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Autore: gigliofucsia    01/04/2017    0 recensioni
Ametista è una strega sotto copertura con un'allergia grave a tutto ciò che è sacro. Dopo il rogo della madre viene mandata in un orfanotrofio religioso. Se scoprissero i suoi poteri magici rischierebbe di morire come la madre, quanto tempo riuscirà a resistere?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10

9 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

«Ametista Svegliati! Devi essere purificata», disse Ambra scuotendomi con la mano, «no!». Io mi alzai a sedere di soprassalto. «Purificata?!», mi guardai intorno. Il dormitorio era in movimento e l'alba stava uscendo. Avevo dormito come un sasso. La suora rispose «oggi a messa si celebrerà il rito degli incensi che ti libererà dal male». Mi saliva il mal di testa solo a pensarci.

«Ve lo dico subito, non servirà a niente» risposi «già detto che si è streghe per genetica, il male non centra niente». Ma lei,come al solito, non mi stava neanche ascoltando, «non bisogna essere pessimisti, anche perché se non funziona bisogna fare il rito dell'olio di ricino».

Io ci rimasi sbigottita «addirittura l'olio di ricino?». Lei annuì con tono ovvio « se l'incenso non lo soffoca, bisogna tirarlo fuori con una purga». Mi vennero i brividi «non c'é limite all'idiozia...». La cosa stava uscendo da ogni umana comprensione.

Mi alzai e aprì la valigia. Suor Ambra si allontanò «Come se credere ad una entità soprannaturale che vive in cielo e combatte contro un mostro diabolico che vive al centro della terra per il controllo delle nostre menti non fosse già abbastanza assurdo».

Da dietro di me venne una risata. Quella del mio migliore amico «Di tutte quelle che ho sentito questa è quella che ti è venuta meglio!» disse fra le risate. Io lo ringraziai e lui mi chiese «cosa hai intenzione di fare?».

Io mi abbottonai la camicia «non lo so, potrei sparire per mezz'ora in modo che la messa vada avanti senza di me, più riesco a rimandare i riti e più tempo ho per salvarmi dal rogo».

«Secondo me ci rimarranno male» disse Perla spuntando dal nulla dietro a Pirito. Io risposi « lo so ma io non posso rischiare la vita perché a loro fa piacere... a proposito Perla, è da un po' che non parli, spero non sia colpa mia».

Lei scosse la testa «no! È che... non so più da che parte stare capiscimi». Chiusi la valigia e la rimisi ai piedi del letto, «La decisione è tua, io non sono nessuno per dirti cosa fare, fai la decisione che ti sembra più giusta».

«Tu sei una brava persona e non meriti di essere trattata come ieri da suor Giada però... da una parte, le suore mi hanno sempre accudito e io credo nella parola di Dio e... credo davvero che tu abbia bisogno di aiuto per ritrovare la retta via». Chiusi gli occhi.

Infilandomi la giacca replicai «Non dirmi più niente, io... non voglio intromettermi, sii obbiettiva e fai la scelta che ti sembra più giusta, è l'unico consiglio che posso darti...comunque... sono stufa di ripeterlo: io non ho bisogno di aiuto; il mio è solo un tratto genetico, niente di più. Io ti prometto che non mi arrabbierò per niente se decidi di credere nelle suore ognuno ha il diritto di fare le proprie scelte».

Lei ritornò pensierosa. Io e Pirito ci dirigemmo con lei in fila. A quel punto mi chiesi come sparire.

Ci stavo ancora pensando quando vidi un vicolo sulla mia sinistra, mi guardai dietro, non c'erano suore. Ambra era davanti alla fila e mi dava le spalle. Mi avvicinai all'orecchio di Pirito «Io scappo» dissi. Pirito si voltò verso di me e disse «se ti scoprono li manderò fuori strada». Io gli afferrai la spalla sorridendo «sei il io migliore amico» e rapida entrai nel vicolo. Rimasi appiccicata al muro ascoltando i passi dei ragazzini che se ne andavano.

