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Autore: Asia Dreamcatcher    25/03/2017    4 recensioni
Johann Schmidt è tornato e con esso le ceneri dell'oscura Hydra, pronta a risorgere.
Ma Teschio Rosso non è solo e Steve Rogers e gli Avengers dovranno vedersela con nuovi nemici. James Barnes sarà costretto, ancora una volta, a lottare contro i propri fantasmi, sperando di non soccombere.
Mentre gli echi di una nuovo guerra risuonano, Captain America e Vedova Nera si ritroveranno ad affrontare una sfida inaspettata, che potrebbe cambiare tutto per sempre.
Terza parte di "Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti"
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Se il passato è alle tue costole, ti volti e lo affronti'
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09 Salve a tutti voi, all'ultimo minuto ma ci sono riuscita! Pronta a lasciarvi con questo nuovo capitolo, qui potrete leggere alcune delle conseguenze di ciò che è successo nel precedente capitolo... Voglio subito ringraziare tantissimo non solo i miei fantastici recensori ma anche tutti coloro che sono giunti fino a qui!

Buona Lettura!




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Capitolo Nove: Who is the first to burn?

There's a rumble in the floor

So get prepared for war

When it hits it'll knock you to the ground”

~ Thousand Foot Krutch, “Courtesy Call”

02 Gennaio, Punto imprecisato dello spazio aereo sopra l'Oceano Atlantico.

Il suo sguardo adamantino analizzò ancora una volta le pareti bianche asettiche della piccola stanza, si soffermò poi sulle manette rinforzate che gli serravano i polsi ai braccioli del lettino, una spessa cinghia di metallo gli pesava sul petto ampio e sulle gambe robuste; un tubicino trasparente, collegato ad una sacca piena per metà, penetrava nella vena del braccio facendo sì che l'agente dell'Hydra restasse incosciente.

Bucky Barnes chiuse gli occhi massaggiandosi con le dita la radice del naso.

Fuggire da Ca' Belgioia non si era rivelato una passeggiata, non quando dovevi trasportare un pericoloso agente nemico che avrebbe potuto svegliarsi da un momento all'altro, e a quanto pare i Belgioioso non avevano solo degli squadroni di combattimento, ma anche la villa stessa aveva sistemi di sicurezza che impediva a eventuali ospiti, merci vive o intrusi di lasciare quel posto incolumi. Senza contare che prima di dileguarsi aveva ben pensato di farla pagare ad Alessandro Belgioioso per aver avuto l'ardire di avvicinarsi troppo a Sharon, mentre Allegra oltraggiata strepitava vendetta.

Riaprì gli occhi guardando oltre il vetro protettivo l'agente catturato e sedato.

Non riusciva a fare a meno di stare lì a fissarlo, cercando di ricordare. Perché sapeva di averlo già visto, non solo perché quel ragazzo aveva dato segno di riconoscerlo, ma lui stesso aveva avvertito una sensazione di dejà vu.

L'aveva chiamato 'maestro'. Possibile che fosse legato alla Red Room? Che ne fosse stato l'addestratore? Eppure lui rimembrava solo ragazzine... Malgrado il tempo la sua memoria continuava a vacillare, sarebbero rimasti dei vuoti che probabilmente non sarebbe mai riuscito a colmare.

Due braccia sbucarono da dietro avvolgendogli la vita, si irrigidì per pochi istanti prima di rilassarsi un poco contro il corpo di Sharon.

«James, che succede?» gli chiese mentre con la fronte sprofondava fra le sue scapole.

Bucky le accarezzò distrattamente le mani che gli serravano il busto.

«Io... non lo so» sospirò infine, distogliendo lo sguardo dal vetro.

L'agente 13 lo fece voltare e lo guardò in viso.

Com'era bella la sua Sharon, con il volto dolce e tondeggiante, gli occhi scuri ed espressivi, ora corrucciati e imbratti di trucco sbavato, le labbra rosse in quel momento leggermente dischiuse; James saggiò con il polpastrello la morbidezza del labbro inferiore, più carnoso rispetto a quello superiore. In trans la strinse a sé, così forte da farle quasi male, come se non avesse più appigli all'infuori di lei.

