You know why
Il copione era
arrivato quattro giorni prima. Con una lettera di minaccia in allegato.
‘Prenditi
il tempo per leggerlo e fammi
sapere quando sei pronto.
Se ci metti
più di cinque giorni ti
licenzio.
Julie’
Tarjei ci aveva
riso sopra, per poi rabbrividire l’attimo successivo. Quella
donna lo conosceva
bene, troppo bene ad essere sinceri: appena i suoi occhi si erano
posati su di
lui l’anno prima, si era sentito come se tutti i suoi
più oscuri segreti fossero
scritti sulla sua fronte, e lo sguardo di Julie si era illuminato per
la prima
volta dopo ore passate a giudicare dei sedicenni con zero esperienza e
spesso
zero talento. Il giorno dopo, aveva un contratto per sei stagioni.
Fatto sta che
Tarjei ci aveva messo quattro giorni a spacchettare quel maledettissimo
copione, e la scritta ‘ISAK’ esattamente al centro
della prima pagina gli aveva
fatto venire voglia di vomitare per l’ansia e andare a
vantarsi con tutti gli
altri diciassettenni alla Nissen perché nessuno si aspettava
più che facesse i
compiti di Norvegese. O di matematica. O di storia. O di qualsiasi
altra
materia. Non che prima li facesse, tranne per quelli di biologia
s’intende.
Ecco,
probabilmente ci aveva messo quattro giorni perché leggere
‘Isak’ era come
leggere ‘Tarjei’: dopo aver scelto quei pochi con
il minimo talento necessario,
Julie aveva praticamente rinchiuso ognuno di loro in una stanza e gli
aveva
costretti a raccontargli tutta la propria vita. Aveva plasmato i suoi
personaggi addosso agli attori: Jonas era un hipster fissato con lo
skate come
Marlon, Eva un’insicura ragazza da festa come Lisa, Magnus
un’idiota totale
come quel cretino di David (onestamente, Tarjei non sapeva
perché fosse il suo
migliore amico) e così via, e ciò comprendeva
ogni sfaccettatura della loro
personalità, come la musica e la materia preferita e tutto
il resto. Era come
essere in un reality show fatto bene, con un copione e girato da dio.
E nonostante
fosse l’idea cinematografica del secolo e rendesse la serie
tremendamente unica
e reale, per non parlare della trovata di Mari dei social network,
Tarjei non
poteva fare a meno che sentirsi … esposto.
Quando gli era
stato detto che sarebbe stato il protagonista della terza stagione era
il
giorno del suo compleanno: dopo le pacche sulle spalle e i complimenti
generali, si era rinchiuso nel primo bagno che aveva trovato, in
iperventilazione per colpa di un mezzo attacco di panico. Ulrikke aveva
bussato
insistentemente alla porta per cinque minuti minacciando di farla sul
pavimento
prima di lasciar perdere e correre al bagno nel camerino delle ragazze.
Non che non
fosse contento, sia chiaro, era al settimo cielo. Solo che la gente ti
regala,
che so, un videogioco o dei calzini, non una fottutissima stagione di
una serie
tv.
Un’ora
dopo
Julie stava urlando ad un gruppo di adolescenti di spogliarsi e
spruzzarsi
dell’acqua addosso, e stava insegnando a Marlon come lanciare
un cartone di
latte nella giusta angolazione.
Il cast
guardò
il trailer finito cinque giorni dopo insieme al resto del mondo. Tarjei
rise
insieme agli altri per i primi piani dei boxer pressoché
trasparenti e scherzò
su come il latte che gli colpiva il viso ricordasse un altro tipo di
sostanza
biancastra, ma la scritta ‘ISAK’ alla fine gli
diede la stessa identica
sensazione. Gli sembrò di leggere il suo stesso nome e
inevitabilmente si
chiuse nello stesso bagno di cinque giorni prima, dando la
possibilità a Carl
di esprimere l’ipotesi che il ragazzo soffrisse di
incontinenza, o diarrea
esplosiva, come David suggerì (quando Lisa glielo racconto
per telefono il
giorno successivo, Tarjei si presentò sotto casa del suo
migliore amico
minacciandolo per citofono che se non fosse sceso immediatamente a
prendersi i
pugni che meritava avrebbe fatto sapere al mondo che soffriva di
eiaculazione
precoce).