Passarono i minuti e dopo un po' sentì borbottare. Uscì dall'altra parte del vicolo attraversando uno spiazzo mi appoggiai accanto ad un'arcata e con il cuore in gola ascoltai, Giada e Ambra mentre parlavano.

«l'hai trovata?» chiese suor Ambra. Giada con voce pesante rispose «abbiamo controllato nei posti in cui va di solito ma ancora niente».

Ambra esclamò «e se fosse fuggita via dal monastero? Non possiamo permettere che inquini la mente di altre persone non protette da Reve», più le ascoltavo e più mi sentivo male. Giada rispose «Non ti agitare, andarsene per andare dove? Non ha più nessuno fuori da qui e in ogni caso le autorità ce la riporterebbero, no deve essere qui da qualche parte. Ho mobilitato tutte le suore e i monaci, la troveranno». Sentì delle mani afferrarmi per le braccia. Il mio cuore saltò. La voce di suor Acquamarina gridò «l'ho presa! È qui!». Presa dal panico mi dimenai. Non mi lasciava andare. Le due suore erano già davanti a me. «visto? Te l'avevo detto che era nascosta qui» esclamò Giada sorridendo. Ambra esclamò «pensavi di farla franca! Ma la forza di Reve è infinita! Adesso ti portiamo in Làcolonia e prega che Reve ti liberi dal male».

Acquamarina mi spinse. Io mossi le braccia e puntai i piedi, non volevo entrare lì dentro. Non sapevo quanto tempo era passato però più ritardavo il rito degli incensi e meglio era.

Le mani della suora stavano sprofondando nei miei bracci. I muscoli cominciavano a farmi male quando fui davanti alla Làcolonia. Canti e suoni provenivano dall'edificio, solo a sentirle mi si rigirava lo stomaco. Mi trascinarono lungo le scale. Mentre Giada camminava alta verso il portone, Ambra mi tirò uno schiaffo sulla guancia «vedi di fare la brava! Questa è la casa di Dio, è un luogo sacro. Non farci fare brutte figure». Mi morsi la lingua nel tentativo di non bestemmiare.

Io mi sentivo già inondare dalla debolezza ma replicai «ma Dio non è onnipresente e onniveggente?». I canti si mutarono e la voce rimbombata del prete mi arrivò alle orecchie senza che io riuscissi a capire cosa diceva. Giada appoggiò le mani sulle due ante. La voce del prete si chetò. Giada spinse. Un'ondata di fede mi arrivò addosso come non l'avevo mai sentita. Le gambe cominciarono a tremare, mi sentì come se avessi corso per un'ora o più senza fermarmi.

La luce bianca illuminò la navata. Una platea di ragazzini si guardarono. Il mio buon senso mi gridava scappare, ma il mio corpo si faceva pesante. Non rimasi a lungo sulla soglia. Mi avvicinavo camminando all'altare. Il mio sguardo vagava tra le panchine, analizzando ogni volto rivolto verso di me. In prima fila, Alessandrito mi guardava con superbia anche insieme a Gemma. Elio invece non riusciva a tenere ferme le dita.

Salii sull'altare. Le suore mi mollarono. Mi affacciai sulla platea, notai Pirito nell'angolo più remoto di una panchina. I suoi occhi spalancati mi fissavano. Don Quarzo fece un passo verso i fedeli. Alzò le mani al cielo e disse «Intoniamo il canto celestiale, preghiamo perché liberi quest'anima dal demonio».

Non riuscivo a credere a quello che stavo sentendo. Un coro di voci acute intonarono un canto che sembrava una preghiera. In poco tempo mi si tapparono le orecchie. Cercai di resistere.

Vidi un ragazzo dalla tunica bianca passare Don Quarzo un turibolo che fumava di incenso. Io mi tappai il naso. Ma giada Mi afferrò la mano e la strappò via senza troppe cerimonie. Le suore si staccarono da me. Il Turibolo venne dondolato intorno a me. Il fumo mi coprì dalla testa ai piedi. Quando l'odore arrivò al naso percepì un pizzicorino alle narici. Mi Trattenni dallo starnutire.