Sharon ne fu spaventata, ricambiò la stretta e quando riuscì nuovamente a guardarlo in volto le sembrava un bambino spaventato. Le si strinse il cuore.

«Jame-»

«Credo di averlo già conosciuto...» confessò piano, spostando lo sguardo.

«Ma non ricordi...»; lui scosse il capo, allargò le braccia in un gesto disperato;

«Non è una buona cosa, non lo è mai!».

La biondina lo fissava con apprensione, lui si muoveva come un animale in gabbia.

«Lui mi ha riconosciuto»

«La Red Room?»;

Bucky si passò una mano fra i capelli, nervoso.

«Non ne ho idea. Sharon lui è... è come-»

«Te.» affermò lei, avendo avuto durante lo scontro, nei depositi di Ca' Belgioia, la stessa preoccupante sensazione.

«A quanto pare il passato non ne vuole sapere di lasciarmi in pace – ridacchiò isterico, esasperato – ma forse è questo che merito...»

«Non dire così James!» sbottò Sharon a pugni serrati con occhi lucidi, angosciata perché l'uomo che amava non era ancora al sicuro, perché l'ombra dell'assassino che era stato non attenuava la sua morsa.

«Sharon...» sospirò il supersoldato dispiaciuto di causarle sofferenza, avvicinandosi nuovamente a lei. Le sue mani risalirono dolcemente le braccia, indugiando sulle spalle per poi fermarsi a coppa sul suo viso.

«Mi fa male vederti così» sussurrò la ragazza annegando in quelle iridi chiarissime, tirò su impercettibilmente con il naso, poi dichiarò:

«Non sappiamo niente di questa storia, l'unico che può dircelo è proprio lui»

«Non so se lui riuscirà a dirci qualcosa di utile...» sospirò poco convinto Bucky, se era davvero come lui, allora c'era poco da stare allegri. Farlo parlare sarebbe stato più di un'ardua impresa.

«Beh il tuo atteggiamento disfattista non ci porterà da nessuna parte!» lo rimbrottò lei, con tono lievemente canzonatorio. James sorrise appena.

«Qualcosa ci inventeremo, fidati di me, d'accordo?» continuò tentando di mascherare con ogni fibra del suo corpo le sue paure.

«D'accordo» sussurrò lui. Si voltarono, allontanandosi da quell'area dell'aereo.

«James...» mormorò lei talmente piano che credette che lui non l'avesse sentita.

«Sì?» chiese invece lui prontamente, alle sue spalle.

«Abbracciami»;

Bucky non se lo fece ripetere.


*


I passi riecheggiarono lungo il corridoio grigio e spoglio.

D stava canticchiando una melodia che non avrebbe saputo dire da quale anfratto della sua mente provenisse, accarezzando attenta i lunghi capelli scuri di K, sopita.

Al sentore di quei passi la bionda scosse la compagna, ridestandola.

K ci impiegò cinque secondi netti per comprendere ciò che stava accadendo, mentre D si ritirava contro la parete, nell'angolo del letto.

La porta si aprì lasciando emergere la figura alta e intimidatoria di L. I suoi occhi tersi vagarono appena sulla stanza scarna poi si posarono inquisitori sulle compagne.

«Siamo stati convocati» disse solamente.

La mora sospirò gettando un'occhiata veloce a D, che aveva l'aria frastornata ed impaurita.

«Che seccatura».

«Ti conviene tenere sotto controllo la pazza stavolta – frecciò L facendo un cenno col mento verso D – se veniamo nuovamente puniti a causa sua è la volta buona che l'ammazzo» sibilò mellifluo.

K represse ogni tipo di emozione e si strinse nelle spalle;

«Sempre che tu ci riesca» replicò indifferente.

Ma un attimo prima di varcare la soglia della sala centrale, la ragazza strinse gentilmente il polso esile dell'altra.

«Cerca di non dare di matto.» fu tutto ciò che riuscì a dirle.

