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Autore: mj27    25/03/2017    4 recensioni
[LEXARK]
Dal testo:
"Cara Alicia,
ho perso il conto dei giorni passati dalla tua partenza. In questo mondo senza più scadenze, senza più impegni e senza più la voglia di svegliarsi per vedere l’alba del giorno dopo, è così facile perdere il senso del tempo. A cosa serve, ormai, sapere che giorno è?
Domani sarà uguale ad oggi: tenteremo, comunque, di svegliarci per vedere il sole sorgere ancora una volta.
[...]
Mi manchi e questo non cambierà domani, come se, in questa “vita”, potesse mai cambiare qualcosa.
Ti abbraccio forte e spero che tu possa sentirmi vicina stanotte,
Eliza."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Lexa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara Alicia,
 
ho perso il conto dei giorni passati dalla tua partenza. In questo mondo senza più scadenze, senza più impegni e senza più la voglia di svegliarsi per vedere l’alba del giorno dopo, è così facile perdere il senso del tempo. A cosa serve, ormai, sapere che giorno è?
Domani sarà uguale ad oggi: tenteremo, comunque, di svegliarci per vedere il sole sorgere ancora una volta.
 
Non credere davvero che io non sappia quanto tempo è passato. Ho segnato con il coltello a farfalla che mi hai lasciato prima di partire una tacca per ogni nuovo sole sorto da quando ti sei messa in viaggio. Le tacche sono quarantadue.
 
Mi piacerebbe sapere dove sei, mi aiuterebbe ad immaginarti e a ricordarti.
Se sapessi dove sei potrei inviarti le lettere che ogni giorno mi trovo a scriverti, ma in questo mondo bruciato non c’è più un servizio di spedizione postale che potrebbe recapitartele.
Se sapessi dove sei te le porterei io stessa queste mie parole, questi miei semplici pensieri che non so ordinare se non raccontandoli a te che mi hai sempre ascoltato e ora non sei più qui a darci un senso.
 
Tornerai, vero? Qui in colonia ogni giorno passa come il precedente. Ogni giorno c’è un campo da arare, qualcosa da cogliere, qualcuno da curare. Ogni giorno il gruppo di pulizia si spinge un po’ più in là a sanificare la zona e ogni giorno tiriamo un po’ più in là la recinzione elettrificata che ci tiene al sicuro. Ci allarghiamo sempre di più, a discapito della morte che vaga, e ogni tanto troviamo qualcuno di vivo che non sperava più che ci fosse qualcosa da sperare ancora.
 
E tu? Hai speranza?
 
Senza di te qui io faccio fatica a sperare in qualcosa, fatica a trovare la motivazione per continuare a far finta che alla fine di tutto, ci sia veramente qualcosa per cui sperare ancora.
 
Non volevo tediarti con questi miei pensieri, Alicia, ma non vedere i tuoi occhi mi è, ogni giorno, sempre più difficile.
 
Mi manchi e questo non cambierà domani, come se, in questa “vita”, potesse mai cambiare qualcosa.
 
Ti abbraccio forte e spero che tu possa sentirmi vicina a te stanotte,
 
Elyza.
 
*
 

Cara Elyza,
 
se non fosse che ormai mi è impossibile sopportare questo viaggio lontana da casa, le giornate passerebbero sicuramente più leggere.
 
Il camion con il quale ci spostiamo macina chilometri su chilometri e ogni volta che si ferma, quelli a fare chilometri siamo noi, a piedi, che ci spingiamo come rabdomanti in questo infinito deserto di sabbia alla ricerca di qualche auto da asciugare, per poi tornare indietro e resuscitare il nostro camion stanco.
 
Seguiamo una strada che si estende fino all’orizzonte, dritta e secca come una freccia. Lo facciamo per essere sicuri di trovare sempre qualche auto abbandonata e ogni volta che ci serve, ne prediamo le carcasse come se fossimo sciacalli.
 
Un po’ lo siamo, sai? Sciacalli. Sempre alla ricerca di qualcosa di morto che non appartenga a nessuno e appena lo troviamo, lo facciamo nostro con avarizia, con prepotenza, con necessità. Prima che la morte vagante arrivasse, avevamo così tante cose nostre che non abbiamo mai fatto caso a quanto importanti fossero: era tutto a nostra disposizione, tutto pronto, scintillante e disponibile.
 
