Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: alaal    26/03/2017    0 recensioni
Un allenatore assetato di potere, un Pokémon leggendario, una maledizione. La nostra storia non si incentra in questo incontro tra umano e Pokémon leggendario, ma gli effetti di questo scontro si ripercuotono nel futuro, a tre anni di distanza.
Recensite, per favore! Sono uno scrittore in erba, ogni commento (insulti compresi) è bene accetto! ^__^
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il gruppo di ragazzi, appena varcata la soglia dell’ingresso della città di Lavandonia, fu letteralmente sommerso dalle luci al neon dei lampioni, delle insegne dei negozi, dei semafori e di ogni altra cosa. Lavandonia si presentò così agli occhi quasi accecati degli allenatori: pianta quadrata, le vie erano quasi disegnate con il righello, senza alcuna curva. Le strade erano state costruite una perpendicolare all’altra, in un mistico dedalo di luce vivente. In ogni angolo di ogni strada, infatti, era stata costruita una fonte di luce: un lampione, un’insegna stradale al neon, un semaforo, e poi da capo un lampione, un’insegna al neon, un semaforo. La gente era stranamente abituata a vivere in simbiosi con tutta quella luce artificiale: nei marciapiedi della città tutti apparivano lesti e stranamente iperattivi, data l’ora tarda. Nel centro della città, inoltre, nel parco cittadino (illuminato a giorno anche questo), era stata costruita un’enorme torre orologio, che recava nel suo quadrante quadrangolare (visibile dunque da tutte e quattro le direzioni) una chiarissima definizione di orario analogico e digitale allo stesso tempo. Le dieci di sera. Il rimbombo delle campane interne risuonò alle orecchie di tutti i viandanti e ciò non fece altro che aggiungere altro sprint ai loro passi già fin troppo spediti. Più di una volta gli allenatori si scontrarono spalla contro spalla con i passanti, senza che questi si degnassero di voltare lo sguardo e chiedere scusa (e senza neanche attendere una risposta di scusa da parte dell’altra persona).

La città pareva essere costruita intorno a questo mastodontico orologio digital-analogico: sembrava fosse il punto nevralgico di tutta la città. Il parco che accoglieva quest’enorme costruzione era gigantesco: migliaia e migliaia di metri quadri di verde, migliaia di alberi di ogni tipo, sentieri di terra battuta a non finire, decine di laghetti e innumerevoli Pokémon abitanti costituivano questa “riserva naturale”. E per non parlare delle panchine e degli immancabili lampioni.

Le strade erano strette e tutte uguali, i palazzi identici l’uno all’altro. Se non fosse stato per i negozi (fortunatamente uno diverso dall’altro) e per il nome delle vie, i ragazzi sarebbero ben presto impazziti in quella città così apparentemente simile a Zafferanopoli. Il fatto strano fu che Lavandonia, dieci anni prima, era un villaggio tranquillo e popolato da persone altrettanto tranquille. Ora la città appariva agli occhi stralunati di Ash e Brock tale e quale a quella di Zafferanopoli. Più di una volta il Maestro di Pokémon si domandò di avere sbagliato strada e di essere davvero capitati nella città di Sabrina, la capopalestra di quella città.

Finalmente gli amici raggiunsero una costruzione in cemento armato che assomigliava in tutto e per tutto ad un Centro Pokémon: palazzo un poco più basso rispetto agli altri, dal tetto a spiovente colorato di rosso, un poco dislocato rispetto al caos equilibrato della città. Addirittura gli allenatori si fiondarono all’interno dell’edificio con una dolce letizia in corpo: finalmente avrebbero potuto trovare un tiepido ristoro in quella notte che si preannunciava più fredda delle precedenti.

L’androne del Centro Medico per Pokémon si mostrò molto austero e decisamente diverso da come se lo ricordava Ash: locali dall’area perfettamente quadrata, stanze una identica all’altra, soffitti alti e mura completamente bianche, ma ciò non importò agli occhi dei ragazzi, nel vano d’ingresso si stagliava infatti un’enorme segnaletica che recava scritto nel dettaglio qualsiasi direzione intraprendere per indirizzarsi verso qualsiasi reparto specifico. L’attenzione si focalizzò nella scritta: “Area ristoro – 2° Piano”. Gli occhi di Laura si illuminarono di gioia quando lesse quella scritta.