La sala era ampia e dipinta di un bianco quasi accecante. Aleksander Lukin osservava con lucida furia Sinthea Schmidt a capo chino e con i pugni chiusi costretti lungo i fianchi.

I celesti occhi dell'attuale capo dell'Hydra vibravano di collera, non poteva tollerare un fallimento da parte sua; si sentiva quasi disgustato dalla sua presenza.

Lo schiaffo arrivò rapido, potente e sopratutto atteso, ma questo non impedì di gelare tutti sul posto. Brock Rumlow, alla destra di Lukin, inarcò semplicemente un sopracciglio; Grant Ward non distolse lo sguardo malgrado il brivido che gli aveva solleticato la nuca; K, D e persino L – che solitamente godeva della sofferenza altrui – scattarono impercettibilmente sull'attenti per quel gesto che a loro era amaramente famigliare.

Sin ritornò, lentamente, a guardare Lukin, la guancia gonfia ed arrossata, lo sguardo però distante perso in quello freddo del proprio superiore.

«Sei un'inetta!»;

nessuna reazione.

«Facciamo un attimo il punto della situazione, ti va mia cara?» la sua era ovviamente una domanda retorica sputata con tono pesantemente sarcastico.

«Non solo hai permesso che le armi chitauriane venissero distrutte, ma ti sei lasciata dietro una delle mie superarmi?» Lukin l'afferrò per i capelli strattonandola brutalmente in modo che il suo sguardo cadesse su L, K, e D immobili tanto da sembrare statue marmoree.

«Devo ricordarti quanta fatica mi sono costati!? - sibilò furente – quanti ne vedi Sinthea?»

«Tre»

«Tre! Dovrebbero essere quattro, dannazione!» la lasciò andare malamente mentre lei si afflosciava silenziosamente al suolo, leggera come carta straccia. Sapeva già cosa l'aspettava.

«Ricordatelo bene Sinthea, qui non sei niente di speciale... Non sei differente da qualsiasi altro mio sottoposto! - si fece passare una spessa frusta nera e lucida mentre rivolgeva un cenno a Rumlow – Mi aspetto che tu non fallisca col tuo prossimo incarico. La mia pazienza sta andando ad esaurirsi, sono stanco di aspettare Sinthea...» era Johann Schmidt ora a torreggiare su di lei.

«Ich verstehe, Vater1» le sue parole era atone, distanti. I suoi occhi duri e vitrei come diamanti.

Non mosse un muscolo mentre avvertiva le mani di Crossbones strapparle impietose la maglia e lasciarle scoperta una buona porzione di pallida schiena.

La prima frustata calò veloce ed implacabile, la pelle si lacerò di netto non dandole nemmeno il tempo di emettere un fiato, il sangue schizzò impazzito prima di tingere la sua pelle nivea di rosso.

Sin abbassò le palpebre, assaporando quella sensazione, marchiandosi a fuoco nella testa quel dolore che aveva il potere di renderla più lucida, più affamata di quell'oscuro sentimento che le danzava nel petto.

«Che sia d'esempio a tutti. L'Hydra non può permettersi fallimenti».


Sinthea uscì da quella sala tempo dopo, malferma sui propri piedi mentre il sangue sembrava colare da ogni parte del suo corpo tormentato. Malgrado in quel momento non fosse altre che una creatura misera ed umiliata, sorrideva. Di un sorriso pericoloso, bellissimo come quello di un angelo vendicatore che prometteva le più atroci sofferenze; la visione di se stessa non le era mai stata così nitida. Un risolino isterico abbandonò le sue labbra, oh ora sapeva esattamente ciò che andava fatto.


*


New York, Avengers Tower.

Era sera inoltrata quando Steve e i suoi compagni erano giunti all'hangar dell'Avengers Tower.

Il capitano insieme a James, Sharon e Sam attendeva in ascensore, Melinda e Maria si erano occupati del prigioniero convocando Tony per decidere il da farsi.

Una volta che tutti e quattro si ritrovarono nel lussuoso soggiorno, i presenti si voltarono contemporaneamente verso di loro.

