Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: Nanas    24/03/2017    2 recensioni
“[…] Perché Gotham è, prima di tutto, i suoi cittadini.
Cittadini che continuano a portarla sull’orlo del baratro solo per tirarla all’ultimo nuovamente via, desiderosi di combattere per l’anima di quella città che si ritrova ad essere ancora una volta appagata del caos che la compone, soddisfatta della consapevolezza che il vivere le sue ombre comporta.
Poiché tutti sono parte della sua esistenza, tutti sono sangue che scorre caldo nelle sue vene e che rende possibile la sopravvivenza al freddo della notte:
Tutti sono criminali, a loro modo. E finché vivono, così vive la città.
E poiché la città vive, così vive Batman.”
_________________________________
Hint: [KuroKen] [BokuAka] [DaiSuga] [IwaOi]
[Batman AU] [WARNING: Slow Build Fanfiction!]
Genere: Azione, Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Hajime Iwaizumi, Morisuke Yaku, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Scusate per il ritardo, volevo postarlo dopo una settimana ed invece sono quasi passate due dallo scorso capitolo. Mannaggia! Questa parte comunque mi piace mooolto di più, quindi spero davvero che piacerà maggiormente anche a voi, anche perché so che il primo capitolo era piuttosto rrhhh– diciamo discutibile. (…)
Ma basta cincischiare: ci vediamo alla fine, e buona lettura!



2. And the tongue is a fire, the very world of iniquity


[Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell'iniquità]
Giacomo 3:6


GOTHAM CITY La Danse de le Langues (Burnley)

17/12/1976 – Più tardi, poco dopo il tramonto


Iwaizumi aveva sempre pensato la via su cui trovava l’ingresso de La Danse de le Langues fosse stata in qualche modo costruita, seppur precedentemente l’inaugurazione di tale attività, con il chiaro intento di accogliere negli edifici che vi si sviluppavano ai lati operazioni ed esercizi commerciali simili a quelli per i quali era conosciuto quel locale, riconoscibile a tutti – clienti e non – per i suoi caratteristici esterni grigi e verdi e per l’insegna elegante e luminosa.

Situata nella parte alta della città, nel quartiere di Burnley per essere precisi, la strada era infatti famosa non solo per il suo offrire un comodo collegamento con una delle torri di comunicazione più alte della zona, ma anche per essere una delle vie principali del quartiere a luci rosse più conosciuto della regione. Ogni anno si poteva assistere alla nascita di nuovi hotel, in realtà rivisitazioni di palazzi che venivano venduti alle grandi compagnie man mano che si svuotavano e che la gente abbandonava le sue abitazioni, sconfitta dalle urla e dalle continue feste nate per le strade notte dopo notte, senza tregua alcuna. Ed ogni anno il numero di turisti provenienti da qualsiasi parte della nazione cresceva di conseguenza, attirati come falene dalla irresistibile e grottesca necessità di conoscere la parte più pulsante e sensuale della Gotham notturna, passando le loro serate tra cabaret, locali con spettacoli di topless o nudo integrale sia maschili che femminili, storici cinema a luci rosse ed esercizi commerciali specializzati in materiali per adulti.

La Danse de le Langues rientrava proprio in quell’atmosfera, ed altri non era che un cabaret il cui nome era stato almeno una volta nella vita sulla bocca di tutti, per bravura dei suoi dipendenti o per le storie confuse e dai tratti smussati che aleggiavano attorno alle prestazioni che si diceva alcuni di loro offrissero – seppure mai fossero stati davvero trovati testimoni pronti a dimostrarlo.

Era un locale che si distingueva per eleganza degli interni e per fama delle ballerine e dei ballerini che ospitava, oltre che per il repertorio di danze e spettacoli che coloravano le orecchie dei suoi clienti che trovavano in quelle musiche e nell’atmosfera d’epoca che si respirava, non appena il sole calava e l’insegna luminosa sulla strada si illuminava, uno dei motivi migliori per farsi anche due ore al giorno di macchina e raggiungere la struttura in tempo per lo spettacolo serale.

Inoltre, era facilmente raggiungibile a piedi dal Manicomio di Arkham; cosa che in quel momento Iwaizumi apprezzava più di tutte quelle informazioni accumulate nell’arco di tempo passato a vivere a Gotham, sinceramente parlando.



Gli occhi dell’ispettore notano l’insegna ancora spenta del locale non appena gira l’angolo, mentre di passaggio davanti ad un semaforo intestarditosi sul rosso e su un marciapiede che sta iniziando a popolarsi solo in quel momento, dopo quasi un’intera giornata passata nella semi sonnolenza; accelera impercettibilmente il passo, abbassando lo sguardo per non farsi riconoscere mentre fa segno ad Ushijima di seguirlo, e si scusa mediante un cenno insofferente della mano quando finisce quasi con l’investire un uomo nel mentre, facendo distrattamente scivolare l’altra sullo stemma della GCPD prima di proseguire oltre, non preferendo parola.

