Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: _Frame_    26/03/2017    6 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
---
[On going: dicembre 1941]
---
[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

120. Speranza e Primavera

 

 

Diari di Germania

 

Già prima di quella notte al Passo del Brennero, già prima di quell’incontro con Italia, avevo messo in dubbio lo scopo e le motivazioni che mi avevano spinto a scatenare quella guerra, a coinvolgere così tante nazioni, a correre il rischio di stravolgere in maniera permanente gli equilibri globali. Ci avevo riflettuto molto, e alla fine avevo accettato di percorrere quello che era il mio destino, di abbracciare la mia natura di nazione belligerante e di seguire quello che la mia testa mi diceva, quello che tutti gli insegnamenti di mio fratello tornavano a ricordarmi ogni volta in cui mi trovassi assalito dai dubbi. 

Dentro di me, ho sempre cercato di seguire la ragione, e ciò che la mia testa mi ha sempre detto era che io dovevo combattere per diventare il paese su cui tutto il mio popolo aveva riposto fiducia e vita. L’unico che è sempre riuscito a mettere in dubbio e a farmi ricredere su questo lato di me è sempre stato Italia.

Quel giorno mi arrabbiai. Mi arrabbiai primo fra tutti con Italia, e solo dopo mi resi conto che in realtà la collera che provavo era soprattutto nei riguardi di me stesso.

Vidi la ferita al petto, sul cuore, e vidi la croce di ferro che continuava comunque a pendere dal suo collo, ad aderire alla sua pelle come una seconda cicatrice. Mi sentii responsabile delle scelte che aveva compiuto, della catastrofe che aveva travolto il suo esercito, delle ferite che aveva ricevuto, e del fatto che avesse sfiorato la morte. Non gli avevo dato abbastanza sicurezza, avevo ignorato i suoi timori, le ombre del nostro passato, e dato per scontato il fatto che si sentisse protetto nell’Alleanza. Nel nostro rapporto, il mio errore è sempre stato questo: io ho sempre ignorato i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni, pensando unicamente a quello che Italia significava per me, e non a quello che io significavo per lui. Ho sempre dato per scontato che lui si fidasse ciecamente di me, che mi avrebbe seguito in qualsiasi decisione – volevo sperarlo soprattutto a causa del Primo Conflitto, aggrappandomi solo alla convinzione che Italia sarebbe stato troppo terrorizzato dall’idea di dividerci per commettere di nuovo gli stessi errori. Le conseguenze di questo mio atteggiamento nei suoi riguardi non sono tardate ad arrivare, ovviamente.

Quella notte trascorsa assieme riuscì a riappacificarci, fece chiarezza nelle menti di entrambi, ma il pericolo non era comunque finito. Pensai per tutta la notte alla promessa che ci eravamo scambiati, così simile a quella che aveva rischiato di rompere per sempre il nostro legame nel passato. Non avrei voluto fargli quella promessa, avevo paura di non riuscire a mantenerla, ma avevo anche timore delle conseguenze che ci sarebbero piovute addosso se non avessi accettato quel patto di fiducia con Italia.

Era una promessa pericolosa e irrealizzabile, come poi si è rivelata essere per davvero. Non avremmo mai dovuto stringere un patto simile. 

L’ho capito troppo tardi, quando, oltre ad aver perso Italia, avevo perso anche me stesso.

 

.

 

Diari di Italia

 

Quella notte la ricordo come un bellissimo sogno. Ogni tanto continuo davvero a chiedermi se sia davvero avvenuta o se me la sia semplicemente immaginata per dare a me stesso una sorta di conforto dopo tutto il dolore di quei mesi lontano da casa, lontano da Germania.

Però sentivo comunque di non meritarmela.

Mentre io dormivo al caldo, su un letto, con delle coperte morbide, stretto fra le braccia di Germania, Romano era ancora in Grecia, a tremare in mezzo alle montagne ghiacciate, nel freddo, nel vento e nella fame assieme ai nostri soldati. Io che ero stata la causa di tutto, invece, potevo concedermi quella notte lontano dal nostro Inferno.

Soffrivo perché mi sentivo in colpa, soffrivo perché ero tanto stanco e avrei davvero voluto riposare al caldo anche solo per una notte, soffrivo perché sapevo che mi sarei svegliato odiando me stesso. Non sapevo davvero più cos’era giusto fare.

Ogni tanto, durante la notte, quando il dolore si faceva più intenso e i ricordi tornavano a riaffiorare, più vivi che mai, mi stringevo di più a Germania e cercavo di sopprimere la voglia di chiedergli di tenermi lì con lui, a casa, di portarmi via da tutto, di dimenticarci della campagna, di restare solo io e lui, lontano dal resto del mondo, esattamente come avevo fatto con il nonno quando lo avevo sognato. Poi per fortuna riuscivo a calmarmi, ma la paura di dover di nuovo tornare indietro rimaneva a stringermi il cuore.

A un certo punto non sapevo più davvero cosa pensare. Quando Germania mi aveva abbracciato, avevo provato così tanti sentimenti che mi sembrava di scoppiare. Ero sollevato perché avevo capito che non mi odiava, quindi ero felice, ma ero anche triste perché mi ero reso conto di quanto aveva sofferto anche lui, di quanto le mie azioni avessero causato dolore anche agli altri e non solo a me stesso.

La notte trascorse veloce. Nei momenti in cui riuscivo ad addormentarmi crollavo davvero, e il mio sonno era pesante, senza sogni.

Mentre dormivo, ripensavo alla nostra promessa. Ora non avevo più paura di perdere la guerra, non avevo più paura di morire, di scomparire, perché sentivo che tutto quello di cui avevo bisogno era lì accanto a me e mi aveva giurato che non mi avrebbe mai lasciato, che saremmo rimasti insieme per sempre, anche a costo di morire assieme in mezzo alle ceneri delle nostre nazioni.

Se penso che alla fine sono stato proprio io a infrangere la promessa...

Non l’ho ancora perdonato a me stesso, ma ora so di non averlo fatto per semplice paura.

Io ho infranto il nostro giuramento perché mi resi conto che i sentimenti che provavo per Germania erano sbagliati. Il legame che si crea fra due nazioni non potrà mai essere come quello che si forma fra le anime di due esseri umani e, al contrario di quello che pensavo e che desideravo, non deve nemmeno esserlo. Quello che io volevo a quel tempo non era arricchire il mio paese, non era riempirlo di glorie e onori, non era primeggiare sulle altre nazioni. Tutto ciò che desideravo era creare un mondo in cui io e Germania avremmo potuto vivere per sempre felici e uniti, esattamente come due esseri umani.

Era un desiderio irrealizzabile. Un desiderio sbagliato a cui non avrei nemmeno dovuto pensare.

L’ho capito troppo tardi, quando, oltre ad aver perso Germania, avevo perso anche me stesso.   

 

.

 

La neve cadeva copiosa contro le vetrate delle finestre, sollevava il suono di un soffice e ritmico picchiettio, gonfiava il silenzio che avvolgeva il giardinetto incorniciato dal bosco completamente avvolto nel bianco che riposava nella fredda aria notturna. I fiocchi battevano di striscio sulla finestra, si scioglievano, e i grumi di ghiaccio colavano di traverso addensandosi sul cornicione già incrostato di neve. Il vetro cristallizzato luccicava a contatto con i fasci di luna che scendevano l’aria della notte e battevano sul suolo tondeggiante, morbido e immacolato, macchiato solo dalle ombre degli alberi spogli. La luce lunare attraversata dalla caduta della neve si infilava nei vetri come un fascio di lame d’argento, sfiorava le tendine tirate in disparte e bagnava la camera avvolta in un dolce e pacifico silenzio. Le ombre dei fiocchi di neve danzavano fra le pareti tinte dal blu notte riflesso dal cielo. Il loro volteggiare silenzioso era interrotto solo dai flebili e regolari respiri di Italia, sdraiato sul fianco, la guancia a riposare sulla spalla di Germania, un braccio avvolto al suo torso e le dita intrecciate alle sue, le mani a tenersi strette fra i loro busti, le fronti vicinissime.  

Italia chiuse gli occhi, prese un respiro più profondo, le spalle si mossero sotto il braccio di Germania, il petto si gonfiò e fece scivolare la croce di ferro fra le pieghe del cuscino. Il ciondolo cadde di sbieco e trillò battendo uno spigolo contro la croce di Germania. Le collane rimasero intersecate in un tocco delicato, timido come le soffici carezze che correvano dietro la nuca di Italia: il tocco di Germania scendeva morbido fra i capelli, disegnava il profilo del capo dietro l’orecchio, e tornava a scivolare con delicatezza.

Li avvolgeva un caldo e profondo senso di pace. La neve che spolverava il paesaggio notturno fuori dalla finestra e il suo silenzio che ovattava i suoni del bosco li isolavano nella loro bolla di serenità estraniata dal mondo, dove esisteva solo il tepore del loro tocco intrecciato, il suono lieve dei loro respiri e dei battiti dei loro cuori che pulsavano lenti e regolari accanto alle orecchie.

