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Autore: merty_chan11    20/03/2017    1 recensioni
One-shot: 1742 parole
Eileen è una fata della Contea d'Irlanda, ed è un'abile cacciatrice. La sua preda più ambita è la cerva Dealanaich, animale dai grandi e antichi poteri in grado di difendere il popolo alato da futuri pericoli. Tutto scorre nella più completa tranquillità, ma la strana proposta del re delle fate inizia a porre le basi per una nuova ed inevitabile catastrofe alla quale il suo popolo non potrà fare a meno di andare incontro...
Dalla storia:
[...]
-Abbiamo bisogno delle corna di quella cerva, Oberon- sbottò ad un tratto Eileen, fuggendo dai propri pensieri. Il re delle fate la fissò con sguardo vacuo.
-Rischiamo di venir coinvolti in qualcosa di più grande di noi. Non lo senti il trambusto che c’è tra gli umani? La morte sta scorrendo tra le città d’Europa, e al suo passaggio in molti sono costretti al sonno eterno. Hanno paura, Oberon. E sai di cosa sono capaci di fare quando provano terrore.
[...]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note prima di iniziare:
Salve a tutti, e grazie a chi spenderà qualche minuto del proprio tempo a leggere questa storia. L’idea mi era balzata in mente qualche tempo fa, ma non avendo molto tempo da poter dedicare alla stesura della long-fic, ho deciso di utilizzare gli stessi personaggi per una raccolta di one shot. Spero vi possa piacere sopratutto perché è uno dei miei primi progetti “seri” e vorrei davvero riuscire a portarlo a compimento trovando qui un po’ di supporto. 
Ci tengo a precisare che le vicende si svolgono prevalentemente nell’Irlanda medievale, più precisamente nel 1300, ma molti luoghi, personaggi o addirittura armi passati alla storia sono stati oggetto di reinterpretazione. 
Le razze principali di quest’universo, come potrete constatare solamente leggendo, vengono conosciute con nomi differenti. Non disperatevi, pertanto, se troverete appellativi differenti.
Vi auguro una buona e piacevole lettura,
Merty





 
Presagio di una sciagura
 
Osservare.
Ascoltare.
Scattare.
Era questo il suo credo durante la caccia, tre semplici parole che si era ripetuta da anni. Parole che ricordava sin da quando aveva memoria.
Eileen rimase immobile, nascosta tra le fronde dei grandi faggi del bosco, in attesa della sua preda. Tutto il suo corpo era in tensione, ogni muscolo pronto a schizzare quasi fosse caricato sopra una fionda. L’arco era teso, deciso a scoccare l’elegante freccia seminatrice di morte. 
La giovane fata aveva quasi paura di battere ciglio, troppo il terrore di perdere quella grande occasione. 
E dopo minuti che parevano interminabili, ecco la sua preda fare finalmente capolino nella radura che aveva di fronte. 
La cerva di Ui Neill era sicuramente l’animale più ambito dalla razza alata. Secondo molte delle loro leggende, essa aveva proprietà curative eccezionali, addirittura dal pareggiare, se non dal superare, quelle della famosa Pietra Filosofale. Dal fondere le sue corna d’oro si sarebbe poi potuto ricavare un seme di un albero che, una volta cresciuto, avrebbe sradicato tutti i nemici del popolo fatato incidendo il nome di questi sulla corteccia. La pianta, inoltre, era in grado di realizzare un solo desiderio della persona che lo richiedeva. 
Era pertanto una preda importante, forse l’unica in grado di preservare la razza degli spiriti della natura. Ucciderla non era però facile. La cerva Dealanaich1, come suggeriva il suo nome, era rapidissima. Spariva nel tempo di un millesimo di secondo, e le armi quasi difficilmente uscivano dal fodero prima che lei fosse già diverse miglia lontana dal suo cacciatore. 
“Sei mia” pensò la fata, mentre la cerva, ignara di tutto, si apprestava ad abbeverarsi. Eileen scagliò la freccia con calma glaciale. L’animale alzò lo sguardo verso di lei mentre il dardo procedeva in picchiata verso il suo cuore e, proprio quando pensava di avercela fatta, quello si scansò ad una velocità disarmante, impercettibile ad occhio nudo.
La ragazza rimase a bocca aperta per lo stupore. Lì dove prima c’era la creatura mitologica ora non rimaneva più nulla. L’imponente cerva dalle corna dorate era sparita.
-Dannazione!- sbraitò, buttando l’arco a terra e scendendo dall’albero con l’agilità di un gatto. Andò a recuperare la freccia, furiosa, mentre una risata prorompeva alle sue spalle.