Le lunghe vetrine de La Danse de le Langues sono coperte da poster ordinatamente allineati, e su ciascuno di essi Iwaizumi può vedere sfilare disegni di donne e uomini che ballano, abbracciati insieme mentre sorridenti o tenendosi per braccio, il vestito tradizionale del can-can che lascia siano solo le gambe e i numerosi strati del sottogonna a mostrarsi al pubblico; e poi ancora donne a cavallo o sedute su altalene che calano dagli alti soffitti, con indosso cappelli ricchi di piume o al galoppo su puledri dai colori più vari. Scritte francesi ed inglesi si inseguono l’una dietro l’altra mentre l’ispettore supera le copertine delle serate più celebri del locale, arrivando infine davanti ad una delle numerose entrate del cabaret artistique mentre una mano va a sollevare uno dei pesanti drappeggi propri delle tende smeraldine che ricoprono le porte ancora chiuse, premendo contro il legno laccato di una di queste e non meravigliandosi di trovarla sbloccata: dopo tutto il locale è vicino all’apertura, e molti dipendenti devono essere sul posto di lavoro con almeno un paio di ore di anticipo rispetto all’inizio della serata.


Non appena Iwaizumi entra non può fare a meno di notare come l’ingresso abbia ancora quella traccia di oscurità dovuta all’inattività: la luce tenue proveniente dalle piccole abat-jour poste sul bancone a qualche metro da loro sembrano essere le uniche sorgenti presenti al momento, mentre i piccoli led ad incasso celati nel soffitto color panna sono per la maggior parte ancora spenti, dando l’idea l’ambiente sia ancora per la maggior parte addormentato. Le pareti sono verdi, un petrolio che solo il bianco dei battiscopa e delle tende che scivolano ad intervalli alterni dal muro riescono a smuovere, mentre il pavimento è di un noce naturale ed opaco.

È passato ormai molto, moltissimo tempo dalla prima volta che l’ispettore è entrato lì dentro, eppure non può fare a meno di aggrottare le sopracciglia nel constatare come, nel mentre tutto ciò che è Gotham sembri cambiare e plasmarsi in continuazione, quasi fosse un organismo cosciente sui desideri dei suoi abitanti, La Danse de le Langues sembri al contrario essere invisibile al tempo, inafferrabile nella sua eterea presenza che trascende lo spazio e gli anni che passano ineluttabili al di fuori delle sue mura.

Ah, dannazione. Se ricordare l’avanzare degli anni è già tremendo di per sé, certamente non possono farlo stare meglio i ricordi che ora stanno involontariamente prendendo piede nella sua testa, legati al motivo della sua prima visita alla ricerca di un amico che aveva creduto scomparso da anni ma che – nonostante ciò – aveva continuato a cercare anche dopo essere entrato nel comando della polizia di Gotham, chiedendo informazioni quando libero dal lavoro e tracciando cerchi sulle mappe che teneva attaccate al frigo della cucina, segnando le zone dove pensava di aver trovato indizi al riguardo; amico, infine, che aveva effettivamente ritrovato lì dentro, seppure non nella situazione o nelle vesti nelle quali aveva pensato l’avrebbe rivisto.


«–?!?!»

I pensieri di Iwaizumi vengono interrotti repentinamente quando sente qualcuno, o qualcosa, sbattere senza troppe cerimonie contro la sua spalla, e le sopracciglia si aggrottano appena mentre la sua prima reazione è quella di voltarsi abbastanza bruscamente verso la possibile causa di quell’incidente, la bocca già schiusa in una smorfia di mal celata irritazione.

«Sarebbe educato scusarsi».

Dice solo, mentre gli occhi vanno a posarsi decisi su quell’uomo che sembra superarlo di almeno una trentina di centimetri, la testa rasata ed un grosso ragno disegnato su metà calotta cranica. Nota il modo attraverso cui questo lo squadra dall’alto verso il basso, ed è quasi tentato di chiedere se abbia qualcosa da dire quando lo vede voltare lo sguardo alla sua sinistra, dove Ushijima ha fatto un impercettibile passo avanti per mettersi al suo fianco, silenzioso eppure incredibilmente presente.

«… La prossima volta stai più attento».

Sente infine lo sconosciuto rispondere a denti stretti prima di allontanarsi, e rimane a fissarlo sino a quando non nota l’enorme testa superare una curva ed inserirsi in un corridoio in fondo alla sala, uscendo dal suo campo visivo e da quello del collega di fianco. Il suo onore preme con oppressione dal fondo dello sterno, e per un secondo è quasi tentato di voltarsi verso Ushijima per dirgli che non era necessario quello che ha fatto, e che avrebbe saputo cavarsela da solo. Ma poi pensa che di tempo lì dentro vuole spendercene poco sinceramente, e che non è decisamente il momento per lasciarsi andare a questioni simili; oltre al fatto che non ha nemmeno più l’età per farlo, a dirla tutta.