Laura: -Finalmente possiamo riposarci!- La giornata era stata lunga e piena di impegni, ma nonostante la stanchezza, erano soddisfatti per come erano andate le cose. I ragazzi presero l’ascensore e, una volta aperte le porte, un manifesto colorato di rosso accolse gli allenatori, appeso con una riga di nastro adesivo sulla parete di fronte. Gli occhi della figlia dei Ferguson caddero immediatamente sul volto della persona impressa su quel manifesto: quel tipo non era altri che Jim Sheridan, la sua rock star preferita! Aveva la sua cameretta nell’Ostello di Plumbeopoli completamente tappezzata dai suoi poster. I ragazzi neanche si accorsero dell’esistenza di quel manifesto, ma Laura sì. Mentre gli altri componenti del gruppo parlavano tranquillamente mentre l’ascensore saliva al secondo piano, la ragazza dagli occhi verdi lesse avidamente l’annuncio presente su quel manifesto rosso.

Ash: -Domani possiamo anche prendercela con calma. Abbiamo fatto molta strada quest’oggi, Zafferanopoli non è molto distante da qui. Alex – ed osservò il suo allievo – stai bene?- Il ragazzo con gli occhiali ancora teneva il mano la Mega Ball che aveva permesso all’allenatore di catturare Machop. Tuttora non riusciva a capacitarsi di avere catturato il suo quarto Pokémon… addirittura il Machop che aveva aiutato ad apprendere Introforza nel TunnelRoccioso. Sprovvisto di Poké Ball (l’ultima l’aveva regalata a Timmy per permettergli di catturare Oddish) Alex aveva adoperato una delle due Mega Ball che il signor Sam Macmadison gli ebbe regalato quella stessa mattina, per ringraziarlo di avere salvato l’Asilo dei Pokémon Erba dall’attacco di Elio e Cassandra del Team Richardson. La sua mente divagava ancora ai momenti in cui il suo Machop – il suo Machop! – lottava strenuamente contro Hariyama. La voce del Master dei Pokémon lo richiamò al presente e, dopo avere dato un ultimo sguardo alla Mega Ball prima di porla nella cintura Porta Poké Ball, annuì. Il suo Dratini, avvolto intorno al collo del suo allenatore, era caduto in una sorta di catalessi, così come la Dratini di Laura. Pikachu sembrava essere ancora in forze, mentre il Bulbasaur di Brock dormiva placidamente nello zainetto dell’allevatore di Pokémon.

Brock: -Incredibile… Lavandonia è diventata una vera e propria metropoli… sinceramente me la ricordavo diversa. Che fine ha fatto la Torre Pokémon?- La Torre Pokémon… l’edificio adibito a contenere i resti mortali dei Pokémon deceduti. Ash se lo ricordava molto bene, era stato in quel luogo che catturò Haunter. Chissà cosa stava facendo Haunter in quel momento… all’epoca l’aveva regalato a Sabrina.

Ash: -Ho sentito dire che l’hanno demolita, per poterla ricostruire in un altro luogo. Sembra che l’abbiano riedificata ai margini della città, prima era proprio nei pressi del centro di Lavandonia.- Uno squillo elettronico di campanello informò i ragazzi che erano giunti al secondo piano dell’edificio. Le porte verde rame si aprirono lentamente, permettendo ai ragazzi di poter proseguire. I ragazzi uscirono dall’ascensore, ma Laura non seguì i suoi amici. Ash ebbe appena il tempo di voltarsi, vedere le porte dell’ascensore richiudersi e la sua allieva gridare: -Tornerò dopo!-. Il maestro di Pokémon ebbe intenzione di seguirla per capire dove volesse andare, ma la mano ferma e decisa di Brock sulla sua spalla e un profumino squisito di carne lo fecero ben presto cambiare idea.

 

Ormai era notte fonda. Laura era tornata dai suoi amici un quarto d’ora dopo, e tutti insieme avevano mangiato alla mensa del Centro Medico per Pokémon. Mentre i cari Pokémon venivano curati dalle sapienti mani dell’infermiera Joy, gli allenatori cenarono ed andarono a letto quasi subito. I piani superiori erano quasi tutti adibiti ad accogliere gli allenatori di Pokémon che avevano il desiderio di fermarsi la notte. Ash, Brock, Laura e Alex si fermarono in una stanza al quarto piano, con quattro letti a disposizione. Erano a castello, nessun tipo di problema. Sembravano camere di un albergo: camera da letto con bagno, più balcone che si affacciava sulla via principale della città. I corridoi dei vari piani dell’albergo adattato a Centro Medico per Pokémon possedevano una certa classe: pavimenti di marmo, tappeti rossi splendenti, alle pareti quadri d’autore e lucernari a mezzaluna appesi alle pareti. Gli interni, poi, facevano un poco di invidia in confronto all’Ostello di Plumbeopoli. Il prezzo da pagare, ovviamente, fu abbastanza caro. Ma nulla importò ai stanchi viaggiatori, né della classe dei lampadari, né delle sciccherie contenute nei bagni d’avorio e di ceramica. A loro importò unicamente di gettarsi sui morbidi letti e di dormire profondamente, fino a mattina inoltrata. Con gli allenatori erano rimasti Pikachu, Bulbasaur ed i due Dratini, amici inseparabili.