Una volta che ripose il dardo nella faretra si voltò di scatto, scagliando con i suoi poteri una sfera di ghiaccio.
-Stavi quasi per decapitarmi- Oberon2, il re delle fate, si era improvvisamente materializzato di fronte a lei -Devo ammettere che il tentativo di uccidere me poteva andare a buon fine. Più di quello con la cerva, se proprio necessiti di un parere sincero.
Eileen si mise a braccia conserte, scocciata dalla sfacciataggine del suo sovrano e vecchio amico.
-Mio signore, è stato forse costretto a seguirmi?- molto probabilmente era stata sua sorella gemella, Aileen, a mandarle dietro il signore delle fate. Oberon inarcò le sopracciglia, mentre il vento scompigliava i suoi riccioli rossicci.
-Come mai mi rivolgi parole tanto fredde e per nulla appropriate al nostro tipo di rapporto?
Eileen sciolse la sua treccia, lasciando che una cascata di fili dorati andasse a solleticarle il collo. 
-Perché non sei qui in veste amichevole, o sbaglio?- 
Incrociò il suo sguardo con quello del re, spaventosamente freddo e vuoto. Gli occhi di Oberon erano di un colore inusuale per le fate. In genere, il popolo alato li aveva delle gradazioni di verde, blu o castano, ma mai era capitato prima di allora che uno spirito della natura li possedesse del color dell’oro fuso. Era una sfumatura che portava sfortuna e presagiva l’arrivo di grandi sciagure. Come Oberon fosse diventato re e si fosse guadagnato l’ammirazione di un popolo tanto superstizioso qual era il loro rimaneva un mistero che perfino lei e sua sorella continuavano ad ignorare. 
Ad Eileen, comunque, quegli occhi erano sempre piaciuti. Eppure trovava inquietante il momento in cui non era in grado di decifrare i pensieri del re, forse troppo complicati per la sua mente da “sempliciotta.”
-Non puoi uccidere Dealanaich, El- esordì il re, andando a sedersi sull’erba -La cerva è un dono degli dei.
Eileen sbuffò, ormai stanca di sentire quelle odiose parole.
-Se gli dei ce l’hanno data, è nostro dovere in quanto fedeli utilizzarla.
Il tono apatico con cui pronunciò quella frase fece esplodere l’altro tra le risa.
-Tu, davvero, parli di divinità in questo modo? Tu che non credi a niente, nemmeno all’esistenza dei nostri stessi genitori?-
-Non li ho mai conosciuti, non vedo perché dovrei affermarne l’esistenza.
La ragazza si sedette di fronte all’altro, portandosi le ginocchia al petto. L’argomento sulla parentela era sempre stato complicato da affrontare per ogni essere alato. 
Le fate non conoscevano mai i propri genitori dopo la nascita. Venivano abbandonate alla natura stessa, perché era con essa che dovevano convivere e da essa sopravvivere. Per alcuni era assolutamente normale non conoscere la propria madre o il proprio padre, ma lei non poteva accettare di non sapere nemmeno il loro nome. Il solo fatto di sapere era la prova che loro fossero vissuti su quella terra e che lei stessa, di conseguenza, fosse reale. La sorella cercava sempre di desisterla da quella folle ricerca, ma ogni tentativo era inutile.
C’erano però, all’interno del clan, delle eccezioni. Le prime fate, secondo la leggenda, erano nate dal mescolamento del sangue dei demoni e della linfa degli alberi. Potevano quindi considerarsi discendenti della stirpe demoniaca, eppure accadeva di rado che alcune fate avessero un vero e proprio legame diretto con i figli dell’oscurità, al punto che uno di essi risultava essere uno dei genitori. Ma forse, in questo caso, era preferibile non conoscerne il nome e rimanere all’oscuro delle proprie origini.
-Siamo discendenti della stirpe oscura, perché quella della luce non dovrebbe esistere?
Era una domanda che tutti le ponevano, ma alla quale lei non forniva mai la risposta. Non era possibile che esistessero, perché gli angeli mostravano la loro presenza sul pianeta sporadicamente. Almeno i demoni, frequentemente, giungevano nel mondo terrestre per poi venir ricacciati indietro a casa delle loro scorribande. Ma gli angeli e gli dei, se davvero erano reali, sembravano semplicemente aver dimenticato quanto avevano creato. E questo era un atteggiamento che lei non tollerava.
-Abbiamo bisogno delle corna di quella cerva, Oberon- sbottò ad un tratto Eileen, fuggendo dai propri pensieri. Il re delle fate la fissò con sguardo vacuo.