Attorno a loro, nel frattempo, il lusso sembra averli trasportati all’interno di un enorme quadro d’epoca: dai vasi in marmo che si posano stabili su lunghi banconi o sugli alti comodini in legno pregiato dalle rifiniture placcate in oro, alle colonne imperiali che si alzano dal pavimento a sorreggere il grande ingresso elegante, tutto è perfettamente allineato ad un’idea anacronistica di antichità e di storia. Nemmeno un graffio sembra poter intaccare quella perfezione creata al tavolino, ed Iwaizumi si domanda per qualche istante se davvero le persone non riescano a notare come una tale inattacabilità da tutto e da tutti in una città come Gotham non possa che nascondere la presenza di un’abile mano criminale dietro. Non sa nemmeno più se sembri così scontato a lui perché poliziotto, o se sia davvero così difficile da riconoscere; ma a vedere come i turisti continuino a viaggiare entusiasti per decine di chilometri pur di vedere almeno uno spettacolo del celebre locale, o come i giornali di tutta Gotham vi dedichino prime pagine ad ogni Prima di Novembre, o ancora come abbia più volte visto giovani coppie arrivare serene e curiose a prenotare biglietti ad ogni ora del pomeriggio, senza mai una punta di timore a scalfirne i visi ancora privi di preoccupazioni, si direbbe come alla fin fine la copertura sia decisamente salda.

Non che lui abbia prove di alcun genere, fra le altre cose. Nonostante sia un locale a gestione familiare, e quindi mandato avanti da padri e figli per lungo tempo, sembra che nessuno abbia mai fatto azioni abbastanza esplicite da essere ufficialmente indagati per alcun tipo di azione illecita.
Girano voci, certo: ma vi è davvero un luogo in tutta Gotham che non ne sia oggetto?


«Stop».

Al sentire quella richiesta Iwaizumi effettivamente si ferma, ma solo perché davanti a lui ha esattamente la persona che si aspettava prima o poi sarebbe comparsa. Per quanto non ami seguire gli ordini di un qualcuno che palesemente non sembra esserne molto esperto a seguirne a sua volta, rimane che l’ispettore sia attualmente in un territorio non favorevole al distintivo che porta, e non sia quindi molto intenzionato a mostrarlo finché non strettamente necessario.

«Devo parlare con King».

Risponde invece, cercando di essere il più diplomatico possibile nonostante il tono esca decisamente più autoritario del previsto, le iridi che rimangono fisse su quelle castane dell’altro. Nota le sopracciglia di quella specie di cane da guardia aggrottarsi eccessivamente, talmente sottili da sembrare quasi trasparenti, mentre un ringhio sommesso viene emesso a labbra socchiuse in segno di avvertimento. Il come abbia fatto un ragazzo così poco propenso alla calma a sopportare le ore di attesa necessarie per tingere i capelli corti e crespi in quella maniera, è ancora un mistero: se si fosse tenuto su quel biondo totale che copre la maggior parte della sua testa sarebbe quasi stato credibile, forse. Ma riguardo quelle strisciate di nero che ne dividono nettamente il cranio da poco sopra un orecchio sino all’orecchio opposto, beh. Quella è tutt’altra storia.

Iwaizumi regge lo sguardo, aspettando l’altro intuisca la situazione o almeno si ricordi di lui, contando come ormai siano anni che compare in quel locale facendo ogni volta la medesima richiesta. Ma niente, sembra la situazione sia caduta su un terreno sterile, e basta questo a metterlo decisamente di malumore: Dio, avrebbe veramente voluto evitare di usare quella carta.

«Ushijima».

Sente gli occhi di Ushijima puntarsi su di lui, in attesa.

«Mostragli il mio distintivo».

Dio, se avrebbe voluto evitarlo. Lo stesso Ushijima sembra pensarci in effetti, consapevole quanto lui di come far uscire nome completo ed indirizzo in un ambiente simile sia più controproducente che altro, ma alla fine arriva probabilmente alla medesima consapevolezza di Iwaizumi, ed una mano va a scivolare attenta sul suo giaccone, alla ricerca della custodia.

Mettere su un piatto d’argento tutto ciò che aiuti qualcuno ad identificarlo tra mille non sembra decisamente una scelta saggia, non importa quanto ci si pensi: ma almeno avranno l’obbligo legale di portarli a vedere il proprietario del locale, quando l’avranno visto.

«Kyotani, falli passare, King conosce già queste persone».

Ushijima si ferma, ritirando subito la mano al vederne una seconda posarsi sulla spalla del ragazzo tinto di biondo, e l’ispettore riesce a vedere la pressione con la quale quelle dita fantasma premono sulla giacca nera dell’altro, provocando di risposta uno schiocco scocciato di lingua da parte del compagno. Iwaizumi non ha bisogno davvero che la sorgente di quella voce si mostri, poiché dopo tanti anni ha imparato a riconoscerne la voce, lui; ma mentirebbe se dicesse gli dispiaccia vedere entrare nella sua visuale l’unico capace di placare quel cane selvatico chiamato Kyotani, quei capelli morbidi e castani che scivolano alla luce mentre quegli occhi caldi e seri si posano su di lui non appena visibili, controllando velocemente se abbia o meno armi in vista.

«Yahaba. Lui è qui?»

Iwaizumi lo saluta con un leggero cenno di capo prima di fare la domanda che veramente gli preme, studiandolo a sua volta mentre gli occhi scivolano al punto vita dell’altro, alla ricerca di fondine o di strane pieghe della camicia. Tutto come al solito, insomma.

«È sempre qui, ispettore.»

Un accenno di sorriso si schiude sulle labbra di Yahaba mentre parla, e Iwaizumi non può fare a meno di emulare la stessa smorfia al sentire quella risposta che ormai gli viene propinata da anni.

