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Autore: Mearmind    28/03/2017    2 recensioni
ATTENZIONE SPOILER SETTIMA STAGIONE!
Questa storia è ambientata proprio alla fine della settima stagione, nella notte che precede la lotta contro Negan. Daryl e Carol riusciranno finalmente a parlarsi conoscendo tutta la verità su quello che è successo all'inizio della stagione. Come reagiranno di fronte a tutto quel dolore?
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carol Peletier, Daryl Dixon, Morgan Jones, Rick Grimes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti! Ho scritto questa storia perchè mi è sempre dispiaciuto che Morgan non abbia mai detto a Carol che Daryl era stato fatto prigioniero da Negan e che fosse stato torturato. Mi sono chiesta quindi che cosa avrebbe pensato e soprattutto che cosa avrebbe detto in questa ipotetica situazione. Lo so, la storia è un pò lunga e aveva anche pensato di fare due capitoli, ma spezzarla non avrebbe avuto molto senso, in quando le prime due parti sono state create per permettere alla scena principale di presentarsi come si deve. Quindi Rick e Morgan esistono solo per far capire a Carol come stanno le cose. Infine, spero di non essere andata OOC con i personaggi, ma visto come si sono evolute le cose fra loro due negli ultimi tempi e visto anche com'è cambiato Daryl durante le varie stagioni, credo di essere comunque rimasta dentro i personaggi. O almeno lo spero! :) Vi lascio alla lettura e se avete voglia sarei veramente molto felice di leggere le vostre opinioni al riguardo. Grazie mille! 

 

“Vuoi davvero sapere che cos'è successo ad Alexandria?”

Carol sentì il suo cuore fremere, ma voleva sapere. Doveva. Conosceva troppo bene Daryl per credere a quello che lui le aveva detto. Lo conosceva.

“Si” Due lettere che da lì in poi avrebbero cambiato il suo mondo.

Morgan la fissò per un attimo lungo un minuto, dopodiché soffiò fuori le parole come un vento gelido.

“I Salvatori alla fine sono arrivati ad Alexandria. Negan ha ucciso Abraham come avvertimento e Glenn come punizione. Ha quasi fatto tagliare a Rick il braccio di suo figlio. Ha portato via Daryl. Lo ha tenuto prigioniero per settimane, torturandolo fisicamente e psicologicamente. Lui è riuscito a scappare come hai visto ma ora i Salvatori gli danno la caccia. E Negan poi ne ha uccisi altri...Spencer, Olivia. Ora Rick e gli altri vogliono combattere, ma non potranno farlo senza l'aiuto del Regno e delle altre comunità che tutt'ora sono sotto il dominio dei Salvatori....Volevi la verità Carol. Ora la sai. Vedi tu in che modo vuoi servirtene.”

Nel dire tutto questo, Morgan aveva sempre fissato Carol negli occhi, ma lei ben presto cominciò a non distinguere più bene la sua figura, ma a vedere solo una macchia indistinta sui suoi occhi ormai colmi di lacrime. Glenn...Abraham...Daryl. Dio mio.

Carol dovette appoggiarsi allo stipite della porta quando ebbe improvvisamente un capogiro.

Tutto quello che aveva provato a evitare, tutto quello di cui aveva paura, ora era arrivato. Non poteva scappare. Non più. Non dopo questo. Se il mondo si era ridotto in quella maniera, quella non era colpa sua. Non ci si poteva fare nulla. L'unica cosa che si poteva fare era preservare e proteggere quello che era importante oggi come lo era allora. Lei aveva una famiglia, e in una famiglia ci si protegge. Che sia proteggere la figlia da un padre violento portandola via di casa, o che sia proteggere un membro della sua nuova famiglia uccidendo altre persone, non cambiava nulla. Come aveva potuto andarsene?

Quello che aveva sempre desiderato ma aveva sempre avuto paura di compiere, ora lo avrebbe fatto. Avrebbe lottato con loro, fianco a fianco, e se fosse morta, almeno sarebbe accaduto per un buon motivo. Era arrivato il momento di combattere.

Con la mano destra si asciugò lentamente le lacrime che minacciavano di cadere, mentre con la sinistra si rimise in equilibrio. Non era più il tempo di piangere.

