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Autore: Nadine_Rose    21/03/2017    0 recensioni
Nadine ballava, rideva ed era viva.
[Continuo di “Un amore diviso da un filo spinato”]
Nadine e Werner sedettero vicino alla riva del lago all’ombra di un’alta conifera e restarono lì, stretti l’uno all’altra, avvolti dall’aria fresca dell’estate berlinese mentre dentro di loro scoppiava la primavera. Una nuova stagione era cominciata per la loro vita ma i due contavano ancora i loro inverni.
[Capitolo 33: Il dono della vita]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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Capitolo 27

 

Il frutto della verità

 

- Prima parte -

 

“Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi”.

Massimo Gramellini


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Immagine dal film “Padre e figlio”

 

Sarebbe stato molto meglio non sapere e andare avanti restando nell’oblio, piuttosto che fare i conti con un passato così doloroso, disperato, devastante, quasi surreale nella sua crudezza. Una delle pagine più buie della storia dell’umanità non era più muto inchiostro sui libri di scuola ma adesso aveva voci e mani tremanti, volti inquieti e occhi velati di lacrime. Le immagini sfocate viste alla televisione diventavano carne e respiro attraverso le parole di coloro che fino a qualche giorno prima erano i loro genitori. Parole che nei loro giovani cuori alimentavano sentimenti opposti di compassione e risentimento. Il tragico racconto del loro vissuto, dal quale non riuscirono neanche a cogliere il sottile filo di speranza che lo attraversava, non fu sufficiente a spazzare via la rabbia e la delusione per le tante bugie dette e le verità taciute per troppo tempo. Verità al cui ascolto i due giovani avrebbero voluto tapparsi le orecchie, urlare, sparire. Ma per Andrej la verità più difficile da metabolizzare, il boccone più amaro da ingerire fu la scoperta del passato nazista di suo padre. Werner, che fino a due giorni prima credeva suo padre, il suo eroe, il dottore buono che aiutava i pazienti più bisognosi, era in realtà un medico della morte e il suo vero nome sapeva di paura e angoscia, di prigionia e ingiustizia, di vite crudelmente spezzate. Günther era un sinonimo di Aktion T4, di programma nazista di eutanasia, di duecentomila vittime tra le persone più deboli e indifese. La maschera si era sciolta al calore di una verità che bruciava, rivelando che quell’uomo non era suo padre e soprattutto non era la persona che conosceva. Anzi faceva parte della foltissima schiera di criminali che molto probabilmente lo avevano reso orfano. A quest’ultimo pensiero, Andrej non riuscì più a trattenere il senso di nausea che gli aveva attanagliato la gola, lo stomaco, le viscere in quegli interminabili e strazianti minuti. Corse in bagno. Le sue certezze non erano altro che bugie mascherate, i suoi genitori dei perfetti sconosciuti che avevano recitato in modo impeccabile una parte lunga diciassette anni e lui non sapeva più chi fosse. Intanto, Brigit sollevò le ginocchia sul divano e vi nascose il viso scoppiando in un pianto dirotto, disperato, inconsolabile. Mai come in quel momento si era sentita così sola e smarrita, privata della più piccola, scontata e fondamentale certezza: essere figlia di un padre e una madre di cui fidarsi, in cui credere, a cui appoggiarsi e da qui, dalle sue stabili radici, avere la consapevolezza di se stessa. Tutto era perso, lei si era persa.

 

Brigit adagiò il mazzo di fiori sul marmo grigio. Chinandosi, un ginocchio ne sfiorò il freddo e una lacrima fuggitiva vi trovò riposo. I pensieri rallentarono la loro corsa, lì dove il tempo si ferma per continuare nell’eternità. Lì dove sua madre e suo padre, Anja e Karl, sarebbero stati per sempre quei due ragazzi di sedici e diciotto anni, coraggiosi e testardi, generosi e imprudenti, sognatori ribelli con la speranza e la pretesa di poter cambiare il mondo. Ragazzi, come lo era anche lei con i suoi diciassette anni, ma con una maturità diversa, con ragionamenti, espressioni, atteggiamenti, gesti diversi, ben lontani dalla spensieratezza e i capricci di una vita le cui maggiori preoccupazioni erano prendere bei voti e indossare bei vestiti. Il velo di lacrime divenne più spesso, impedendole di fissare in modo nitido i nomi e le date incisi sulle targhette bianche, scurite dal tempo e, in uno scatto veloce, cercò le mani dei due angeli che la affiancavano, Engel e Kurt, i suoi genitori. Una richiesta di conforto, uno slancio di affetto, di riconoscimento, di rimorso verso coloro che l’avevano cresciuta, guidata, supportata dandole il meglio e anche il superfluo. Le lacrime scivolarono veloci sul suo viso stanco e, lì dove tutto sembra finire inesorabile e senza speranze, un abbraccio infinito, che sapeva di riconciliazione e consapevolezze rinnovate, diede vita ad un nuovo inizio.

 

I nazisti erano tutti scomparsi, dissolti nel nulla. Gli 8,5 milioni di iscritti al Partito nazista si nascondevano alle coscienze, complice la collettiva ed euforica speranza nella democrazia, nella ricostruzione, nel boom economico, in un divertimento che era solo di facciata. Presi dal presente e protesi verso il futuro, nessuno si poneva domande sul passato, nessuno ricordava. D’altra parte, anche lui non si era mai posto domande sul passato di Werner, convinto della sua estraneità ai crimini nazisti. Per Andrej suo padre era sempre stato un cittadino inconsapevole, un medico innocente, o tutt’al più un oppositore travestito da conformista. La scelta di sposare una ragazza ebrea sopravvissuta a un campo di concentramento non aveva fatto altro che confermarlo nella sua convinzione. E i suoi pensieri andarono a lei, a Nadine: come aveva potuto accettare di trascorrere il resto della propria vita accanto ad un nazista, pentito ma pur sempre colpevole, donarsi a mani complici delle crudeltà subite e degli affetti strappati? Come poteva l’amore andare oltre i ricordi, le sofferenze, il rancore, le brutture dell’altro, le proprie origini … oltre se stessa? Questi interrogativi riavvicinarono Andrej a sua madre adottiva e capì che la risposta era racchiusa nella domanda stessa, nell’inesplorabile mistero dell’amore. Sfogliare tra le pagine del cuore di Nadine, pur non comprendendo appieno, entrare nell’intimità dei suoi sentimenti, fu la prima toppa su un legame strappato e gli permise di aprirsi di nuovo con lei. “Ho deciso di mettermi alla ricerca dei miei genitori. Tu, Kurt, Edith, Yonathan e tanti altri ce l’avete fatta e posso ancora sperare di trovarli in vita e conoscerli …” le confidò ma Nadine non ne rimase sorpresa, aspettandosi da giorni questo colpo “… Mi aiuterai?” Aiutarlo significava rischiare di perderlo e il suo cuore di madre piangeva di tristezza. “Non posso farlo da sola.” rispose e, proprio in quel momento, Werner si affacciò alla porta della stanza. Andrej gli rivolse uno sguardo più rabbonito: aveva bisogno anche di lui.

   
 
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