«Lo dici perché vero, o perché molti dei suoi alibi ufficiali si reggono su questo?»

«Alibi, ispettore? Davvero non so di cosa stia parlando.»

«Naturalmente. Ushijima–»

Il viso si piega appena per volarsi verso il collega, e non appena gli occhi di Ushijima incontrano i suoi muove la testa di lato, ad indicare di seguirlo. Superano i due uomini vestiti eleganti, prendendo un corridoio poco distante e leggermente più largo degli altri ramificati attorno alla sala d’ingresso, e i passi si fanno più soffici mentre il parquet cede il posto alla moquette, le lampade a muro che colorano opacamente di un verde acqua le pareti mentre profili zincati si alternano a pannelli fonoassorbenti di un verde veronese; alla loro destra Iwaizumi vede sott’occhio una serie di vetrate trasparenti, al cui interno piccoli cubicoli divisi da delle tende fanno da ambiente per i giovani dipendenti che sa arriveranno dopo il tramonto, e continua a camminare sino a quando l’area attorno a loro torna ad allargarsi, aprendo la vista ad un’enorme sala con al centro tavolini tondi su cui posano abat-jour del tutto simili a quelle viste precedentemente.

La sala degli spettacoli principali de La Danse de le Langues è larga il sufficiente per contenere all’interno almeno trecento persone. Ogni tavolino ha un paio di sedie collocate l’una opposta all’altra, con schienali dalle rifiniture in legno di mogano rivolti verso l’esterno ma tutti predisposti verso un palco rialzato, largo e ancora semi-spoglio – eccezion fatta per una mezza dozzina di ballerine in intimo prese dalle prove, alcune danzanti ed altre in movimento attorno a sedie dall’imbottitura di velluto.

Ai lati due file di tende in broccato del medesimo colore dei pannelli contornano i confini del palcoscenico, mentre tutto attorno una serie di divanetti decorati da numerosi cuscini dalle fantasie barocche – smeraldine dorate ed argentee – ammorbidiscono gli angoli della sala; lo scheletro delle loro basi è intagliato nel legno chiaro, e quelli che danno sul muro ricoperto in boiserie ne celano la metà inferiore, la parte superiore terminante in una mensola su cui si posano candele perennemente accese ad illuminare specchi dalle cornici tonde e rettangolari, atti a riflettere clienti e pareti di un marino scuro.

E poi eccolo, al centro di questa enorme sala e seduto su una delle sedie accanto a questi tavolini:
Oikawa.


°°°°

King

Professione: Proprietario de La Danse de le Langues, informatore di Hajime Iwaizumi, probabile capo di un giro di prostituzione.
Vero Nome: Tooru Oikawa
Aspetto: Uomo, capelli cioccolato leggermente mossi, occhi del medesimo colore.
Caratteristiche: Figlio di una delle famiglie più influenti di Gotham, spiccato senso degli affari.

°°°°


Iwaizumi lo riconoscerebbe ovunque, ma c'è da dire l’altro non abbia fatto chissà quale sforzo per rendersi meno riconoscibile del solito. Le gambe sono accavallate nella sua direzione, i gomiti fanno perno sui braccioli imbottiti della sedia mentre la guancia si poggia sulle nocche della mancina, la destra che al contrario tiene dallo stelo il calice in cristallo, facendo ruotare la sostanza chiara e limpida che vi è all’interno mediante il movimento lento e ipnotico del polso.

Avanza senza rallentare, fermandosi solo quando si trova ad essere ad un tavolo di distanza dall’altro, ma le iridi rimangono fisse su quelle del compagno, impassibili ai movimenti che anticipano la successiva comparsa di due uomini in completo scuro, silenziosi e fedeli mentre si avvicinano ai lati del loro dirigente sino a posizionarsi poco dietro la sedia di Oikawa. Nulla che non abbia visto abbastanza volte da poter immaginare perfettamente pur senza aiuto degli occhi, comunque.

«Ispettore Iwaizumi, finalmente è venuto a trovarmi!»

A metà tra la domanda e l’entusiasmo Oikawa volge il suo sorriso più cordiale verso Iwaizumi che, però, non risponde, andando invece ad abbassare le palpebre mentre si toglie il giaccone invernale, piegandolo un secondo prima venga raggiunto da una ragazza bassa e bionda, spuntata dal buio di uno dei tanti cubicoli che si sviluppano ai lati della sala.

«Yachi, porta la giacca dell’ispettore nel mio guardaroba personale, così che abbia la certezza nessuno oserà toccare alcun ché dei Suoi averi. Non che nessuno farebbe mai una cosa simile, si intende; è risaputo non vi siano ladri qui dentro. Dico bene?»

Iwaizumi osserva la giovane ragazza scomparire, piccola e tremolante, oltre uno spesso velo scuro che divide una delle grandi uscite principali del palco, e per un istante si chiede se sia maggiorenne almeno, o se sia veramente il caso di chiederlo al proprietario del locale in quel momento. Ma alla fine passa oltre: per quanto Oikawa sia senza ombra di dubbio una di quelle persone che, all’inizio della sua carriera, lui stesso avrebbe collegato alla parte marcia della città, c’è da dire che con il tempo ha imparato a riconoscere come, tra tanta melma che infesta la città, egli sia a suo modo dotato di quella che a molti di essi manca: una morale.