“E' ora di andare Morgan. Ti va di accompagnarmi?”

Morgan per tutta risposta le mise una mano sulla spalla.

“E' ora di tornare a casa” e detto questo entrò nello chalet a prendere lo zaino sempre pronto vicino all'uscita secondaria e si precipitò fuori in direzione del Regno. Avrebbe convinto Re Ezekiel a entrare in guerra e poi sarebbe finalmente tornata a casa. C'era una questione di cui si doveva occupare e a cui non voleva più rimandare.

 

****

 

Rick non riusciva a scioglierla dal suo abbraccio. Dio, era cosi felice di vederla. Era l'imbrunire ormai e quando sfiniti erano tornati tutti dalla comunità di Oceanside nessuno aveva parlato e ognuno di loro si era rifugiato nella propria casa. Mentre stava dando le ultime disposizioni a chi avrebbe fatto da guardia quella notte, sentì bussare energicamente alle grate del cancello, riconoscendo subito la voce. Non appena quelle sbarre di metallo furono tolte di mezzo, Rick la abbracciò forte, in un moto quasi disperato di protezione.

“Sono così felice di vederti, Carol” disse Rick con la voce rotta dall'emozione.

Carol rispose dolcemente al suo abbraccio, sorridendo contro la sua camicia logora.

“Sono felice anche io Rick di vedere che stai bene”

Quando si sciolsero dal lungo abbraccio, il viso di Rick si rabbuiò, conscio della realtà a cui doveva metterla di fronte. Carol però lo precedette.

“So tutto Rick. Morgan me ne ha parlato...mi dispiace tanto di essermene andata. Non avrei mai dovuto farlo.” esclamò Carol, le lacrime che minacciavano di spezzarle la voce.

Per tutta risposta Rick le mise una mano sulla spalla in segno di conforto.

“E' stato meglio così Carol. Se fossi rimasta avresti dovuto assistere anche tu a tutto quello che è successo. Glenn, Abraham...Olivia, Spencer. E poi Daryl. Almeno hai potuto risparmiartelo. Sei rimasta al sicuro. Sono felice che tu sia sana e salva.”

Nel sentire nuovamente il nome di Daryl, Carol sentì il cuore batterle più velocemente.

“A proposito Rick...che cosa è successo a Daryl? Morgan mi ha detto che è stato torturato da Negan ma...perché? Perché lo ha preso innanzitutto? Perchè non ucciderlo? Cosa è successo realmente?”

Rick nel sentire quelle parole distolse gli occhi da lei per un attimo, grattandosi la barba con la mano destra e portandola successivamente sui suoi capelli.

“Daryl...ecco, Daryl è stato preso da Negan come punizione. Alla fine voleva renderlo uno di loro, vedeva le sue potenzialità”

Carol ancora non riusciva a capire. “Lo ha preso come punizione? Che cosa vorrebbe dire?”

“Di questo è meglio che ne parli con lui. Nessuno lo biasima ma...parlane con lui.”

Carol aveva un brutto presentimento. Conosceva molto bene il carattere di Daryl, e per questo una sensazione di paura si era ora insinuata tra le stringhe del suo cuore.

“Dove posso trovarlo?”

“L'ho visto entrare in casa tua a dire la verità. Deve essere davvero sfinito per decidere da solo di dormire tra quattro mura e con un cuscino sotto la testa. Anche se probabilmente dormirà per terra.”

A quelle parole Carol emise un lieve sorriso. Dopotutto, Daryl era sempre Daryl.

“Grazie, Rick.” e mentre si incamminava verso quella che una volta era stata la sua casa, si girò durante la marcia e aggiunse “Sono pronta a combattere Rick. Per tutti noi. E lo è anche il Regno. Ce la faremo vedrai” e detto questo si girò nuovamente, lasciando Rick con un nuovo sentimento di speranza. Si, ce l'avrebbero fatta. Assolutamente. Assolutamente.