Sharon si informò su Jace ed Alexandra, Laura le assicurò che stessero riposando nelle loro stanze così come i suoi figli. Poi, cautamente si rivolse a Steve che con lo sguardo stava vagando per la stanza alla sua ricerca.

«Steve, Natasha è da... Cho.» iniziò prudente. Il supersoldato si voltò immediatamente verso di lei, mentre Sam e James gli si fecero più vicini.

Laura gli toccò gentilmente il braccio sorridendogli incoraggiante, lo sapeva che quella era una questione delicata.

«Si è sentita poco bene... ma...» ovviamente non fece in tempo a terminare la frase che Steve si era lanciato verso le scale, superando Clint che stava venendo proprio dal piano della dottoressa Cho. Lo lasciò andare, scambiandosi un'occhiata d'intesa con la moglie che sospirò ma non celando un lieve sorriso.

«Dovremo seguirlo?» domandò Sam preoccupato.

«Non è necessario. Lasciamo un po' di tempo ai futuri genitori» celiò Laura con saggezza.

James, Sharon e Sam si guardarono. Malgrado la stanchezza nessuno di loro si sarebbe addormentato facilmente quella notte.

Bucky per la prima volta dopo un tempo indefinito si ritrovò a pregare qualsiasi divinità si stesse divertendo con loro. Pregò per Steve e Natasha, almeno loro dovevano farcela.


Steve si sentiva mancare la terra sotto i piedi mentre correva verso lo studio della dottoressa Cho.

Una volta giunto non si premurò nemmeno di bussare, ma spalancò la porta con espressione grave.

«Natasha!»;

la donna si voltò appena, il profilo del suo viso emerse oltre lo schienale del lettino sul quale era distesa; accanto a lei stava seduta Helen Cho.

«Capitano... La prego la prossima volta di bussare» lo rimbrottò continuando a preparare la spia per l'ecografia.

«Io...» espirò Steve perplesso ma raggiungendo comunque le due donne;

«Come stai? Laura...».

Natasha gli poggiò delicatamente la mano sul petto, squadrandolo intensamente;

«Come ti sei procurato quel livido?» domandò seria, ma il capitano notò che il suo sguardo si era schiarito, come il cielo dopo una violenta tempesta, morbido e sollevato.

«Non è niente. Tu piuttosto-»

«Si è trattata di una contrazione più forte delle altre, ha avuto delle perdite maggiori stavolta... lo stato d'ansia non ha giovato» spiegò la dottoressa stendendo il gel sul ventre che mostrava un accenno di rigonfiamento.

«Ans-?» Steve spostò incerto lo sguardo su Natasha dapprima confuso, poi iniziò a capire e si sentì immediatamente in colpa. Aveva combattuto la sua solitaria battaglia con l'angoscia dal momento in cui si erano separati, glielo scorgeva nel suo sguardo apparentemente fermo ma distante; sapeva, però, che non glielo avrebbe mai confessato a voce alta. Ma lui aveva imparato a conoscere i suoi silenzi. Anche quel momento impregnato di parole non dette, avvertiva, ugualmente, il suo timore di aver nuociuto al bambino.

Non disse nulla, afferrò uno sgabello e le si sedette accanto. Immediatamente la mano di Natasha si intrecciò alla sua, Steve si chinò protettivo su di lei, allungando un braccio sopra la sua testa e accarezzandole dolcemente la fronte e i capelli.

Helen, che gli aveva osservati con la coda dell'occhio, era rimasta affascinata da quel loro silenzio in realtà pieno di sentimenti e parole che si rincorrevano fra loro. Li rispettava molto.

Nello schermo si delineò il contorno dell'utero mentre il futuro bambino aveva perso tutti i connotati informi e quasi invisibili dell'embrione, il feto si stava andando a delineare e ben si intravedeva la testa e il corpicino raccolto.

Lo sguardo di Natasha cadde sul monitor e da quel momento non lo distolse più. Steve trattenne il respiro.

Cho si prese qualche momento per analizzare alcuni movimenti del feto, e poi decise di ascoltare il cuore.

