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Autore: Arupaka24    22/03/2017    0 recensioni
Nate, oramai stanco di vivere all'ombra del rivale Alain, tenterà il tutto per tutto per stupire il Team Flare, l'organizzazione per cui lavora. Messo con le spalle al muro, deciderà di chiamare una persona che da tempo non appariva nella sua vita.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Anime
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“Signorina Ursula ne vorrei ancora”
La ragazza sentì il richiamo ed accorse a curare il malato; si trovava nell’infermeria del monastero, o meglio, nella ex-mensa ora adibita a sala per il ricovero degli infetti.
Nessuna fra le suore sapeva cosa quelle persone avessero, era stato detto loro solo che non era contagioso e che ai malati serviva solo un po’ di riposo.
 
Gli ospiti del monastero avevano un aspetto orribile: presentavano delle enormi escrescenze butterate sul corpo, chi sulle gambe, chi sul corpo e chi sulla faccia. Molti di loro non potevano più muoversi ed avevano bisogno di cure costanti da parte delle monache, a tutte era stato riferito che la malattia sarebbe scomparsa entro un paio di settimane ma erano già passati due mesi ed il numero dei pazienti non accennava a diminuire.
 
“Signorina Ursula la prego mi giri, la piaga mi fa male”
Erano passati circa sei mesi dall’ingresso della ragazza nel monastero, in quel tempo ella era riuscita ad abituarsi alla vita semplice che le suore avevano; ogni giorno si svegliava all’alba per curare l’orto, poi una visita al templio, colazione, nuovamente al templio, si prendeva cura degli ammalati in infermeria, messa, cena, visita al templio e poi nuovamente nella sua stanza.
Molte ragazze lasciate lì dalle famiglie impazzivano dopo un mese con questa routine ma Ursula era riuscita perfettamente ad abituarsi; l’unica cosa che non andava giù alla ragazza era la tonaca, troppo larga e lunga, così decise di tagliarla appena sotto il ginocchio e con la stoffa in eccesso di crearsi una fusciacca da mettere in vita.
 
“Sorella Ursula la prego mi segua nell’altra stanza, ha visite”
Ursula seguì quella suora nella stanza vicino, la sala della messa, dove un signore l’attendeva sotto la grande vetrata di Archeus, che rifletteva le sue bellissime sfumature di colore sulla pavimentazione e sulla sagoma dello sconosciuto.
La monaca lasciò Ursula sola mentre le chiudeva alle spalle la porta, la ragazza, intimorita, fece un passo in avanti.
 
“Ciao! Tu devi essere Ursula, vero?” una voce di un uomo si fece sentire alle spalle della ragazza che si girò di scatto emettendo uno spaventato: “S-sì”
“Perfetto... Piacere! Mi chiamo Acromio e sono il ricercatore che sta studiando la malattia che affligge queste povere anime nel vostro monastero”
 
La ragazza guardò perplessa il suo interlocutore, non come segno di maleducazione, ma perché non capiva come mai quella figura cercasse lei.
“Mi hanno detto che è stata un membro molto attivo nell’aiutare questi, mi perdoni il termine, appestati e vorrei sapere se ha notato nulla di strano” continuò lui.
La ragazza scosse la testa in segno di negazione così l’uomo si avvicinò di un passo a lei.
 
Ursula, allora, indietreggiò di un passo; la camminata a passi alterni dei due terminò quando Ursula raggiunse con la schiena il muro.
“Scusi ma mi sono votata ad Archeus, non posso avere rapporti carnali” disse la ragazza con la voce strozzata.
Acromio le guardò il volto e lo sfiorò con il dorso della mano.
 
“Tu sei perfetta”
Alle parole dell’uomo una siringa penetrò nella carotide della ragazza secernendo nel suo sangue un tranquillante istantaneo.
L’uomo prese fra le sue braccia la ragazza svenuta e la caricò, aiutato da altri due uomini in camice bianco, sul sedile posteriore della sua auto.
 
Il Gabite della ragazza, in un gesto estremo per salvare l’allenatrice, morse la gamba del ricercatore costringendolo ad estrarre una seconda siringa dal revers della sua giacca e a annientare anche il Pokemon.
 
Ursula, in un attimo di lucidità, riuscì ad aprire gli occhi e ad avere una visione chiara di dove si stesse trovando, purtroppo, la ragazza era troppo stanca per tenere gli occhi aperti.
Con l’ultimo sforzo di energia emise un suono dalla bocca, flebile e quasi incomprensibile.
 
“G-Gabite...”
 
 
 
Nate uscì dalla doccia, rimase in accappatoio e si distese sul letto di quella stanza. Si guardò attorno annoiato così decise di prendere un vecchio libro che si portava sempre dietro ma che non aveva mai voglia di leggere: “I protocolli dei savi di Sinnoh”.
 
Passo il pomeriggio immerso nella saggistica complottistica e né uscì più che sconvolto; sul suo volto era palpabile il senso di angoscia che solo 250 pagine di teorie antiarcheussiane possono dare.
Decise così di liberarsi la mente rivestendosi di una vestaglia color prugna e di ordinare la cena tramite il servizio in camera, quella sera servivano tartare di polpa di Clouncher.
 
Il ragazzo né mangiò a sufficienza per sentirsi sazio ma non troppo gonfio, sensazione che egli personalmente odiava.
Arrivarono le nove e in fretta si cambiò in Rose.
 
La ragazza vestiva un magnifico abito Haute Couture di Chanseynel della stagione futura; le copriva finemente il seno tramite due triangoli color oliva pastello finemente imperlinati, erano fermati in vita da una vistosa cintura argentea che esplodeva poi fino ai polpacci in strati di finissimo voile che le coprivano dolcemente le gambe. Il tutto era decorato sui bordi da piume di Swanna, le migliori e più ricercate sul mercato.
Ai piedi calzava delle Mandibuzz Blanik argento come la cinta, fermate sulla caviglia da un giro di perle che s’intonava perfettamente alla collana che le cingeva il collo.
 
I capelli erano costretti in uno stretto chignon alto fermato da una rete in seta di Ariados sulla testa della ragazza.
Rose, finita di fermare l’ultima forcina sulla crocchia, era pronta ad uscire. Prese con sé anche la sua clutch coordinata con dentro due Pokèball, un pacchetto di sigarette nuovo ed un paio di banconote.
 
La ragazza era in un ritardo spaventoso quella sera.
   
 
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