza. Quando vede Calypso sorride. Non è un sorriso felice al cento per cento. Non è neanche un sorriso triste. È un sorriso neutro e Calypso si chiede se ne avesse mai visto uno. No, non crede. “Sei in partenza, questa volta?” Sembra che anche lui l'abbia riconosciuta. Giocherella con le pellicine delle dita e si mordicchia le labbra. “Potresti non…” Si passa delle dita sulla fronte e scuote la testa. “Potresti non giudicarmi?”

Calypso aggrotta le sopracciglia e deve bloccare la mano a mezz'aria, prima di toccarsi il viso, nel chiaro intento di capire che espressione abbia. Comunque sia, pensa, lei potrebbe giudicarlo. Lei vorrebbe qualcuno da cui tornare. Persone che le vogliono bene, che la chiamano per sapere che non si è fatta male e che dovrebbe tornare a casa ad un certo punto. Una famiglia. Atlante si è rifiutato di essere ancora suo padre. Le sue sorelle non le parlavano più. Si era trovata, così, di punto in bianco con nessuna casa a cui tornare a Natale e lui ce l'ha una casa a cui tornare. Qualcuno che si preoccupa. Questa ragazza che gli chiede sempre di tornare, questo ragazzo che gli chiede di non andare via. Loro sono posto in cui tornare. (Calypso è un posto dal quale scappare.) E non capisce. Non ci riesce.

“Sai che… Stanno tutti lì a guardare da fuori e dire che sei fortunato, che ci sono persone che ti vogliono bene e io lo so.” Il ragazzo scuote la testa, sistema lo zainetto accanto alla propria coscia e Calypso aveva dimenticato delle posizioni teatrali nella quale si trovavano. Lontano l'uni dall'altro. Vorrebbe fermare questo sconosciuto dal dirle troppe cose di se stesso, perché lei non le vuole sapere. Tranne per il fatto che vuole. Vuole sapere cosa porta una persona a scappare, lei che è sempre rimasta e l'unica volta che è andata via ha perso tutto. Vorrebbe sapere perché lui lo fa ancora e ancora. Ma non vuole. “Lo so che sono fortunato ad avere una casa. Ma… se non trovi il tuo posto in casa tua, non è casa tua. No? Tipo, non lo so, il Dottore in Doctor Who o… non lo so. Però le ragazze non sanno resistere a questa faccia da oscuro cattivo ragazzo. Mi cadono ai piedi. Giuro. Tutte le ragazze amano Leo Valdez.”

“Ew.”

“Già. Dicono tutte così, prima.” Fa un occhiolino e Calypso rabbrividisce. C'era stato un momento in cui stava anche per rispondergli seriamente. C'era stato un momento in cui aveva anche pensato che forse aveva capito. Leo ride e lei scuote la testa. Poi gli occhi di lui si velano e fa quel sorriso neutro che Calypso già odia. “Ma tu non puoi sapere cosa vuol dire, non avere un posto nel mondo, vero?”

Un'ondata di rabbia sale dal petto fino alla testa della ragazza, che stringe i pugni e si sforza di non dire niente. Ma non ci riesce, sente le parole salirgli in gola e la paura di soffocare se solo non le lascia andare. Vuole che sia quel Leo a soffocare per colpa di quelle parole. Ma suona il suo cellulare. È Rachel. Calypso preferisce prendere la sua borsetta ed andarsene.

Il treno di Zoe è in ritardo di quindici ore. Non ne vale la pena.




#4


Calypso non ha la minima idea del perché è così arrabbiata con uno sconosciuto. Non ricorda nemmeno di essere arrabbiata con quel Leo, fino a che non si ritrova a dover aspettare per Eco alla Grande Stazione Centrale, seduta in un bar. Ed è mesi dopo la Grande Nevicata, quindi non capisce come qualcuno abbia il potere su di lei per continuare a farla arrabbiare dopo così tanto tempo.

Eco, inutile dirlo, è in ritardo. E Calyps è spazientita, tamburella le dita sul tavolo e sente i secondi passare, scanditi d suo ritmo.

Forse è questo il fatto. Forse è questo tutto. Forse la vita di Calypso è aspettare per qualcuno che non arriverà mai. Un padre, un ragazzo che non la vuole, una sorella che scompare, un'amica che dimentica. Forse lei deve aspettare e aspettare per tutta la sua vita e non vedere mai nessuno arrivare. Aspettare che il vuoto si riempia e rimanerne delusa.

“Io sto cercando di creare il mio posto” aveva detto alla panchina, coi pugni stretti e quella rabbia che scemava per diventare puro e semplice dolore. “Nessuno lo ha capito, ma io sto cercando di creare il mio posto.”