Italia schiuse di poco le palpebre, gli spicchi degli occhi scuri brillarono toccati dalla luce della neve, e lo sfarfallare delle ciglia sfiorò la spalla di Germania su cui premeva la sua guancia. Si strinse di più a lui, intrecciò i piedi alle sue caviglie, chiuse il braccio che gli aveva avvolto attorno al fianco, e poggiò la fronte sul suo petto, avvicinandosi al suono del suo battito. Il pensiero di dover tornare a combattere in Grecia, a respirare aria polverosa e ghiacciata, a marciare nel fango e nella neve che si infila sotto i vestiti raggelando le ossa, a soffrire la fame e la sete, a lottare sopportando il doloroso senso di vuoto scavato nel suo petto, scacciò via la bella e tiepida sensazione di essere di nuovo avvolto dal suo abbraccio, carezzato dal suo tocco e consolato dal suono del suo respiro accanto alla guancia. Cancellò la sensazione di essere a casa e al sicuro.

Italia gli strinse di più la mano, tenne lo sguardo basso sull’intreccio delle croci di ferro fra i loro busti, dove i ciondoli brillavano di argento. “Cosa dovrò fare adesso?” mormorò. Le sue parole caddero morbide e delicate come la neve che si spandeva sul vetro della finestra.

Germania passò di nuovo il tocco dietro la sua nuca, le punte delle dita corsero fra le sue ciocche di capelli ancora umidicci e tiepidi dell’acqua del bagno. Sollevò gli occhi, premette la guancia in un punto più alto del cuscino, e guardò fuori dalla finestra. Le sue iridi divennero blu come la notte, brillarono toccate dal riflesso cristallino del ghiaccio. “Resistere,” gli rispose. “Solo questo.” La mano stretta a quella di Italia ebbe un fremito. Germania mosse le dita fra le sue, le nocche gli sfiorarono il petto dove sentiva ancora premere il dolore della cicatrice che correva anche sotto la sua stessa pelle, scavando nella sua stessa carne e trafiggendo il suo stesso cuore. “Considerando sia le tue condizioni sia quelle dei soldati, ormai è impossibile riproporre un attacco contro Grecia.”

“E marzo?” domandò Italia con tono titubante. “Io posso...” Sollevò anche lui lo sguardo, gli sfiorò la fronte con la sua facendogli solletico con le ciocche della frangia, le punte dei nasi si toccarono. “Io posso provare di nuovo, se vuoi, anche prima che arrivi tu.”

Germania sospirò, tenne gli occhi distanti e socchiusi, macchiati ancora da quell’alone di colpevolezza. “È pericoloso, Italia.”

Italia annuì. “Lo so, ma...” Strinse forte la mano, si aggrappò al suo calore, a quel senso di protezione che gli era tanto mancato, e rannicchiò le ginocchia sfiorandogli il ventre, facendosi più piccolo all’interno del suo braccio che gli avvolgeva le spalle. “Ma se io vincessi solo grazie al tuo aiuto,” scosse il capo strofinando la tempia sull’avambraccio di Germania, “allora non cambierebbe nulla. Se sconfiggessimo Grecia dopo il tuo arrivo, allora io rimarrei lo stesso quella nazione debole che nessuno considera mai sul serio. Persino Grecia non avrebbe rispetto di noi e della nostra vittoria.” Un tremolio di dolore gli attraversò lo sguardo, tornò a premergli sul cuore, dove la cicatrice bruciava. “E non è questo che voglio.”

Anche lo sguardo di Germania rimase avvolto nel dubbio, la stretta forte e sicura attorno alla mano di Italia, ma il suo corpo più rigido, di nuovo impietrito come sulla piattaforma della stazione, e come quando si era trovato davanti al suo corpo ferito toccato dalla luce lattea che si specchiava sulla sua pelle cicatrizzata. Sospirò, sconsolato, e abbassò le palpebre. “Se proprio vuoi tentare un’altra offensiva prima della primavera, allora ti invierò delle truppe di supporto.” Mosse le dita intrecciate a quelle di Italia, passò il tocco del pollice da una nocca all’altra, gli carezzò lievemente il palmo. “Questo è tutto quello che posso fare per ora.”

Italia sollevò le sopracciglia, gli cercò il viso nascosto dalla penombra, e un barlume di speranza gli incurvò un piccolo sorriso. “E poi verrai a prendermi?”

Germania si costrinse a non guardarlo negli occhi, a tenere il viso lontano da quello sguardo implorante così simile a quello che Italia gli aveva rivolto appena sceso dal treno, quando gli era corso incontro sperando di appendersi a un abbraccio che lui non aveva saputo dargli. Rimase cauto. “Io non sono ancora formalmente in guerra contro Grecia, e per attaccare lui correrò anche io dei rischi. Saremo costretti a riequilibrare tutti gli assetti europei.” Tornò a stringere la mano di Italia, gli trasmise una spinta di coraggio. “Ma verrò.”

Italia sospirò, il suo petto si alzò sfiorando quello di Germania, una scossetta di gioia gli attraversò il sorriso. “Davvero?”

Germania annuì. “Non subito, però,” gli disse. “Se agissimo con condizioni a nostro sfavore, c’è il rischio di non riuscire a superare i nodi stradali, e a quel punto diventeremmo semplici spettatori di quello che accade a voi, senza poter intervenire. Sarebbe troppo svilente per il tuo esercito.” La mano ancora immersa fra i capelli di Italia gli passò un’altra soffice e timida carezza dietro la nuca, sfiorandogli l’orecchio. Germania abbassò lo sguardo e incontrò i suoi occhi, così scuri e profondi nell’ombra che si addensava fra le loro fronti. “Non è questo che vuoi, no?”

Italia capì, e quel brivido di gioia tornò a raffreddarsi, il battito del suo cuore tornò pesante e doloroso. Scosse il capo di nuovo, sconsolato. “No.” Si accoccolò al torso di Germania e spostò la guancia dal suo avambraccio alla sua spalla, avvicinò la fronte al suo petto sfiorando la sua croce con le labbra. “Faremmo di nuovo una brutta figura.”

Germania rilassò la tensione sul viso, tornò a guardare oltre la spalla di Italia, verso la finestra ancora macchiata di neve, sulla quale i fiocchi continuavano a battere come tante ditate e a sciogliersi colando attraverso il paesaggio bianco e luccicante. I suoi occhi guardarono lontano, un pensiero tornò a irrigidirgli il respiro nel petto, lo spinse a chiudere l’abbraccio attorno al corpo di Italia. “Poi c’è da tenere in considerazione anche l’intervento di Bulgaria, e la possibilità che anche Turchia si metta di mezzo.” Soffiò un sospiro più abbattuto, il suo respiro fece dondolare una ciocca di capelli di Italia. “Non è una situazione facile.”

Una dolorosa fitta di colpevolezza attraversò il cuore di Italia, gli ghiacciò il respiro, bruciò attraverso il taglio cicatrizzato, e lo spinse a mordersi il labbro per contenere un gemito. Italia spinse la fronte contro la spalla di Germania, si fece piccolo, rintanandosi sotto il braccio avvolto attorno a lui, e la sua voce fu scossa da un tremito. “Mi...” Tenne le lacrime in gola, nascose nel buio lo sguardo addolorato. “Mi dispiace di aver rovinato tutto.”

Germania aprì la mano dietro il suo capo, gli massaggiò piano i capelli, le dita intrecciate alle sue chiusero leggermente la presa, non lo lasciarono solo. “Possiamo ancora fare in modo di volgere il tuo errore a nostro vantaggio. Conquistando Grecia, allora potremo chiudere il dominio del Mediterraneo, e usare Creta come contatto con le coste africane e come punto nevralgico di riferimento per il dominio del mare. Prima o poi avremmo sicuramente dovuto conquistare il Peloponneso.” Si strinse nelle spalle. “Solo che tu hai scelto il modo e il momento sbagliato per farlo.”

“È che volevo solo...” La voce di Italia tremò di indecisione. “Era l’unico modo che conoscevo per farti capire che io...” Strinse anche lui la mano aggrappata alla presa di Germania, in un istintivo moto di paura. I suoi occhi si fecero più bui, il tono di voce più profondo. “Che questa volta io farò qualunque cosa per poter rimanere assieme a te, e che non avrò paura di nulla, che non mi lascerò spaventare da niente.” Tornò a sollevare gli occhi, finì abbagliato dalla luce della luna e dalle ombre dei fiocchi di neve che danzavano sulle sue guance. Il suo sguardo si intristì, tornò a cercare un segno di approvazione in quello di Germania, come aveva fatto sulla piattaforma della stazione. La luce dei raggi d’argento gli scivolò attraverso le iridi, rendendole lucide. “Non mi odi, vero?”

Anche Germania tornò a provare una fitta di dolore al petto. Allontanò gli occhi dai suoi. “No.” Gli passò un’altra carezza lungo la curva del capo, strinse le dita fra i capelli, il suo tono si fece più deciso. “Non ti odio, Italia. E ti aiuterò,” gli promise. “Siamo alleati e ti aiuterò.” Perché è stata la tua paura ad allontanarci durante la scorsa guerra, la stessa paura che ero stato io a trasmetterti e che non avevo saputo riconoscere fino a che tu ti sei allontanato. Gli tornò in mente lo sguardo addolorato di Italia circondato dalla neve che cadeva sulla stazione, quel dolore che aveva già fronteggiato anni prima, quando si era trovato davanti a lui con le gambe immerse nell’Isonzo e il fucile mirato al suo petto. Scosse via i ricordi. “Non dovrai mai avere paura che io possa abbandonarti.” Non riuscì nemmeno lui a capire se lo stesse dicendo a Italia o a se stesso. “È per questo che stiamo lottando entrambi.”

Italia annuì, gli avvolse le braccia attorno alle spalle. “Per creare un mondo in cui non ci saranno più guerre a dividerci.”

“Sì.”

