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Autore: Echocide    19/03/2017    4 recensioni
Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente, benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo. Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò, ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La bella e la bestia
Personaggi: Adrien Agreste; Marinette Dupain-Cheng; Altri
Genere: fantastico, romantico
Rating: G
Avvertimenti: AU, longfic,
Wordcount: 1.194 (Fidipù)
Note: Allora, io non avevo in mente di iniziare questa storia, veramente. Nonostante qualcuno mi passasse fanart o altro, ho cercato di resistere ma questo Qualcuno è stato veramente insistente e quindi...beh, eccomi qua! Dopo La sirena, perché non mettere le mani anche su un'altra fiaba e rimaneggiarla? (Se continua così faccio la saga FairyTale, eh!) E quindi ecco che nasce questa storia che ricalca la storia originale (E' una storia sai, vera più che mai...ok, la smetto), che noterete fin dalle prime battute ha un che di diverso: l'ambientazione in cui si muovono i personaggi è quella steampunk (è un anno che sto provando a creare qualcosa di steampunk su Ladybug e, finalmente, ce l'ho fatta!) e...
Beh, vi lascio direttamente alla storia! Premetto che ancora non so quando l'aggiornerò perché devo ancora collocarla nel giusto ordine dei post settimanali, intanto metto questo primo capitolo come regalo a quel Qualcuno che mi ha scartavetrato (ovviamente sto scherzando!) affinché iniziassi anche questa storia (Ora basta, eh. Almeno finché non finisco qualcosa di quello che in corso).
In anticipo, voglio dire grazie a tutti coloro che leggeranno le mie parole, le commenteranno o semplicemente la inseriranno in una delle loro liste.
Grazie tantissimo!


Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un castello splendente.
Benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era viziato, egoista e cattivo.
Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise del dono e la cacciò.
Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi abitanti.
Vergognandosi del suo aspetto mostruoso la bestia si nascose nel castello con uno specchio magico come unica finestra sul mondo esterno.
La rosa che gli aveva offerto la fata era davvero una rosa incantata e sarebbe rimasta fiorita fino a che il principe avesse compiuto 21 anni.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe spezzato; in caso contrario sarebbe rimasto una bestia per sempre.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto e perse ogni speranza...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
[Incipit de La bella e la bestia - 1991]


Tom Dupain si asciugò la fronte, alzando il viso verso il cielo grigio e sospirando: mancavano molte miglia e di certo non sarebbe tornato a casa quel giorno; strinse le redini del calesse e guidò i cavalli lungo il sentiero tortuoso, sperando di essere in prossimità di una locanda.
Un rumore meccanico gli fece di nuovo alzare la testa, notando un dirigibile solcare avventuroso quel cielo plumbeo: ricchi, pensò con tono di sfida l’uomo, trattenendo con più forze le cinghie dei cavalli e pregando che il suono non li spaventasse.
Speranza vana, poiché lo scoppio di un tuono nelle vicinanze, li fece imbizzarrire: Tom aumentò la presa sulle redini, usando tutta la sua forza per trattenerli mentre questi correvano lungo il sentiero, reso accidentato dalla pioggia.
Doveva fare qualcosa.
Doveva assolutamente fare qualcosa o non sarebbe uscito vivo da tutto ciò.
Strinse i denti e, con tutta la sua forza, costrinse gli animali a curvare onde evitare di finire fuori dalla strada, mentre la folla corsa continuava; l’uomo si chinò per evitare un ramo in pieno viso e, usando nuovamente le sue energie, costrinse i cavalli a lasciare la strada maestra per entrare in un piccolo sentiero che portava verso l’alto della montagna che, fino a quel momento, aveva costeggiato e sperando che, con la salita, le bestie si sarebbero stancate maggiormente.
Tom respirò a fondo, sentendo la forza degli animali venir sempre meno e, alla fine, gli animali sebbene ancora spaventati fermarono la loro corsa: «Dove siamo finiti?» mormorò l’uomo, balzando a terra e, sempre tenendo le cinghie, avvicinandosi lentamente ai musi dei due cavalli, carezzandoli dolcemente in modo da calmarli.
Si guardò attorno, cercando di capire dove quella corsa pazza lo avesse portato ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo un muro, che aveva ceduto il potere alla natura selvaggia: «Dove sono finito?» ripeté Tom, mentre un lampo squarciava il cielo e illuminava la notte, mostrando la figura maestosa dell’abitazione al di là della recinzione muraria.
Tom carezzò il muso ai due cavalli, stringendo le redini e facendo un passo in avanti, tirando leggermente le bestie per seguirlo: forse, più avanti, avrebbe trovato un cancello.
Forse in quel castello, arroccato su quello spunzone di montagna, qualcuno lo avrebbe aiutato.
Forse sarebbe riuscito a tornare a casa, da sua moglie e sua figlia.


