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Autore: The_Gabs    31/03/2017    0 recensioni
Dal diario personale del dottor Oswald Gibbs,
curioso come questa realtà riesca a sfuggire così facilmente da ogni logica. Viviamo in un mondo in cui apparire è vivere. Un’incessante bisogno ossessivo di essere qui e ora, immerso in un quadro armonioso ed effimero, così facile da rompere. Apparire è vivere, ma vivere senza apparire è soltanto sussistere. Uomini, donne, adulti, bambini, ricchi, poveri: questa patogenica ossessione psicosociale agisce a tutti i livelli della società e sembra caratterizzare in particolar modo l’uomo del ventunesimo secolo. A beneficio delle propagande xenofobe che stanno dilagando in tutto il paese, credevo che tale realtà, questa ricerca costante di un nostro posto nel mondo che ci circonda, fosse capibile solo da noi “Normo”, ma a una ben più approfondita analisi, mi chiedo se invece non siano loro a comprendere meglio questa ricerca. Loro, gli “Altri”…
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: X-men
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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1x2 Adattamento
 
New York, Mallet Cafè
Nel piccolo bar di periferia, un uomo in divisa da poliziotto sta sorseggiando una birra al bancone. Vi è una leggera musica swing di sottofondo.
La porta del locale si apre e un paio di gambe ben tornite, adagiate su alti tacchi a spillo, si avvicinano all’uomo.
«Buonasera, signorina, cosa posso offrirle?» chiede il barista.
«Uno scotch, per favore» risponde Elisabeth Braddock, sedendosi accanto al poliziotto.
Quest’ultimo la guarda di sottecchi, indugiando sulle cosce, risalendo con lo sguardo fino alla scollatura della camicetta. Deglutisce.
Elisabeth sembra accorgersi dell’uomo soltanto in quel momento. Sorride, vagamente sorpresa: «Ci conosciamo, per caso?»
Il poliziotto sembra ricomporsi improvvisamente. Schiarendosi la gola, ammette: «No, non credo.»
«Ma sì, io la conosco!» insiste Elisabeth, deliziata. «Lei è Norman Pierce! Ha sventato una rapina in banca la scorsa settimana, non è vero?»
Adesso è l’uomo ad apparire attonito: «S-sì, sono io.»
«Oh, mio dio, lei ha salvato mia sorella, lo sa?» miagola la donna, abbracciando l’agente. «Era una degli ostaggi dei banditi. Non fosse stato per lei, mia sorella sarebbe sicuramente morta!»
«Ho fatto solo il mio dovere» sorride Pierce, gonfiando arditamente il petto.
«Ecco il suo scotch, signorina» s’intromette il barista, dando un piccolo bicchiere alla donna, che gli sorride in risposta.
«Ci va giù pesante, eh?» ridacchia il poliziotto. «Non è un po’ forte, per una donna?»
«Non mi giudichi male» ammicca Elisabeth, sorridendo imbarazzata. «Mi piace il divertimento, tutto qui. Ma spesso agli uomini non piace la mia libertà.»
«Forse perché non ha ancora trovato l’uomo giusto» spiega l’agente Pierce, dopo un attimo di esitazione.
La donna lo guarda, stupita, poi sorride, forse ancora più imbarazzata di prima.
«Che ne dice di fare una passeggiata, signorina… signorina?» chiede l’uomo, incuriosito.
«Braddock. Elisabeth Braddock. Chiamami pure Liz.» si presenta la donna, stringendo la mano all’agente. «È un invito, il suo?»
Il poliziotto scoppia a ridere: «Potrebbe esserlo, certo!»
«Beh, in questo caso accetto molto volentieri!»
Entrambi si alzano dal bancone e si avviano all’uscita del bar.
 
Westchester, Istituto Xavier, la mattina seguente
Moira Kinross sta tenendo una lezione con il dipartimento gamma. L’aula è gremita di studenti che borbottano incuriositi. Oggetto delle loro attenzioni è il nuovo compagno di classe, che si erge accanto alla signorina Kinross, imbarazzato.
«Questo è Scott Summers, il vostro nuovo compagno di classe» annuncia Moira. «Frequenterà momentaneamente le lezioni con questo dipartimento e rimarrà nel nostro istituto. Confido nella vostra buona accoglienza».
Il suo occhio casca in particolar modo su un gruppetto di ragazzi che stanno ridacchiando malignamente.
Jean Grey, seduta in penultima fila, studia attentamente il profilo del loro nuovo compagno.
“Carino” è la prima cosa che le viene in mente. In effetti, Scott Summers ha dei lineamenti molto equilibrati, spalle larghe, capelli sbarazzini color castagna. Decisamente il suo tipo. Jean mordicchia una matita, sovrappensiero. Infastidita vagamente dal fatto di non poterlo vedere dritto negli occhi.
«Perché indossa gli occhiali?» chiede un altro ragazzo, poco lontano da Jean. La domanda suscita qualche risatina di scherno qua e là.
Scott è in evidente imbarazzato. Jean se ne accorge; o meglio, lo avverte. Non ha certo bisogno della telepatia per accorgersene. E anche la signorina Kinross deve essersene resa conto, perché dopo pochi attimi, decide di dire la verità: «Il potere mutante del signor Summers consiste nella produzione di raggi ottici, che con la loro potenza da oltre quattrocentocinquanta gigawatt sono in grado di disintegrare qualsiasi cosa nel raggio di chilometri.»
La classe non prende bene la notizia. Il brusio aumenta, incontrollabile. Jean rimane in silenzio, continuando a studiare attentamente il disagio del povero Summers.
«Fortunatamente» Moira alza di poco la voce. «Queste lenti particolari bloccano l’assorbimento di energia dall’ambiente circostante, per cui siamo tutti al sicuro, almeno fin quando li indossa. Prego, vada a sedersi dove preferisce, signor Summers.»
Scott annuisce e si dirige verso la classe, quasi come se si stesse incamminando verso un patibolo.
Il posto davanti a Jean Grey è vuoto. Jean non è in grado di capire se lui la stia guardando, attraverso le lenti rubine, ma è convinta di sì poiché avverte lo sguardo insistente del giovane, prima che prenda posto a sedere.
Adesso tutto ciò che Jean può vedere è la sua nuca castana e le sue larghe spalle. E anche i suoi pensieri oscuri e carichi di terrore.
 
