The
future
«Carotina, lo sai
vero?»
«Uh?»
«Che
non ci saranno tanti teneri e adorabili coniglietti saltellanti per
casa?»
Immaginarlo,
però, era davvero piacevole.
Non
faticava troppo a vedersi attorniato da tanti – e con tanti intendeva un numero
non superiore alla decina, non poteva concepire come i genitori di Judy
riuscissero a accudire quasi trecento
cuccioli, gli metteva ansia e panico solo il pensiero! – e saltellanti piccole
creature simili alla madre. Li avrebbe adorati tutti e, ne era certo, il
sentimento sarebbe stato reciproco.
Insomma,
chi non adorava Nick Wilde?
Ok,
forse c’era più di un individuo a Zootropolis a
provare verso di lui sentimenti avversi, tuttavia se ne era fatta una ragione,
viveva la sua vita senza troppi problemi. Ma non era questo il punto, in ogni
caso.
Sarebbe
stata la volpe più felice di tutte, era strano perché quando mai si era sentito
di una volpe felice a stare in mezzo a conigli – non per mangiarli, s’intende.
«Vorrà
dire che ci sarà solo un volpacchiotto ottuso
come il padre.»
Se il
suo cuore si era sciolto all’immagine di prima, con questa nuova versione fantastica del loro futuro, non aveva
idea di dove fosse finito e soprattutto quanto ci avrebbe messo a ricomporsi
per ottenere una minima parvenza di cuore. Perché aveva bisogno del cuore per
vivere, dopotutto.
Alla
mente gli si affacciò, fulminea, l’immagine di una cucciolata mista di
coniglietti con in mezzo una piccola volpe.
Ora
sì, poteva anche morire sereno e in pace.
Cercò
di trattenere quell’immagine il più possibile, perché si stava allontanando,
sfumando sempre più.
Ma
anche se non si fosse fissata nella sua mente, si era marchiata sul suo cuore e
da lì non si sarebbe allontanata, mai l’avrebbe dimenticata, era diventata una
parte di sé, vitale.
Era
una sensazione dolcemente amara.
«No,
non ci sarà neppure quello» e dirlo, faceva un gran male. Ma, tra i due, era
lui quello più acuto – in certi campi
– e realista; era arrivato il momento che lo capisse anche lei.
Non
potevano crogiolarsi all’infinito in una speranza vana, impossibile, per quanto avessero – entrambi – una fantasia
sfrenata e complementare. Continuando così, si sarebbero fatti solo del male.
«Ma
potremmo adottare un coniglietto e una piccola volpe» disse Nick, non appena
scorse il nasino rosa di Judy tremare e il viola dei suoi occhi inumidirsi.
I conigli sono troppo emotivi.
E a
volte, per lui, era ancora difficile gestirlo.
Quelle
parole la ferirono – non per l’idea dell’adozione in sé, anzi ammirava chi
compiva gesti come quelli e dopotutto poteva
funzionare anche per loro: avevano così tanto amore da donare – ma non
riuscirono a consolarla, perché invece le fecero sentire la verità
dell’impossibilità di ciò che desiderava.
Si
sforzò di sorridere, per far credere a Nick che le sue parole erano riuscite
nel loro intento.
Dopo
attimi di breve silenzio, la voce di Judy riportò entrambi alla realtà, al loro
lavoro.
«Andiamo!»
La
volpe acconsentì e affiancò la coniglietta nel giro di controllo.
Judy
cercò di comportarsi normalmente, come se avessero risolto tutto, come se nulla
la turbasse; non era sicura di riuscire al meglio nel fingere – dopotutto era Nick
il maestro, in quel campo –, ma se anche così non fosse stato, Nick non glielo
fece pesare.
Durante
la perlustrazione si scambiarono solo considerazioni relative al loro compito,
in modo molto formale, quasi freddo, lo stesso Nick aveva evitato qualsiasi
battuta.
Entrambi
cercavano di non dare molto peso alla cosa, come se quello scambio di battute
non avesse lasciato della tensione latente, dell’irrisolto, perché in fondo lo
sentivano entrambi che qualcosa c’era
che non andava; l’atmosfera tra loro non era più quella abituale.