 

****

 

Non appena Carol fece i cinque scalini che la portarono sul portico di casa sua, si accorse che Daryl non aveva chiuso la porta, ma solo socchiusa. Doveva essere davvero esausto per abbassare così le sue innate difese che non lo abbandonavano mai. Non appena Carol attraversò la soglia la investì l'odore familiare di Daryl, un misto tra sangue, sudore, fango e erba. Non capiva come fosse possibile ma ogni volta che sentiva il suo odore si sentiva a casa. Non era quello che lei aveva sempre ricercato in un uomo, quell'alone di pulito e di profumo che si diffondevano nell'aria, cosa che aveva desiderato così ardentemente quando Ed tornava a casa a notte fonda e lasciava un tanfo di sigaretta, alcool e sudore per tutta casa. Non era quello che una donna si aspettava da un uomo, ma lei inaspettatamente si era ritrovata a inalare il suo odore ogni volta che le era vicino, e ormai faceva parte di lei, tanto da farle accelerare lievemente il battito ogni volta che sentiva un odore vagamente familiare.

Fece qualche passo verso il soggiorno senza fare rumore e come si era aspettata lo trovò seduto per terra con la schiena appoggiata al divano, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la gamba sinistra piegata mentre la destra allungata sotto il tavolino. Stava dormendo.

Sempre evitando di emettere il più flebile suono si avvicinò a lui e gli si sedette accanto a gambe incrociate. Per un attimo sorrise dolcemente. Era così bello poterlo guardare dormire. Il suo viso era così rilassato che Carol non riuscì a trattenersi, e allungò una mano per spostargli una ciocca di capelli. Non appena sfiorò le prime punte Daryl si svegliò di colpo e le bloccò il polso con una mano, ferocemente. I suoi occhi incrociarono quelli di lei e non appena la riconobbe le lasciò lentamente il braccio, passandosi la mano sugli occhi stanchi.

“Scusami, non volevo svegliarti” disse Carol appoggiando la mano ormai libera sul divano.

Daryl sembrò non averla nemmeno sentita.

“Che cosa ci fai qui Carol? Credevo non volessi tornare”

Ma Daryl sapeva il perché. Carol non era stupida e lui sapeva che c'era solamente un motivo che l'avrebbe portata ad abbandonare quello chalet per tornare da loro. Lei sapeva.

Carol lo fissò per un lungo momento prima di parlare.

“Ho saputo quello che è successo. Tutto quello che è successo. Sono tornata per questo. Non avresti dovuto nascondermelo, Daryl”

“Non saresti dovuta tornare” ribattè Daryl senza rispondere alla sua muta domanda.

Carol lo fissò in silenzio. Daryl continuava a guardarsi le dita della mano destra, il gomito appoggiato alla sua gamba. Era nervoso, poteva percepirlo. I suoi occhi vagavano nel buio senza mai posarsi una sola volta su di lei.

“Volevo farlo, Daryl. Dovevo. Non potevo lasciare che combatteste da soli. Ora finalmente l'ho capito.”

A quelle parole Daryl alzò impercettibilmente la testa nella sua direzione, tenendo sempre gli occhi fissi in un punto non precisato del pavimento.

Era diverso. Carol poteva vederlo chiaramente. Daryl era a pezzi. Quando si era presentato allo chalet aveva visto che c'era qualcosa che non quadrava nel suo comportamento, ma ancora non sapeva nulla e lo aveva imputato a sé stessa, un po' di nervosismo causato dalla loro lunga assenza.

Ma ora ne era sicura. Daryl aveva qualcosa che non andava. Un peso talmente grande da impedirgli perfino di alzare la testa. Con molta calma avvicinò il suo viso a quello di lui, abbassandolo per poter incontrare i suoi occhi.

“Che cosa è successo con Negan, Daryl?”

Nel momento in cui gli occhi di Carol incontrarono quelli di Daryl, lui scostò bruscamente la testa.

“Daryl...” Carol fece per allungare una mano in direzione del suo viso ma lui la allontanò bruscamente col suo braccio.