«Sta battendo ad un ritmo più veloce del consueto, ma è normale, sei entrata nel terzo mese questo significa che il bambino inizia a percepire gli stimoli materni, come stress o agitazione...»

«Ma sta bene?» mormorò la spia, cercando a quel punto di rilassarsi il più possibile terrorizzata al pensiero di poter far male a suo figlio. Helen si concesse un breve sorriso;

«Sì. Il suo battito sta già iniziando a decelerare, è più forte di quanto sperassi, non ci sono danni. Purtroppo è probabile che i dolori dovuti alle contrazioni aumenteranno, saranno più forti del normale... ti posso prescrivere qualcosa per il dolore, ma sfortunatamente a dosi ridotte per non influire sulla crescita del bambino-»

«Ho capito. Va bene, il dolore non mi spaventa» replicò Natasha, lasciando che un lieve sospiro sfuggisse dalle sue labbra tumide e rossissime.

Steve le baciò una tempia, avrebbe voluto poter condividere quel dolore, fare qualcosa di più per Natasha e il loro bambino.

«State bene» sussurrò semplicemente al suo orecchio.

«Consiglierei riposo assoluto almeno per il resto della settimana, poi faremo qualche altro esame. D'accordo?»; Natasha non poté fare altro che annuire, malgrado l'idea non le andasse molto a genio.

Il capitano diede un'ultima occhiata al monitor, suo figlio si era appena mosso lasciandolo senza fiato; aspettò che la russa si sistemasse e poi le passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro sulla schiena e se la strinse contro.

Natasha non protestò, non quella volta, la notte insonne e l'agitazione l'avevano lasciata spossata, più di quanto immaginasse. Si abbandonò a Steve, poggiò il capo sulla sua spalla, lentamente gli passò le braccia intorno al collo accarezzandoglielo piano, felice di poter saggiare nuovamente la sua pelle, respirare il suo profumo; chiuse gli occhi, la sua famiglia era al sicuro, almeno per il momento.

Percorsero in silenzio i corridoi della Tower fino a giungere alla loro stanza. Non avevano incontrato nessuno, l'ora era tarda e probabilmente avevano voluto lasciare loro del tempo.

Si coricarono nel comodo letto matrimoniale. Steve afferrò la trapunta coprendo entrambi, poi avvolse il braccio intorno a Natasha tirandosela delicatamente contro. Il suo cuore sobbalzò felice nel sentirla muoversi contro lui, inspirò il suo profumo dolce amaro a pieni polmoni.

«Perdonami» bisbigliò piano contro l'orecchio della spia. Natasha voltò il capo incontrando i suoi occhi azzurri velati di stanchezza e rimorso.

«Steve non farlo. Ne avevamo parlato... Che ci piaccia o no siamo in guerra e tu non puoi abbandonare la squadra per far stare meglio me. Dobbiamo imparare a gestire questa cosa...»

«Non sopporto l'idea di non poterti stare accanto come vorrei...» le disse sincero stringendosela contro inconsciamente. Come fosse stato un riflesso involontario.

Natasha chiuse gli occhi, dio solo sapeva quanto le costava lasciarlo andare cercando di non mandare in pezzi la sua corazza con la sua ansia.

«E io non sopporto il fatto che tu vada in missione senza di me, che non ci sia io a guardarti le spalle...» mormorò nascondendo il capo contro la sua spalla. Lo sentì sospirare e sollevò nuovamente lo sguardo, incatenandolo a quello di lui;

«Lo so che con te ci sono James e Sam...»

«Come io so che tu qui non sei sola, ma...»

«Non siamo noi.» terminò semplicemente lei e lui annuì.

«Hai ragione dobbiamo imparare a gestire la cosa.» concesse lui, entrambi avevano una sfida da combattere ma purtroppo non sempre sarebbe stato permesso loro di affrontarla insieme anche se questo li avrebbe portati a soffrire; d'altronde erano pur sempre Steve Rogers e Natasha Romanoff orgogliosi, indipendenti e pronti al sacrificio; «Come ti senti?» le domandò poi leggermente in apprensione.