L’occhio
attento della volpe aveva riconosciuto i tentativi della partner di
dissimulare, ma non se la sentiva di ritornare sulla questione, perché sapeva
che non era giusto, era troppo
presto, ormai la conosceva, la sua
coniglietta.
Un
po’ era anche perché non era sicuro di come dirle quello che doveva e di come
avrebbe potuto reagire lei.
Era
da un po’ che gli mandava dei segnali, degli indizi e, astuto com’era, li aveva
raccolti tutti: aveva compreso.
Era
naturale che arrivasse quel momento
nella vita di una femmina. Era impensabile che non accadesse per un coniglio,
specie molto prolifica.
Anche
Judy, nonostante non l’avesse mai considerato come una priorità e forse a detta
di sua madre Bonnie c’era arrivata un po’ più tardi
rispetto alle sue coetanee, ora sentiva forte quel desiderio.
Sarebbe
stato tutto più facile, se lui fosse stato un coniglio, proprio come Judy. Ma
lui era una volpe.
E
qui, la faccenda si complicava.
In
realtà, sapevano entrambi che non potevano avere prole, quante volte – in modo
scherzoso e superficiale, in modo più serio e grave – se lo erano detto, e
pensava che Judy avesse afferrato fino in fondo la cosa.
Certo,
anche lui l’avrebbe desiderato – oh non sapeva quanto! – ma aveva anche
imparato, a sue spese, che più si soffermava a fantasticare sui suoi ipotetici
figli, più gli si stringeva il cuore in una morsa dolce e amara allo stesso
tempo; quel dolore al petto sarebbe stata la sua rovina.
Così
Nick tornava in sé; sapeva quello che doveva fare, comportarsi quasi come aveva fatto in tutti quegli
anni prima di incontrare lei, ovvero sopravvivere.
Judy,
dal canto proprio, cercava di non pensarci troppo, tentava in tutti i modi di
non abbassare le orecchie – segno
evidente della sua tristezza – ma non era così sicura di riuscirci.
Camminava
al fianco di Nick non con la solita energia – e anche questo era un segnale
lampante che qualcosa non andava.
Mannaggia all’emotività dei conigli!
Judy
non avrebbe mai potuto mentire, glielo impediva la sua stessa natura.
E, se
a volte, era considerato un pregio, ora lo detestava: avrebbe tanto voluto
saper occultare le sue vere emozioni, come faceva Nick.
Anche
se ormai era diventata così brava a leggere le espressioni e le movenze del suo
compagno da capire quando si trovava in disagio, quando c’era qualcosa che lo
turbava e, da brava poliziotta e investigatrice qual era – anche se Nick
giurava sempre che era merito dei suoi grandi occhioni
viola, a cui non sapeva resistere –, riusciva sempre a cavargli di bocca i suoi
veri pensieri, le sue reali sensazioni.
Mentalmente
lo ringraziò per aver deciso di lasciar correre, almeno per ora. Sapeva che,
prima o poi, le avrebbe fatto presente la sua opinione, anche se di solito era
lui, il primo a voler rimandare il più possibile i confronti.
Era
sempre stata ligia al dovere, il suo lavoro veniva prima di tutto, ma quel
giorno le risultò fastidioso e anche quasi noioso.
Effettivamente
era tutto troppo tranquillo, come se il crimine fosse andato in vacanza,
nemmeno un semplice scippo. Nulla, niente di niente.
E, in
circostanze normali, sarebbe stata fiera di Zootropolis
e di farne parte, ma non in quel momento, perché significava non avere nulla di
particolare su cui concentrare la propria attenzione e, di conseguenza, aveva
un sacco di spazio nella sua mente che, puntualmente, veniva riempito dai suoi
problemi personali.
Nonostante
fosse una delle regole principali e una delle prime che aveva imparato – quella
di mantenere separati il lavoro e la vita privata –, semplicemente non ci
riusciva.
E, a
dirla tutta, nemmeno l’ambiente circostante le dava una mano ad accantonare i
suoi tristi pensieri.
I
suoi occhi si posavano in continuazione su mamme in compagnia dei loro figli.
Una
mamma elefantessa che teneva per mano la sua figlioletta di cinque anni.