Forse, pensa, ha semplicemente imparato a distinguere le scale di grigio che vi sono tra il bianco ed il nero. O forse, ancora più semplicemente, potrebbe essere che una parte di lui tenda ad inserire ancora una qualche traccia di virtuosismo in quella persona che da ragazzino era ingenuamente sicuro di conoscere come le sue tasche.

Ma qualsiasi sia la risposta, rimane che attualmente non abbia davvero il tempo di pensare a nessuna strana verità interiore, così avanza semplicemente di qualche passo verso il tavolo di Oikawa, andandosi a sedere sull’unica sedia fatta nel frattempo allontanare da un giovane ragazzo e andando a posare i gomiti sul ripiano, la mano destra che va a raccogliersi attorno a quella sinistra chiusa a pugno.

«Sono venuto per parlarti di una cosa importante».

«Ah~, ce ne ha messo di tempo! Solo, speravo il nostro incontro sarebbe stato più– intimo. Invece vedo che ha portato di nuovo ospiti con ».

Gli occhi di Oikawa slittano velocemente verso il secondo poliziotto, ed in un istante quell’aria elegante viene sciupata selvaggiamente da un’espressione piccata ed infantile, la mano che tiene il vino che va ad abbassarsi a posare il calice sul tavolino mentre il naso si arriccia debolmente, le sopracciglia aggrottate in palese disaccordo.

«I Suoi gusti tra l’altro non sono cambiati nemmeno un poco, speravo la mia compagnia vi avesse mutato almeno in quel senso».

Dio.
Le palpebre dell’ispettore si abbassano nuovamente, chiudendo loro la vista del mondo per una buona manciata di secondi – dieci per l’esattezza, contati uno ad uno nel tentativo di placare l’istinto di buttare le mani attorno al collo dell’altro – prima di riaprirsi, le labbra che si schiudono a far scivolare fuori la risposta più diplomatica possibile.

«Il vice ispettore Ushijima è utile al nostro dipartimento, non mi serve sapere altro».

«Probabilmente perché non fa il giusto lavoro, o sapreste cosa altro servirebbe».

«Qualsiasi cosa sia, credo sia un bene che non ce l’abbia».

«E questa è la prova che non passa abbastanza tempo qui dentro».


Il silenzio cala sulla sala, e Iwaizumi rimane a fissare con espressione dura il proprietario del locale, quelle iridi calde e strafottenti fulcro di uno sguardo sfacciato e a tratti impudente.

«Mi servono informazioni su una serie di delitti accaduti negli ultimi tre mesi».

Nemmeno il tempo di vederlo che quello sguardo sfrontato scompare in un battito di ciglia, mentre al sentire quella frase un’espressione ora calcolatamente disinteressata prende piede su quel viso elegante, le dita pigramente occupate a ridefinire con i polpastrelli il confine della bocca del calice che rallentano la loro corsa, quasi fino a fermarsi.

«… Perché dei delitti dovrebbero essere di competenza di un proprietario di un locale di cabaret?»

«Vuoi davvero ti dia una risposta?»

L’ombra di un sorriso accoglie quella risposta un istante prima che il proprietario schiocchi appena le dita della sinistra, chiamando a sé un uomo alto e dai capelli innaturalmente sparati verso l’alto, il viso abbastanza lungo da portare istintivamente Iwaizumi ad associarlo ad un tulipano.

«Kindaichi, perché non porti un calice di vino al nostro ospite? Magari così uno dei due ricorderà all’altro le buone maniere, come ci si aspetta accada durante una conversazione tra gentiluomini».

Kindaichi posa un secondo lo sguardo su Iwaizumi, muovendolo poi perplesso verso l’altro poliziotto ancora in piedi e tornando a guardare il suo capo, in attesa forse di un secondo ordine.

«… Devo ripetermi?»

Il barista scuote la testa prima di indietreggiare, simulando un leggere inchino prima di voltarsi per tornare verso il bancone posto dietro una fila di colonne laccate di bianco, i colori dei vetri dei diversi alcolici esposti sulle mensole che creano riflessi colorati sulla parete alle spalle.

«Come vanno le cose nel dipartimento, ispettore? Ha trovato quella talpa di cui mi parlava?»

«Sì, è stato piuttosto facile dopo aver ricevuto il nome per lettera anonima».

Un altro sorriso, mentre la mano torna a sollevare il calice, alzandolo il necessario affinché Oikawa possa indirizzarlo verso la luce della abat-jour e guardarvi attraverso.

«Ma non mi dica. Deve a qualcuno un grosso favore, allora».

«Nessun favore, è stata una soffiata per saldare un debito».

Le iridi di Oikawa tornano a fissarlo, indecifrabili.

«Sempre così sicuro, persino su cose simili. Peccato– Per il suo informatore, intendo».

Sta per rispondere, ma le labbra si richiudono istintivamente quando vede sott’occhio tornare Kindaichi, un calice in mano riempito da un liquido chiaro del colore della paglia sino a poco meno della metà; aspetta lo posi sulla tavola, proprio davanti a lui, e fa un cenno di ringraziamento prima di prenderlo in mano, lasciando che l’aroma sprigionato dalla mistura tolga ogni dubbio sulla natura alcolica della bevanda.