Nell’ufficio del professor Xavier, Charles e il giovane Alex Summers stanno discutendo riguardo alla morte del dottor Lance. Xavier è come sempre seduto sulla sua sedia a rotelle, dietro la scrivania; Alex invece è in piedi, a ridosso della parete d’entrata.
«Era un bravo dottore» mormora Alex, scuotendo la testa.
«Era un brav’uomo» lo corregge Xavier, annuendo. «Il dottor Lance è stato uno dei primi dottori, e purtroppo anche uno degli ultimi, a somministrare vaccini e diagnosi pediatriche ai bambini mutanti. Nessun altro medico ha mai voluto avere niente a che fare con noi.»
Alex sbuffa, grattandosi il capo: «Perché è stato ucciso? Che cosa ha fatto?»
«Per lo stesso motivo per cui sono stati uccisi i vostri genitori, molto probabilmente» afferma il professore, scrutando il giovane con compassione.
Alex comincia a passeggiare nervosamente avanti e indietro: «È stato orribile». Xavier non lo interrompe, sa che il ragazzo sta per sfogarsi.
«Non c’era niente che non andasse, quel giorno. Andava tutto bene» Alex sembra quasi in trance, la sua voce si fa sempre più flebile. «Quando abbiamo salutato mamma e papà al gate non credevamo potesse essere l’ultima volta in cui li avremmo visti. Mamma si è premurata di dirmi di non far saltare in aria la casa, altrimenti sarei stato in punizione per più di un mese, al suo ritorno.»
Xavier non osa dire nulla. Chiude semplicemente gli occhi, nel rispetto delle lacrime che Alex sta cercando di nascondere.
«Papà invece ha permesso a Scott di invitare qualche ragazza a casa e di organizzare anche qualche festino, a patto che la mamma non lo venisse a sapere» Alex scoppia in una risata isterica, prima di lasciarsi andare ad un pianto silenzioso.
«Conoscevo tuo padre» esordisce Xavier, in tono concitato. «Era un uomo eccezionale. Un uomo d’onore che più volte ho avuto la fortuna di incontrare. Non so se l’incidente aereo sia stato frutto di un attentato o se sia dovuto a un tragico scherzo del destino, ma…»
«È stato qualcuno!» ringhia Alex, interrompendo il professore. «Io ero là! Scott era là! Abbiamo visto l’esplosione dalla vetrata dell’aeroporto. L’aereo è esploso di punto in bianco! È stata una bomba, o… o…»
«O un mutante» asserisce Xavier.
Una breve pausa riempie la mente di entrambi i presenti con una ridda di pensieri disparati che difficilmente riescono a imbrigliare in ragionamenti sensati.
Alex tenta di darsi un contegno e si asciuga le lacrime dal volto: «Quindi… questa è una scuola?». Tira su col naso. «Non ho mai sentito parlare di lei, da mio padre. Che cosa fa? Insegna? È un collegio?»
«Preferisco chiamarla casa» commenta Xavier, sorridendogli. «È un antico maniero dismesso che io e mia moglie abbiamo deciso di rendere abitabile per tutti i ragazzi mutanti, sperando che le loro vite possano essere indirizzate verso un futuro migliore. Sai meglio di me quanto i ragazzi di oggi possano non avere vita facile, in un contesto scolastico con i “Normo”.»
Alex annuisce: «Sì, Scott si lamentava sempre dei suoi compagni. A tal punto da costringere mamma e papà a iscriverlo a una scuola privata» inspirò e decise di mettersi a sedere sulla poltrona, proprio di fronte alla scrivania e al professor Xavier. «Per me è stato anche peggio. I miei anni di liceo ho dovuto viverli tutti, dal primo all’ultimo.»
«Qui Scott sarà al sicuro, Alex. Su questo non devi dubitare» dice Charles. «Tutti coloro che giungono qui hanno avuto un passato difficile e questo li conduce tutti al solito livello. Poi vi sono anche dei ragazzi che tentano di disturbare questa quiete, ma credo faccia parte del gioco. Qui i ragazzi possono anche litigare. Possono fare amicizia, amare, tradire, giocare, parlare, conoscersi, offendersi. Possono fare tutto ciò che li faccia sentire “normali”, ma nel frattempo sviluppare anche i loro poteri in un contesto di quotidianità.»
Alex annuisce, rincuorato.                                                                                             
«Tu, però… non sei in età di apprendimento, Alex. Hai venticinque anni e la mia scuola accoglie i ragazzi in età da studio. Confido tu lo sappia» aggiunge Xavier, in tono pacato e naturale.
Alex annuisce per la seconda volta, chinando il capo: «Io non ho un posto dove andare, professore…»
Xavier rimugina sui fatti, osservando attentamente quel ragazzo distrutto: «Sarò sincero con te, Alex. Alla luce dei fatti recenti che hanno colpito te, Scott e i vostri genitori, tenervi assieme sotto lo stesso tetto è la cosa più pericolosa che possa fare. Se qualcuno volesse avvicinarsi a te o a tuo fratello, questo sarebbe un aiuto non indifferente. In aggiunta, ha un peso notevole anche la pericolosità del tuo potere. Difficilmente ho avuto nel mio istituto un mutante pericoloso, e il tuo immagazzinamento e rilascio di raggi solari è un potere che rischia di mettere in pericolo tutta la scuola.»
Alex rimane a testa bassa, ascoltando attentamente le parole del professore.
«Ciò nonostante…» prosegue Xavier. «La tua età sviluppata ti consente di padroneggiare il tuo potere molto meglio di quanto non sappiano fare altri mutanti più giovani e inesperti che vivono qui. Venire meno alla richiesta di aiuto di un giovane mutante e lasciarlo da solo in un mondo così pericoloso entra in contrasto con la mia etica più profonda. Quindi puoi restare.»
Sorpreso, Alex Summers alza lo sguardo, fissando l’uomo calvo di fronte a lui. Non ha le parole di dire nulla.
«Dovremo trovarti un alloggio, ma non sarà un problema. Dovremo trovarti una mansione, questo sì. A tal proposito, vorrei presentarti ad una persona che hai già avuto modo di conoscere molto vagamente.»
 