Ora, seduto al
suo solito tavolo nell’angolo del Brenneriet
all’inizio di settembre, fissava
la pila di fogli poggiata di fronte a lui come se stesse per mangiarlo,
la sua
gamba che si muoveva nervosamente sotto il tavolo come a scandire il
tempo che
gli rimaneva prima che Julie sarebbe arrivata per costringerlo a
leggere con la
forza.
Alla fine,
girò
la prima pagina. E poi la seconda e la terza e la quarta e due ore dopo
aveva
ripreso a fissare la pila di fogli di fronte a lui, ma non aveva
più l’ansia. Era
semplicemente terrorizzato.
“Tarjei?”
“L’ho
finito.”
La linea rimase
silenziosa per qualche secondo. Brividi.
“Allora?”
“Sto per
vomitare.”
“Devo
prenderlo
come un insulto?”
Il ragazzo
alzò
gli occhi al cielo.
“Sai il
perché.”
Un sospiro
dall’altra parte della linea.
“Non sei
tu
Tarjei, okay? E’ Isak, è solo un personaggio, non
sei tu.”
“Oh ma
fammi il
favore Julie.”
“Fammi tu
il
favore ragazzino!”
Okay, non era
quello il modo di rivolgersi al proprio datore di lavoro.
“Scusa
…”
“Bene.
Ora, fai
un respiro profondo, evita di andare in iperventilazione,
grazie.”
“Come fai
a-
“Se uno
dei miei
attori si chiude in bagno con l’espressione di chi sta per
buttarsi dalla
finestra vado a controllare.”
“Io non ho
l’espressione di chi sta per buttarsi dalla
finestra!”
“Domani mi
servi
per le audizioni. Alle 10, puntuale!”
Julie gli chiuse
il telefono in faccia e Tarjei lo posò malamente sul tavolo
con uno sbuffo. Si
stropicciò il viso con entrambe le mani e le
lasciò scivolare fra i capelli,
per poi afferrare la sua roba e quella pila di fogli infernale e
dirigersi come
un uragano verso la porta, lasciando il bicchiere di caffè
ormai gelato ancora
mezzo pieno sul tavolo.
Andò a
sbattere
contro un ragazzo sulla soglia ma non alzò nemmeno lo
sguardo, borbottando
delle scuse appena udibili prima di riprendere la sua strada e
lasciarsi il bar
alle spalle.
Al contrario, il
ragazzo si era girato a guardarlo, un ‘non
preoccuparti’ sulle labbra ancora
socchiuse e una mano sulla spalla che era stata urtata. Stava ancora
osservando
quei riccioli dorati girare l’angolo quando un urlo si
propagò per il locale.
“Henrik
Holm!”
Henrik
tornò
alla realtà, si voltò verso la fonte del grido
che aveva fatto girare gli
ultimi clienti della mattinata e fece appellò a tutta la sua
forza di volontà
per non sbattere la testa contro il muro fino a perdere i sensi
… sì va bene
era melodrammatico ma non era giornata, okay?
“Lo so,
sono in
ritardo, non accadrà più”, e bla bla bla,
ma dirlo non gli sembrò proprio la cosa giusta da fare se
voleva tenersi il
lavoro.
Mentre parlava
si era finalmente spostato dalla porta e aveva iniziato a sfilarsi i
suoi
numerosi strati, rimanendo in una semplice maglia beige per poi
infilare il
grembiule e dirigersi dietro al bancone al fianco di Lea. La biondina
lo
accolse con il suo timido sorriso e lui si chinò per
baciarle la guancia, che
divenne color porpora facendolo ridere: sapeva di essere bello, aveva
uno
specchio e degli occhi funzionanti e non voleva essere ipocrita facendo
finta
di essere modesto, ma le reazioni della gente continuavano a
sorprenderlo e
divertirlo. La ragazza alzò gli occhi al cielo arrossendo
ancora di più e tornò
al caffelatte che la signora del tavolo 5 stava aspettando.