-Rischiamo di venir coinvolti in qualcosa di più grande di noi. Non lo senti il trambusto che c’è tra gli umani? La morte sta scorrendo tra le città d’Europa, e al suo passaggio in molti sono costretti al sonno eterno. Hanno paura, Oberon. E sai cosa di sono capaci di fare quando provano terrore.
Il silenzio calò grave sulla radura. Le fate erano esseri in grado di vivere a lungo, spesso per interi millenni. Erano abbastanza vecchi da aver assistito alla caduta del glorioso impero di Roma, e tutti e due avevano assistito al disordine che si era creato nei seguenti sei secoli a seguito di tale avvenimento. Entrambi ricordavano con orrore quali torture aveva dovuto subire il clan alato della Contea Italiana al crollo della città eterna.
-Non c’è niente di cui preoccuparsi, El. Riusciranno a superare anche questo inconveniente. E prima che ci attacchino- Oberon batté il proprio pugno sul palmo della mano sinistra -Farò in modo di schiacciarli tutti. Nessuno escluso.
Eileen sentì un brivido correrle lungo la schiena. Sapeva che il re diceva questo principalmente per rassicurarla. Ma sapeva anche che era un suo vero pensiero. Oberon poteva tollerare la collaborazione con le altre razze per mantenere la pace, ma al primo segno di minaccia verso il suo popolo non avrebbe esitato a sradicare i nemici. Lo aveva osservato all’opera solamente una volta. E da quel momento, non aveva più voluto vederlo combattere.
-Comunque, dato che sei così agitata, possiamo andare a controllare di persona.
L’altra lo osservò con sguardo interrogativo.
-Come scusa?- chiese, abbastanza scettica per via della piega che il discorso stava prendendo.
Oberon sfonderò uno dei suoi migliori sorrisi.
-La regina Giovanna d’Angiò3 ci ha invitato nel suo palazzo ad Agrigento. Vuole parlare con i sovrani delle varie Contee. E ha chiesto noi di portare cortesemente una scorta di almeno dieci persone.
-Una richiesta piuttosto insolita- non poté fare a meno di notare la ragazza.
Oberon scrollò le spalle.
-Sai come sono fatti gli umani. Più lusso vi è nelle loro case, più si sentiranno appagati. E più sfarzo e solennità vi è ai loro ricevimenti, più importanti penseranno di divenire un domani.
Sostanzialmente, quel concetto era corretto. La razza mortale era nota per la propria avidità e per il suo attaccamento alla ricchezza. Forse era proprio per questo motivo che gli umani non riuscivano mai a stare in pace tra loro simili.
-Ti hanno già comunicato il motivo di tale udienza?
-A quanto pare è un segreto. Lo scopriremo sul momento.
Oberon sorrise di nuovo.
-Quindi il fatto che tu fossi venuto qui per farmi rinunciare alla cattura di Dealanaich era uno scherzo, vero?-
-Sì e no- rispose l’altro con sguardo divertito. Ma quel guizzo sparì subito com’era giunto.
-Vorrei che tu mi accompagnassi, Eileen.
La fata sgranò gli occhi. Capitava di rado che il re delle fate facesse una richiesta del genere di persona. In genere affidava quel tipo di messaggi ad Aileen, che poi andava a comunicarli ai diretti interessati.
-Io? Perché? Mia sorella non ti basta più?-
-Avere un guaritore è sempre di fondamentale importanza. Ma ho anche bisogno del mio arciere migliore.
Il tono con cui lo disse le risollevò il morale. Ma non appena Oberon affermò di aver già chiesto l’accompagnamento alla sorella, sentì il suo cuore frantumarsi per la milionesima volta.
Non detestava la sorella per la sua relazione con il sovrano del popolo alato. Non poteva odiarla. Aileen l’aveva sempre protetta e aiutata quando ne aveva avuto bisogno. Ma allora perché aveva dovuto innamorarsi proprio dello stesso ragazzo per la quale la sorella provava il suo stesso sentimento? E perché lei non poteva essere ricambiata allo stesso modo? Perché non riusciva ad andare avanti? Da sola stava bene, se ne rendeva conto. Eppure, la possibilità di passare una vita con Oberon sembrava allettante quanto quella di non avere amanti per il resto dei suoi giorni.
-Allora? Verrai con me?- la sollecitò lui. 
Eileen si inchinò poggiando le ginocchia a terra e abbassando il capo, ignorando nuovamente i suoi sentimenti.
-Come desidera, mio signore.
Era l’anno 1347.
La peste nera aveva appena iniziato a diffondersi in tutta Europa.








1Dealanaich: "fulmine" in gaelico scozzese.
2Oberon: celebre re delle fate nella commedia di Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate.
3Giovanna I d’Angiò: regina di Napoli dal 1343 al 1381.
  
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