«Le dita sulla coppa, ispettore? La facevo più portato al Galateo».

Iwaizumi alza lo sguardo dall’elegante bicchiere che nel frattempo ha posato nuovamente sul tavolino, un’espressione leggermente scettica che si va involontariamente a disegnare sul suo volto.

«Non lo sa? Se si prende il calice con le dita, si copre il vino e diventa incredibilmente difficile apprezzarne il colore appieno, tutte le sue sfumature, la sua limpidezza, il perlage! Ma, quel che è ancor più grave–»

Le palpebre di Oikawa vanno a chiudersi leggere, la mano che tiene quel nettare chiaro che va a far ondeggiare a sinistra e a destra il calice, appena sotto alle narici di quel naso alla francese.

«– Eventuali profumi delle mani potrebbero mescolarsi con quelli del vino, riducendo la possibilità di cogliere l’ampia gamma aromatica che ci offre. Come potremmo allora proclamarci intenditori di vino, e perché dovremmo comprare una bevanda tanto raffinata, se poi si fosse incapaci di berla nel suo stato ottimale? Guardi il suo collega, ad esempio, crede che sappia come si beva una tale perla del consumo?»

Le palpebre si rialzano giusto per guardare Ushijima per una manciata di secondi, ancora in piedi.

«Vuole che risponda, signor King?»

Probabilmente non si aspettava che rispondesse. Il naso si arriccia di nuovo, con più enfasi della prima stavolta, e gli occhi scivolano di nuovo su Iwaizumi, colpevolizzandolo con lo sguardo mentre il bicchiere viene nuovamente messo da parte.

«… Sappia che non mi piace affatto questo agente, ispettore».

Iwaizumi lo guarda impassibile, il calice di nuovo messo da parte ed il lavoro nuovamente in prima linea.

«Le informazioni, Oikawa».

«Ah, come è noioso. È davvero così insofferente all’idea di rimanere più dello stretto necessario qui dentro?»

Oikawa scuote la testa, visibilmente – o meglio, teatralmente – ferito dalla risposta di Iwaizumi, ma alla fine alza con accidia il braccio sinistro, piegando un paio di volte l’indice del destro verso una delle guardie, chiedendole di avvicinarsi.

«Trova Mad Dog, probabilmente è da qualche parte con Yahaba. Portali entrambi qui».

Iwaizumi vede la guardia annuire velocemente prima di allontanarsi, scomparendo dietro le spalle di Ushijima.

«Kunimi».

La seconda guardia si fa avanti, piegandosi appena verso il basso per avvicinarsi anch’essa al viso di Oikawa, ancora seduto; vede il proprietario sussurrargli qualcosa all’orecchio e Kunimi annuire brevemente prima che anche questo scompaia, stavolta nella direzione opposta rispetto alla precedente.


Il silenzio cade nella sala ad un tratto incredibilmente vuota, e Iwaizumi lancia uno sguardo a Ushijima, incrociando gli occhi dell’altro e fissandolo per qualche istante, in attesa. Il sospiro di Oikawa non tarda ad arrivare, come sempre del resto, e il giovane uomo dai capelli scuri e corti volta nuovamente il viso, portandolo a studiare l’espressione tutto ad un tratto incredibilmente stanca e svogliata del proprietario del locale, intento a massaggiarsi il punto di incontro delle sopracciglia.

«Adesso che siamo soli, di cosa hai bisogno?»

«Ma come, niente più terza persona?»

«Ah, che posso dire? Lo sai come sono, mi annoio facilmente. Soprattutto quando si tratta di mandare avanti un gioco troppo a lungo, Hajime».

«Questo non è un gioco, Tooru».

«Sembra la tua vita lo sia, contando quanto spesso la metti in pericolo chiedendo cose alle persone sbagliate».

L’espressione di Iwaizumi si indurisce a quelle parole e le sopracciglia si aggrottano, andando a creare un’ombreggiatura densa sotto di loro, nell’intaglio degli occhi.

«Sei il mio unico contatto, lo sai».

«Non dovresti averne nessuno, per avere una minima possibilità di raggiungere la pensione».

Iwaizumi sente la frustrazione di Oikawa in quelle parole, la battaglia interiore tra quello che vorrebbe dirgli e quello che può dirgli riguardo il modo in cui ha scelto di vivere la sua vita, e solo per quello decide di non rispondere e di non continuare quella conversazione, perché non sarebbe niente che non abbiano già affrontato più e più volte negli ultimi anni, a più riprese, a zero risultati.

Perché Oikawa non ha mai voluto che diventasse un poliziotto, nemmeno quando erano ancora al liceo. Lo vedeva chiaramente, nel modo in cui i suoi occhi perdevano vitalità quando Iwaizumi gli parlava senza troppe pretese dei corsi per entrare nella GCPD, dei test da superare, delle ammissioni annuali. Lo aveva sempre visto, ma non aveva mai capito il perché, affibbiando l’antipatia che Oikawa sentiva nei confronti della polizia ad una qualche sorta di infantile ribellione contro le regole, o contro l’uniforme in generale.