Italia sorrise, e fu un sorriso tenero, il più dolce che gli avesse toccato le labbra da quando era arrivato al Brennero. Avvolse un piede attorno alla caviglia di Germania, fece scivolare le braccia attorno ai suoi fianchi e rotolò più vicino al suo ventre; il busto accostato al suo, a muoversi assecondando il suo respiro, l’orecchio posato sul petto, a udire il battito del cuore e il leggero respiro che gli soffiava fra i capelli umidi. Un intenso sentimento di gioia gli gonfiò l’animo, corse attraverso il sangue fiorendo sulle guance, colorandogliele di rosa. Italia emise una soffice risata che vibrò anche attraverso il petto di Germania.

Germania sollevò un sopracciglio. “Perché ridi?”

Italia scosse le spalle. “Pensavo.” Strinse le braccia chiuse attorno alle sue spalle e gli sfiorò il collo con le dita. Le croci di ferro tintinnarono fra loro, fecero da eco alla sua voce. “Abbiamo tutti e due combattuto così tante guerre, così tante battaglie. Abbiamo lottato assieme e abbiamo lottato anche uno contro l’altro, ma in un modo o nell’altro riusciamo sempre a ritrovarci e a stare assieme come vogliamo.” Tornò quel moto di gioia ad alleggerirgli il cuore, a rendergli le guance più calde e il sorriso più luminoso. “È una specie di magia.”

Germania sollevò un sopracciglio e girò subito la guancia, fece uno sguardo schivo. “È naturale che due paesi nelle nostre posizioni sociali instaurino questo genere di legame.”

Italia fece roteare lo sguardo, ma senza far svanire il sorriso.

Germania tossicchiò. “Io ho...” Prese un profondo respiro gonfiando il petto sotto le braccia di Italia, e sul suo volto si dipinse la stessa espressione di dolore e pentimento che lo aveva toccato quando si era accorto della cicatrice. “Ho fatto degli errori in passato nei tuoi confronti, Italia.”

Italia sollevò le sopracciglia, sbatté due volte le palpebre. Posò il mento sul suo sterno e gli rivolse uno sguardo incuriosito.

Germania tenne la guancia girata, gli occhi lontani, quella vibrazione di dolore a intristirgli la voce. “Ed è anche per questo che ora non voglio più che accadano certe cose fra di noi.”

Quella gioia che prima si era infiammata nell’animo di Italia sbiadì come una fiammella morente, gli trasmise un freddo senso di sconforto. Italia abbassò lo sguardo. “Già,” sussurrò. Tornò a posare la guancia sul petto di Germania, strinse le dita di una mano dietro la sua nuca, intrecciandole ai capelli, e fece scivolare la mano libera, unendola a quella che Germania gli teneva sul fianco. “Anche io, sai...” La spremette delicatamente. “Anche io ho fatto degli errori, in passato.” Anche io ho accettato di separarmi da qualcuno a cui volevo bene, promettendo a me stesso ogni giorno che se lo avessi rincontrato, anche una volta sola, non lo avrei mai più lasciato andare. “Anche io non voglio fare di nuovo gli stessi errori con te. Perché tu...” Chiuse gli occhi, girò la mano, raccolse il palmo di Germania intersecando le dita, e chiuse la stretta. Sussurrò le parole accanto alla sua spalla. “Tu per me sei più importante di qualsiasi guerra.”

Avvolto nel suo abbraccio, stretto nel suo calore familiare e rassicurante, provò la stessa piacevole ed estraniante sensazione in cui si era ritrovato quando aveva incontrato Nonno Roma, quando si era fatto stringere, carezzare i capelli e consolare, soffocando il pianto nella sua veste.

La timida e delicata carezza di Germania divenne quella più ferma del nonno, il suo respiro si fece più profondo, soffiò il ricordo di quelle dure parole che erano rimaste a cicatrizzargli il cuore come un secondo proiettile. “La Storia è destinata a ripetersi,” gli disse il ricordo di Nonno Roma. “Esattamente come i tuoi sentimenti saranno nuovamente messi davanti alle stesse prove.” Quelle parole lo penetrarono come una spina di ghiaccio, lo fecero sussultare. Italia riaprì gli occhi, increspò le sopracciglia in un’espressione scossa. Una gocciolina d’acqua piovve dai capelli umidi e gli attraversò la fronte, scivolò di fianco a una palpebra sbarrata. Trattenne il respiro sentendo il cuore accelerare, e dovette stringere di nuovo la mano a Germania per non sentirsi sprofondare nel buio del ricordo.

“Germania.”

Germania percepì la scossa di paura trasmettersi dal tocco di Italia. “Mh?” Gli carezzò la nuca. “Cosa c’è?”

Italia si morse un labbro, soffocò la voce. “Noi non...” Gli rivolse gli occhi scuri nell’ombra, privati del riflesso luminoso della caduta della neve. Lo sguardo titubante e in qualche modo colpevole. “Non stiamo facendo nulla di sbagliato, vero?”

Anche Germania irrigidì, toccato dal dubbio e dalla confusione. Il suo viso buio nella penombra spanta dalla notte.

Italia si chiuse nelle spalle, si fece piccolo e strinse i piedi sfregando le punte fra le caviglie di Germania. “Nel volere rimanere assieme e nel...” Stropicciò le dita sulla sua spalla. “Nel rimanere legati fra noi in questa maniera. Anche se siamo nazioni...” Sbucò di nuovo quel piccolo sorriso ad addolcirgli lo sguardo incerto, gli occhi di nuovo luccicarono in cerca di approvazione. “Va bene lo stesso, vero?”

Di nuovo Germania si sentì trafitto. Di nuovo sorse quel brivido di esitazione, quel sussurro interiore che lo spingeva ad allontanarsi e a scostare lo sguardo, a schivare le parole di Italia. “S-sì,” balbettò comunque. “Cioè, non è sbagliato.” Ma una scura espressione di indecisione gli attraversò lo sguardo girato. “A patto che continuiamo ad agire e a compiere le nostre scelte mettendo i nostri paesi e il nostro popolo in primo piano.”

La stessa fredda sensazione di disagio si trasmise anche a Italia, ammosciò il suo sorriso. “Oh.” Si accoccolò con la guancia sul suo petto e annuì. “Capito.”

Fuori dalle finestre, la nevicata crebbe più insistente, più cruda, i fiocchi battevano violenti addosso al vetro incrostandolo di ghiaccio e inspessendo la lastra che isolava la camera dall’esterno, ingrossando la bolla di silenzio che circondava il loro abbraccio.

Italia sospirò a fondo, fece scivolare le ginocchia lungo le gambe di Germania, le sue mani scesero dalle spalle a cui erano aggrappate, si posarono sul suo petto, dove premeva la guancia, dove batteva il cuore. “Mi prometti una cosa?”

Germania girò la guancia per guardarlo in viso, sollevò un sopracciglio mimando sguardo interrogativo, e i suoi occhi tornarono in luce, tingendosi di blu.

Italia gli rivolse uno sguardo triste, il riflesso della neve si sciolse sulle sue guance facendo somigliare le ombre dei fiocchi allo scorrere di lacrime grigie. “Che non permetteremo mai più a una guerra di dividerci.”

Germania esitò. Rimase rigido, il fiato sospeso, e quello sguardo scosso e confuso che non riusciva a separare da quello di Italia.

Italia si strinse fra le sue braccia, rintanò lo sguardo contro la sua spalla. “Le guerre mi hanno portato via tutto,” disse. “Mi hanno portato via dalla mia casa quando ero piccolo, mi hanno separato da mio fratello, hanno portato via il nonno e anche...” Si morse il labbro, ringoiò la frase prima che gli scappasse di bocca. Sfregò gli incisivi sulla carne rigonfia del labbro e farfugliò a bocca stretta. “E non voglio che portino via anche te.”

Anche Germania abbassò gli occhi, li spostò sul luccichio d’argento che brillava fra i loro busti: l’intreccio delle croci di ferro che li teneva allacciati come gli anelli di una catena.

Italia chiuse l’abbraccio in una stretta soffice e avida allo stesso tempo. “Anche quando la guerra sarà finita, anche se...” La sua voce esitò, un tremito gli attraversò la schiena. “Anche se dovessimo perdere e anche se le nostre nazioni dovessero venire distrutte...” Sollevò la fronte, le punte dei capelli umidi scivolarono agli angoli delle palpebre, incorniciarono due occhi larghi e baciati dal riflesso della luna e della neve. Italia chiuse le dita, inspirò muovendo il petto su quello di Germania, e gli sussurrò piano. “Promettimi che non ci abbandoneremo mai più.”

Una fitta di paura più intensa e viscerale ghiacciò il respiro di Germania. Perdere la guerra... Posò di nuovo lo sguardo su quello di Italia, su quegli occhi dolci che lo cercavano e che si fidavano di lui, si lasciò stringere dal suo abbraccio, senza sottrarsi, e per una notte decise di dimenticare tutte le guerre che si erano alzate fra loro come un muro. Sollevò una mano e gli sfiorò la guancia con le nocche, la sua carezza ruvida percorse il profilo tondo e morbido della guancia di Italia. “Te lo prometto.”

Italia sorrise. Chiuse gli occhi e il suo viso si tinse di serenità, l’espressione più morbida e distesa, il respiro più rilassato. Poggiò il capo sulla spalla di Germania e cominciò ad addormentarsi.

Germania però non riuscì a chiudere gli occhi. Spostò lo sguardo alla finestra, ancora titubante, e le loro ultime parole continuarono a ronzargli in testa, fitte e fredde come la turbinante caduta della neve.

