Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: Lodd Fantasy Factory    27/03/2017    0 recensioni
*Storia interattiva*
Il 2016 è stato un anno difficile per l'umanità: il mondo è stato devastato da un'ultima e cruenta Guerra Mondiale. Gli uomini, però, non sono l'unica causa della cessazione degli scontri, così come della distruzione che ha piegato l'intero pianeta. Sono trascorsi degli anni da quel tragico momento, eppure niente è cambiato: l'umanità lotta per la propria sopravvivenza, contro l'estinzione.
- Scopriamo insieme cosa è accaduto! -
Genere: Azione, Dark, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

LAST HOPE in PDF!
(Clicca sopra per leggere il primo capitolo!)



Caro lettore, benvenuto.

Questo è il terzo episodio di “Last Hope”. L'introduzione ha lo scopo di segnalare il tuo potere in questa storia. I lettori, quando arrivano a fine capitolo, traggono sempre delle conclusioni – spesso non rispecchiate nelle vicende successive – e s'immaginano cosa potrebbe accadere in seguito. Ora, hai il potere di correggere il corso di questa narrazione, esprimendo il tuo parere (in aggiunta alla recensione) su cosa potrebbe o dovrebbe accadere nel prossimo capitolo. Ovviamente, occorre rimanere legati al filo narrativo degli avvenimenti.

Questa vuole essere una sfida, ed un modo divertente per modificare un'avventura che ha già un percorso prestabilito dall'autore, ma che con il tuo intervento potrebbe subire delle deviazioni interessanti.

Buona lettura.

Lodd Fantasy Factory.

 

- Nella morsa di Dragomir -

 

L'odore di gomme bruciate gli era rimasto in gola, come un boccone avvelenato. Il torrido calore non aveva di certo contribuito a migliorare il sapore che gli pungeva la lingua. Dwayne non l'avrebbe mai detto, ma lo spazzolino e il dentifricio cominciavano a mancargli.

«Gomma?» lo invitò Robert, aprendo il beccuccio di un tubetto di metallo. «Air Fresh!» aggiunse poi, strizzando l'occhio celeste, come se fosse appena uscito da una pubblicità.

«Dove hai preso questa roba? Sarà scaduta da almeno tre anni!» rispose Dwayne, dopo averla masticata per pochi secondi. Sapeva di muffa e acido, oltre ad essere dura come un sasso. La sputò sul cofano dell'auto.

«Due e mezzo, per la verità... ci sei andato vicino!» ribatté l'amico, tirando sugli occhi la visiera del cappello. Si sdraiò sul tettuccio della macchina, sotto il sole cocente. Gli pareva di essere una bistecca sulla brace. «Con tutti gli additivi chimici che hanno dentro, queste cose impiegheranno un decennio a scadere. Tutta una farsa, credimi».

«Se lo dici tu. Diamine, ucciderei per un panino del Mc Donald!» mormorò.

«A proposito di additivi chimici, eh!» commentò Robert, prima di simulare un intermezzo comico di batteria.

«Tirati su» disse Dwayne, facendosi serio, dopo aver guardato attraverso il binocolo. Lo passò al compagno, indicandogli la zona. «Abbiamo compagnia».

 

L'aria era elettrica, carica di tensione, come se una sorta di campo elettromagnetico si stesse espandendo tutto intorno. Dwayne penzolava come un salame. Il sangue gli pulsava nelle tempie come un culo troppo largo contenuto in un paio di leggins troppo stretti. Aveva ormai perso sensibilità nelle gambe, mentre avvertiva le braccia come pesanti macigni. Il suo stomaco era vuoto, ma si stringeva come nell'atto di buttare fuori qualcosa che non c'era. Rinvenendo, l'uomo convenne che fosse un peccato: trattenere il conato gli avrebbe quantomeno dato per qualche istante una vaga sensazione di sazietà.

Credette di starsi per ritrovare con gli occhi fuori dalle orbite per la pressione sanguigna, ma purtroppo era consapevole che, prima ancora di assistere ad un tale cruento spettacolo, sarebbe svenuto. Sarebbe crepato senza neanche rendersene conto.

Una fine indegna.