Notte fonda, si diceva. Tutti dormivano profondamente, tranne uno. Alex, sdraiato nel letto inferiore a destra, non riusciva a chiudere occhio. Gli avvenimenti di quella giornata lo avevano emozionato a tal punto da non permettergli di dormire. Si sentiva ancora terribilmente entusiasmato per la cattura di Machop e, sebbene fosse mezzanotte passata, il sonno ancora non volle accogliere la mente del ragazzo con gli occhiali. Si girò e si rigirò nel letto di piume, ora su un fianco, ora a pancia in giù. Osservò i comodini sistemati agli angoli della stanza: belli a vedere, ma praticamente inutili. Si costrinse a chiudere gli occhi, nel vano tentativo di trovare il sonno tanto agognato, ma non ci riuscì. Accanto a lui, accoccolato sul cuscino, Dratini era ancora sveglio, come il suo allenatore. La sua mente però era più annebbiata, ma non al punto da farlo dormire. Vide il suo allenatore alzarsi lentamente, togliersi il pigiama e rivestirsi in assoluto silenzio. Gli altri ragazzi dormivano, nessuno si mosse e tutto era avvolto nelle tenebre più fitte. Le luci dei lampioni non raggiungevano l’altezza del quarto piano del palazzo e nel cielo la Luna era scomparsa.

Dratini: -Dove vai?- La voce del draghetto era ovattata per la stanchezza, e Alex si voltò per osservare in volto il suo amico squamoso.

Alex: -Non ho sonno. Vado a fare un giro…- Appena l’assistente del Professor Oak indossò il giaccone blu, Dratini scivolò dal letto sulla sua spalla. Il ragazzo sorrise e recuperò gli occhiali e la stampella appoggiati vicini al comodino.

Alex: -Ok, mi correggo. Andiamo a fare un giro.- Alex, in punta di piedi, lasciò la stanza. Non si preoccupò di recuperare lo zainetto, né PokéDex, né tantomeno le altre sfere Poké (che erano ancora sotto, al Centro Medico per Pokémon). Aprì la porta lentamente, ed immediatamente la luce soffusa del corridoio inondò la buia stanza. Un mugolio colse impreparato Alex, il ragazzo si voltò di scatto, ma nulla accadde. Tutto era nuovamente quieto. Alex scivolò silenziosamente oltre la porta e la richiuse dolcemente.

Avviandosi verso l’ascensore con Alex, Dratini si svegliò completamente. Nel corridoio faceva molto più fresco rispetto all’interno della camera, ed un leggero brivido gli percorse il corpicino. Alex non si era dimenticato del suo amico Pokémon: tra i vari indumenti che Laura gli aveva procurato mentre lui era ricoverato nell’ospedale di Celestopoli, vi era una piccola sciarpa rossa che Alex non indossava mai. Il ragazzo con gli occhiali decise di farla indossare al suo Dratini, il quale apprezzò il regalo. L’avvolse intorno al suo collo, e la fissò con un nodo semplice. Non era granché come protezione contro il freddo, ma era sempre meglio di niente.

Dratini: -Dove vuoi andare?- La domanda fu pronunciata quando Alex e Dratini erano ormai nelle prossimità dell’ascensore. La stampella non aveva fatto alcun rumore, il tappeto aveva attutito ogni suono, anche quello delle scarpe.

Alex: -Vorrei camminare un po’ nel parco… quest’aria di città è troppo polverosa.- Dratini annuì, e fu felice di poter assaporare nuovamente l’odore degli alberi, dell’erba e della flora in generale. L’umidità presente nel TunnelRoccioso l’aveva fatto un po’ raffreddare e colare il naso, e la sciarpa che ora aveva lo teneva discretamente al calduccio. L’ascensore si mosse con discrezione e con solenne calma, facendo quasi attenzione a non svegliare gli altri inquilini di quel mastodontico hotel a quattro stelle adibito a Centro Medico per Pokémon. L’ambiente all’interno di quell’ascensore era confortevole e sicuro, ma Alex si sentiva stranamente a disagio. Dratini si accorse immediatamente della sua sinistra ansia e lo guardò perplesso, senza però domandargli nulla. Per la domanda di poco prima, il suo allenatore aveva impiegato un bel pezzo prima di rispondere. Fu lo stesso Alex a rompere improvvisamente il ghiaccio che si era formato tra loro.