“Smettila
di
prendermi in giro Henke.”
“La
smetterò quando
tu smetterai di chiamarmi Henke.”
“Uno, non
accadrà mai, e due, continueresti comunque.”
“Come mi
conosci
tu nessuno.”
Lea gli fece il
dito medio prima di dirigersi dalla donna, tenendo le sue multiple
ordinazioni
in bilico sulle braccia (certa gente dovrebbe evitare di mangiare tre
diversi
tipi di dolce in una botta sola, così, per evitare il
diabete).
Henrik rise di
nuovo, prima che la vista del suo capo gli fece raggelare il sorriso
sul volto:
l’uomo era nettamente più basso di lui, calvo e un
po’ sovrappeso, e stava
dall’altra parte del bancone con il grembiule sporco di
glassa rosa e le mani
sui fianchi. Il ragazzo pensò che sarebbe stato il
protagonista perfetto di uno
dei suoi fumetti scarabocchiati o un personaggio fantastico per un
cartone
animato.
“E’
la terza
volta solo negli ultimi cinque giorni.”
Si passò
nervosamente una mano fra i capelli prima di rispondere, alla ricerca
delle
parole giuste per cavarsela anche stavolta.
“Mi
dispiace,
l’audizione è domani e ho bisogno di-
“-provare
il più
possibile, lo so Henrik, me l’hai detto anche le altre due
volte.”
Il ragazzo
guardò l’uomo mordendosi l’interno della
guancia, corrugando le sopracciglia
nel sentirlo sospirare.
“Che
succede se
passi l’audizione?”
“…
non avrò tempo
per fare tutto.”
“Perché
non
dovrei licenziarti adesso allora?”
“Sai il
perché.”
L’uomo si
grattò
la nuca, l’espressione di chi sta pensando un po’
troppo forte.
“Perché
non vai
semplicemente a lavorare da Siv, sai quanto ne sarebbe
felice.”
“Conosci
mia
madre da tanto tempo, se andassi a chiederle aiuto mi costringerebbe in
un modo
o nell’altro a tornare a casa e non voglio più
dipendere da lei, non sono più
un bambino.”
“Hai 21
anni
Henrik, la maggior parte dei tuoi coetanei si fa mantenere dai
genitori, non
c’è nulla di male.”
“Beh io non sono la maggior parte.”
Non aveva alzato
la voce ma la frase era risultata forse ancor più dura, come
un ringhio.
Sospirò passandosi nuovamente la mano fra i capelli,
ignorando la vena che
sentiva pulsare prepotentemente sul
collo.
“L’audizione
è
domani, se non passò tornerò a lavorare senza
ritardi, se passo non ci sarà
nemmeno bisogno di licenziarmi, me ne andrò io.
Okay?”
L’uomo lo
guardò
per qualche secondo, prima di annuire e dirigersi verso la cucina.
“Datti da
fare.”
Henrik
tirò un
sospiro di sollievo buttando la testa all’indietro, per poi
alzarsi le maniche, stamparsi il suo sorriso accattivante sul volto e accogliere i nuovi
clienti.
Note
Una storia senza
troppe pretese su due delle persone più talentuose che abbia
mai avuto il
piacere di ammirare e che non posso fare a meno che shippare.
Ovviamente non
conosco (purtroppo) né Tarjei né Henrik
né tantomeno il resto del cast
personalmente, ciò che andrò a scrivere
è unicamente frutto della mia immaginazione,
qualche intervista e quello che gli attori scelgono di mostrarci sui
social.
Spero che vi piaccia, altri capitoli arriveranno molto presto,
recensioni sempre
ben accette, enjoy <3