“Non toccarmi” disse, furente. Vedendo il suo atteggiamento, a Carol cominciò a montare la rabbia. Si alzò di scatto, prese di peso il tavolino davanti al divano e lo spostò lontano, lasciando lo spazio di fronte a Daryl libero, dopodichè si sedette a gambe incrociate davanti a lui. In tutto quel trambusto lui era rimasto sempre a testa bassa, cercando di grattare via dal pavimento del soggiorno una vecchia macchia di sangue rappreso. Carol continuò a fissarlo per una manciata di minuti, sempre in silenzio. Alla fine sospirò stancamente e con una tranquillità estrema gli mise una mano sul suo piede sinistro, avvolto da una scarpa ormai logora e consunta.

“Che cosa hai fatto?” Una semplice domanda. Diretta. Senza malizie, senza rabbia né compassione. Nel sentire quella domanda fatta in maniera così innocente, Daryl non riuscì più a far finta di niente. Alzò lentamente la testa, guardando finalmente Carol negli occhi.

Il suo viso era una maschera di dolore. Tutto quello che aveva passato, tutto quello che non era mai riuscito a dire, ora gli si leggeva in faccia. Insieme a pura e semplice paura. Daryl aveva paura.

Nel vederlo in quelle condizioni, a Carol le si annodò la gola di colpo.

Pensare che fino a qualche giorno prima avevano parlato tranquillamente e perfino riso davanti alla loro cena. Ma allora lei non sapeva, e quello che era più importante, lui sapeva che lei non sapeva. Questo gli permise di fingere. Ma ora...ora era tutto diverso. Lei sapeva, e lui non poteva più scappare. La sua paura di fronte a quella consapevolezza era quasi palpabile.

Dopo averlo fissato per un lungo momento, Carol prese un respiro e allungò nuovamente la mano verso il suo viso, riuscendo questa volta a spostargli lentamente il ciuffo e a poggiargli con delicatezza la mano sulla sua guancia sinistra.

“Che cosa hai fatto, Daryl?” ripetè nuovamente, e in quel preciso istante gli occhi di Daryl cominciarono a inumidirsi, spostandoli immediatamente in un'altra direzione ma questa volta non eliminando quel contatto. Quando parlò, la sua voce si era fatta appena un sussurro, rotta impercettibilmente dall'emozione.

“E' stata colpa mia”

“Che cosa è stata colpa tua?” chiese Carol, questa volta continuando a spostargli i capelli lentamente, per fargli sentire la sua vicinanza.

“Glenn...è stata colpa mia” ripetè Daryl, incapace di dire nient'altro.

Carol per un secondo smise di accarezzargli i capelli. Ora capiva. Ecco perchè la punizione. Ecco perchè -Abraham era un'avvertimento, Glenn una punizione-. Probabilmente Daryl aveva cercato di fermare Negan e lui si era vendicato nel modo peggiore possibile. Aveva fatto del male a qualcun altro, risparmiando Daryl e sbattendogli così in faccia tutto il suo senso di colpa. Era stato catturato come punizione, torturato per quello che si era permesso di fare. Ma anche se ora era scappato, Daryl in realtà era ancora sotto tortura. Oh, era così bravo in questo.

Carol emise un sospiro frustrato, passandosi una mano tra i capelli.

Nel vedere il suo comportamento dopo la sua ammissione, Daryl ebbe un moto di terrore attraversargli tutta la spina dorsale e sentì il bisogno urgente di alzarsi, di mettere più metri tra di loro. Si alzò bruscamente e si dirigette verso il camino, incapace di stare fermo.

“Bè, ora lo sai, quindi vattene. Non ti voglio qui” disse con voce sprezzante.

Per tutta risposta Carol si alzò e rimase immobile nella sua posizione con un debole sorriso sul volto.

“Veramente questa sarebbe casa mia”

“E allora me ne vado io” e fece per dirigersi verso la sua balestra appoggiata sul divano, quando Carol si mise in mezzo a loro due.

“Spostati” soffiò Daryl, la rabbia a stento trattenuta.

“No” disse tranquillamente Carol.

In un impeto di rabbia Daryl la scostò bruscamente, Carol inciampò su un piede del divano e rovinò dolorosamente a terra, sbattendo con violenza il braccio sul tavolino di legno che era stato precedentemente spostato.

“Ahia...” emise un piccolo gemito di dolore, spostando il suo peso sull'altro braccio per mettersi seduta. “Ogni tanto sei un vero maleducato, Daryl...” disse Carol sbuffando leggermente infastidita. Ma non appena alzò lo sguardo per dirgliene quattro, le parole le morirono in gola.