Ora non c’è niente, Elyza. Niente che abbia valore in questo ambiente povero.
 
Potrei trovare a terra mezzo milione di dollari che comunque appiccherei fuoco a quelle banconote per tenermi al caldo stanotte, per spaventare gli animali e tenere lontano gli erranti. Pensa a quanto è cambiata la nostra visione della vita, pensa a che follie avremmo fatto se avessimo trovato mezzo milione di dollari quando ancora i dollari avevano un significato.
 
Ti avrei regalato una stella con quel milione di dollari. Una stella e una villa. Con piscina. Di quelle a sfioro sul mare. Perché la villa sarebbe stata in collina e dal solarium avremmo visto il mare e con lo sfioro sarebbe sembrato tutto infinito, tra l’azzurro della piscina, il blu dell’oceano e il turchese del cielo. Sarebbe stato così infinito da sembrare finto e probabilmente non ci avremmo neppure fatto caso, troppo impegnate a baciarci in quella piscina a sfioro, nella nostra villa in collina.
 
Chissà se esiste, ora, una villa in collina con una piscina a sfioro sul mare. Se ci fosse, la occuperesti con me? Sembra una di quelle richieste sciocche che fanno i bambini: metti una crocetta sul sì o sul no e dimmi, ci vivresti con me in una villa che ha piscina, ma che ormai non vale più niente se non per noi che ci sentiremmo potenti e indistruttibili a baciarci in quella vasca?
 
Impazzisco a non sapere come risponderesti, ma non temere, appena questo nuovo ordine mondiale sarà sistemato, troveremo anche un posto per noi. Te lo prometto. Ho ancora speranza, finché ho te, ho ancora speranza.
 
Il nostro camion si è stancato ancora, ma per fortuna sua, noi siamo pieni di energia. Pensami tra un paziente e l’altro. Tu sei in ogni mio passo verso l’ignoto.
 
Alicia.
 
*

 
Alicia,
 
oggi ho avuto paura.
 
Parte della recinzione a nord-ovest ha ceduto per un guasto e siamo rimasti scoperti per tutta la notte. Le guardie in ronda non si sono accorte del punto morto nelle nostre difese e siamo stati attaccati. Siamo stati attaccati nel sonno da quei corpi morti vigliacchi, siamo stati attaccati di spalle e non abbiamo potuto far altro che subire come cavalli frustati ciecati dal paraocchi.
 
Ci sono sette fosse nuove al cimitero. Gli erranti che hanno banchettato sui nostri corpi sani sono già in cenere e le loro membra carbonizzate hanno tenuto lontani altri come loro, stanotte. Fa ridere, non è vero? Gli stessi che ci hanno attaccato ora bruciano e servono da monito agli altri. Cenere erano e cenere sono tornati.
 
Chissà se capiscono. Chissà se nel vedere i loro simili soccombere alle fiamme provano qualcosa.
 
Tuo fratello ci credeva. Tuo fratello vedeva qualcosa in loro. Mi dispiace dirti che io, in loro, non vedo nulla.
 
C’è un bambino tra i feriti. Non è stato morso, per fortuna, ma non è messo bene. E’ piccolo e nessuno si è accorto di lui mentre nella colonia esplodeva il caos e tutti cercavano un riparo.
 
Gli sono passati sopra, Alicia, come se fosse parte del terreno, come se fosse una piastrella di marmo uguale a tante altre piastrelle di marmo in un pavimento dal ricamo geometrico. Lo hanno lasciato a terra come un cencio buttato.
 
E’ intubato, ha le costole rotte e gli arti doloranti. E’ gonfio e ha la pelle ricoperta di lividi e graffi, segni che gli decorano il corpo come le striature del marmo.
 
Lo hanno affidato a me anche se non ho finito l’apprendistato.
 