Quando la vista smise di confondere le immagini, individuò il profilo di Dragomir nascosto nella penombra. Aveva un'aria servile. Il figlio di buona cagna – come lo avrebbe definito Dwayne, o la sfilza di barboncini che avevano ripassato la madre – sembrava averla scampata bene. Era come uno dei più improbabili cattivi dei film horror anni ottanta. Potevi scaricargli addosso un caricatore, dargli fuoco o tagliarlo a metà con un'ascia ma, al primo cambio scena, il bastardo era di nuovo alle calcagna dello sfortunato protagonista di turno.

Dwayne avrebbe potuto continuare con le proprie futili congetture in eterno, anche perché era l'unica cosa che gli riusciva bene, date le circostanze: la bocca era tanto gonfia da rendergli difficile anche la sola respirazione.

Dragomir però si accorse di poterlo strapazzare ancora un po'.

«Ve lo consegnerò non appena mi avrà detto dove sono gli altri. Saranno nascosti nelle vicinanze. Con permesso, Signore» disse con tono servile, con un leggero accento tipico dell'Europa dell'est, prima di esibirsi in un notevole inchino, tale che avrebbe anche potuto leccarsi le scarpe. Qualcosa d'informe, come una nube d'ombra, lo oscurò per una frazione di secondo, prima di dissiparsi nel nulla fra una miriade di scintille. La tensione elettrica venne meno.

«Ci sai fare con gli inchini. Maestranza appresa durante le fredde notti trascorse sui marciapiedi al chiarore delle stelle?»

«Dwayne-Dwayne-Dwayne» cantilenò Dragomir, facendosi vicino, sino a flettersi sulle ginocchia, per averlo davanti agli occhi. «C'è chi sopravvive, e chi giace appeso a testa in giù, legato ad una corda che pende da un arco di roccia poco stabile. Ho scelto di essere un vincente. Sei rosso per l'emozione? Dai! Sei mio ospite».

«No... sia mai. L'imbarazzo» rispose con un filo di voce.

«Imbarazzo?» ripeté divertito.

«Beh, vedi... L'ultima volta... l'ultima volta che mi sono ritrovato in una situazione simile – un sessantanove, per intenderci – quella donna lo prendeva in bocca con gioia. Ammetto che mi sorprenda poco il fatto che suo figlio abbia gli stessi gusti!». Dwayne avrebbe voluto ridere, ma il dolore alla testa era eccessivo, ed il pugno che il torturatore gli sferrò alla bocca dello stomaco gli spezzò il fiato.

Perlomeno, il colpo fece sì che la corda a cui era legato gli facesse fare un giro panoramico. Altri tre uomini si godevano lo spettacolo, muniti di mazze e pistole. I suoi effetti erano stati accumulati nei pressi dell'ingresso, a cinque metri di distanza.

«Il solito Dwayne. Me ne rallegro. Luna è stata meno chiacchierona...» gli disse, schiaffeggiandolo. «Con certi elementi bisogna saper utilizzare i giusti metodi. Fuori fa piuttosto freddo, e non voglio che tu, mio ospite, possa sentirti a disagio. Ti terrò al caldo...» proseguì, prima di calare la braghetta e tirar fuori il suo membro.

Dwayne aveva visto clitoridi più grandi, ma tenne per sé quella considerazione. Si limitò a dire: «Fa proprio freddo...» prima di chiudere sia gli occhi che la bocca.

Sentì dapprima il tanfo stantio dei suoi genitali, poi il tiepido liquido che gli investiva il viso. Per quanto tentasse di spostare la testa, così da riuscire a respirare, l'essere appeso, con le narici a mo' di canale di scolo, rendeva il tutto piuttosto complicato.

«Non ridi più?» lo canzonò, prima di ordinare: «Tiratelo giù. Non voglio che svenga di nuovo».

Una coppia di energumeni lo lasciò capitombolare sulla nuda roccia. Si aprì un sopracciglio, finendo con la faccia nella pozza ancora calda. Il suo corpo riprese a formicolare, irrigidendosi appena e provocandogli delle fitte intense.

«Mettiamo in chiaro la situazione. Da qui puoi uscire in due modi: ancora vivo, seppur acciaccato, oppure in fin di vita, implorando un rapido trapasso» gli spiegò Dragomir, girandolo col piede per vederlo in faccia. Per sfortuna di Dwayne, il puzzo del suo piscio non aveva soffocato il tanfo dell'acqua di colonia che portava indosso.

«Ne hai dimenticato uno...» farfugliò il prigioniero.

«Sentiamo, dunque. Oggi sei piuttosto creativo. Sai, si dice che alcuni artisti lo fossero poco prima di crepare, come se sentissero l'inevitabile momento avvicinarsi».