Una
leonessa che mostrava alle amiche un piccolo fagotto che teneva in braccio e al
suo minimo singulto quelle si lasciavano scappare un «Oh!» tremendamente
intenerito, quelli tipici del loro collega Benjamin Clawhauser.
Che fosse una particolarità della
razza felina?
All’altro
angolo della strada, una mamma pecora che consolava il suo agnellino che era
caduto, sbucciandosi un ginocchio.
Una
mamma orso che sgridava il suo piccolo perché faceva troppi capricci davanti a
un negozio di giocattoli.
Sembrava
che l’universo avesse deciso di accanirsi su Judy Hopps
e lei non era tanto sicura di come interpretare quel messaggio.
Sapeva
con certezza che non era in grado di supportare la vista di quei piccoli
quadretti familiari, così intimi e quotidiani, sparsi per la città.
Si
fermò tutto a un tratto e si portò una zampina al cuore come per cercare di
arginare quel dolore. Senza risultati.
Le
lacrime premevano per uscire, ma le ricacciò indietro, perché quello non era né
il momento né il luogo adatto per lasciarsi andare.
«Carotina, che succede?»
La
voce di Nick la riportò bruscamente alla realtà, come se le avessero appena
tirato uno schiaffo in pieno viso, come se le avessero riversato addosso un
secchio di acqua gelida.
Dopo
pochi passi, la volpe si era accorta che la coniglietta non le camminava più al
fianco e le fu naturale porle quella domanda.
«Niente,
tranquillo» fu la risposta di lei.
Judy
sperò che il compagno, nonostante i suoi sensi più sviluppati, non percepisse
nessuna incrinatura nella propria voce – non credeva affatto di aver un’ottima
ripresa – e soprattutto che non facesse domande.
Per
non preoccuparlo più del dovuto, la coniglietta pensò bene di riprendere il
proprio posto al fianco del collega.
Gli
sorrise timidamente e, con un gesto, lo invitò a continuare il loro giro.
Prima
di muovere un passo, Nick la osservò attentamente; capì che gli aveva mentito,
tutto di lei gli urlava che avesse bisogno di aiuto, ma allo stesso tempo, di
non fare nulla in suo soccorso, perché non era ancora tempo.
Sospirò
piano e si incamminò, di nuovo, insieme alla compagna.
Quindici
minuti più tardi, Judy si fermò di colpo. Di nuovo.
Nick
alzò le orecchie, interrogativo.
«Senti,
che ne dici se ci dividiamo? Così facciamo prima.»
Nick
era sicuro che doveva nascondersi una qualche trappola in quella proposta –
se non le riconosceva lui, che giocava spesso quella carta con gli altri
e in particolare con Judy! – ma non riuscì a scorgerla.
Prima
che potesse dire alcunché, la coniglietta aveva preso in mano la situazione e,
senza aspettare una sua qualche replica, corse via.
***
Si
sentiva un verme per essere fuggita così. Non aveva sentito quell’impulso
nemmeno il giorno del suo matrimonio e le avevano detto che era del tutto
normale per la sposa avere sprazzi di incertezza.
Di
solito prendeva la situazione di petto. Ma questa volta era diverso, perché si
sentiva molto, ma molto più vulnerabile e non voleva farsi vedere così da Nick.
Cosa mai penserà di me?
Era
così distrutta, sofferente, arrabbiata, delusa, impotente…
non sapeva nemmeno lei come si sentisse. Era così difficile anche solo
descriverlo.
Ma il
dolore che provava era vero, autentico e l’unica cosa che volesse fare era
quella di nascondersi, allontanarsi il più possibile da tutti e, rannicchiata,
piangere tutte le sue lacrime.
E
aspettare che quella sofferenza passasse.
Da
bambina funzionava; andava a rifugiarsi per alcune ore sulla sua casetta
sull’albero fino a che i problemi sparissero o almeno rimpicciolissero e lei,
più coraggiosa, ritornava nel mondo pronta ad affrontare le sue paure e
vincerle.
Per
questo aveva scelto come meta della sua fuga Distretto di Foresta Pluviale.