Sono certa che abbiano scelto così perché non credono che potrà sopravvivere a lungo, perché ogni ora che passa il suo battito si fa sempre più lieve, mentre il mio cuore pompa impazzito nella mia gabbia toracica, come un toro scatenato.
Non voglio che muoia. Non potrei sopportare di perderlo. Non potrei accettare di scavare un’ottava fossa accanto a quelle già scavate e coperte oggi.
 
E’ solo. Come me.
 
Se ti dicessi che spero che sopravviva? Se ti dicessi che sto pregando chiunque ci sia da qualche parte di ascoltarmi e di aiutarlo, tu ci crederesti? Pregheresti con me per un miracolo in questa vita morta e ferma?
 
Se sopravvivesse, lui ed io potremmo essere soli insieme.
 
Non si muove.
 
Elyza.
 
*

 
Elyza,
 
oggi abbiamo trovato altre persone sane. Abbiamo viaggiato tantissimo in questi giorni e ogni miglio lasciato dietro alle spalle si aggiungeva a quelli già abbandonati dietro di noi.
 
Posso assicurarti che dopo questa avventura non vorrò mai più vedere il deserto, neanche in cartolina. E’ tutto uguale, sempre con lo stesso sapore, sempre con lo stesso odore. Mi è diventato nauseante.
 
Quando ci siamo rimessi in viaggio, stamattina, lo abbiamo fatto convinti che sarebbe stata un’altra giornata di avvicinamento. A cosa? mi immagino mentre sposti di lato la testa e mi domandi. A cosa, non lo so. Ogni giorno che passa lo viviamo come se stessimo arrivando a destinazione, ma sappiamo bene che destinazione non c’è. Però abbiamo uno scopo, Ely. E’ la nostra vocazione cercare altri essere umani vivi, sani, soli, da accogliere e riportare alla colonia.
 
Non ne avevamo ancora trovati.
 
Sono passati quanti giorni da quando siamo partiti? Saranno ormai due mesi immagino… I capelli mi sono cresciuti e le punte ora sono completamente bionde. Il sole e il vento stanno avendo la meglio su di loro, ma sono abbronzata e se potessi vedermi, so che mi guarderesti con i tuoi occhi blu colmi d’amore come se non avessi mai visto qualcosa di più bello. Per me quella cosa sei tu.
 
Eravamo tutti seri oggi. Quando passi così tanto tempo in viaggio con qualcuno non c’è neppure più la voglia di chiacchierare. Abbiamo chiacchierato così tanto all’inizio che non abbiamo più nulla da dirci. Abbiamo dato così tanta aria alla bocca da riempirci le vele e navigare intorno al mondo per anni.
 
Eravamo stanchi, in realtà. Anche se abbiamo uno scopo, anche se lo facciamo perché sentiamo dentro di noi che è la cosa giusta fare, non trovare nessuno per così tanto tempo ci ha logorati piano piano, nel profondo. E’ diventato meccanico, questo nostro viaggiare, questo tirare avanti e andare andare andare. Dove andiamo? Lo leggo negli occhi degli altri mentre fingono che tutto vada bene, che tutto sia esattamente come dovrebbe essere, che mentono.
 
E’ stato un attimo e oltre al rombo di questo nostro vecchio mezzo abbiamo sentito qualcosa di diverso, qualcosa che non era simile al rumore di nessuno di noi.
 
Sono otto persone, tre uomini, quattro donne e una bambina. Sono stanchi, spenti, cotti dal sole impietoso e tirati come cuoio, ma sono vivi e sono sani.
 
Ti renderà orgogliosa sapere che ero di vedetta quando li abbiamo avvistati. Immagino i tuoi occhi ravvivarsi di felicità nel sapere che c’ero io in quel momento, che è anche grazie a me se ora sono insieme a noi a viaggiare, rifocillati, reidratati e riposati.
 
Gli erranti del deserto non li hanno trovati e se non è un miracolo questo, non saprei proprio cos’altro potrebbe esserlo.
 
Mi manchi, oggi più che mai perché sono felice, perché sento rinnovata dentro di me la forza di continuare, come linfa vitale nuova. Vorrei averti qui e stringerti forte. Vorrei sentirti addosso.
 
Alicia.
 
*
 


Ali,
 
si è svegliato. Il bambino. Ha aperto gli occhi. E’ vivo.
 