New York, ufficio di Hank McCoy
Hank sta parlando con alcuni poliziotti quando qualcuno bussa alla porta. È Elisabeth.
«Signore, mi scusi, vi sono il professor Xavier e uno dei ragazzi Summers. Li faccio entrare?»
Sorpreso, Hank annuisce, facendo cenno con la mano alla segretaria di lasciarli passare.
Il professor Xavier e Alex entrano nell’ufficio.
«Charles!» Hank si alza dalla sedia e va incontro al professore a braccia spalancate. «Che piacere vederti.»
«Buongiorno, Hank. Il piacere è mio. Credo di essere arrivato al momento sbagliato, però» Xavier adocchia la polizia.
«Oh, no! Assolutamente no!» si affretta a dire Hank. «Charles, questo è Edward Nosley, capo della polizia di New York. E questi sono i suoi agenti Tony Wang, Norman Pierce e Theodore Dullen.»
Xavier si presenta cordialmente al capo della polizia e agli altri tre agenti.
«Buongiorno anche a lei, Summers» aggiunge poi Hank, stringendo la mano ad Alex.
«Buongiorno, signor McCoy» saluta il ragazzo, rispondendo alla stretta stritolatrice e possente dell’uomo. Alex nota che le mani del concorrente al Senato sono enormi, troppo enormi, decisamente sproporzionate in confronto al resto del corpo, sebbene la robustezza eccessiva dell’uomo consenta di nascondere un po’ questa anomalia.
«Non poteva arrivare in un momento più opportuno» spiega Hank, indicandogli una sedia vuota lì vicino. «Alex, questi sono alcuni degli agenti che attualmente stanno seguendo il caso della morte dei tuoi genitori.»
«E così tu sei il giovane Alex» commenta Nosley, studiando il ragazzo. «Non ho mai avuto modo di conoscere né te né tuo fratello, durante gli interrogatori.»
«È lei che dirige il caso?» chiede Alex, senza troppi giri di parole.
«Sì, sì. L’agente Dullen, tuttavia, ha indagato a fondo, forse meglio di me» ammette Nosley. «Sai, il tempo è quello che è. Devo avere occhi e orecchie dappertutto, essendo il pezzo grosso. Specialmente in una città come New York. Sai, con tutti questi mutanti a giro che fanno i pazzi… senza offesa per lei, professore» si affretta ad aggiungere l’uomo, ricordandosi della presenza di Xavier.
Quest’ultimo alza le mani, come in segno di resa: «Ben lungi da me l’offendermi. Io non ho molto tempo per fare il pazzo.»
Hank e i poliziotti ridacchiano. Anche Alex abbozza un sorriso forzato, ma dalle parole di quel tronfio di Nosley gli è chiaro che nessuno deve avere detto alla polizia che i figli dei coniugi Summers sono mutanti.
«Nosley mi stava spiegando che la scatola nera dell’aereo è stata ripassata al setaccio dagli inquirenti» prende parola Hank, schiarendosi la gola.
«Sì, appunto» conferma il capo della polizia. «L’esplosione sembra avvenire di punto in bianco; non ci sono segnali di panico, tra i passeggeri. Quindi non è stato un attentatore, molto probabilmente.»
«Difficile anche l’ipotesi della bomba» s’inserisce l’agente Dullen. «Su quell’aereo viaggiava l’attrice Charlotte Greer, purtroppo tra le vittime. Per questo i passeggeri erano stati perquisiti a fondo. Nessuno avrebbe potuto inserire una bomba sull’aereo.»
«Rimane la pista dei mutanti» dice Nosley. Poi vedendo l’espressione esasperata di Hank, si affretta ad aggiungere: «Mi spiace, signor McCoy, ma non vedo altro possibilità. Professor Xavier, so che lei crede che tutti quelli come voi siano buoni, ma ci sono tanti pazzi scellerati, in giro.»
«Ne sono consapevole» ammette il professore. «Non dubito della bontà di tutti i mutanti meno di quanto non dubiti dell’intelligenza di tutti i normo.»
Alex ed Hank hanno colto l’umorismo.
Nosley invece sembra spiazzato: «Sì, bene… allora batteremo quella pista. Con permesso…»
Il capo della polizia e i tre agenti escono dall’ufficio.
«Che razza di idiota» commenta subito Alex, disgustato da Edward Nosley. «Ma cosa pensa che siamo, mostri?»
«Sì, Alex. È proprio ciò che pensa» conferma Xavier, del tutto sincero.
«Tranquilli, presto non riderà più, ve lo assicuro» ridacchia Hank, tornando dietro alla sua scrivania e inforcando un paio di occhiali da vista. «Ho qualcuno all’interno della polizia che presto confermerà la mia ipotesi, ovvero che qualcuno sta volutamente rallentando le indagini.»
Alex rimane colpito, ma Xavier sembra più che altro soddisfatto.
«Che cosa te lo fa pensare, Hank?» chiede il professore.
«A me niente» Hank alza le spalle, in tono disinvolto. «Ma mi fido dell’infiltrato.»
 