Anche se le nostre nazioni dovessero essere distrutte. Quel pensiero tornò a scuotergli l’anima, a scavare un vuoto nero nel suo cuore e a riempirglielo di un senso di angoscia nero e colloso come pece. Un legame del genere fra me e Italia... Mosse le dita intrecciate alle sue senza nemmeno pensarci. Che sia stato questo ad averci spinto a separarci, l’ultima volta? si chiese. E se stessimo di nuovo commettendo lo stesso errore? Se fosse questo ciò che continua a dividerci?

Sospirò, si girò di fianco sfiorando la fronte di Italia con la sua, e le croci di ferro tornarono a scuotersi, a sollevare quel trillo cristallino fra di loro. Non posso tradire la fiducia di Italia. Socchiuse le palpebre, e gli occhi assunsero una sfumatura avvilita, rassegnata. Ma forse io e lui non siamo destinati a condividere questo legame, perché ogni volta che ci avviciniamo... Chiuse gli occhi, gli strinse la mano, di nuovo spaventato dall’idea di sentirla scivolare via. È sempre questo che fa esplodere una guerra.

Si addormentarono entrambi avvolti dal silenzio della nevicata, uniti dal peso delle catene che stavano forgiando attorno ai loro polsi e attorno ai loro cuori.

 

.

 

Una nebbiosa e fitta sensazione di stordimento riempiva la testa di Italia, creava un cupo silenzio che gli fischiava nelle orecchie, il suono sgranato di un rumore bianco, e batteva sulle tempie a ogni flebile respiro che soffiava dalle sue labbra contro la stoffa del cuscino. Italia aveva la sensazione di avere la testa piena di sabbia, così tanta che gli usciva dalle orecchie. La sabbia riempiva anche le sue membra, rendeva i muscoli molli, giacenti inermi sotto l’abbraccio delle coperte tirate fin sotto il naso, le ossa pulsavano di dolore fra le giunture delle anche e dietro le spalle, le braccia raccolte davanti al petto avevano perso sensibilità. Rannicchiò le ginocchia sfiorandosi la pancia, e qualcosa all’altezza della colonna vertebrale scricchiolò. Le ciglia unite fremettero, il brivido attraversò le palpebre chiuse, stropicciò le increspature agli angoli degli occhi, e gli scaricò una piccola scossa di emicrania attraverso la fronte e le tempie. Italia soffiò una smorfia di dolore, strinse di più gli occhi, e le mani si chiusero sull’orlo della coperta, la tirarono davanti alla fronte.

Il rumore bianco che fioccava nelle sue orecchie si spense lentamente, come il volume di una radio che si abbassa, e lo sostituì quello più morbido che picchiettava sulla finestra, come tante deboli ditate tamburellate sul vetro.

Il calore cominciò a formicolare attraverso il corpo, dal ventre lungo le gambe, raggiunse i piedi e Italia ne arricciò le punte, sfregandole fra le lenzuola. Prese un respiro umido e caldo da sotto le coperte che profumavano di naftalina e del sapone che aveva usato la sera prima per farsi il bagno. Si rotolò sul fianco e un raggio di luce cinerea gli sfiorò il viso, scivolando sopra le palpebre.

Italia stropicciò un mugugno contrariato. “Mhm...” Sfilò una mano da sotto le coperte e sfregò le nocche contro le palpebre gonfie di sonno e ancora pesanti di stanchezza. Il senso di confusione e stordimento gli ronzava attorno alla testa producendo il sottile e fastidioso ronzio di un piccolo trapano in azione.

Dove sono?

Riconobbe il suono della neve che picchiettava sui vetri e non direttamente sul suo corpo, il profumo di legno della camera e non quello di fumo o di ghiaccio di una tenda da campo, la consistenza morbida del materasso e non quella dura del suolo di terra.

Un lampo di realizzazione gli attraversò la mente, gli fece aprire gli occhi con un sussulto. Oh, già, al Brennero. La camera era sfocata da una polverosa luce grigia che filtrava dal sottile spacco in mezzo alle tende. Italia sbatté le ciglia tre volte. Ma cosa...

Un brivido di freddo gli corse lungo la schiena, evocò un pesante senso di vuoto che gli trafisse il cuore, dandogli l’impressione di precipitare nelle profondità del letto. Germania non c’era.

Germania!

Si alzò di scatto, la coperta scivolò ai fianchi, e voltò il viso a destra e a sinistra, tastando prima i cuscini, poi le pieghe del lenzuolo, e poi gli orli del materasso, fino a incontrare uno dei pomelli di legno. Trovò il letto vuoto e freddo. La stessa sensazione che scavò un senso di delusione anche nel suo petto.

Italia sospirò, tornò a chiudere gli occhi.

Non è rimasto.

Si lasciò scivolare di nuovo con la testa sopra il cuscino, rotolò sul fianco avvolgendosi nella coperta, e rannicchiò le gambe alla pancia, facendosi piccolo e stretto come un riccio in una calda tana di foglie secche.

Potrei andare io a dormire con lui nella sua camera. Socchiuse un occhio, buttò lo sguardo sul comodino accanto alla testiera del letto. Il debole raggio di luce grigia e nebbiosa che entrava dalla finestra batté sulla sveglia, disegnandone il profilo rotondo. Chissà che ore sono?

Italia rimbalzò sull’orlo del letto senza sfilarsi dal bozzolo di coperte, fece sgusciare un braccio fuori dalla tana e tese la mano verso il comodino. Tastò la superficie di legno e si aggrappò alla sveglia, espose l’ovale sotto il raggio di luce. La lancetta dei secondi superò il numero nove, le lancette più grosse segnavano le tre e sette minuti.

Italia soffiò un sospiro di sconforto, e il carico di stanchezza tornò ad abbattersi sul suo corpo, come una secchiata di sassi piovuta dal cielo.

Le tre di notte. Abbracciò la sveglia ticchettante e schiacciò la faccia sul cuscino, vagì un mugugno di delusione. Ho dormito solo quattro ore?

Un altro tocco di luce gli pizzicò il volto. Italia girò la guancia ancora accaldata di sonno, riaprì le palpebre sbattendole un paio di volte per spannare la vista, e le tenne socchiuse per guardare attraverso lo spazio che brillava fra le tende.

Che luna accecante! Scostò le coperte a malincuore, tenne la sveglia stretta a una mano, si sfregò le braccia e le cosce per tenersi caldo e sopprimere i brividi improvvisi, e posò i piedi sul pavimento. Sarà perché si riflette sulla neve?

Camminò verso le finestre, infilò due dita fra le tende e le scostò, assottigliando le palpebre per resistere alla luce. Nevicava ancora. Fiocchi bianchi come petali di margherita turbinavano sul giardino incorniciato dal boschetto, lo rendevano gonfio e tondeggiante proprio come una distesa di cuscini. Raggi grigi filtravano fra i rami degli alberi imbiancati e battevano sul suolo, lo facevano scintillare come una distesa di cristalli.

Italia sollevò un sopracciglio, nacque un barlume di sospetto. Ma... Sollevò di più la fronte, fino a sfiorare il vetro ghiacciato, salì sulle punte dei piedi e incontrò un globo di luce lattea e appannata fra le venature degli alberi spogli. Sbatté due volte le palpebre con aria intontita. Quello è il sole. Si grattò dietro l’orecchio, flesse il capo di lato, e i pensieri ancora annebbiati di sonno ronzarono più velocemente attorno alla testa, senza riuscire a comporsi. È giorno?

Buttò l’occhio sulla sveglia ticchettante che ancora stringeva fra le dita. La sollevò mettendola sotto la luce, e seguì il movimento della lancetta dei secondi che passava il numero dodici. Ora erano le tre e dieci.

Italia sbatté gli occhi, restò in silenzio, immerso nel suono soffice della neve che si scioglieva battendo sul vetro, e realizzò.

Sgranò le palpebre, sbiancò in viso, il cuore cadde in fondo allo stomaco, e lui si schiaffò la mano sulla guancia. Cacciò uno strillo di terrore e vergogna.

“Sono le tre di pomeriggio!”

 

.

 

Italia svoltò correndo una curva del corridoio, rimbalzò su un piede solo per non andare a sbattere sul muro, e si infilò la prima manica della giacca che non aveva ancora indossato. Riprese l’equilibrio, appoggiò il piede a terra facendo singhiozzare la suola, e ricominciò a correre attraverso le pareti del corridoio, già boccheggiando per il fiatone. Infilò anche l’altra manica, ma la mano gli rimase impigliata e dovette sbattere il braccio come un’ala per indossarla.

Sul suo viso comparve un’espressione tesa e afflitta, ancora scossa come quando aveva posato gli occhi prima sul sole e poi sulla sveglia.

Dovevo approfittare del viaggio qui per fare bella figura con tutti, rimuginò, e alla fine ho dormito tutta la mattina senza nemmeno farmi vedere.

Svoltò un’altra curva, fece altri tre saltelli, si aggrappò al muro con le mani per non finire scaraventato via, e continuò a correre, unendo le dita sul primo bottone della giacca per infilarlo nell’asola. Chinò lo sguardo senza fermarsi, inclinò il bottone con le unghie, lo spinse dentro lo spacco di stoffa, e passò al secondo.

Speriamo che ci sia un’altra riunione il pomeriggio, così almeno potrò...