Ho pianto di gioia quando è accaduto.
 
Ho sentito l’orologio del mondo riprendere a ticchettare, intorno a me la vita ha ripreso a scorrere, il pianeta terra a ruotare.
 
Ero in apnea con lui.
 
Per una settimana è rimasto immobile. L’unico movimento a confermarmi che era ancora insieme a me, il lieve sollevarsi del suo petto, forzato dalla pompa che soffiava aria pulita nei suoi polmoni.
 
La mia routine giornaliera era semplice: ogni mattina controllavo il polso, i riflessi oculari, le vie aeree, il colore delle estremità, il battito cardiaco, il sacchetto esterno.
 
Ogni giorno non portava novità.
 
Oggi, invece, al controllo oculare, ho visto un guizzo di vita nei suoi occhi, il suo battito era più forte, il suo colorito migliore. Si è svegliato, Ali, qualcuno mi ha ascoltato e lui si è svegliato.
 
Non può ancora muoversi e lo teniamo sedato per la maggior parte del tempo, per via del dolore che prova nelle condizioni in cui è, ma nulla può impedirmi di sentirmi libera di volare oltre le nuvole, libera di sentirmi leggera.
 
Se volassi, volerei da te, è inutile che io te lo dica, sono certa che lo sai.
 
Sono troppo sdolcinata? So che ancora arrossisci di fronte a certe frasi, so che ti imbarazza la mia sincerità, ma so che mi ami per questo. Basto io per entrambe, a dar voce a questo sentimento che sentiamo, il tuo amore lo trovo nei gesti, nelle premure, nei tuoi sguardi.
 
Mi mancano i tuoi sguardi, i tuoi respiri. Mi mancano i tuoi tocchi, i tuoi polpastrelli morbidi sul mio corpo, i tuoi capelli. Il tuo peso su di me e i suoni che emetti nelle orecchie. E’ difficile sentire certe emozioni se non ci sei tu a scatenarmele.
 
Lui dorme e io, per non pensare a te, gli racconto una storia. Mi sente, credo. Non è in coma, dorme, quindi la mia voce gli arriva e spero che questo lo aiuti a fidarsi di me quando sarà passato il dolore e sarà cosciente.
 
Non gli rimane più nessuno in vita. Ci sono solo io. Immagino che abbia bisogno di sentirsi legato a me in qualche modo.
 
Gli sto raccontando una fiaba nuova, una che sento nascere spontanea da dentro il cuore.
 
Gli sto raccontando di un popolo che è volato nello spazio per trovar fortuna e non soccombere a se stesso.
Di come neppure tra le stelle avesse risolto i suoi problemi e di come abbia deciso di sacrificare la propria gioventù e rientrare sulla terra.
Di come quei bambini si siano trovati catapultati in un mondo spietato, come il loro oltre le nuvole, se non peggio.
Di come non si possa vivere senza regole, di come sia necessario avere uno scopo.
 
Gli racconto di quanto sia importante l’amicizia e la famiglia, di come ci si senta annientati nel togliere la vita a qualcuno che si ama.
Di come esistano conseguenze atroci a gesti impulsivi, di come non si possa pensare neppure un momento di vivere senza i fantasmi del proprio passato.
 
Gli sto raccontando di come due colori possano incontrarsi e scatenare fuochi d’artificio, di come due figure possano scontrarsi e accendersi, divampare e chetarsi nell’ombra.
 
Gli sto raccontando di come foresta e cielo s’incontrino all’orizzonte e si mescolino, così incompatibili eppure così inscindibili.
 
Gli racconto di un amore osteggiato dall’appartenenza a diversi popoli, di un amore ostacolato dalle responsabilità, di come il sangue possa rivelarsi un fardello.
 
Gli racconto del dolore, quello che annienta, quello che trasforma in fantasmi, quello che porta a non sentire più nulla.
 
Gli racconto del verde e del blu. Forse gli racconto di noi, forse. Di quello che saremmo potute essere se solo questo non fosse ciò che siamo.
 
Ti prego torna. Ho bisogno di te per non morire, ho bisogno di te per sentire.
 