Non lo sapeva, e non poteva saperlo all’epoca, che Oikawa fin da quando entrambi erano bambini era sempre stato più consapevole del mondo esterno di quanto lo fosse stato lui, consapevole di cosa volesse dire essere un poliziotto, di cosa significasse rischiare ogni giorno la vita senza avere la certezza di tornare a casa la sera, il non sapere se un giorno qualcuno dei cattivi avrebbe deciso che eri un pericolo, e che andavi eliminato ad ogni costo. Tooru lo sapeva già, e probabilmente lo aveva sempre saputo, perché – come aveva scoperto Iwaizumi cinque anni prima – in quel mondo ci era vissuto. Perché la sua famiglia, da generazioni, era sempre stata di quelle che gli omicidi dei poliziotti li commissionavano, appartenendo ad una delle fazioni più potenti di Gotham assieme ai Calabrese ed ai Falcone; e che così come i beni si passavano di padre in figlio, così anche i clienti e le attività familiari finivano di mano in mano, seguendo la linea di sangue della famiglia.

Il ché aveva significato, per Tooru, prendere non appena finito il liceo – ed a seguito della morte prematura del padre durante un’imboscata – le redini de La Danse de le Langues, entrando ufficialmente a far parte del giro criminale di Gotham all’età di diciannove anni, scomparendo dalla vita di chiunque avesse conosciuto precedentemente per non farli diventare bersagli troppo facili. Scomparendo, quindi, anche dalla vita di Iwaizumi, in particolar modo sapendo il desiderio dell’amico di entrare nelle forze dell’ordine.

Tutto questo era accaduto anni prima, e l’ispettore poteva capire – nel presente – Oikawa avesse effettivamente dovuto prendere una decisione veloce ai tempi, fra l’altro non senza pagarne il duro prezzo dovuto al rimpianto delle occasioni perse. Eppure, non poteva fare a meno di sentirsi istintivamente la parte offesa della situazione, perché lui una decisione da prendere non l’aveva proprio avuta: il giorno prima aveva un migliore amico, il giorno dopo era semplicemente scomparso.

Lo aveva cercato le prime settimane, il primo mese, il primo anno. Aveva chiesto in giro, sicuro che per scomparire in quel modo doveva essere successo qualcosa di grave, ed alla fine aveva ipotizzato l’unica cosa potesse a sua idea giustificare un simile cambiamento:

Oikawa era tenuto contro la sua volontà da qualche parte.

Ecco perché, una volta entrato a far parte della GCPD ed avere avuto la possibilità di trovare più agganci e più testimonianze che da semplice cittadino, aveva usato le sue prime ferie per provare a cercare nuovamente Oikawa, acquisendo informazioni a tempo pieno sino ad arrivare a quel locale.

Aspettandosi uno schiavo.

Ritrovandosi un Re.


«Tooru».

«… Cosa, Iwachan

Oikawa sembra essere ancora un poco contrariato nel mentre risponde, le dita che vanno a massaggiarsi la fronte mentre gli occhi si chiudono per qualche istante, in attesa.

«Mi serve una mano, ma se non mi aiuterai rimarrò comunque sul caso. È il mio lavoro».

Non sarò meno in pericolo di quanto non sia già quotidianamente; è questo che vorrebbe dirgli, se non sapesse come Oikawa sia già perfettamente consapevole della cosa. Perché lo sa, sa che probabilmente nessuno dei due è destinato ad arrivarci mai, alla terza età, ma questa è la vita che lui ha scelto entrando nella guardia, e che l’altro ha accettato quando non si è opposto alla scelta dei familiari di far succedere all’impero del padre il suo. Quindi che diritto ha Oikawa di preoccuparsi della sua vita, se lui è il primo ad ignorare i pericoli della sua?

«… Lo so, anche se continuo a non capire il perché tu lo abbia scelto».

Oikawa sospira appena, riposando il gomito sul bracciolo e piegando la testa da un lato, sino a sorreggersi la tempia con le dita.

«Cosa ti occorre».

«Informazioni sui crimini dell’ultima settimana, in particolare su quelli riguardanti la rapina alla banca di Gotham di martedì scorso, il furto con scasso al Museo di Scienze Naturali di questa domenica e l’incendio appiccato al Park Row ieri».

«Non è stato già condannato Pinguino con le stesse accuse?»

«Le notizie circolano piuttosto velocemente, vedo».

«Ne sei davvero sorpreso?»

«Difficilmente».


Rimangono in silenzio per qualche istante, lo smeraldo delle iridi di Oikawa che si incontra con la terra bagnata di quelle di Iwaizumi, sino a quando l’ispettore non sente dei passi sempre più vicini interrompere lo scandirsi dei secondi e predire l’arrivo di Kyotani e Yahaba, vedendoli effettivamente comparire una manciata di istanti dopo accompagnati dalla guardia mandata a chiamarli.

«Signor King».

«Kyotani, Yahaba. Accompagnate all’uscita il nostro ispettore, e fate in modo nessuno lo disturbi finché dentro il locale. Non vorremmo mai che si faccia l’idea che questo posto sia frequentato da persone poco per bene, in fin dei conti».