Natasha si aprì ad un sorriso genuino e il capitano non poté non rimanerne abbagliato;

«Molto meglio ora.» disse solamente, non aggiunse '...che sei nuovamente al mio fianco' ma Steve lo intuì lo stesso e si sentì in pace. Si scambiarono un bacio che da dolce divenne inevitabilmente appassionato, le loro labbra non si sfioravano da troppo tempo ed ora avevano bisogno di assuefarsi ancora una volta le une al sapore intenso delle altre. Tutto il resto poteva aspettare.

Si addormentarono entrambi con una mano abbandonata con fare protettivo sul ventre di Natasha.


Poco prima dell'alba Steve si svegliò. Si volse verso la compagna che dormiva placidamente di lato, il respiro lieve e l'espressione tranquilla, le depose un leggero bacio sulla spalla scoperta e le rimboccò le coperte prima di alzarsi lentamente, facendo attenzione a non svegliarla; non aveva intenzione di allontanarsi per molto, giusto il tempo di dissetarsi.

Si diresse in cucina capendo immediatamente di non essere il solo mattiniero...

«Niko...»

«Steven, buongiorno. Spero di non averti svegliato!» sussurrò Niko Costantin con un sorriso gentile mentre strizzava la bustina del tè prima di gettarla.

«No affatto. Vieni o vai?» gli domandò incuriosito sedendosi accanto a lui, sul bancone.

«Sono appena tornato. Purtroppo l'attrezzatura di cui ho bisogno è disponibile solo la notte, la lista d'attesa è parecchio affollata, ma non mi lamento» affermò sincero. Il signor Stark era stato davvero gentile con lui e con sua figlia, poteva fare gli orari che più gli aggradava e lui gli era grato per questo.

«Come va?» gli chiese con sincera curiosità, sapeva bene come quel periodo fosse delicato per loro.

Il capitano mantenne il sorriso ancora per un istante prima di prendere un lungo sospiro.

«E' dura. Natasha è stata male, era così... spaventata. Non che lei abbia ammesso nulla, ma non ce n'è stato bisogno. La cosa che più mi fa arrabbia è che io non ero lì. Lei si sta accollando questa gravidanza in tutta la sua gravità mentre io...» si frizionò i capelli con le mani, in un moto di frustrazione.

«Tu hai una guerra da affrontare. Steve non ti devi sentire in colpa per non essere al suo fianco in ogni momento... Tu stai combattendo anche per tuo figlio, perché possa nascere in pace, così come Natasha sta combattendo contro il suo stesso corpo per permettere che vostro figlio nasca in salute, non è qualcosa in cui tu ti possa intromettere» replicò con sguardo sereno Niko «Anche Nina non era preparata per una gravidanza, quando mai qualcuno lo è? - sorrise benevolo – e il mio dna modificato non le è ha semplificato le cose, anche la sua non è stata una gravidanza semplice, ci sono stati molti momenti in cui abbiamo avuto paura... Per quanto io mi sentissi in colpa per aver complicato la vita di mia figlia non ancora nata a causa di ciò che sono, Nina ha lottato da sola ed ogni volta che potevo io ero al suo fianco» Steve lo fissò ammirato, abbassò lo sguardo;

«Natasha sta lottando anche contro la sua natura. È una guerriera non è facile per lei dover restare in disparte a guardare, aspettarmi. Anche se lo ammetto questo da una parte rassicura me» sorrise appena e avvertì la stretta gentile di Niko sulla sua spalla.

Ridacchiò comprensivo «La situazione è complicata, lo capisco bene, temo per Alexandra ogni giorno... Ora devi pensare che tu hai lei a curare le ferite del tuo corpo e lei ha te per curare i tormenti della sua anima».

Steve annuì guardandolo negli occhi, ricambiò la stretta sulla spalla dell'amico;

«Grazie davvero Niko»

«Ogni volta che ne avete bisogno Steven, è il minimo per quello che fate per Alexandra».