Elyza.
 
*
 


Ely,
 
sto tornando verso casa. Sto tornando verso te. Quanto è passato, amore mio? Troppo. Non c’è altra risposta a questo quesito, perché anche solo un secondo lontano da te mi fa sentire senza fiato, mi fa sentire senza direzione, senza gravità.
 
Stiamo tornando e siamo numerosi. Ridacchio a pensare a mia madre e a Victor, alle espressioni che avranno dipinte sul volto quando vedranno quello che siamo riusciti a fare, quante persone siamo riusciti a salvare.
 
E’ stato il viaggio più difficile della mia vita, è stato insormontabile alle volte, il senso di sconfitta, l’immobilità degli eventi, la forzata attesa.
 
E la strada, la strada infinita che sembrava non avere un capo, alla fine lo aveva veramente. Non c’è nulla di impossibile, tesoro mio, nulla che sia inaffrontabile.
 
Alla morte risponderà sempre nuova vita, alla siccità chiamerà sempre nuova acqua e noi, noi risorgeremo dalle ceneri di questa vita appestata, noi troveremo la nostra luce in fondo al tunnel. Io la mia luce la vedrò tra poco, la vedrò in te.
 
Ogni miglio che abbiano lasciato dietro di noi all’andata lo stiamo ripercorrendo ora, con più fretta, con più aspettativa, con frenesia.
 
Sono cambiati i nostri occhi, sono tornate a cantare anche le nostre gole. Parliamo, ora. Con i nuovi arrivati parliamo di noi, di loro. Parliamo di voi, di quello che abbiamo conquistato, di quello che ancora c’è da conquistare.
 
Abbiamo trovato la speranza che cercavamo e la troveremo sempre. Finché rimarrà anche un solo cuore a battere su questo terreno, ci sarà speranza.
 
Ora che faremo?
 
Non ne ho idea al momento, so che sto tornando, so che tra poco ti vedrò, che ti riabbraccerò, che potrò baciarti ancora e ancora, come sogno ogni notte, ogni giorno, ogni minuto. So che mi fermerò, per un attimo. Per sempre. O forse mai.
 
Se tornassi a viaggiare, viaggeresti con me? La prossima missione potrebbe necessitare di un medico e tu saresti la scelta migliore. Chi lo dice? mi chiedi. Lo dico io, e so che sono di parte, ma non esiste al mondo nessuno che potrebbe anche solo avvicinarsi ad essere visto come io vedo te.
 
Rimanere alla colonia non mi peserebbe, c’è sempre qualcosa da fare e troverei anche lì il mio posto nel mondo. Potrei insegnare, potrei plasmare giovani menti e ispirarle, potrei fare qualcosa di significativo anche lì.
 
Mi ci vedi a crescere dei bambini? Ora che ci penso, credo che sì, mi ci vedrei seduta al centro di un cerchio di bimbi sognanti, che ascoltano rapiti le storie che avrei loro da raccontare, che mi abbracciano felici e che fanno affidamento su di me per avere risposte ai loro perché.
 
In questa ottica, questo mondo malato non mi sembra più così male.
 
Sarà che finalmente sto tornando, sarà che il sole spende in cielo e che dal camion si alzano voci felici. Sarà che presto leggerai tutte queste mie semplici parole e che riderai.
 
Sarà che comunque, qualsiasi cosa accada, quando tornerò, tornerò da te.
 
Alicia.
 
---


Note: 

Questa ff non esisterebbe senza l'aiuto e l'infinito supporto di Sharkie, che ha sopportato messaggi notturni e fatto da beta per questa piccola follia. Follia che è nata, divampata e conclusa in due notti dopo aver letto 42 di _Ackerman_. Un pensiero va anche a lei che con la sua Lexark mi ha ispirato profondamente. Se hai letto questa ff spero tanto che ti sia piaciuta.

Un ultimo pensiero va a due Chiara speciali che hanno avuto la loro buona dose di "hai letto???", "ti piace???", grazie mille a voi :)

Infine un grazie a voi lettori, ci leggiamo nella long Clexa e nei commenti, se vorrete lasciarmeli ;)

A presto!

mj27
  
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