«Me ne vado sulle mie gambe, con la testa dei tuoi amici in una sacca ed il tuo cadavere in spalla» rispose Dwayne.

«Questa volta ti è uscita proprio male. Dove sono gli altri? Mostramelo sulla mappa, o portami sul posto di persona. Ti lascerò andare. Dico sul serio... libero» promise Dragomir. «In alternativa, potresti sempre lavorare per me. Cibo, riposo, mezzi di trasporto e la conferma che, al termine di questo... ribaltamento politico, tu possa dirti ancora un uomo libero».

«Non sei diverso da una troia che sceglie il suo pappone. Ma verrai picchiato, se non porterai i soldi a casa. Cosa farai quando non ci sarà più nessuno da cacciare?» ringhiò Dwayne fra i rantoli di dolore. «Sarai cacciato. Tu e le tue tre palle non siete in grado di accorgervi che si tratta di uno sterminio?!».

«Evoluzione, Dwayne. Si tratta di progresso evolutivo. Guardaci: pensi che siamo all'apice della nostra progressione cellulare? Le religioni erano tutte balle. La medicina ha da sempre oppresso il processo di evoluzione della nostra specie, fermandosi ad uno standard obsoleto. Difetti di crescita – così li chiamavano – per impedirci di abbracciare la verità» spiegò Dragomir, girandogli attorno. «Ed ora che siamo ad un passo dal ghermire quel dono, l'umanità si è tirata indietro!».

«Gli Dei della Decadenza ti hanno fritto il cervello. Evoluzione? Forti della debolezza dei più religiosi, hanno cominciato a massacrare innocenti. Purghe pubbliche, davanti agli occhi di tutti. Questo è il grande concetto di evoluzione che ti hanno promesso? Sono qui per conquistarci. Per prendersi il nostro mondo. E certi coglioni come voi li stanno aiutando a sterminarci!» per quanto il sangue gli ribollisse per tutte le stupidaggini che stava ascoltando, si sforzò di apparire debole, benché la sua voce stesse dando prova della sua rinnovata facoltà di movimento ed espressione.

«Sei cieco, Dwayne» asserì Dragomir, sollevando la maglia. La parte destra del suo corpo aveva una tonalità più chiara, tendente al grigio, segnata da vene nere. Sprezzante, aggiunse: «Quell'ultima volta che ci siamo incontrati. La ricordo bene. Sarei morto, se quelli che chiami Dei della Decadenza non mi avessero ricostruito. La loro tecnologia può renderci immortali... sconfiggere lo spettro della morte, ed aprire le frontiere di una nuova epoca».

«Sei uno zombie, Dragomir. Una sorta di Frankenstein» affermò disgustato. «Che ne è stato di Luna? Se sei qui che provi a convincermi a stare dalla tua, significa che non sei riuscito a prenderla».

L'ucraino rise. Si leccò poi le labbra, infastidito.

Prima che Dragomir potesse rispondergli a tono, però, i suoi uomini vennero aggrediti alle spalle da un coyote ciascuno. Un quarto, scavalcando il prigioniero con un balzo, mirò proprio a lui, addentando il suo braccio. L'esplosione di un colpo di pistola riecheggiò all'interno della caverna, stordendo tanto gli uomini quanto gli animali.

Dwayne ne approfittò per correre verso l'uscita. Raccolse alla bene e meglio i suoi effetti e lo zaino. Dopo averli riposti nel bagaglio, si lasciò scivolare lungo il fianco scosceso della collina, mentre le voci infuriate di Dragomir lo raggiungevano dall'alto, seguite da altri due colpi di pistola.

«Prendetelo, idioti!» ordinò, dopo essersi liberato del coyote ed avergli scaricato addosso l'intero caricatore.

Dwayne puntò d'istinto i piedi per rallentare la caduta, ritrovandosi invece a ruzzolare in malo modo. Poi, mancò l'ultimo appiglio prima del baratro e, dopo un volo di dieci metri, concluse la sua corsa con un sonoro tonfo.

 

Il fuoco nemico infuriava sopra le loro teste come una cascata di piombo rovente. La forza d'artiglieria della quale disponevano era qualcosa che entrambi avevano avuto modo di scorgere solo nei più costosi blockbuster.