Città del Messico, officina meccanica di una baraccopoli
La giovane Ororo Munroe è sdraiata sotto una vecchia cadillac verde acido, stesa tra polvere e residui di olio motore. Sta armeggiando probabilmente alla marmitta.
Dietro un trattore malandato, avvolto dalle erbacce da chissà quanti anni, Logan Howlett spia la ragazzina.
«Ororo, passo un attimo dal signore Hernandez. Non ci metterò molto.»
È la voce di Jorgen Muraz, il vecchio meccanico. Logan non riesce a vederlo da nessuna parte, dalla sua angolazione, perciò deduce che si trovi all’ingresso del retro dell’officina, vicino la porta che dà sulle scale degli uffici.
«Smettila di chiamarmi con quello stupido nome, cazzo!» sbotta la ragazza, uscendo da sotto l’auto per cambiare attrezzi da lavoro.
«E tu modera i termini, signorina» ribatte Jorgen. «E non aprire a nessuno.»
«E non usare i tuoi poteri» commentano in coro sia Jorgen che la giovane, che lo anticipa.
«Lo so, lo so! Stai diventando prevedibile» commenta Ororo, afferrando una vecchia chiave inglese e tornando sotto l’auto.
«Sarà perché sto invecchiando» ridacchia il meccanico, dopodiché se ne va.
Silenzioso come un gatto, Logan striscia sul suolo ricoperto di pagliericcio, sperando di fare il meno rumore possibile; lascia il suo nascondiglio dietro il trattore e s’insinua sopra una vecchia mustang corrosa dalla ruggine.
Nell’officina regna il silenzio, rotto solo dal tintinnio degli attrezzi utilizzati da Ororo.
Silenziosamente, Logan stringe una mano a pugno e le carni tra una nocca e l’altra si lacerano, facendo fuoriuscire lentamente uno, due, tre lunghi artigli lucenti, spessi cinque centimetri e lunghi almeno venti.
Ororo non sembra essersene neanche accorta. Continua tranquillamente ad armeggiare al di sotto dell’auto, come se nulla fosse. Non sa che tra pochi istanti morirà dissanguata.
“È soltanto una ragazzina” pensa Logan, lì per lì. “Ha appena compiuto sedici anni. Che razza di male può aver fatto?”
“I soldi sono soldi” s’insinua però un’altra voce, all’interno della sua testa.
L’attimo di esitazione basta per far fallire il piano.
Più agile di una scimmia, la ragazza scivola sotto la macchina, per poi alzarsi dall’altro lato e colpire Logan con una violenta scarica elettrica che lo fa volare dall’altra parte dell’officina.
Logan sente il suo corpo bruciare e abbandonarsi agli impulsi nervosi, scioccato dalla scarica ricevuta.
Tuttavia si rialza quasi immediatamente.
«Però, non credevo facesse così male» commenta l’uomo, spazzolandosi i jeans e tossendo. I suoi artigli, su entrambe le mani, sono ancora sfoderati.
«Sei una strana bestia» commenta Ororo, senza osare avvicinarsi. «Ma cacci veramente da schifo. È la quarta volta che provi ad avvicinarti all’officina. Sei proprio un inetto.»
Logan abbozza un sorriso beffardo: «Allora ti sei già accorta di me.»
«Per le tracce e il tanfo che lasci anche un morto si accorgerebbe di te» la ragazza allunga le mani per elettrizzare nuovamente l’avversario, ma stavolta Logan è pronto: scatta in avanti, usa la mustang come trampolino e si getta ad artigli sfoderati sulla ragazzina, che scarta a sua volta di lato e con uno strano gesto della mano crea una corrente ventosa che sbilancia l’uomo bestia, facendolo cozzare di nuovo contro la parete. Logan usa i suoi stessi artigli per reggersi alla parete, dopodiché, con un salto all’indietro, atterra proprio alle spalle della ragazza che, sorpresa, rimane paralizzata. Gli artigli di Logan scorrono sulla sua gola, mentre con l’altra mano l’uomo le regge i polsi, bloccati dietro la schiena.
«Allora, Ororo, per quale motivo di vogliono morta?» chiede Logan, sussurrandole all’orecchio. «Che cosa può aver mai fatto una ragazzina di sedici anni così tenera e indifesa?»
«Se riusi un’altra volta quel nome ti prendo a calci nei coglioni» sputa la ragazza, elettrizzando le mani; non osa però colpire un’altra volta l’uomo.
«Ororo non è il tuo nome?» ridacchia Logan, senza lasciarla andare. «Come dovrei chiamarti?»
Mentre gli artigli si avvicinano alla sua gola, la ragazza si libera fulmineamente dalla presa dell’uomo, gira su se stessa e colpisce il sicario con un’altra scarica, lanciandolo sul trattore.
«Però, te la cavi bene.»
«E non hai ancora visto nulla» ringhia la giovane, spalancando le braccia e sollevandosi da terra, come un terribile angelo della morte dal carnato scuro, pronto a uccidere.
I suoi occhi diventano completamente bianchi e il sole sparisce dal cielo di Città del Messico.
Esterrefatto, Logan scruta fuori dall’officina, dove pochi attimi prima il sole ardeva violentemente; adesso però attorno a loro vi sono soltanto nere nuvole temporalesche.
Un fulmine colpisce l’officina, entrando dalla finestra. Logan non fa in tempo a scansarlo che una seconda scossa lo atterra; una terza lo sbalza fuori dall’officina e una quarta lo scaraventa giù dalla valle, sul fondo lurido della baraccopoli.
Dopo un volo di almeno venti metri, Logan si rialza, tossendo e sputando sangue e alza gli occhi sulle case soprastanti. Troppe persone stanno accorrendo nella baraccopoli. L’uomo decide di ripiegare e riprovarci in seguito. È la prima volta che sottovaluta una delle sue vittime. Nessuno l’ha mai fatto ripiegare, men che mai un’adolescente di sedici anni.
Avrebbe potuto ucciderla, però… se solo avesse voluto farlo.
 