Daryl se ne stava in piedi di fronte a lei, gli occhi spalancati, la mano con cui aveva cercato inutilmente di afferrarla ancora a mezz'aria, tremante. Nel vederlo così sconvolto, Carol si rimise in piedi velocemente, cercando di non appoggiare il braccio dolorante, e si diresse velocemente verso di lui, allungando la mano dietro la sua testa e appoggiando la fronte di lui sulla sua.

“Ehi, sto bene.” disse dolcemente. “Non è successo niente. Sono solo inciampata. Non è successo niente.”

Per un lungo secondo restarono in silenzio, quando Carol sentì distintamente due dita che delicatamente le sfioravano il braccio dolorante. Quando Carol aprì gli occhi vide che Daryl stava guardando il suo braccio, sospirando tremante. “Ehi, mi hai sentito? Non è successo niente. Ho solo preso una botta, mi passerà presto.”

“Dovreste stare tutti lontani da me” disse a quel punto Daryl, la voce colma di dolore, e con un gesto stanco la allontanò con cautela e si diresse verso un angolo del soggiorno, accasciandosi nuovamente.

“Credevo che te ne stessi per andare” disse Carol con una punta di umorismo nella voce.

Daryl alzò lentamente il viso, prima di tornare a guardare il pavimento.

“Resto ancora un po' per vedere come stai. Hai fatto una brutta caduta.”

Nel sentire quelle parole Carol non potè fare altro che sorridere. Si avvicinò lentamente a lui e gli si sedette nuovamente di fronte, appoggiando le sue mani sulle sue ginocchia.

“Ora ti riconosco Daryl. Questo sei tu.” esclamò Carol con una punta di nostalgia nella voce.

“Sai, quando ho deciso di lasciare tutti voi, c'era un pensiero che mi ronzava continuamente nella testa. Una paura. Avevo il terrore che tu, scoprendo che me ne ero andata, saresti lo stesso venuto a cercarmi. Avevo paura che avresti rischiato la tua vita per ritrovarmi, perchè tu sei fatto così. Mentre io cercavo di scappare da quello che provavo per voi...per te...e scappare così da quello che avrei dovuto fare per tenervi al sicuro, tu hai sempre provato l'opposto. Non hai mai avuto paura di sporcarti le mani se questo significava proteggere la tua famiglia.”

A quell'ultima parola Daryl alzò nuovamente la testa, fissando gli occhi in quelli di lei. Carol di rimando strinse leggermente le mani intorno alle sue ginocchia e gli rivolse un leggero sorriso.

“Ora l'ho capito, Daryl. Non è mai sbagliato se per proteggere qualcuno fai qualcosa che non ti piace. Non in questo mondo, non più. E questo l'ho imparato da te. Quando vuoi ardentemente una cosa, è giusto lottare per averla ed è giusto difenderla da tutto e da tutti. E, si, qualche volta si rimane feriti, qualche volta si fanno delle scelte di cui dopo ci si pente, ma fa parte della vita. Non vuol dire che si è sbagliato a comportarsi così. Il voler bene a qualcuno non è mai una debolezza, Daryl.”

Daryl continuava a mordicchiarsi incessantemente il labbro inferiore, gli occhi che tornavano ogni tanto a guardare le sue gambe.

“Le mie scelte però uccidono sempre qualcuno. In un modo o nell'altro ne sono sempre io la causa.”

sussurrò quasi più a sé stesso che a Carol.

“Queste sono cavolate Daryl, e tu lo sai.” rispose Carol, accarezzandogli impercettibilmente le ginocchia ossute.

“Mmmm...io vedo solamente che ho smesso di cercare il Governatore e lui ha ucciso Hershel, ho allontanato Beth pensando di tenerla al sicuro e lei è stata rapita e poi uccisa, e Glenn...ho violato le sue regole, e Negan se l'è presa con lui. Non era necessaria la sua morte. È stata colpa mia. Merito quello che mi è successo. Merito ogni cosa. Aveva ragione Dwight...ho ucciso il mio amico.” e a quelle parole Daryl accasciò la testa e cominciò a piangere, il silenzio rotto solo dai suoi gemiti appena percettibili.