Il carro armato aveva terminato i missili, ma il mitragliatore stava riversando sull'ingresso della base tutto l'arsenale. I colpi di mortaio avevano devastato le difese principali, ed ora un manipolo di soldati stava cercando copertura nei dintorni della salita che conduceva all'entrata.

Robert si sporse dalla barricata di metallo rinforzato abbastanza per poter prendere la mira. Tirò il grilletto tre volte, una per ogni bersaglio che avrebbe abbattuto. La quarta andò a vuoto: aveva terminato le munizioni.

«Sono troppi» brontolò Dwayne, passandogli l'AK47. «Dobbiamo spostarci verso l'interno. Sanno dove siamo, e se riescono a colpirci col mortaio siamo belli che fritti!».

«Se perdiamo questa posizione siamo morti comunque! Dobbiamo resistere finché il Colonnello Vice e Lloyd non avranno fatto evacuare tutti. Speriamo solo che quelle bestiacce non arrivino a supporto di quell'esaltato. Dragomir, bastardo di un traditore» affermò Robert, decidendosi a spostarsi sul lato opposto della barricata. Evitarono per un soffio l'esplosione di una granata a frammentazione, pur rimanendo feriti di striscio.

«Che ti avevo detto! Se finisci ammazzato, Luna non me lo perdonerà mai!» gli gridò Dwayne, sbattendolo contro la protezione. Gli strappò di mano l'arma e si sporse, dosando ogni singolo proiettile che stava sparando. Era facile colpire dall'alto, ma ogni volta che si sporgeva, correva il rischio di finire crivellato dal mitragliatore posizionato sul tank.

«Granata!» urlò Robert, trascinando l'amico dietro una protezione più arretrata.

Nello stesso momento, la potenza di fuoco del carro armato abbatté le postazioni dalle quali Kirkmall e Vash stavano rispondendo all'assedio con un pugno di ribelli. Un colpo di mortaio rese chiaro che nessuno di loro fosse sopravvissuto all'esplosione.

«Quanti colpi ci rimangono, Dwayne?».

«Un caricatore per l'AK. Un pugno per le pistole. Ed i coltelli» rispose, mordendosi le labbra.

«Torna indietro. Avvisali che stanno arrivando» disse Robert, fissandolo dritto negli occhi.

«Neanche per le palle» rispose caricando l'arma. In quel preciso momento udirono il rumore metallico di qualcosa che aveva sbattuto contro l'ingresso della trincea. Scorsero una granata ad un passo da loro. Dwayne, nell'ultimo gesto disperato, si buttò per circoscrivere il raggio dell'esplosione.

«No!» esclamò Robert.

La bomba, però, non esplose. Al contrario della seconda che era caduta dalla parte opposta della trincea, che aprì un varco attraverso il canale di scolo, alto mezzo metro.

«Porca merda!» rabbrividì Dwayne. «Se senti puzza è perché credo di essermi cagato addosso».

Gli spari cessarono.

«Alzati lentamente» gli consigliò Robert. Rapido recuperò la bomba. L'idiota che l'aveva lanciata, per loro fortuna, si era scordato di mollare la sicura.

«Si stanno avvicinando. Credono di averci preso» mormorò Dwayne, osservando attraverso alcuni fori di proiettile presenti nella barricata.

«Coprimi le spalle» fu tutto ciò che disse Robert, prima d'infilarsi dentro il canale di scolo, armato solo del suo pugnale e della pistola con dodici munizioni.

«Riporta il tuo culo indietro, Robert!» gli ordinò. Ma quello si avventurò lesto come un ratto giù per il canale.

Dwayne diede un secondo sguardo al campo a valle. I soldati stavano frugando fra l'attrezzatura che era rimasta incustodita, mentre alcuni cecchini sembravano tener d'occhio la sua posizione, quasi si aspettassero di vedere spuntare da un momento all'altro la sua testa nera. Il carro armato aveva avanzato di qualche metro, privando gli addetti ai mortai della copertura.

Secondo i suoi calcoli, Robert avrebbe impiegato fra i cinque ed i dieci minuti prima di fare la sua mossa.

Contò per l'ultima volta le munizioni che gli erano rimaste. Poi, uscì dal nascondiglio.

 

 

 

Continua...

 



Gli impegni mi hanno tenuto distante da questa storia. Ora che ho trovato il tempo per riprenderla, spero il capitolo di rientro possa farmi perdonare ;)
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: Lodd Fantasy Factory