New York, centrale di polizia
L’ufficio è buio.        
La porta si apre lentamente, cigolando. Una figura scivola dentro, chiudendosi la porta alle spalle. È l’agente Norman Pierce.
Con una torcia, l’uomo comincia a rufolare ovunque: negli armadi, all’interno della credenza, nei cassetti della scrivania. Nell’ultimo cassetto di un vecchio comò trova alcuni documenti spillati insieme, sigillati all’interno di una grande busta gialla.
Pierce studia a fondo la busta e il suo contenuto: i suoi occhi brillano di un inquietante luce purpurea…
 
A svariati chilometri di distanza, nell’ufficio di Hank McCoy, gli occhi di Elisabeth Braddock brillano della stessa luce violacea. Le immagini dei documenti si travasano dal cervello di Pierce al suo, dopodiché la donna interrompe il collegamento.
Elisabeth sembra tornare in sé. La segretaria è sdraiata sulla poltrona del suo capo. Quest’ultimo si trova accanto a lei, in attesa.
«Allora?» chiede Hank in maniera urgente.
«Missione completata» è la risposta di Elisabeth. «So chi sta intralciando le indagini.»
 
Città del Messico, baraccopoli
Alcuni uomini, armati di fucili d’assalto e di fucili di precisione, sorvegliano la baraccopoli da lontano, posizionandosi in punti strategici, dai quali possono osservare i due bersagli.
Ororo Munroe è seduta sul tetto dell’officina e scruta la valle, inondata di luce aranciata, mentre gli ultimi raggi di sole affondano all’orizzonte. Logan Howlett gli si avvicina.
«Mi hai fatto fare un brutto volo, ragazzina» esordisce l’uomo, rimanendo in piedi alle sue spalle. Stavolta gli artigli sono riposti con cura all’interno del suo corpo. «E rivoglio il mio portafoglio.»
«Allora te ne sei accorto» ridacchia la ragazza.
«Certo, devo pur comprare i miei sigari, da qualche parte, no?»
Senza chiedere il permesso, Logan si accuccia al fianco della ragazza, scrutando anch’egli l’orizzonte infuocato.
«Perché ti vogliono morta, Ororo?» chiede l’uomo.
«Smettila di chiamarmi con quel ridicolo nome» taglia corto lei, stringendo le mani a pugni.
«E come dovrei chiamarti? Tuono Nero? Fulmine dal pelo bianco?» la deride l’uomo.
«Tempesta andrà bene» lo interrompe lei, sorridendo a sua volta. Poi si volta a guardarlo: «La domanda non è perché mi vogliono morta. La domanda è: perché tu non mi hai uccisa?»
Logan sospira, sovrappensiero. Poi avverte qualcosa. Tende al massimo i suoi sensi animaleschi, scrutando l’orizzonte con la massima urgenza.
«Abbiamo visite. Sei piuttosto famosa, ragazzina.»
«Ah, meno male. Credevo che pisciare in un bagno comunicante con altre otto famiglie non fosse un atteggiamento da personaggio famoso» replica Tempesta, ma non fa neanche in tempo a finire la frase, che Logan la getta a terra.
Un proiettile sibila furiosamente sopra di loro, mancandoli entrambi.
I due mutanti cadono dal tetto, atterrando nel sabbione polveroso dell’ingresso dell’officina.
Altri spari nell’aria e altri proiettili che colpiscono superfici molto vicino a loro.
«Figli di puttana!» impreca la ragazzina, stringendosi una spalla; un proiettile l’ha colpita di striscio.
«Nasconditi, mi sei di intralcio.» E senza troppi complimenti, Logan la scaraventa dietro al trattore contro il quale poco prima ella stessa aveva scaraventato lui.
Logan ha intravisto due sicari sopra il tetto di fronte a quello dell’officina: sono i più vicini.
Prende la rincorsa, sfodera gli artigli e sfrutta un auto per saltare sul basso tetto dell’edificio fatiscente, trovandosi faccia a faccia con due latinoamericani armati di mitra.
Nessuno dei due ha il tempo di prendere la mira. Meno di due secondi dopo sono entrambi a terra, con la gola squartata.
Qualcun altro continua a sparare sull’officina e Logan segue con lo sguardo il fuoco dei proiettili.
Salta sul tetto accanto e poi su quello dopo ancora, uccide un uomo appostato su un balcone, afferra il suo mitra e scarica i proiettili addosso ad altri due sicari poco lontani, freddandoli entrambi.
Uno strano rumore sopraggiunge dall’officina  e voltandosi Logan si rende conto che anche Tempesta è alle prese con alcuni di loro.
Ma quei pochi secondi sono fatali: qualcuno lo afferra da dietro, pugnalandolo ai reni. Logan urla, cercando di liberarsi dalla presa dell’uomo, ma poco dopo una violenta scarica elettrica fa volare via l’assassino, che prende fuoco ancora a mezz’aria.
Gli ultimi due sicari sono proprio di fronte all’officina. Jorgen, il proprietario del cantiere, dev’essere appena tornato a casa. Ha la busta della spesa a terra, le mani alzate e due sicari di fronte, pronti a ucciderlo.
Logan arranca, ma ben presto è di nuovo in piedi; prende di nuovo la rincorsa e si getta a capofitto giù dal tetto, atterrando su un vecchio furgone e usandolo per piombare dall’alto su uno dei due sicari, artigliandolo alla testa.
Tempesta fulmina immediatamente l’altro, salvando il vecchio meccanico, che cade in ginocchio.
«Ma che… ma che…»
«Jorgen! Come stai?» chiede subito la ragazza, chinandosi accanto a lui.
Jorgen scruta uno dei due uomini a terra, riconoscendolo all’istante: «Gli uomini di Di Mauro» poi osserva Logan, atterrito.
«Chi sei? Cosa vuoi dalla mia bambina?»
«Mi hanno mandato ad ucciderla» ammette Logan, ringhiando furiosamente contro l’uomo, prima di tendergli la mano. «Quindi ora mi dirai chi è questo Di Mauro e perché la vogliono morta.»
 