E adesso sta lì a tamburellare le dita su un tavolo vuoto. Il conto è stato pagato. Sullo scontrino un “Scusa” scritto alla bell'e meglio e la cameriera aveva indicato un ammasso di ricci che correva a prendere un treno in partenza

Va a quel paese, Leo Valdez.






#4.5

“Potresti rimanere” dice la ragazza , ed è la cosa più strana da dire dopo che qualcuno ti va a sbattere contro con tutto il corpo. Leo sbatte le palpebre e non sembra capire. Mette gli elementi insieme poco alla volta. L'ultima volta che si sono visti è stato, quando?, prima del matrimonio di Efesto? È stata una vita fa.

“Oh” esclama, sistemando lo zainetto sulla spalla. È appena sceso da un treno, il suo piano è andare da Piper, far vedere che è ancora vivo e vedere come si trova adesso, tra tutti i suoi amici accoppiati e suo padre felice nella sua officina. “Ciao.”

“Potresti rimanere” ripete lei. Sembra star cercando le parole, si guarda intorno, poi si inumidisce le labbra e ripete: “Potresti rimanere. Potresti trovare la tua casa a casa.”

Leo non capisce, ovviamente. Aggrotta soltanto le sopracciglia e annuisce, perché la cosa migliore da fare è sempre quella. Annuire. “Va bene” riesce a dire, e lei sorride, prende un respiro e se ne va via, così com'è arrivata.

Leo è soltanto confuso.





+1

Le cose vanno bene. Vanno anche troppo bene. I corsi stanno per finire, tra poco dovrà dare l'esame finale e non ci sarà nessuno, tranne Rachel ed Eco accanto a lei. Poi si butterà nel nulla. Il futuro è questo, immagina e, male che va, dice Rachel, potremmo aprire la nostra galleria d'arte e ogni tanto patrocinare nuovi artisti. Che è quello che vogliono fare tutt'e due. Quindi va tutto perfettamente bene. Bene. Alla grande. Okay. Le tremano le mani. Stringe le dita intorno al tessuto della valigia e sospira.

“Ehi!”

Calypso sobbalza, per poi girarsi e inclinare la testa davanti all'ormai familiare ragazzo riccio senza valigia. “Ehi” risponde e si guarda intorno, cercando di prendere un respiro profondo. “Parti?”

“Sto aspettando mia sorella. È andata a trovare sua madre e ha bisogno di tutto l'appoggio emotivo a posteriori. Se lo ha durante, penso possa uccidere Afrodite con una mano.” Decisamente molte informazioni, decide Calypso. Il ragazzo, Leo, sorride e alza le spalle. Ha una sorella che è una sorellastra, immagina sia la ragazza che gli chiedeva sempre di non andare via.

“Alla fine hai deciso di rimanere, eh?”

Leo alza una spalla e non risponde. Guarda verso i binari e sembra quel tipo di persona che prenderebbe un treno, uno qualsiasi, soltanto per andarsene dal posto in cui si trova. Ma non lo fa. I primi mesi sono sempre i più difficili in un cambiamento, Calypso lo capisce abbastanza bene. Accettare una casa come casa tua non è facile. “Tu invece? Parti.”

“Vorrei convincere mio padre a venire a trovarmi. O qualcosa del genere.”

“Ah.”

“Già.”

Leo scuote la testa e sbuffa un sorriso imbarazzato, prima di sedersi su una panchina e iniziare a lanciare occhiate fugaci al binario 24. “Una delle cose strane è che ancora non so il tuo nome. Io sono Leo Valdez, comunque.”

“Calypso. Calypso Nightshade” bofonchia lei, tamburellando le dita sulla valigia. Lei sapeva già il suo nome. Questo lui non doveva saperlo per forza.

“Allora, Calypso Nightshade, non lo so, ti andrebbe di, quando torni, ti andrebbe di prendere un caffè insieme? Io non bevo caffè normalmente. Magari un té. O una cioccolata calda. O qualcosa…?” Leo non sembra a suo agio ad aspettare. Sicuramente sembra strano anche a Calypso andarsene via. Sono un po' i loro ruoli ribaltati e la cosa fa un po' ridere. Però in modo carino. Ridere di dolcezza.

Ha incontrato Leo poche volte negli ultimi due anni. Hanno parlato. Sembra che abbiano litigato. Sembra esserci un legame tra loro. Non sa se è un legame forte. Non sa nemmeno che tipo di legame sia, ma, come dice sempre Rachel, chi se ne frega buttati e sta zitta. Quindi annuisce lentamente. “Torno dopodomani alle quattro” dice e Leo alza un lato delle labbra, sembra un sorriso.

E il suo treno viene annunciato da una voce metallica agli altoparlanti.


 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: Mikirise