“Il generale ha già confermato l’entrata in azione degli Afrika Korps in Libia. Tuttavia, gli scontri con le truppe inglesi potrebbero...” La voce di Germania giunse fino a lui da lontano, da dietro un’altra delle curve del corridoio, e gli fece provare lo stesso guizzo al cuore che aveva sentito dopo averlo rivisto la prima volta.

Italia si fermò, boccheggiò per riprendere fiato, e spostò lo sguardo da un’ala del corridoio all’altra, aspettandosi di vedere sbucare Germania da uno degli angoli.

La sua voce suonò più vicina, due ombre si stesero lungo il corridoio accompagnate dal suono dei passi che camminavano sulle piastrelle. “Perciò attenderemo la fine del mese per valutare le effettive condizioni, prima di riprendere l’attacco.”

Italia spalancò gli occhi e sorrise, impennò il braccio sventolando la mano al cielo. “Oh, Germania!” Ricominciò a correre verso di lui.

Germania si fermò spostando lo sguardo dalle sue spalle a Italia, rimase a labbra socchiuse, interrompendo la frase a metà, sollevò un sopracciglio e anche la sua espressione si ammorbidì.

Italia abbassò il braccio, senza smettere di correre. “Scusa, non mi sono sveglia –”

Una seconda voce sbucò da dietro Germania. “Ho sentito Ita o sbaglio?” La seconda ombra si ingrandì, e Prussia si appese a una spalla di Germania per spostarlo e farsi spazio. Anche il suo sguardo volò su Italia e gli occhi si spalancarono scintillando di sorpresa.

Italia sentì un’altra calda stretta al cuore. “Oh.” Spalancò un sorriso luminoso che abbagliò tutto il corridoio e che gli tinse le guance di rosso, accelerò la corsa e allargò le braccia, volandogli contro. “Prussia!”

Prussia saltò davanti a Germania dandogli una spallata e spalancò le braccia a sua volta. “Ita!” Anche il suo sorriso aguzzo di entusiasmo brillò illuminando le pareti del corridoio.

Italia compì l’ultima falcata di corsa con un balzo e si tuffò fra le braccia di Prussia stringendolo dietro le spalle. Prussia gli chiuse l’abbraccio attorno ai fianchi e gli fece fare una mezza giravolta.

Italia rise e il petto vibrò contro il suo. “Prussia, Prussia, mi sei mancato tantissimo!”

Prussia strinse l’abbraccio, accostò la guancia alla sua, gli diede una strofinata ai capelli dietro la nuca. “Anche tu, Ita.” Lo tornò a posare con i piedi a terra, fece un passetto all’indietro per esaminarlo per bene, facendo scorrere lo sguardo da capo a piedi, e sorrise di sollievo dandogli un soffice pugnetto sulla spalla. “È bello vederti tutto intero.”

Italia rise, allargò le spalle e prese un respiro d’orgoglio battendosi la mano sul petto. “Nemmeno un pezzo mancante, signore.”

Wunderbar!” Prussia gli scivolò di fianco, si coprì il sorrisetto aguzzo con una mano, e gli punzecchiò il fianco con una serie di piccole gomitate. “Divertito con West, ieri sera?” Ammiccò con le sopracciglia che salirono a toccare la benda avvolta attorno alla fronte.

Italia guardò in basso e le sue guance divennero più rosse degli occhi da furbo di Prussia. “N-noi,” si strofinò dietro l’orecchio e farfugliò una risatina imbarazzata, “veramente...”

“La riunione, voi due.” Germania camminò di fianco a entrambi, tossicchiò per nascondere l’imbarazzo che aveva imporporato anche il suo viso, e aggrottò la fronte indurendo il tono. “Saremmo già in ritardo.”

Prussia fece roteare lo sguardo e sventolò una mano verso di lui. “Bah. Noia, West.” Strinse il braccio attorno alle spalle di Italia, se lo premette al fianco e diede la schiena a Germania. Sventolò un saluto avviandosi dalla parte opposta del corridoio. “Io e Ita andiamo a parlare di cose da grandi, tu inizia senza di noi.”

Germania scoccò a entrambi un’occhiata contrariata da sopra la spalla. “Veramente...” Incrociò lo sguardo con quello di Italia che stava venendo trascinato via da Prussia. Italia gli rivolse un sorrisetto di scuse, volse i palmi al cielo e si strinse nelle spalle, non potendo fare altro che seguirlo. Germania sospirò, scosse la testa, e li lasciò andare.

 

.

 

Prussia premette il gomito contro la superficie del tavolino di legno, espose il braccio nudo alla luce bianca che entrava dalla finestra macchiata di neve, e strizzò il pugno tre volte per gonfiare il muscolo della spalla avvolto dalla fasciatura. Il suo sorriso aguzzo brillò di fierezza, il petto si gonfiò di orgoglio. “E come vedi, questa è la mia magnifica ferita di guerra.” Fece strisciare il gomito più vicino a Italia e tornò a ingrossare il muscolo, le vene pulsarono arrampicandosi sotto la benda, e la sua voce si animò di entusiasmo. “Ecco, ecco, ammira. Magnifica, no?”

Italia si sporse dalla sua sedia e avvicinò lo sguardo al braccio fasciato, anche i suoi occhi luccicarono di ammirazione. “Ooh.” Alzò lo sguardo incredulo su quello di Prussia. “E te l’ha fatta Inghilterra?”

Prussia sollevò il mento e annuì due volte. “Ci puoi giurare.” Srotolò la manica che aveva tirato fin sopra la spalla e la lisciò fino al polso, si diede una massaggiata al braccio stando attento a non sciupare la benda. “Mi ha piantato un bel proiettile sulla spalla,” sollevò la mano e indirizzò l’indice sulla fasciatura che gli circondava la fronte e la nuca, “e ha anche provato a ficcarmene uno nel cranio. Ma non potevo combattere con un pezzo di piombo nel muscolo, e dovevo ancora suonargliele per bene.” Aprì la mano sul petto e se la batté due volte. “Così me lo sono tolto tutto da solo.”

Italia raddrizzò le spalle e si portò la mano davanti alla bocca, sospirando di paura e di ammirazione. “E non ti ha fatto male?”

Prussia scosse il capo, rinnovò il sorriso pomposo. “Nemmeno un lamento.”

“Che coraggioso!”

“Puoi dirlo.” Tornò anche lui a poggiare le spalle allo schienale della sedia, accavallò le gambe premendo i piedi su uno dei tavolini del salottino deserto, e volse lo sguardo fuori da una delle finestre che componevano la vetrata. Fuori aveva smesso di nevicare. Il paesaggio imbiancato, gonfio e tondeggiante, immobile e luminoso come un affresco, riflesse sul suo volto una tinta bianca e fredda che si raccolse anche nei suoi occhi. Prussia incrociò le mani dietro la nuca e fece dondolare i piedi accavallati. “Ma ero disposto a questo e altro pur di proteggere il mio alleato, no?”

Italia sussultò, tornò un debole guizzo a stringergli il cuore, a chiudergli il respiro. Per proteggere Romano. Abbassò gli occhi, strinse i pugni sulle cosce e unì le ginocchia premendo le punte dei piedi a terra. La spinta di gioia che lo aveva fatto correre lungo il corridoio si sciolse, lasciò un alone di malinconia a ingrigire il suo animo. “Ehm,” tossicchiò, “grazie per...” Ruotò gli occhi verso Prussia senza sollevare la fronte, lo sguardo rimase celato dalla leggera ombra di imbarazzo che era calata sul viso. “Sai, per aver protetto Romano da Inghilterra.”

Prussia sollevò un sopracciglio, rivolse a Italia un’occhiata più morbida e comprensiva.

Italia si strofinò il braccio, guardò alle sue spalle, distogliendo il volto dalla luce lattea che penetrava dalla finestra, quasi vergognandosi. La sua voce assunse un tono più amaro e colpevole. “So che avrei dovuto esserci io al posto tuo, e che anche io avrei dovuto proteggerlo, perciò...” Inspirò. “Perciò grazie di essergli stato vicino nonostante...” Un tremolio tornò a chiuderlo nelle spalle e a fargli strofinare la mano fra i capelli, i piedi incrociati oscillarono sul pavimento. “Nonostante non sia facilissimo andare d’accordo con lui.”

Prussia incurvò un sorriso più piccolo ma sincero rispetto a quello aguzzo e gonfio di superbia che aveva mostrato prima. Fu un sorriso paterno. “Dovere mio.” Tornò a rivolgere gli occhi fuori dalla finestra, la punta del piede accavallato all’altro oscillò avanti e indietro. “Poi dovevo vendicarmi di Inghilterra per tutto quello che aveva fatto anche a West. Le cose non sono andate esattamente come speravamo, ma almeno gliele abbiamo suonate come si deve. In ogni caso, non sarebbe stato prudente che tu partecipassi alla battaglia.” Spostò gli occhi su Italia, sul suo petto, e il sorriso sbiadì. Gli occhi si strinsero, un timbro più scuro e teso gli arrochì la voce. “West mi ha detto della tua ferita.”

Italia sobbalzò sulla sedia imbottita. Una fitta di dolore percorse il profilo della cicatrice, come un ramo elettrico, e Italia ebbe l’istinto di accostare la mano al petto, di stringere la giacca fra le dita e di raccogliere il dolore nella presa. Rabbrividì, tenne gli occhi bassi, e un’altra stretta di colpevolezza gli annodò il cuore in quella pesante e sgradevole sensazione di vergogna che non gli faceva alzare gli occhi da terra.

Prussia scosse il capo, lo rassicurò. “Non devi sentirti in colpa per essere rimasto in Albania.”