Carol non sapeva come comportarsi. Mai aveva visto Daryl lasciarsi andare così davanti a lei, né davanti a chiunque altro, se era per questo. Ma ora se ne stava lì, con il viso semi nascosto dai suoi capelli, le spalle che tremavano leggermente, incurante del fatto che lei lo stesse guardando.

Di fronte a tutto quel dolore, fece l'unica cosa che le venne in mente in quel momento. Si avvicinò ulteriormente a lui in ginocchio e con estrema delicatezza avvicinò le sue labbra ai capelli di lui, reggendogli la testa con entrambe le mani e baciandogliela dolcemente. Quello che ottenne da quel gesto così innocente fu un gemito più strozzato da parte di lui. Aveva cominciato a piangere ancora più forte. Carol allora si avvicinò nuovamente ma questa volta avvolse il suo volto ancora rivolto verso il basso tra le sue mani e cominciò a baciarlo dolcemente sulla testa. Ogni bacio colpiva un punto diverso del suo viso. La testa, la fronte, la tempia. Quando i baci cominciarono a sfiorare non più le sue lunghe ciocche, ma la sua pelle, Carol sentì Daryl tremare leggermente, rimanendo però immobile. Ora i baci si erano fatti più ravvicinati. Carol indugiò a lungo sul profilo del suo viso, lasciandogli una scia di piccoli baci su tutta la sua lunghezza, per poi spostarsi sulla sua palpebra, sull'angolo dell'occhio, sullo zigomo, sulla guancia, sempre reggendogli delicatamente il viso tra le mani, come a volerlo proteggere. Attraverso le sue labbra Carol poteva sentire il sapore delle lacrime di lui, cosa che la fece fremere leggermente. Quando con riluttanza si staccò dal suo viso, si rese conto che Daryl aveva alzato la testa. Aveva smesso di piangere e posava gli occhi costantemente su di lei per poi distogliere lo sguardo subito dopo, mordicchiandosi il labbro inferiore fino quasi a farlo sanguinare. Carol da quella distanza poteva quasi sentire il cuore di lui battere all'impazzata, quasi quanto il suo. A quel punto riprese a spostargli dolcemente i capelli dal viso e gli si avvicinò nuovamente, questa volta restando di fronte a lui. Riprese a baciargli la fronte, per poi passare alla curva delle sue sopracciglia. Quando arrivò ai suoi occhi sentì la mano di Daryl sfiorarle nuovamente il braccio su cui era caduta ed indugiare fino ad arrivare al suo polso con una delicatezza che a Carol quasi venne da piangere. Dopo aver lavato via le ultime tracce di lacrime salate, Carol continuò a baciare lentamente la curva del suo naso, dandogli un ultimo bacio sulla punta prima di staccarsi leggermente e continuare a scendere sempre più verso le sue labbra. Sentiva chiaramente il respiro di Daryl farsi sempre più rarefatto, cosa che le provocava quasi un capogiro. Con quei baci all'inizio aveva solo voluto consolarlo, ma si rese conto dopo i primi che quello che voleva in realtà non era solo alleviare il suo dolore, ma proteggerlo. Voleva proteggerlo così tanto dolorosamente che le sue mani, le sue labbra, il suo corpo, si comportavano come se lei non potesse più controllarlo. Quando le sue labbra sfiorarono l'angolo della bocca di Daryl, sentì un delicato profumo di marmellata di pesche. Doveva essersene mangiato un intero barattolo, amava la marmellata. Si allontanò leggermente dal suo viso e lo guardò. I suoi occhi ora indugiavano su uno strappo particolarmente interessante sui suoi pantaloni. A Carol scappò un lieve sorriso. Quasi come se avesse paura di fargli male, gli accarezzò il viso con la mano libera, spostando leggermente i capelli.