E,
senza pensarci due volte, prese la funivia. Aveva bisogno di non vedere per vedere veramente, per chiarirsi le idee,
per allontanarsi, ma comunque mantenere sempre dei contatti con il mondo, con
le radici. E per un coniglio era di importanza vitale avere legami con la
terra, culla primordiale.
E poi
da lassù si aveva una vista spettacolare della città.
La
prima volta che c’era salita – con Nick – non ci aveva fatto troppo caso,
perché la sua mente era pienamente focalizzata sul caso Otterton.
E non era stato esattamente un momento felicissimo, per lei. Stava per perdere
il lavoro, quel lavoro che si era guadagnata duramente e cui, in meno di
quarant’otto ore, poteva dire addio.
Ma,
per fortuna, Nick con la sua caratteristica flemma e sfacciataggine, era
riuscito a convincere Capitan Bogo a concedere loro di completare la missione.
Aveva
capito poi, grazie alle stesse parole della volpe – «Non mostrare mai le tue debolezze» –, che Nick si era rivisto in
lei, rivivendo la sua esperienza.
E
proprio, su quella funivia, avevano gettato il seme del loro legame. Da quel
momento, erano diventati amici e non solo due individui che mal si sopportavano
– appartenenti a specie nemiche per natura – costretti a lavorare insieme.
Anche
se non era stato tutto rose e fiori.
Ma ne è valsa la pena.
Judy
rimirò l’anello che portava all’anulare sinistro.
Dal
loro primo incontro, Judy e Nick ne avevano fatta di strada. E avrebbero
continuato a farla, insieme.
E il
fatto che nel loro futuro non potessero esserci piccoli conigli o piccole volpi
o un misto tra i due, la rendeva così triste, infelice.
Quanto
amava professare il suo motto – «a Zootropolis ognuno può essere ciò che vuole!» – e ci
credeva con tutta l’anima, con tutta se stessa.
E mai
poi mai l’aveva rinnegato, neanche quando le facevano presente delle
incongruenze. Mai, sorrideva e lo ripeteva, più convinta.
E per
la prima volta, le si era ritorto contro.
Certo,
era diventata la moglie di una volpe – qualcuno avrebbe urlato allo scandalo,
ma solo perché era ancora di mente retrograda –, ma non sarebbe mai stata la
madre dei cuccioli di Nick.
E
pensarlo, le procurava sempre una fitta al petto, come se la pugnalassero.
Era
un dolore così lancinante, troppo per una piccola coniglietta di campagna come
lei. Probabilmente era troppo per chiunque, era una sofferenza impensabile da
superare da soli.
Che ottusa che sono!
E
Nick glielo ripeteva spesso.
Tuttavia
non era del tutto sicura che avrebbe accettato da subito la proposta di Nick,
non senza lottare.
Non
era ancora pronta a dichiararsi sconfitta.
***
«Ehi Clawhauser!»
Quella
nota d’urgenza bloccò il ghepardo dal compiere il gesto di portarsi la
succulenta ciambella, che teneva fra le zampe, alla bocca.
Occhi
sgranati, cercò la fonte di quella spiacevole sensazione che gli serrò lo
stomaco e trovò Nick Wilde ricambiargli uno sguardo colmo di puro terrore.
Cosa mai è successo? E Judy dov’è?
Era
inusuale trovare uno dei due senza l’altro, stavano praticamente sempre
insieme, e non erano da biasimare se, vedendo che mancava uno dei due
all’appello, i colleghi traevano conclusioni catastrofiche.
E
l’orrore dipinto negli occhi smeraldo della volpe, di certo, non precludeva
quella direzione, anzi dava la certezza di inoltrarsi per quella via.
«Hai
visto Judy?»
Quella
domanda lo colse alla sprovvista.
«Non
era con te?» tentennò Benjamin.
Nick
gli rivolse uno sguardo di fuoco – e se Benjamin fosse stata una preda, avrebbe
avuto sicuramente il terrore di essere sbranato.
Nick
non comprese come il collega potesse prendere la situazione sottogamba, non era
ovvio con la sua domanda che la
situazione fosse grave?
«Non
è che magari stai esagerando un po’?» continuò il ghepardo.
Nick
non credeva alle proprie orecchie.