Westchester, Istituto Xavier
Un’esplosione devasta la scuola di Xavier. L’ala est, dove vi è la biblioteca, crolla su se stessa.
Scott Summers scoppia a ridere, voltandosi verso l’ingresso principale e prendendo di mira ogni mutante che gli capita a tiro.
Alex corre verso il fratello, cercando di farlo ragionare: «Scott! Fratellino, sono io! Non era questo che intendevo quando ti dicevo di non aver paura dei tuoi poteri! Il professor Xavier ci ha accolto qui e non merita tutto questo!»
Scott sembra ponderare per un po’ le parole del fratello, prima di alzare gli occhiali e centrarlo in pieno con un colpo laser degli occhi. Alex cade a terra, morto, il ventre in fiamme e gli occhi spalancanti verso il cielo plumbeo.
«Ci ucciderà tutti» mormora Xavier, nascosto dietro la parete del mausoleo nel parco. Assieme a lui vi sono Moira e Jean. Giungono sul posto anche gli agenti Pierce, Dullen e Wang.
«Siete riusciti ad arrivare, allora!» esclama Moira.
«Voi mutanti siete tutti così pericolosi?» ironizza Wang, nascondendosi accanto al professore ed estraendo la pistola.
«Alex Summers è morto» annuncia immediatamente Moira, mentre Scott continua a distruggere la scuola con i suoi laser.
I poliziotti ammutoliscono.
«Porca puttana» commenta Dullen. «Non credevo potesse arrivare a uccidere il fratello.»
«Ma cosa ha scatenato questa sua ira?» chiede Wang, mentre l’agente Pierce avvicina a sé Jean, salvandola da un raggio che fa saltare in aria parte della fontana del mausoleo, e che l’avrebbe sicuramente uccisa.
«Nessuno lo sa. E non sappiamo cosa fare» afferma Xavier, chiudendo gli occhi. «Moriremo tutti.»
«Non si preoccupi, professore» si fa avanti Dullen. «Non siamo arrivati del tutto sprovveduti. Tutti dietro di me!»
L’agente si affaccia dall’angolo del mausoleo e prende bene la mira.
Spara. Un proiettile colpisce Scott in pieno volto. Il ragazzo cade a terra.
«Come hai fatto a colpirlo? I proiettili dovrebbero distruggersi prima di arrivare a contatto con gli occhi!» chiede Moira. Il ragazzo si rialza ma Dullen lo fredda con un altro colpo di pistola.
«Un proiettile normale sì. Ma questo è al quarzo-rubino. L’unico materiale in grado di arrestare il potere di Summers. Pace all’anima sua.»
«Come facevi a saperlo?» chiede però l’agente Wang, sorpreso. «Sono settimane che cerchiamo di scoprire un qualsiasi punto debole di quei due!» e indica i cadaveri nel prato dei due Summers.
Dullen ammutolisce, rendendosi conto di aver osato troppo.
«Sì, credo che dovrà darci un bel po’ di spiegazioni, agente Dullen» aggiunge Xavier. «Può bastare Jean.»
La realtà sembra crollare su se stessa come se l’intero pianeta fosse in preda a un apocalittico terremoto.
L’agente Wang e l’agente Dullen urlano, atterriti; Norman Pierce rimane impassibile, perso nel suo altro modo.
Il freddo e metallico Cerebro prende forma attorno a tutti loro; Wang e Dullen cadono a terra, in preda al terrore più puro, mentre i fratelli Summers sbucano alle spalle della dottoressa Kinross.
«Le mie scuse, agente Wang, ma ho preferito non dirvi nulla per non far insospettire il signor Dullen» si scusa il professor Xavier, mentre Alex aiuta il poliziotto a rialzarsi.
Senza aspettare neanche un attimo, l’agente Dullen scatta in avanti e corre via, ma all’ingresso di Cerebro vi è Hank McCoy, affiancato dalla sua accattivante assistente, da Edward Nosley e dall’agente Pierce, ancora impassibile.
«Voi… siete dei mostri!» grida Dullen, forse solo per sfogarsi, rendendosi conto di essere in trappola.
«E tu sei in arresto, Theodore» afferma Nosley, risoluto. «Per omicidio preterintenzionale, occultamento di prove e ostacolo alle indagini.»
«No! Non è vero!» grida il poliziotto, indietreggiando. Ormai è in trappola: di fronte a lui l’ira del suo capo e la galera che lo attende; dietro di sé un gruppo di pericolosi mutanti che lui reputa psicopatici.
«Alfred Bentch» nomina Hank McCoy, impettito, gambe divaricate e mani dietro la schiena. «È lui il tuo capo, sappiamo tutto. Nessuno poteva sapere del quarzo-rubino, se non qualcuno che avesse parlato direttamente con Robert Lance. E visto che la polizia non ha potuto parlarci a causa della sua improvvisa morte, è strano che tu conosca questo particolare. Perché tu ci avevi già parlato prima. E lo hai eliminato affinché tu avessi un’arma per avvicinarti ai Summers che il resto della polizia non avesse.»
«Voi non avete prove! Queste sono tutte false accuse!»
«Sì, le prove le abbiamo. Non preoccuparti, tesoro» ridacchia Elisabeth Braddock, tirando fuori alcune foto dalla valigetta. «Sono già state inviate anche alla polizia. Sanno tutto, ormai.»
«Le indagini sulla morte dei coniugi Summers proseguirà» afferma Nosley. «Senza di te.»
Dullen scoppia in lacrime, crollando di nuovo in ginocchio.
Scott e Alex si guardano e sorridono, facendosi coraggio a vicenda. Finalmente sono al sicuro.
 