“Oh, te...” Italia sospirò con tono rassegnato, rilassò le spalle e la sua espressione si ammosciò. “Te l’ha detto,” mormorò.

Prussia annuì. “Già.” E continuò con il dondolio del piede.

Italia si grattò attorno alla ferita da sopra la stoffa della giacca, dove sentiva di nuovo prudere, e provò a riacquistare un piccolo sorriso. “Uhm, però ora sta guarendo bene.” Si sbottonò le prime chiusure e allargò i due lembi per scoprire la cicatrice. Il suo sorriso assunse una nota di fierezza. “Ecco, guarda, anche io ho una ferita di guerra.”

Prussia strinse le mani sui braccioli della seggiola e si sporse a guardare. “Vediamo.”

Italia si avvicinò di un saltello, abbassò anche la camicia, e scoprì la porzione di petto attraversata dal taglio a forma di lisca di pesce, lo espose alla luce cristallina che scendeva dalla finestra. Il rigonfiamento rosso attorno al profilo della ferita luccicava, abbagliato dal riverbero che rendeva la pelle ancora più lattea e sottile, scavata dalle ombre che facevano sembrare le ossa ancora più sporgenti.

Prussia restrinse le palpebre, scrutò la cicatrice con occhi seri e profondi. Un lieve bruciore attraversò anche il suo petto, all’altezza del cuore, e gli entrò nella carne come una serie di aghi. Agitò le dita sul bracciolo della seggiola, sparse il prurito, e cacciò la voglia di infilarsi la mano sotto la maglia e di grattarsi. “Dritta al cuore, mh?” Sollevò lo sguardo su Italia.

Italia annuì con un sospiro. “Sì.” Sfilò le dita dalla camicia e richiuse il primo bottone.

Prussia strinse i pugni, e una fitta di rabbia istintiva gli salì alla testa, facendogli aggrottare la fronte sotto la benda. “Quel ghiro bastardo,” grugnì. Si mise a braccia conserte, gli occhi di nuovo alla finestra, tinti di un rosso più acceso, e strinse le labbra in una smorfia di nervosismo e impazienza. “Quando vi verremo a prendere gliene pianto una nel cervello.”

Italia si portò una mano alla bocca, sussultò. “No! Cioè, voglio dire, ehm...” Raggiunse anche l’ultimo bottone della giacca, premette le unghie per infilarlo nell’asola, le dita scivolarono, riprovò, e riuscì a chiuderlo. Si strinse nelle spalle, mostrò a Prussia un sorrisetto rassicurante tenendo gli occhi bassi. “In realtà, sai, non credo che Grecia lo abbia fatto apposta, ma...” Lisciò la giacca, tornò a rannicchiarsi contro lo schienale della seggiola, unì le ginocchia e chiuse i pugni sulle cosce. Le punte dei piedi oscillarono sul pavimento, lo sguardo di Italia tornò a incrinarsi di indecisione e timore, il sorriso sbiadì. “Penso che dovrei essere grato del fatto di avere avuto Romano vicino a me. È stato grazie a lui che...” Prese un sospiro, placò i brividi che avevano risalito la schiena, e si strofinò il braccio. “Che sono ancora vivo,” mormorò. “Il dottore ha detto che con una ferita così sarei anche potuto rimanere svenuto per sempre.”

Prussia sollevò un sopracciglio, la ruga di rabbia si sciolse, fece svanire anche il desiderio di farla pagare a Grecia, e lasciò uno stuzzicante sentimento di curiosità. Squadrò Italia, e una scintilla si accese all’angolo delle palpebre. “Davvero?”

Italia annuì. “Sì.” Il suo viso si rilassò, i piedi smisero di dondolare, i muscoli delle gambe si distesero, e sulle sue guance tornò un po’ di colore. Italia rivolse lo sguardo alla neve fuori dalla finestra, incrociò le gambe sulla seggiola stringendosi le caviglie, e oscillò avanti e indietro. “Tu hai mai preso un proiettile nel cuore?”

Prussia ridacchiò, sventolò una mano. “Nah, non sono un tipo da farsi colpire così facilmente.” Lui tornò con i piedi accavallati al tavolino e le mani incrociate dietro la nuca. “Ma una volta mi hanno trafitto al petto con una spada,” disse, indicandosi. “Mi ha perforato il polmone e rotto tre costole. Ci sono andato vicino.”

“Oh.”

Quel pizzico di curiosità però rimase a punzecchiare il cuore di Prussia, a trasmettergli un brivido di eccitazione, come quelli che gli facevano sempre fremere il sangue nelle vene e accelerare il respiro quando si trovava con i piedi in mezzo al campo di battaglia, davanti allo sguardo dell’avversario. Un germe di idea si piantò nella sua testa, sgusciò fuori dal seme e cominciò a germogliare.

Nel cuore, eh...

“E così una pallottola nel cuore può davvero essere così pericolosa anche per noi?” fece Prussia, pensando ad alta voce. “Non ci avevo...” Sollevò le sopracciglia e intrecciò le mani sotto il mento. “Mai riflettuto prima d’ora.”

Nel cuore, ripeté a se stesso, continuando a provare quel formicolio al petto. Il prurito si spostò sulla spalla bendata, sotto la manica della giacca, e tornò a evocare la consistenza dura e affilata del pugnale d’assalto che si era piantato nel muscolo e che aveva rigirato per snocciolare il proiettile sparato da Inghilterra. Un posto dove nemmeno io sarei in grado di tirarmela via da solo. L’idea crebbe ancora, fece scivolare fuori le radici, il bocciolo si schiuse rivelando i petali. Prussia slargò le palpebre, socchiuse la bocca e trattenne un respiro. E forse nemmeno...

“Romano non è stato troppo sgarbato con te, vero?”

Prussia rimbalzò, scosso come se lo avesse buttato giù dal letto mentre ancora sognava. “Cosa?” Scosse il capo, si riprese. “Ah, be’, ha...” Levò lo sguardo al soffitto, rimestò una mano per aria e mimò un’espressione vaga. “Ha fatto un po’ il difficile,” annuì compiaciuto, “ma è stato forte, sai.” Diede una piccola spallata di conforto a Italia. “Anche lui sa tirare fuori le palle, quando si tratta di proteggere qualcuno che gli sta a cuore.”

“Uhm.” Italia però rimase con gli occhi bassi, lo sguardo velato da un’espressione mortificata. “Mi,” tornò a chiudersi nelle spalle, “mi dispiace se... se lui sembra essere così scontroso con voi e se dà l’impressione di non tenere all’alleanza.” Si posò la mano sul petto, spostò lo sguardo su Prussia, rivolgendogli un’espressione di sincero rammarico. “Se lui dovesse fare qualcosa di sbagliato, un giorno, allora me ne assumerò le responsabilità.”

Prussia rimase a guardarlo in silenzio, gli occhi attenti, le labbra piatte, e l’entusiasmo che gli era bruciato nel sangue si spense, lasciò un battito lento e regolare, così silenzioso da lasciar udire il lieve soffio del vento fuori dalla finestra che passava attraverso i rami spogli e ghiacciati.

Italia guardò fuori, e il bianco del cielo e del suolo si riflesse sulle sue guance, il luccichio della neve donò ai suoi occhi una sfumatura malinconica. “Non voglio che scoppino litigi fra di noi.” Si strinse la mano sopra il cuore. “E non voglio che l’amore che provo per Romano mi impedisca di volere bene anche a Germania.”

Prussia sentì arrivare quel tocco anche dentro il suo petto, rimase a scrutare il volto di Italia e percepì di nuovo la sofferenza trasmessa dai suoi occhi stringergli il cuore, rievocare quelle parole che lui stesso aveva rivolto a Germania solo la settimana prima. “Romano è pericoloso... Italia deve sapere come stanno le cose.” 

Prussia voltò lo sguardo, si strofinò la nuca stando attento a non slacciare la benda che gli fasciava il capo, ed emise un profondo sospiro di indecisione. Forse mi sono preoccupato troppo? rimuginò. Se davvero tutto finisse in fretta come credo, allora Romano non sarà un problema. Sbirciò Italia con la coda dell’occhio, lanciandogli uno sguardo fugace da sopra la spalla. Poi non potrebbe mai fare del male a Italia. E staccarsi dall’alleanza equivarrebbe ad abbandonarlo con noi, e Romano non lascerebbe mai suo fratello nelle nostre mani. Inoltre, salvandoli in Grecia daremo prova anche a lui che può fidarsi del nostro aiuto. Sospirò ancora, spinse il gomito sul bracciolo della sedia, premette le nocche contro la guancia per sorreggere il peso del capo, e rivolse uno sguardo svogliato fuori dalla vetrata. Forse la situazione non è tragica come credevo. Anche se...

“Tu non lo hai mai provato?” domandò Italia.

Prussia sollevò la testa di scatto, di nuovo come svegliato da un sonno. “Provato che cosa?”

Italia guardò in basso, in mezzo alle ginocchia, e mosse le dita chiuse sopra le cosce, stropicciò la stoffa dei pantaloni. Si pizzicò il labbro inferiore, dondolò avanti e indietro con le spalle, i suoi occhi vibrarono di indecisione. “Tu vuoi tanto bene a Germania, no?” mormorò. “Perché sei suo fratello, quindi riesci a capire quello che spinge Romano a proteggermi in questo modo.”

Il volto di Prussia tornò serio. Lui sollevò un sopracciglio, inclinò il capo di lato reggendosi la guancia contro le nocche, e nei sottili occhi rossi brillò un barlume di curiosità.