«Insomma,
magari si è allontanata per cinque minuti, come quella volta che tu ne hai
fatto un dramma. Ti ricordi?»
E come posso scordarmelo, se ogni
occasione è buona per rinfacciarmelo?
L’unica
volta in cui si era comportato da idiota in modo così plateale, rendendosi
ridicolo davanti a tutti, ma quello che omettevano sempre nel riportare
l’accaduto era che aveva un’attenuante.
Sbuffò,
spazientito.
«Sì,
ma non stavo bene, diciamo che non ero nella mia solita forma smagliante.»
«Se
lo dici tu…»
«E
comunque non sono cinque minuti, è da cinque ore che non ho più notizie di
Judy.»
«Ah.»
Eccole
lì, le informazioni che gli mancavano per comprendere la gravità della
situazione.
«Avete
litigato?»
«Cosa?
Perché me lo stai chiedendo?» Nick strabuzzò gli occhi.
Non
gli era mai piaciuto parlare dei suoi fatti privati, a maggior ragione se
riguardavano i rapporti con sua moglie, e non avrebbe iniziato proprio ora.
Gli
sembrava una domanda fuori contesto, non capiva come quell’informazione potesse
essergli utile a scoprire dove si fosse cacciata Judy.
Fu la
volta del ghepardo di indirizzargli uno sguardo deludente, scuotendo numerose
volte il capo.
Per
essere una volpe acuta, anche Nick Wilde ogni tanto si perdeva in un semplice
bicchier d’acqua.
«No,
non proprio. So che lei aveva bisogno di tempo per riflettere» si ritrovò,
infine, a raccontare la volpe «Ha proposto di dividerci per finire prima il
nostro compito. Si è allontanata e da allora non so più nulla di lei. Non risponde
al telefono. Ho pensato che fosse ritornata in centrale.»
Alla
fine del suo resoconto, si ritrovò spossato, come se una forza invisibile gli
avesse succhiato via tutte le forze.
«No,
non è passata per di qui. Mi spiace» e il felino si sentiva davvero dispiaciuto
di non poter dare alla volpe la risposta che voleva sentirsi dire.
Sapeva
che era sciocco preoccuparsi troppo, in fondo Judy era addestrata e sapeva
cavarsela per ogni evenienza, ma il tarlo del dubbio che lei potesse essere in
pericolo era onnipresente nella mente della volpe e semplicemente non riusciva
a darsi pace.
Quel
piccolo e subdolo seme di una pianta che imparava a crescere velocemente
alimentata dalle sue visioni più infauste eclissava tutti gli scenari in cui
Judy stava bene ed era semplicemente lontana da loro per una propria scelta, ma
che stava ritornando da loro, da lui.
Perché
Nick non poteva pensare a una vita senza di lei e, se fino a quel momento non
gli era mai sfiorato il pensiero che la sua Carotina lo potesse abbandonare,
ora non era più così tanto sicuro.
Magari
aveva veramente deciso di lasciarlo per poter realizzare il suo desiderio.
Solo
che faticava a riconoscere in quel modo di fare l’impronta della sua
coniglietta. Quello, piuttosto, poteva essere un suo stratagemma.
Quante volte sono scappato da
situazioni difficili…
Non
poteva sapere a quali riflessioni era giunta la coniglietta, per cui tutto
quello che poteva fare era aspettare.
E
quell’attesa era snervante.
Nick
credé di non aver mai vissuto un’esperienza simile, il tempo sembrava non
passare mai; fissava, così intensamente da farsi venire una forte emicrania, le
lancette dell’orologio sperando che si spostassero più in fretta possibile, ma
quelle stavano ostinatamente ferme.
Era
un po’ come conversare con Flash.
«Nick!»
Desiderava
così ardentemente che Judy tornasse che, ad un tratto, gli sembrò di sentire la sua voce.
«Nick!»
Al
secondo richiamo, però, seppe che non se l’era immaginato: Judy Hopps era infine ritornata alla stazione di polizia.
«Judy!»
Incurante
dei presenti e del luogo, le corse incontro e l’abbracciò di slancio.
Era
un sollievo sentirla fra le sue zampe, era ritornato a vivere.