Westchester, Istituto Xavier, mattino seguente
Nell’ufficio di Xavier, il professore ha convocato Jean e i fratelli Summers.
I tre ragazzi siedono di fronte all’uomo, in attesa.
«Ho appena ricevuto notizie da Nosley» afferma Xavier, giocherellando con una stilografica. «Dullen ha confessato. Lavorava per conto di un certo Bentch, di cui ora si seguono le tracce. Sembra essere strettamente collegato ai vostri genitori.»
Scott e Alex si guardano per pochi attimi.
«Quindi non siamo più ricercati?» chiede Alex.
«Purtroppo, non è così» spiega il professore, abbozzando un sorriso di compassione. «Non posso sapere se i mandanti dell’omicidio dei vostri genitori siano ancora sulle vostre tracce. Per cui reputo sia meglio se restiate qui.»
«Sì, per favore» ammette Scott, chinando la testa, imbarazzato.
Sia Xavier che Alex sono sorpresi dall’affermazione del giovane Scott.
«Non è mia intenzione né dividervi, né cacciarvi» aggiunge Xavier, sorridendo. «Spero che il vostro soggiorno qui vi aiuterà a crescere e a trovare quello che cercate.»
«Intanto, un paio di occhiali più funzionali, forse» ridacchia Jean, notando gli occhiali storti e scocciati di Scott, che sorride, se possibile ancora più imbarazzato.
«C’è soltanto una cosa che non capisco, professore» chiede Alex, allungando un braccio per passarlo attorno alle spalle del fratello. «Perché non ha detto alla polizia che siamo mutanti?»
«Perché noi non esistiamo» spiega Jean, anticipando il professore. Alex la guarda, sorpreso.
«Noi qui possiamo vivere in pace, senza il giudizio del mondo esterno. Non potremmo condurre una vita tranquilla se la gente sapesse…»
«Cioè, mi state dicendo che la gente non sa che questa è una scuola per mutanti?» domanda Alex, spostando lo sguardo da Jean al professore, sconcertato.
«No, Alex» ammette Charles. «Questa è la condizione per vivere in tutta serenità. Almeno fin quando i tempi non saranno più maturi. Il mondo non è pronto ad accoglierci. Se avessi rivelato alla polizia che siete dei mutanti, probabilmente avrebbero incolpato subito voi dell’omicidio dei vostri genitori, senza neanche concentrarsi sulle indagini.»
«Ma come potevano sospettare di noi?» si agita Alex, alzandosi in piedi. «Noi eravamo i loro fi…»
«Non importa cosa eravate» lo interrompe Xavier. «Importa cosa siete. Mutanti. E non avrete mai vita facile. Questo purtroppo è un dato di fatto.»
Alex, Scott e Jean non osano controbattere. Sanno che il professore ha ragione. Lo sanno perché lo hanno sperimentato. Lo hanno vissuto sulla propria pelle, nella propria infanzia.
«Ma finché rimarrete in questa scuola, io vi giuro che farò l’impossibile per proteggervi» ammette Xavier, abbracciandoli con uno sguardo amorevole. Scott rabbrividisce: l’ultimo ad averlo guardato così è stato suo padre.
 