Italia lo guardò in viso ma tenne la fronte bassa, gli occhi intimoriti. Si chiuse nelle spalle e le sue guance assunsero una soffice tinta rossa. “Ma hai mai provato qualcosa di simile anche per qualcun altro?” domandò. “Qualcuno,” inspirò per darsi coraggio, “che non sia un fratello?”

Prussia si lasciò scappare un risolino di imbarazzo fra le labbra strette, raddrizzò le spalle di scatto e si girò di profilo, allontanò subito lo sguardo e sventolò la mano, scacciando la domanda. “Ovviamente no.” Usò la mano che aveva mulinato per allentarsi il bavero dell’uniforme, fece prendere aria collo, e sventolò le dita sulle guance accaldate, rinfrescandole. Cercò di non pensare a quello che stava pensando.

Italia chinò lo sguardo, soffiò un mormorio di delusione. “Oh.” Tornò a far dondolare le gambe, lo sguardo gli cadde sulla croce di ferro che pendeva dal suo petto. Una scintilla argentea su uno dei bracci riaccese anche in lui un lumino di speranza. “E secondo te,” tornò a domandare a Prussia, “Germania potrebbe provarlo?”

Prussia rise con più naturalezza, si sporse e diede a Italia una soffice spallata. “West si butterebbe nel fuoco per te,” lo rassicurò.

“Ma...” L’indecisione rimase a sfumare lo sguardo di Italia, a ingrigire i suoi occhi. “Ma non so se sia giusto.” Italia si aprì una mano sul petto, arricciò l’indice alla catenina e la ingarbugliò attorno alla falange, grattandola con l’unghia. “Germania non ha bisogno di me, lui è una nazione già così forte che...”

“Eh-ehm.” Prussia tossicchiò facendo il vago, ma spinse il petto all’infuori e girò il viso di profilo con aria fiera, fece la coda come un pavone.

Italia sorrise di imbarazzo. “Mai forte come te,” specificò.

Il ghigno di Prussia si gonfiò di compiacimento, e anche lui si dondolò avanti e indietro.

Lo sguardo di Italia però tornò avvilito e abbattuto, il velo di indecisione ad appannargli gli occhi. Sollevò un indice e si rosicchiò la punta dell’unghia fra gli incisivi. “È questo che non capisco,” confessò. “Io continuo a stargli vicino perché gli voglio bene. Ma lui perché lo sta facendo? Anche dopo che ho combinato il disastro in Grecia...” Chiuse d’istinto il pugno sulla coscia, scacciò le immagini del fango, della pioggia e della neve, si allontanò dall’eco degli spari e delle cannonate che risuonavano fra le montagne, e rigirò la croce di ferro fra le dita. Sciolse il gelo degli ultimi mesi in Grecia e si abbracciò solo al calore che aveva provato la sera prima. “Perché continua a volermi bene?” chiese con tono sincero. “Perché sono così importante per lui?”

Prussia strinse le dita sul bracciolo imbottito della sedia, gli occhi volarono fuori dalla finestra, assorbirono la luce cristallina della neve depositata al suolo, la sua mente finì trascinata via da una spirale di luce che lo riportò a centinaia di anni prima, quando si era posto la stessa domanda.

“Prima di morire, mi ha detto di avere un solo rimpianto,” disse il ricordo della sua voce, mentre osservava quella nazione appena nata correre nel prato illuminato dal sole. “Ma ormai quella non è più l’anima che serba quel rimpianto, quindi...”

“Sacro Romano Impero ha pregato la Storia di dargli un’altra opportunità di diventare una nuova nazione,” si intromisero le parole di Ungheria. “Una nazione abbastanza potente da difendere sia se stesso che Italia.”

Prussia arricciò le labbra in una smorfia impacciata, cominciò a sudare freddo e dovette di nuovo allentare il bavero della giacca. “Ehm...” Le parole morirono in un borbottio.

“Se quello che era Sacro Romano Impero ha pregato la Storia per un motivo simile,” ripeté il ricordo della sua stessa voce, e il tono suonò ancora più duro. “Allora il destino saprà far incrociare le loro strade.”

Italia chinò le spalle in avanti, gli cercò lo sguardo. “Uh.” Incontrò i suoi occhi distanti ed estraniati, provò un pizzico di timore in fondo alla pancia. “Prussia?”

Was?” Prussia scosse il capo, il suo sguardo tornò presente e acceso, ma le labbra fecero ancora fatica a mettere insieme le parole, la voce suonò gracchiante e impastata. “Ehm, cioè, forse...” Si girò dando la schiena a Italia, allontanandosi dal suo sguardo, e si strofinò la nuca con rapidi gesti nervosi. “M-magari, sai...” Si strinse nelle spalle, si rosicchiò il labbro, e parlò con tono più sincero. “Magari è il destino.”

Italia allargò le palpebre, il suo sguardo si accese di curiosità. “Il destino?”

Prussia si tenne stretto nelle spalle, accavallò la gamba al ginocchio, fece dondolare il piede tamburellandone la punta sull’aria, e annuì con un movimento rigido. “Magari...” Si rosicchiò il labbro inferiore, si girò di nuovo strofinandosi il capo, lo sguardo ancora crucciato, e picchiettò le unghie sul bracciolo della seggiola, sciogliendo il grumo di tensione che gli ingarbugliava i pensieri e che continuava a farlo sudare freddo. “Magari voi due potreste...”

“Signori.” La voce improvvisa di un ufficiale tedesco lo interruppe.

Italia e Prussia si voltarono, si trovarono davanti a un uomo in uniforme grigia fermo sull’attenti. L’ufficiale rivolse lo sguardo a Prussia, batté i tacchi sul pavimento e strinse le mani dietro la schiena.

“Vi stanno aspettando, signori,” disse. “Iniziamo fra qualche minuto.”

Italia balzò giù dalla sedia, scattò in piedi. “Oh, sì, arriviamo.” Si chinò a raccogliere la mano di Prussia e si avviò verso il corridoio portandoselo dietro.

Prussia lo seguì saltellando, lasciandosi trascinare dalla sua camminata incalzante che seguiva quella dell’ufficiale venuto a chiamarli, ma il suo sguardo era ancora distante, perso nei suoi pensieri e nei suoi ricordi. Guardò in basso verso il pavimento che rifletteva le loro sagome, aggrottò le sopracciglia, e chiuse d’istinto la mano attorno a quella di Italia.

Loro due hanno il loro destino, ragionò, ma anche io ho il mio. E cosa dovrei fare... Inspirò trattenendo il fiato. Se un giorno ciò che loro desiderano dovesse impedirmi di compiere quello che i miei sovrani mi hanno affidato? Sollevò gli occhi e li posò sulle spalle di Italia davanti a lui. La stretta di mano si fece d’improvviso pesante e fredda, difficile da sostenere. Se Italia stesso diventasse una minaccia per far diventare West la nazione che ho promesso di far sorgere... Quel pensiero gli fece male al cuore. Sarei mai in grado di dividerli?

 

.

 

Il treno fermo sui binari aveva già cominciato a fumare, un sottile fischio aleggiava nell’aria silenziosa della stazione ghiacciata dalla neve che aveva smesso di cadere. Passi di ufficiali tedeschi e italiani si spostavano sulla piattaforma, alcuni salirono su una delle carrozze, altri erano fermi a terra, scambiavano brevi borbottii fra loro, e altri ancora camminavano lungo il profilo dei binari, uscendo o entrando dall’edificio principale.

Germania abbassò lo sguardo dalle montagne avvolte dalla foschia bianca, si rimboccò il bavero della giacca soffiando una nuvoletta di condensa, e posò gli occhi su Italia. “Saranno solo un paio di mesi, Italia.” Gli rivolse un’espressione più mite. “Riuscirai a farcela?”

Italia intrecciò le dita sul grembo, si voltò verso Germania, una bava di vento gli scosse i capelli davanti al viso, celando la luce triste degli occhi, ma lui si sforzò di sorridere, annuì ricordandosi della promessa di essere forte. “Sì.” Si avvicinò a Germania, sollevò gli occhi verso i suoi e gli parlò con voce sincera. “So che arriverai,” tese la mano e raccolse la sua, gliela strinse e la accostò al petto, “quindi non ho paura.”

Germania annuì, gli diede anche lui una soffice stretta alla mano, e distolse lo sguardo, parlando con le labbra a sfioro del colletto. “In ogni caso, daremo via sia all’operazione Violetta delle Alpi che all’operazione Tornasole. Quindi aspettati rinforzi, e ricorda anche quello che abbiamo detto riguardo le operazioni in Libia.”

Italia annuì, sfilò le dita da quelle di Germania, strinse le mani dietro la schiena, e il suo sguardo si fece più forte, gli occhi brillarono di coraggio. “A febbraio invierai i corpi d’armata, così Inghilterra si troverà alle strette. E anche se difendesse Grecia dovrà essere più cauto perché non potrà trasferire le truppe e lasciare l’Africa scoperta.”

“Esatto.” Germania lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, seguì la camminata di Prussia che si stava spostando in mezzo agli ufficiali dopo aver finito di coordinare gli spostamenti, e tornò a guardare Italia, a trasmettergli anche la sua forza. “Ora mi prometti di non tentare più azzardi in Grecia e di essere coraggioso fino al mio arrivo?”

Italia inspirò a fondo, chiuse i pugni sui fianchi, e annuì piegando un sorriso tremolante. “Promesso.” Gli occhi si inumidirono, luccicarono come ghiaccio bagnato che sta lentamente per sciogliersi e gocciolare fra le ciglia.