Alex: -Domani torneremo ad allenarci. La prossima palestra è a Zafferanopoli, non è molto lontana da qui. Ci aspetterà una bella sfida…- Dratini sorrise, contento di rimettersi nuovamente all’opera. Adesso il team si era allargato con l’approdo di Machop, le varie tattiche di combattimento sarebbero divenute molto più ostiche per il suo allenatore con gli occhiali. La scelta su chi schierare per primo sul campo di battaglia, quali mosse eseguire, da soli oppure in coppia… no, non era assolutamente semplice. I Pokémon erano sempre messi a dura prova con allenamenti, mosse da imparare e strategie, ma anche gli umani allenatori avevano il loro gran bel daffare.

Ma ecco, le porte dell’ascensore si erano aperte, ed il campanello squillò con delicata moderazione. Alex e Dratini si guardarono intorno, ma non trovarono nessuno ad accoglierli. L’androne del pian terreno era praticamente deserto. “Sfido io” pensò Alex “sarà mezzanotte passata”. Con passo lento ma deciso, il ragazzo con gli occhiali si indirizzò verso le porte di uscita, porte automatiche che permisero il passaggio dei due amici senza alcun rumore. Quel palazzo poteva contenere almeno duecento persone, ma era stato costruito a prova di rumore. Non un cigolio si poteva udire, neanche le molle del materasso scaturivano il benché minimo stridio.

L’esterno, in strada, era tutto silenzioso. Una fitta coltre di nebbia era calata all’improvviso, limitando la visuale dei due amici di molto. Si poteva vedere almeno ad una distanza massima di 20 metri, il resto era tutto avvolto da questa strana nebbia che avvolgeva la città come un sudario. Le luci dei lampioni rischiaravano l’ambiente, ed Alex poté osservare la fuliggine della nebbia che danzava nell’aria grazie ai coni di luce. Inspirò l’aria nei polmoni, il dolciastro odore della nebbia subito lo aggredì. L’umidità presente nell’aria non fece altro che aumentare il raffreddore del povero Dratini che, imbacuccato e nascosto nel giaccone di Alex, continuò a starnutire. La testa del draghetto faceva capolino dal colletto dell’allenatore e, per un momento, Alex pensò che lui e il suo amico Pokémon sembravano essere un’unica cosa, un’unica persona.

Alex: -Stai bene, Dratini? Se vuoi, possiamo tornare indietro- Il draghetto scosse la testa e allungò il collo affusolato verso nord est, precisamente verso una fonte di luce verdastra situata piuttosto in alto rispetto al livello della terra. Alex strizzò gli occhi per osservare meglio quella grossa scritta e si accorse dopo un po’ che era l’orario digitale della torre orologio del parco di Lavandonia. La scritta, con un po’ di attenzione, recava la dicitura “00:24”. Alex decise dunque di dirigersi verso quella direzione, perché sapeva che l’orologio era stato costruito proprio in mezzo al parco cittadino.

Camminando con tranquillità per mezzo della sua stampella, Alex si inoltrò sempre più in una nebbia che appariva più densa mano a mano che si avvicinava al parco della città. Dratini canticchiò una canzoncina che aveva ascoltato poco prima nel Centro Medico per Pokémon e fu l’unico suono udibile in quel momento, oltre allo scalpiccio delle scarpe di Alex e del rumore metallico della sua stampella sul marciapiede. Il ragazzo con gli occhiali non poté neanche osservare il paesaggio cittadino, talmente la nebbia era concentrata. Qualche volta apparivano le insegne dei negozi, ma era tutto chiuso e se non fosse stato per la luce dei lampioni, non si sarebbe potuto vedere nulla. Il quadrante dell’orologio ormai era molto vicino e, dopo dieci minuti di camminata e di nebbia assoluta, finalmente Alex varcò il cancello di ferro del parco cittadino. L’atmosfera era un po’ sinistra con tutta quella nebbia e quel silenzio opprimente: tutto appariva calmo, troppo calmo per i gusti di Alex. Neanche un Pokémon era ancora sveglio in quel momento, tutti dormivano placidamente nei loro rifugi e nelle loro tane. Addirittura Dratini smise di canticchiare, talmente il silenzio lo schiacciava moralmente.