New York, ufficio di Hank McCoy
Qualcuno bussa alla porta dell’ufficio.
«Venga, signorina Braddock» Hank esorta la donna a entrare, mentre ella fa capolino nello studio.
Ha un aspetto orribile: i suoi capelli sono scarmigliati, il suo volto emaciato, i suoi occhi contornati da un alone violaceo, come se non dormisse da giorni.
«Buongiorno, signor McCoy» Elisabeth abbozza un sorriso stirato, trattenendo a stento uno sbadiglio. «Queste sono le pratiche della Acriculture Financial Incorporated che mi aveva chiesto. Le ho già sezionate stanotte.»
«Ottimo lavoro, Braddock» Hank è sinceramente colpito. Prende i documenti dalla mano della segretaria e la scruta con aria eloquente.
«C’è qualche problema, signore?» chiede la donna, imbarazzata.
Hank riordina i fogli e li sistema nel secondo cassetto della scrivania, senza togliere gli occhi di dosso alla giovane: «Sì, c’è qualche problema.»
Elisabeth scuote il capo, già capendo dove il suo capo vuole andare a parare.
«Stavolta ha dovuto usare i suoi poteri più a lungo» commenta Hank. «Come sta, l’agente Pierce?»
Elisabeth inarca un sopracciglio: «Non bene, poverino. Non ricorda niente degli ultimi due giorni. Ma credo che la cosa che gli vada meno a genio sia il fatto che l’abbia abbindolato come un idiota. Credeva davvero che potesse piacermi un tipo come lui.»
«Voi donne siete tremende» scoppia a ridere Hank, scuotendo la testa e inforcando gli occhiali da vista, pronto a lavorare. Prima però assume di nuovo il suo sguardo severo: «Rimane comunque il fatto che il suo potere le ha dato del filo da torcere, stavolta.»
«Non più del solito» risponde Elisabeth, evasiva.
«E invece sì. È proprio questo il punto» la interrompe Hank, agitato. «Signorina Braddock, stia attenta ai suoi poteri. I poteri della mente sono pericolosi. Se ci dovesse essere qualsiasi tipo di problema parli con il professor Xavier. Saprà aiutarla.»
«Me lo ha detto mille volte, signore» sorride Elisabeth. «Non si preoccupi, sto bene. La ringrazio comunque per l’interessamento.»
«Mi preoccupo solo dei miei colleghi più fidati» le risponde Hank, sorridendole. «Senza di lei, la polizia non avrebbe mai incastrato l’agente Dullen. I Summers le sono debitori.»
Elisabeth arrossisce, dopodiché fa per congedarsi, apprestandosi a lasciare lo studio.
«Signorina Braddock» la richiama Hank. La donna si volta. «La prego, non usi più il suo potere. Al contrario del mio, il suo sfugge sempre più al suo controllo. È pericoloso. Non lo usi mai più.»
Elisabeth sembra esitare, poi sorride: «D’accordo, signor McCoy. Starò attenta.»
«Un’ultima cosa, Braddock» aggiunge poi Hank. «Mi lasci le pratiche sulla scrivania. Le finisco io.»
«Come?»
«Può andare a riposare. Ha la settimana libera.»
Elisabeth sfoggia un ampio sorriso di gratitudine, dopodiché esce dall’ufficio.
 
Città del Messico, casa di Jorgen Muraz
Logan, Tempesta e Jorgen si trovano nella piccola e lurida cucina della casa di quest’ultimo.
La stanza è buia, fetida, lugubre. La tenue luce aranciata della lampadina non basta ad illuminare l’ambiente a dovere. Jorgen sta passeggiando avanti e indietro; Logan è poggiato al frigorifero; Tempesta osserva entrambi dalla sua sedia, al di là del piccolo tavolo sghembo.
«Fammi capire bene…» Logan sembra riepilogare un lungo discorso. Sorseggia la sua birra e scruta insistentemente Jorgen. «Qualcuno spera di ottenere i poteri della ragazza per manipolare il tempo atmosferico?»
«Già» afferma Jorgen.
«Porca puttana» esclama Logan spostando lo sguardo contrito su Ororo Munroe. «Credevo che la tua fosse semplice elettrocinesi.»
«No, i miei abra kadabra sono più teatrali» commenta la ragazza, masticando sonoramente un chewing gum.
«Ororo prende sempre tutto alla leggera» contesta Jorgen, gettando uno sguardo severo alla giovane. «Ma non si rende conto dei pericoli. E adesso ci si mette anche Di Mauro…»
Logan finisce la birra e lancia la bottiglia vuota fuori dalla piccola finestra, nel terreno rovente della baraccopoli.
«E questo Di Mauro… chi è?»
«È il padrone di questo posto» spiega Tempesta. «Un coglione che ha avuto fortuna solo per i soldi che ha. Vorrebbe avermi come fenomeno da baraccone, forse per esibirmi, chissà.»
«Quello che vuole è il tuo corpo, Ororo!» ringhia Jorgen, sbattendo i pugni sul tavolo. «Vuole fare di te una prostituta! Ecco quello che vuole! E se davvero hanno mandato te a ucciderla…» l’uomo si volta verso Logan. «Significa che Di Mauro ha svelato la tua posizione a qualcuno che vuole sfruttare i tuoi poteri! Se resti qui, morirai!»
Tempesta si volta dall’altra parte, incapace di sostenere lo sguardo del vecchio meccanico. Comprende la situazione, sa quanto egli tenga a lei. Sa di essere in pericolo di morte.
«E cosa dovrei fare?» mormora Tempesta. «Andarmene di nuovo e lasciarti qui?»
«Sì, Ororo» afferma Jorgen, con dolcezza. «Non posso permettere che tu muoia.»
«Quando avete finito di farmi scendere i coglioni a terra, muovete i vostri culi» li interrompe Logan, stiracchiandosi e aprendo il frigo.
«Posso?» chiede l’uomo, afferrando un’altra birra e stappandola con un artiglio, senza neanche attendere la risposta del proprietario.
Quest’ultimo, dal canto suo, non si dà neanche la pena di rispondere: «Cosa dovremo fare?»
«Preparare le valigie» spiega Logan, guardandoli entrambi. «Ce ne andiamo da qui. Stanotte.»
 
Da qualche altra parte, sempre all’interno della baraccopoli, Paulo di Mauro riceve la visita di un suo scagnozzo: «Capo, la Munroe sta per lasciare il paese.»
Il boss della baraccopoli non batte ciglio.
«Eliminatela. È una mutante. Questo cambia tutto. Il nostro paese non ha bisogno di quei mostri. Eliminatela subito.»
 
CONTINUA…
 
Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey                              
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier
Moira Kinross
Hank McCoy                             
Elisabeth Braddock
                   
(Erik LenSherr/Magneto non compare nell’episodio)
 
Personaggi secondari:
Jorgen Muraz
Paulo di Mauro
Edward Nosley        
Norman Pierce
Theodore Dullen
Tony Wang
   
 
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