Ed in un istante entrambi tornano ad i loro ruoli, maschere invisibili che tornano a celarne le emozioni mentre Iwaizumi si alza, venendo tempestivamente raggiunto dalla ragazza bionda che gli pone timidamente la giacca, lo sguardo basso e le mani piccole a tenere la stoffa in alto. Ringrazia con un cenno del capo, indossandola in un unico fluido movimento, prima di voltarsi verso Ushijima, ancora in piedi vicino al corridoio.

«Andiamo».

Dichiara mestamente prima di avvicinarsi alle guardie con l’idea di seguire la richiesta fatta dal proprietario del locale, uscendo di lì prima dell’arrivo della clientela. Sinceramente non è mai stato molto vezzo agli spettacoli che La Danse de le Langues è solita offrire ai suoi clienti, e non crede di essere pronto a testimoniare contro il suo informatore dopo aver involontariamente assistito ad alcune di quelle famose prestazioni di cui nessuno sembra volere avere prove.

«Ispettore Iwaizumi–»

La voce di Oikawa è inaspettata, ed Iwaizumi si volta a guardarlo in tempo per vederlo con il calice in mano, lo sguardo puntato su di lui, l’ombreggiatura dell’arcata degli occhi che scurisce il colore nocciola di quelle iridi attente.

«Sa qual è il modo giusto per tenere un calice in mano?»

Iwaizumi sta un attimo in silenzio, cercando di capire se l’altro voglia o meno una vera risposta dopo tutta la conversazione avuta poco prima, ma al vedere il proprietario del locale continuare a fissarlo immobile aggrotta le sopracciglia, sospirando e schiudendo nuovamente le labbra.

«… Tenere la coppa lontana dalle dita?»

Silenzio, mentre i due esseri umani si studiano a vicenda.

«La risposta è: Non importa ve ne sia o meno uno davvero giusto».

E con le iridi ancora puntate su di lui Oikawa piega il polso, facendo scivolare il vino fuori dalla concavità del bicchiere e facendolo riversare copiosamente sul pavimento scuro.

«Perché un vino, per quanto buono sia, non vale nulla una volta che finisce a terra».

E poi ancora silenzio, mentre anche le ultime gocce di quel nettare chiaro scivolano dalla protezione del vetro decorato, gettandosi sconfitte dalla gravità sul marmo scuro dalle venature argentate.

«Qualsiasi cosa accada cerchi di tenere sempre il vino dentro il suo calice, ispettore».

E lo sguardo che condividono per qualche secondo è pieno di aspettative, richieste, promesse. Non morirò, vorrebbe dire Iwaizumi. Ma la verità è che in una città come Gotham la vita non è mai una certezza, e come poliziotto le sue aspettative sono molto più basse di un cittadino normale.

Così, alla fine, l’unica cosa che può fare è girarsi, indicando a Ushijima di fargli strada assieme a Yahaba e collega mentre si abbottona nel frattempo il doppio petto, incamminandosi silenziosamente tra i corridoi bui verso l’uscita del locale.



°°°°



«Quanto siamo rimasti lì dentro?»

Domanda ad Ushijima, vedendolo controllare l’orologio mentre lui porta una mano alla spalla, facendola roteare pigramente. L’insegna de La Danse de le Langues è illuminata, nota.

«Cinquanta minuti».

Un sospiro, prima di seguire Ushijima ed iniziare ad incamminarsi lungo la strada.

«Assurdo, ogni volta che entro in questo locale non riesco mai ad uscirne velocemente. Abbiamo perso tantissimo tempo, speriamo ci dia risultati».

«Sarebbe dovuto venire alla stazione di polizia».

Iwaizumi soffoca una risata, prima di portarsi le mani in tasca e abbassare il viso, immergendolo parzialmente nell’ampio collo del giubbotto.

«… Oikawa? Non riusciresti a portarcelo nemmeno se ci fosse lui dietro tutto questo, fidati».

«Difficile da incriminare?»

«Difficile da sospettare».

Ushijima si volta a guardarlo, rimanendo in silenzio per qualche secondo mentre entrambi continuano a camminare, facendosi da parte mentre le macchine iniziano a transitare per le strade abbastanza vicine ai marciapiedi, portandoli istintivamente a rintanarsi più verso l’interno.

«Dobbiamo tornare dal commissario?»

«Contando che il capitano probabilmente ha appena finito di parlare con il sindaco? Vorrei evitarlo. Ma non credo che abbiamo molte possibilità, quindi–»

Gli occhi di Ushijima rimangono fissi davanti a sé, le labbra che si schiudono ancora una volta.

«Al dipartimento?»

«Al bar. Per il dipartimento, prima necessito di almeno un’altra caraffa di caffè».



Ed un altro capitolo è finito! Sono molto molto felice di come sia venuto Oikawa ed il suo rapporto con Iwaizumi, devo ammetterlo. Spero davvero sia piaciuto anche a voi, fatemi sapere!
Per quanto riguarda Ushijima invece, sta lentamente iniziando a parlare. Insomma dice poche cose per ogni capitolo ma sono sempre pregne di significato, che persona incredibilmente densa che è; adorabile, ma densa. (…)
Ma insomma, questo è quanto! Alla prossima!
(Ps. Finalmente sta per spuntare Batman!)

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Nanas