Dratini: -Forse… forse non è stata una buona idea giungere al parco a quest’ora della notte, poi con questa nebbia…- Non era neanche possibile osservare la bellezza del paesaggio floreale. Neppure un albero era possibile distinguere in quella fittissima nebbia e, tanto per rendere l’atmosfera ancora più inquietante, le luci dei lampioni del parco non tutte funzionavano.

Alex, fin da piccolino, era ossessionato da un punto in particolare: l’esistenza degli alieni. Non avendo mai avuto a che fare con la grandiosa specie dei Pokémon, il ragazzo con gli occhiali era solito leggere racconti di avventura e di fantascienza, e nel suo immaginario si era prefigurato immagini di grandi eroi che combattevano contro mostri malvagi, creature abominevoli, esseri provenienti da un altro pianeta. Da allora, Alex ha sempre avuto la paura di incontrare un essere proveniente dalle stelle. Quando riuscì a osservare per la prima volta un Pokémon con i suoi stessi occhi, per poco l’ultimogenito dei Blake non ci perse la vita dallo spavento: era convinto di avere a che fare con extraterrestri. Adesso, che era diventato un allenatore di Pokémon a tutti gli effetti, ripensò alle sue ingiustificate fobie e rise della sua fifa.

Alex: -Forse hai ragione… non pensavo ci fosse così tanta nebbia… per di più, non c’è nessuno a quest’ora della notte…- Non terminò neppure la frase che la sua riflessione sul fatto che lui e Dratini fossero da soli nel parco venne giudicata infondata. Qualcuno era presente nel parco, si potevano udire delle voci provenire dalla zona centrale del parco.

Incuriosito da quelle voci e soprattutto desideroso di chiacchierare con qualcuno, Alex si inoltrò nei tortuosi sentieri di terra battuta impregnati di nebbia con un certo stato di inquietudine nel corpo. Le viuzze erano tutte curve, alcune volte procedevano a zigzag, addirittura i percorsi tornavano indietro formando una curva stretta. Più di una volta Alex temette di aver perso la strada, ma le voci di quei personaggi si sentivano sempre più chiaramente: segno che il ragazzo ed il suo Pokémon si stavano dirigendo nella giusta direzione.

La zona centrale del parco era divisa da tutto il resto da una sottile striscia di fiume, che attraversava la riserva naturale orizzontalmente e che isolava il lembo di terra dove era stata costruita la grande torre ad orologio. La zona centrale appariva più come un’isola dove i punti di collegamento furono ponticelli di legno con ringhiere in ferro ed ottone. La nebbia in quel punto si mostrava quasi palpabile talmente era fitta in quella zona. I ponti, si diceva, erano presenti in quel parco, e ve ne erano parecchi che attraversavano il fiumiciattolo che scorreva tranquillo nel suo letto. Alex, giungendo da sud, dovette attraversare solo due ponticelli prima di arrivare finalmente sull’isolotto centrale dove era presente la torre e dove erano presenti quelle persone che stavano chiacchierando sommessamente. La nebbia era però così fitta che Alex dovette vagare a lungo prima di osservare la silhouette di due persone… di cui una delle quali sembrava non appoggiare i piedi a terra.

Alex e Dratini sgranarono gli occhi dal terrore quando osservarono queste due persone, o almeno le loro sagome: nei pressi della grande torre ad orologio costruita interamente di ferro, vetro e mattoni, una figura era alta, slanciata, dai grandi capelli color mogano, appoggiata di schiena contro la parete nord della torre. L’altra figura, quella che sembrava fluttuare in aria, apparve in tutta la sua oscurità: un drappo completamente nero l’avvolgeva come un sudario. Il fatto che questa seconda figura fluttuasse in aria riempì il cuore di Alex di puro e genuino terrore: i suoi pensieri fluttuarono e si depositarono immediatamente sulle stravaganti storie fantascientifiche sugli alieni che leggeva da bambino. Che quella figura davanti a lui fosse un alieno? Ma l’altra persona… non ne aveva timore? Dratini, terrificato anch’egli dalla visione di quei due misteriosi personaggi, tremò come una foglia e fece rabbrividire anche il petto di Alex, talmente il povero draghetto si dimenava sotto il suo giubbotto.