Prussia passò vicino a loro e sbirciò la scena. Squadrò Germania con un’espressione contrariata, aggrottando la fronte, e scivolò di un passo dietro la sua schiena. Gli diede una spallata fra le scapole, Germania rimbalzò avanti di un passo e finì fra le braccia che Italia aveva già steso per avvolgergliele ai fianchi.  

Italia chiuse forte l’abbraccio, gli premette la guancia sul petto, si aggrappò con le mani alla sua schiena, e trattenne il respiro, si concentrò solo sul battito di cuore che sentiva pulsare sotto l’orecchio, lo impresse nella testa per quando si sarebbe di nuovo sentito solo e avrebbe avuto bisogno di ricordarselo. Germania rilassò la tensione, si lasciò anche lui avvolgere dal calore di Italia che gli aveva sciolto la corazza di ghiaccio attorno al cuore, e avvolse delicatamente l’abbraccio attorno alle sue spalle. Lo strinse a sé come la sera prima, gli carezzò la nuca, tornò a inspirarne il buon profumo di sapone dei suoi capelli, chiuse gli occhi e si concentrò sul suo respiro flebile, sul battito del cuore di Italia che premeva sul suo petto, sul leggero tremolio delle braccia allacciate attorno ai suoi fianchi, e cedette alla voglia di stringerlo ancora di più. Si fece forza e ignorò il desiderio di tenerlo lì con sé e di non lasciarlo tornare in Grecia.  

Italia sollevò il viso, aveva le guance rosse e gli occhi umidi, ma sorrideva. “Ti aspetterò.” Sciolse l’abbraccio, compì un titubante passetto all’indietro, e si strofinò le palpebre con la manica. Chiuse gli occhi, il vento scosse le punte della frangia, il suo sorriso irradiò tutta la stazione, e alcuni fiocchi di neve gli danzarono attorno come petali di ghiaccio. “E in primavera verrà il bello.”

Germania sospirò, sentì anche lui le guance intiepidirsi, i cristalli di neve ghiacciata depositarsi sul suo viso e pizzicargli la pelle. “Sì,” annuì, ma un peso rimase a gravargli sul cuore.

Uno degli ufficiali italiani arrivò alle spalle di Italia, si chinò a mormorargli all’orecchio. “Signore, dobbiamo proprio andare, adesso.”

Il sorriso di Italia sbiadì, ma rimase un piccolo tocco di speranza a tenergli le labbra incurvate e a fargli luccicare gli occhi. Annuì docilmente, “Va bene”, ma lo sguardo gli cadde oltre la spalla di Germania, si posò sul profilo di Prussia che era tornato ad avvicinarsi alla piattaforma della stazione – le punte tese per guardare lontano, una mano davanti alla fronte, e gli occhi in ombra rivolti all’estremità del treno fumante.

Italia sentì fiorire dentro di sé un profondo sentimento di affetto e di gratitudine nei suoi confronti, lo stesso che aveva provato nel parlargli poche ore prima, guardando fuori dalla finestra assieme a lui, incrociando i suoi occhi che lo facevano sentire capito e al sicuro. Senza nemmeno pensarci, volò ad abbracciare anche lui, fece un piccolo salto e gli si appese al collo, affondò il viso nella sua spalla facendolo sobbalzare di sorpresa.

Italia rinnovò il sorriso. “Grazie,” mormorò. Poggiò di nuovo la guancia sul suo petto e inspirò il profumo della sua giacca, così simile a quello di Germania, ma antico quasi quanto quello del nonno. Strinse le dita, salì sulle punte dei piedi. “Grazie di tutto.”

Anche Prussia sorrise, capendo, e gli strinse l’abbraccio attorno ai fianchi, strofinando la guancia sulla sua. “Aahw ~ vogliamo far ingelosire West?”

Italia rise accanto al suo orecchio, Germania sospirò e fece roteare lo sguardo, girandosi di profilo.

Prussia gli fece fare una mezza piroetta e lo coccolò strofinandogli i capelli e sfregando la guancia alla sua. “Facciamolo ingelosire per bene, allora.” Ridacchiò anche lui assieme a Italia.

Germania rimase con gli occhi alti al cielo, aggrottò un sopracciglio e nascose il leggero rossore delle guance dietro il velo di condensa del suo respiro.

Prussia mise giù Italia, Italia si ricompose, raddrizzò la schiena, unì i piedi, e stese le braccia sui fianchi, stringendo i pugni e allargando le spalle. Mostrò uno sguardo fiero e determinato. “Vi aspetterò.” Inspirò, il petto si gonfiò e mosse la croce di ferro che emanò una forte scintilla d’argento. “Vi aspetterò e porterò avanti l’onore dell’Asse.”

Germania annuì, toccato da una nota di orgoglio. Irrigidì anche lui, raddrizzò la schiena tenendo il viso alto e gli fece il saluto militare, seguito anche da Prussia. Italia si impietrì e li imitò. Avvolto dal soffice vapore del treno, pizzicato dal nevischio di ghiaccio trascinato dalle spire di vento, e appesantito dal dolore che gravava sul cuore e che gli faceva luccicare gli occhi, mostrò il più nobile e composto saluto militare della sua vita.

 

.

 

Il treno scomparve dietro la curva del monte lasciandosi dietro una gonfia e spumosa scia di vapore bianco come la neve che copriva il paesaggio. Emise un fischio, il ritmico suono della corsa delle ruote sulle rotaie accelerò e divenne più distante e flebile, si trasformò presto in un eco disperso fra le pareti di roccia circondate dal bosco del Passo.

Prussia fece un passo all’indietro, distanziandosi dal ciglio della piattaforma che dava sui binari, infilò le mani nelle tasche della giacca, soffiò un sospiro che si condensò in una nuvoletta bianca, e rivolse lo sguardo dietro la sua spalla. Incrociò il viso di Germania che continuava a guardare verso la curva dietro la quale il treno era svanito, portandosi di nuovo via Italia. Gli occhi di Germania erano diventati grigi come il cielo annuvolato sopra di loro, di nuovo freddi come il ghiaccio che si era cristallizzato fra i rami degli alberi spogli, sulle finestre e sul suolo.

Prussia diede un piccolo calcetto a terra con la punta del piede, si voltò e cominciò a camminare seguendo alcuni degli ufficiali che si stavano ritirando. “Tu hai mai preso in proiettile nel cuore, West?” chiese.

Germania lo seguì, si riprese subito dal suo smarrimento, strinse le mani dietro la schiena e scosse il capo. “No, ovviamente.” Camminò affianco a Prussia, gettò un’ultima occhiata buia alle rotaie e sollevò lo sguardo al cielo, verso le cime delle montagne. “E Italia è stato fortunato a uscirne vivo. Penso che una ferita del genere possa recare seri danni anche a noi, anche in condizioni normali.”

“Già.” Prussia sollevò un sopracciglio, aggrottò la fronte, lo sguardo pensoso, gli occhi proiettati da un’altra parte, fissi su una minacciosa ombra immersa nella sua mente. L’unico pensiero che riusciva a trasmettergli un profondo e sincero brivido di terrore in fondo alla schiena. Una pallottola al cuore, tornò a pensare. Per quanto forte Russia possa essere, nemmeno lui ne uscirebbe vivo, soprattutto mentre è in atto un’invasione del suo territorio. Strinse le mani, e un guizzo di eccitazione gli infiammò il flusso del sangue. Se riuscissimo a colpirlo in quella maniera, sarebbe fatta, ma rimane comunque il problema... La sua stazza mastodontica immersa nella neve vorticante, il suo profilo nero e intimidatorio sotto un cielo viola e lampeggiante per le esplosioni, la sua camminata che scuote il terreno, che si avvicina, e i suoi occhi sottili, accesi di rabbia, che trafiggono l’aria piombando come un fulmine fra le gambe. Che Madre Russia non è decisamente tipo da farsi sparare gratuitamente. Prussia si massaggiò il mento, rimuginò un farfugliamento fra le labbra. “Ci stavo pensando anch’io.”

Germania scoccò un’occhiata di sbieco a Prussia, una scintilla di curiosità e sospetto gli attraversò il viso, come se fosse riuscito a leggergli nella mente, ma non disse nulla.

Prussia sospirò e anche lui strinse le mani dietro la schiena, continuò a camminare stando a passo con Germania. “In primavera,” meditò, con lo sguardo ancora assente e vago. “Se vogliamo dare inizio al Barbarossa già a maggio, dici che sarà necessario posticipare le operazioni in Unione Sovietica?”

Germania scosse la testa. “Non sarà necessario,” rispose. “Grecia non è un ostacolo, e nemmeno Inghilterra. Gli ostacoli da abbattere sono solo le collaborazioni con il governo jugoslavo e con quello bulgaro.” Restrinse gli occhi, la nuvoletta di condensa soffiata dal suo fiato si spanse attorno allo sguardo, lo mise in ombra, le iridi tornarono azzurre e pungenti come crudeli schegge di ghiaccio.

“Io non mi preoccupo tanto di Russia, in questo momento, ma di Germania,” disse il ricordo di una certa voce impressa nella sua mente. “Perché se sapesse che Bulgaria è andato a fare la spia a Russia, che lui ci abbia creduto o meno, lo ucciderebbe.”

Germania fece scricchiolare le dita intrecciate dietro la schiena, come se avesse frantumato una noce fra le falangi.

“E con uno di loro so già che armi utilizzare per abbattere la sua resistenza.”

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: _Frame_