La
coniglietta lo strinse di rimando con la stessa urgenza.
Judy
si ritrovò il muso rigato dalle lacrime, credeva di averle già versate tutte e
ancora una volta maledisse quella sensibilità tipica della sue specie.
Le
sembrava che fosse passata una vita dall’ultima volta che l’aveva stretto in un
abbraccio, le era mancato terribilmente e solo in quel momento lo comprese fino
in fondo.
Cosa credevo di fare, da sola?
«Oh Nick…»
Nick
alzò la testa per cercare lo sguardo di lei, pur rimanendo stretti l’uno
all’altra.
Le lacrime
che scorse sul musetto di lei gli procurarono una dolorosa fitta al petto, non
dovevano esistere per cui le prese il volto tra le zampe e, con estrema
delicatezza, le asciugò con i propri pollici.
Quel
gesto così semplice e così vero l’emozionò a tal punto da lasciarla senza fiato
e la consapevolezza di non poter stare senza di lui la colpì ancora una volta
con tutta la sua forza.
La
volpe appoggiò delicatamente la sua fronte a quella della compagna, allineando
i loro sguardi, gli occhi dell’uno potevano specchiarsi in quelli dell’altra.
Era
un modo tutto loro per sentirsi più uniti, quasi che volessero connettere le
loro anime, creando un mondo tutto loro, estraniandosi dalla realtà.
E in
quell’atmosfera la coniglietta ritrovava sempre la pace e la tranquillità
perdute; con semplicità Nick riusciva sempre a rasserenarla e, per lei, era ancora
un mistero come ci riuscisse.
«Sai,
ho pensato alla tua proposta…»
Era
arrivato il momento di dare delle spiegazioni.
«Sì,
immaginavo.»
Judy
abbassò per un momento gli occhi, imbarazzata, ma li rialzò subito per puntarli
in quelli del compagno.
«Sono
certa che l’accetterò, ma non ora. Perché vorrei che ci riprovassimo. Magari è
la volta buona.»
Decisa,
la sua Carotina non si sarebbe mai arresa facilmente,
senza lottare per quello che credeva.
Era
tenace e l’aveva sempre ammirata per questa sua inesauribile forza di volontà.
Nonostante
gli sembrasse ragionevole lasciar perdere, non poteva negare a quei grandi
occhi ametista un’altra possibilità.
«Coniglietta
ottusa» l’apostrofò
affettuosamente.
E lui
l’amava anche per questo.
Aehm, salve a tutti.
Sono
nuova in questo fandom.
È con
timore che pubblico la mia prima fic in questo fandom, come capita sempre quando ci si addentri in un
nuovo fandom. ^^
A
dirla tutta, i miei timori sono dati anche dal fatto che è da più di un anno
che non scrivo e pubblico nulla.
E so
che avrei dovuto impegnarmi in altre cose, ma a quanto pare se l’ispirazione è
tornata, mi ha dirottato qui. ;)
È
relativamente da poco che ho scoperto il mondo di Zootropolis,
ho adorato il film e mi sto ancora chiedendo perché non l’abbia visto prima.
Come
immaginerete ho amato Judy e Nick. Cioè sono personaggi che non si possono non
amare; sono certa che piacciono a tutti, indifferentemente da come li si
possano intendere, se solo amici o come
coppia a tutti gli effetti.
Hanno
del potenziale per essere tutto ciò che si vuole. C:
Adoro
come interagiscono, assolutamente fantastici.
E
niente, se no mi si incanta il disco. XD
Che
dire? Non sono sicura di averli resi IC – e infatti ho segnalato l’OOC – ma
spero comunque, pur nel loro OOC, di non aver stravolto in modo indegno i loro
caratteri. O.O
Credo
di non essere così brava a trovare dei titoli, non dico belli, ma almeno
decenti. XD Magari con il tempo imparerò, chissà… ;)
Non
so nemmeno più cosa scrivere in queste note; è tutta colpa della mia lunghissima
assenza in questi lidi. ù.ù
Quindi
vi saluto e vi ringrazio in anticipo per aver trovato del tempo per leggere
questa piccola one-shot.
Alla
prossima! ;)
Selly