Dratini: -Alex… ti prego, andiamo via! Ho paura!- Anche lo stesso ragazzo con gli occhiali volle scappare via, ma qualcosa di imprevisto accadde. Forse per la paura, forse per il freddo che era calato nel suo animo, forse per disattenzione, ad Alex cadde la stampella di mano. Quella zona di pavimento dell’isolotto era completamente costruita in pietra levigata, e quando la stampella andò a cozzare contro il selciato, il rumore che ne scaturì spaventò quasi tutti i presenti nel parco. Alcuni Pokémon volanti dormienti appollaiati sugli alberi fuggirono all’unisono, sbattendo con foga le ali e spiccando il volo. Alcuni Pokémon d’acqua sbucarono fuori dai laghetti, creando un gorgoglio sinistro di sottofondo dovuto al continuo inabissarsi ed emergersi sul pelo dell’acqua. Fu insomma un fulmine a ciel sereno, con tanto di tuono. Le due figure oscure si accorsero immediatamente della presenza di un intruso nei pressi della torre orologio: la prima ad accorgersi ed a voltarsi fu la silhouette completamente avvolta dall’oscuro drappo. Alex fece solo in tempo ad accorgersi che questa figura possedeva un paio di occhi rosso fuoco luminosi, solo quello, perché non passò neanche un secondo che la nebbia inghiottì questa figura. Svanita, dileguata, scomparsa. Non c’era più traccia di questo personaggio, come se fosse stata un’illusione. Sull’isola centrale erano rimasti solo Alex, Dratini, e l’alta figura dai capelli color mogano, la quale si era staccata dalla parete e si stava dirigendo a grandi passi verso i due spauriti amici. Il volto collerico della donna (sì, Alex riconobbe il volto di una donna) non lasciava a pensare nulla di buono.

-Voi… voi due! Che cosa state facendo qui in giro a quest’ora della notte?! Con una nebbia così fitta, per giunta!- Alex osservò, seppure spaventato a morte, i lineamenti del volto della donna: occhi di un viola scuro, tenebrosi, viso scarno e fronte aggrottata, ma di una bellezza quasi infernale. Era molto alta, la frangia dei suoi capelli nascondeva una parte del viso, un cappotto lungo fino all’altezza delle ginocchia nascondeva tutto il suo corpo (magro). Appena la donna si accorse di essere osservata dal suo interlocutore, la sua ira crebbe nei confronti di Alex e Dratini.

-I bambini come voi dovrebbero immediatamente andarsene a dormire! È molto pericoloso avventurarsi di notte in questi posti!- Negli occhi della donna, però, apparve una luce sinistra che riempì Alex di rinnovato terrore. La donna si avvicinò un po’ di più verso Alex, e le parve di riconoscere il volto del ragazzino.

-Tu… tu devi essere Alex Blake! Maledizione…- Anche Alex riconobbe, dopo un certo periodo di tempo, l’identità della donna. Quella donna così alta e così misteriosa era nientemeno che Sabrina, la capopalestra di Zafferanopoli, considerata il maestro dei Pokémon psico. Che ci faceva lei a Lavandonia a quest’ora della notte? Alex, passata un po’ la fifa, iniziò a subissare la donna di domande, dapprima sbocconcellate e timide, poi sempre più incalzanti e perentorie.

Sabrina non rispose neanche ad una domanda del povero Alex (“Tu sei Sabrina?” “Che ci fai qui?” “Chi era quella persona con cui stavi parlando?” “Perché quella persona fluttuava in aria?”), ma la sua reazione fu nuovamente colma di rabbia. Con un dito della mano, indicò un punto imprecisato a sud ovest e, con voce colma di ira e sdegno, gridò al ragazzino di andarsene.

Sabrina: -Tu hai iniziato il tuo viaggio di allenatore insieme ad Ash Ketchum… torna indietro finché sei in tempo! Tornatene a Biancavilla, il più in fretta possibile! E non osare presentarti a Zafferanopoli!- Le grida della donna non solo stordirono Alex e Dratini, ma li riempirono nuovamente di angoscia e paura. L’assistente del Professor Oak volle controbattere, dicendo che dopo tutto quello che aveva passato sarebbe stata una follia tornare indietro, ma non poté controbattere, perché Sabrina si era dileguata per mezzo del Teletrasporto. Alex e Dratini, ben presto, si ritrovarono da soli, turbati e tremanti, nel ben mezzo del parco cittadino, avviluppati nella più fitta nebbia mai incontrata in vita loro.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: alaal