Il motore scoppiettò all’improvviso e rilasciò una nube di fumo nero direttamente in faccia alla ragazza che, tossendo, si alzò velocemente dalla sua postazione, per avvicinarsi alla finestra e spalancarla in modo che l’aria satura di fuliggine venisse in qualche modo cambiata da quella pulita esterna.
Pulita.
Beh, per quanto poteva essere pulita l’aria di Parigi in quel periodo.
Alzò la testa, osservando alcuni dirigibili solcare il cielo: ricchi, pensò mentre si toglieva gli occhiali da saldatore e li teneva in mano, mentre studiava le linee dei mezzi che attraversavano il cielo. Le sarebbe piaciuto creare un qualcosa di simile, un giorno…
Magari meno ingombrante e con una forma più elegante.
Forse anche un qualcosa di più leggero, in modo che si potesse muovere più veloce e non con il passo pesante che avevano quelli.
Con un sospiro si voltò, e posò gli occhiali sul ripiano lì vicino, storcendo la bocca alla vista che le rimandava lo specchio che aveva appeso sopra: il suo viso era completamente sporco di fuliggine e così anche la parte superiore della maglia chiara che indossava.
I capelli? Un disastro.
E presto Monsieur Bourgeois sarebbe giunto per ritirare il suo lavoro, con l’odiosa figlia al seguito che le avrebbe fatto notare quanto carente fosse in fatto di buone maniere e lato prettamente femminile.
La ragazza sospirò, cercando di ripulirsi alla meglio, ma peggiorando solo il lavoro: con uno sbuffo, si tolse i guanti da lavoratore e li gettò accanto agli occhiali: «Sei fortunata che non ti interessa sposarti, Marinette Dupain-Cheng.» dichiarò al proprio riflesso, fissandolo sconsolata: «Nessun uomo ti vorrebbe in questo stato. Nessuno. Fidati.»
«Marinette! Marinette!» la voce della madre la mise in allerta e la ragazza si guardò attorno, pensando velocemente a come far sparire il danno che aveva compiuto: «Marinette, cosa è…?» la porta del suo laboratorio si aprì di schianto e una donna piccola e formosa si fermò sulla soglia, osservando a bocca aperta il risultato dello scoppio del motore.
Fuliggine ovunque.
Un lieve segno di bruciatura sul tavolo e, ovviamente, tanto disordine.
Ma quest’ultimo c’era già da prima che il motore scoppiasse.
«Marinette!»
«Ho dato troppo vapore.» dichiarò la ragazza, pulendosi le mani alla gonna a balze che indossava e avvicinandosi al colpevole di cotanta apprensione: «Vedi? Ho girato troppo la manopola del vapore e il motore non ha retto e…bum!» esclamò la ragazza, allargando le braccia e sorridendo timidamente: «Un incidente di percorso.»
«I tuoi incidenti di percorso hanno reso il tetto peggio di un pezzo di hemmental!» bofonchiò la donna, scuotendo la testa: «Marinette, cosa devo fare con te?»
«Aiutarmi a pulire prima che arrivi Monsieur Bourgeois?» buttò lì la ragazza, sorridendo allegramente e iniziando a raccattare i fogli sparsi per terra, ascoltando distrattamente il borbottio della madre che, entrata nella stanza, aveva subito messo mano alla ramazza, iniziando a spazzare il pavimento: «Mamma, attenta!» esclamò la ragazza, lasciando andare i fogli e salvando dalle ire della donna alcune viti: «Mi servono queste.»
La donna sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Io non so davvero cosa fare con te, Marinette.» sbuffò, riprendendo a spazzare e scuotendo il capo: «Se tuo padre fosse qui…»
«Ma papà non c’è. E’ sempre fuori per i suoi commerci.» mormorò la ragazza, recuperando i fogli che aveva abbandonato e posandoli sul tavolo, vicino al motore: «E con quel carretto trainato da cavalli. Cavalli! Impiegherebbe molto meno tempo se potesse usare uno di questi…»
«Ma non abbiamo soldi per permettercelo.»
«Proprio per questo sto cercando di mettere a nuovo questo bambino.» dichiarò la ragazza, battendo una mano sul motore e ricevendo in cambio uno scoppiettio e uno sguardo scettico da parte della madre: «Beh, non sono ancora vicinissima al risultato che voglio, ma ce la farò.»
Un sospiro sconsolato si levò dalle labbra della madre, mentre scuoteva il capo: «Certamente.» mormorò, riprendendo a spazzare il pavimento: «Intanto, hai finito il lavoro per Monsieur Bourgeois, vero? Lo sai come…»
«E’ tutto pronto. Era solo una vite allentata e per questo il suo orologio non segnava più.» spiegò la ragazza, indicando l’oggetto dorato abbandonato in un angolo del laboratorio: «Io dovrei creare macchine volanti oppure che si spostano per terra utilizzando il vapore, non…»
«Sì, sì.» mormorò la madre, spintonandola da parte: «Oh. Come vorrei che tu fossi come la figlia di Bourgeois. O anche solo come la tua amica Alya…Ah! Se tuo padre fosse qui…»
Marinette sorrise dolcemente, appoggiandosi al davanzale della finestra e osservando la madre affaccendarsi per la stanza, cercando di mettere a posto il caos che lei aveva creato; la ragazza piegò la testa all’indietro, ascoltando i rumori che provenivano dalla strada sottostante e contando rapidamente i giorni che erano passati da quando il padre era andato via, per l’ennesimo viaggio: presto sarebbe tornato a casa e lei avrebbe avuto di nuovo con sé l’unica persona che la capiva veramente.

   
 
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