“Daryl...” sussurrò lei, con una muta richiesta dei suoi occhi. Daryl dopo alcuni secondi alzò lo sguardo e dopo essersi fissati per quello che doveva essere un secondo, Carol tirò a sé leggermente il viso di lui e posò le sue labbra sulle sue. Sentì il respiro di Daryl scaldarle la guancia e la sua mano lentamente risalirle su per il braccio, fino ad andare a posarsi sul suo collo. Quando le loro lingue si sfiorarono Daryl non riuscì a trattenere un gemito, e con la sua mano avvicinò ancora di più il viso di Carol al suo. Quando si staccarono, le loro fronti ancora saldamente ancorate le une alle altre, i loro respiri affannati, Carol si rese conto che Daryl era mosso da un tremore quasi impercettibile in tutto il suo corpo. Quando anche i loro visi furono lontani, potè constatare che perfino la sua mano era tutta un tremito e il suo sguardo era incollato nuovamente su un punto non precisato del suo corpo. Carol non potè fare a meno di sorridere.

“Daryl...guardami, per favore...” disse lei con dolcezza.

Dopo alcuni secondi gli occhi di Daryl si posarono lentamente sui suoi, arrossendo leggermente.

“Tutto bene?” ma non ottenne risposta. L'unica cosa che ottenne fu nuovamente il suo sguardo rivolto altrove, e le sue mani intrecciate sopra le ginocchia a torturarsi le unghie.

Carol sospirò un po' rassegnata. “Dai, fammi spazio, su” gli disse tranquillamente. Gli aprì le gambe che fino ad allora erano rimaste piegate davanti a lui, si girò e dandogli la schiena si sedette davanti a lui, appoggiando la sua schiena sul suo petto. In quella posizione poteva sentire distintamente il suo petto gonfiarsi e sgonfiarsi a ritmi molto veloci. Così gli prese la mano destra e cominciò a giocherellare con le sue dita. “Allora tutto bene?”

Sapeva che in quella posizione lui si sarebbe sentito più a suo agio, senza sentire il suo sguardo su di lui. Mentre aspettava pazientemente una sua risposta, si mise a studiare le dita della sua mano. Erano così malridotte, piene di tagli, lividi e piccole cicatrici. Sul dorso della mano aveva una piccola stella tatuata vicino al pollice, così si mise a passarci sopra il suo, ancora e ancora, come a volerla pulire per bene da strati di sangue e polvere che tentavano di oscurarla.

“Si” . Quando sentì quelle due lettere il viso le si allungò in un grande sorriso e si portò la mano di lui alle labbra, baciandogli la piccola stella e avvolgendola con entrambe le mani.

“Bene, sono contenta” rispose Carol, abbassando il viso per strofinare la sua guancia sulla mano di lui. Stettero in silenzio per qualche minuto, con Carol che continuava a giocherellare con le sue dita e con Daryl che inaspettatamente la lasciava fare. Quando sentì il suo respiro farsi nuovamente regolare, Carol riprese a parlare.

“Sai Daryl, quando arriviamo in questo mondo nessuno ci insegna come vivere. L'unico metodo per imparare è provare, e provare ancora, fino a quando capisci come funziona, e anche allora in realtà quello che sai è ben poco. Ora tu credi di non meritare tutto questo, pensi di essere la causa dell'infelicità o della morte delle persone a te vicine, ma sbagli. Tu non sei un errore da sistemare, non sei un disastro come pensi di essere. Tutti facciamo degli errori, non siamo perfetti. E non serve che tu lo sia. Le scelte che hai fatto..noi tutti sappiamo chi sei. Io so chi sei. E mai avrei pensato che quel rozzo maleducato, saccente e arrogante, potesse in realtà diventare la mia famiglia.”

Nel pronunciare quelle parole, Carol non potè fare a meno di ripensare a tutta la loro strada, fin dove erano arrivati. Un velo di nostalgia le fece stringere un po' più forte la sua mano in quella di lui.

“Non sei solo, Daryl. Non lo sei mai stato. E di sicuro io oramai non vado da nessuna parte”

A quelle parole Daryl avvolse anche l'altro braccio intorno alle spalle di Carol, infilò il viso nell'incavo del collo di lei e ricominciò a piangere, scosso dai singhiozzi, mentre lei gli accarezzava dolcemente le mani e le spalle, piangendo oramai anche lei a dirotto.

 

 

 

 


 
  
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