Steve ritornò in stanza nello stesso istante in cui Natasha usciva dal loro bagno personale con espressione stravolta a causa dell'ennesimo attacco di nausea.

Si guardarono e il supersoldato le sorrise incoraggiante, ricordando le parole di Niko, e si accomodò a letto aspettando che lei lo raggiungesse. Avevano ancora un po' di tempo prima che l'intera Tower iniziasse a ridestarsi.

Natasha si strinse a lui poggiando il capo sulla spalla e circondandogli la vita con le braccia.

«Ce la possiamo fare» le sussurrò Steve contro la sua tempia.


*


03 Gennaio, Playground.

Erica Holstein si massaggiò il collo stringendo appena le labbra, ricacciando indietro l'odiosa sensazione di fastidio.

Si concentrò nuovamente sui documenti che aveva davanti agli occhi, scontenta rivolse la sua attenzione allo schermo al suo fianco, digitò stizzita qualche comando ma non dette alcun risultato. Rimase in sospeso per qualche istante prima di prendere la decisione finale.

Si alzò, dandosi una veloce controllata allo specchio per assicurarsi che il suo caschetto scuro fosse in ordine, poi percorse con sicurezza i corridoi del Playground fino a giungere al laboratorio dei Fitz-Simmons e di Mack.

Sorrise deliziata nel vedere che c'era solo Leopold; fra i due era sicuramente il più malleabile, era conscia di non piacere molto alla dottoressa.

«Leo buongiorno» esordì amabile.

Fitz si voltò di scatto, preso in contropiede, e nel farlo perso il controllo dei suoi amatissimi “nani” che svolazzarono come api infastidite.

«Oh! Buo-buongiorno a-agente Holstein! Posso fare qualcosa per lei?» domandò paonazzo riprendendosi all'ultimo.

Il sorriso di Erica si accentuò appena;

«Sì, sei proprio la persona che cercavo – Leo deglutì a vuoto – Mi chiedevo, sai come consulente psico-fisica è mio dovere analizzare le cartelle personali dei vari agenti, così volevo sapere se possedevamo anche le cartelle degli... Avengers...» il suo sguardo si fece penetrante e il povero ingegnere si sentì annaspare ma si schiarì la voce cercando di darsi un tono;

«Le cartelle degli Avengers... sì... cioè volevo dire no! Non le abbiamo, non operando per conto dell'agenzia... sai, sono gli Avengers insomma eh eh! Di loro si occupa la dottoressa Helen Cho...».

«Oh ma certo, mi pare ovvio. Perdonami ma non sapevo se rientravano nelle mie competenze... - abbassò appena lo sguardo come un'attrice consumata – mi sei stato davvero d'aiuto Leopold!» sorrise, “Oh sì davvero d'aiuto”.




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1 = “Comprendo padre”

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Dunque dunque dunque... Come avrete notato la situazione dei personaggi di questo capitolo non è delle più rosee; James è parecchio impensierito da N (e meno male che è svenuto) che lo pone forzatamente nuovamente davanti al proprio passato e sembra che la pace sia ancora lontana.
Natasha deve iniziare a confrontarsi con la gravidanza che la costringe a cambiare la percezione di sè, questo è un tema che comunque cercherò di affrontare più ampiamente nei prossimi capitoli e affidarsi per forza ad altri perchè Steve non rischi la vita (più del solito), allo stesso tempo lui vorrebbe possedere il dono dell'ubiquità ma deve rendersi conto che è solo un uomo ma che ha al tempo stesso un grande peso sulle spalle... Insomma mi rendo conto che non sto rendendo le cose facili!
E per finire Sin, credo che ormai si cominci a capire da dove salti fuori... Per lei, oh per lei ho un'ideuzza che spero vi farà venire i brividi ;) 

Bene detto questo, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi, e per qualsiasi altra notizia vi invito a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" :) Vi ringrazio ancora una volta e ci vediamo tra due settimane, SABATO 08 APRILE!

ps. Mi rivolgo ai recensori dello scorso capitolo, risponderò alle recensioni quanto prima!

A presto!

   
 
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