L'incenso era dentata come una coltre di nebbia. Le gambe cominciarono a tremare così da dovermi appoggiare sulle ginocchia. Le orecchie si tappavano sempre di più e cominciavano a fischiare. L'impulso di starnutire divenne sempre più violento.

All'improvviso il canto svanì. La voce ovattata del direttore disse qualcosa che non riuscì a capire e file di orfani uscirono dalla chiesa. La nebbia di incenso si era dispersa e io barcollai fuori dalla nebbia. La mano di Don Quarzo mi scagliò su uno scalino e mi guardò negli occhi. Scosse la testa e a quel punto mi alzai. Lui si alzò in piedi e si fece da parte.

Barcollai fino a metà navata poi mi appoggiai ad una panca afferrandomi la testa pulsante. Dei passi ovattati e veloci si avvicinarono. Io girai lo sguardo e mi ritrovai Pirito che sostenendomi mi riportò all'aria aperta.

Tossendo mi sedetti sullo scalino di una porta nel cortile. Chiusi gli occhi appoggiando la schiena al muro. Pirito mi parlo a metà frase le orecchie migliorarono e io capì «...osa senti?». Sbadigliando mi massaggiai l'orecchio. Gli elencai i vari sintomi e lui mi strinse gli occhi avvicinandosi a me. «Sento qualcosa che tappa le orecchie, ma non so se si può levare». Io facendo grossi respiri mormorai «fra un po' se ne andrà da solo».

Rimasi con gli occhi chiusi per non so quanto tempo. Col tempo i sintomi si affievolirono ma la debolezza rimaneva comunque. Certe volte Pirito mi accarezzava la spalla con uno sguardo dispiaciuto. In quel momento mi alzai. «Ti sei ripresa?» chiese Pirito mettendo le mani avanti. Io scesi gli scalini, «ci vorrà almeno una settimana per riprendermi, per ora sto abbastanza bene, sono solo un po' deboluccia».

Pirito mi seguì chiedendo «cosa facciamo? È il caso di andare a lavorare insieme agli altri?». Io mi fermai, «non lo so, manca solo un rito, poi passeranno al rogo e l'incantesimo è ancora agli inizi, forse dovrei evitare le lezioni ed allenarmi. Però se non mi vedono potrebbero venire a cercarmi e se mi vedono mentre mi alleno potrei finire in guai seri».

Pirito si fece pensieroso «non lo so, tu non hai motivo per stare a lavorare... io direi di andare nel bosco ad esercitarti». Io annuii convinta «eh! In effetti ero più orientata su quello e comunque se mi trovano il massimo che possono fare e chiudermi da qualche parte dove potrò allenarmi in tutta tranquillità, dopo tutto meglio in una stanza buia che nel campo a faticare».

«Non credo che ti cercheranno nella foresta, loro pensano che sia la dimora del diavolo perché... è buia, sinistra... insomma non piace molto». Ci incamminammo verso l'uscita del monastero «ah! Sì ne avevo sentito parlare, pensano che ci siano creature demoniache tra cui noi streghe. Che superficialità».

Ero così presa dalla conversazione che non mi ero accorta del biondo davanti a me. Mi afferrò per la giacca dicendomi «Cosa mi hai fatto al braccio?». Io mi presi un colpo. Dopo essermi ripresa dallo spavento risposi, «e solo adesso me lo vieni a chiedere? Cosa c'é ti è preso un improvviso attacco di diarrea».

Pirito ridacchiò. Lui divenne rosso di rabbia «anche sul letto di morte continuerai a fare battute? Rispondi strega! Cosa mi hai fatto al braccio?». Il braccio con cui mi stava afferrando era lo stesso con cui mi aveva afferrato l'ultima volta. Io lo guardai «da quanto vedo sta benissimo perché ti preoccupi tanto?».

Lui digrignò i denti. Gemma avanzando verso di me esclamò «l'hai infettato con la tua magia! Di la verità!». Io risi per l'idiozia «”Infettato” cos'ho una malattia adesso?» esclamai.

Sentì il pugno del biondo tremare poi mi strattonò buttandomi sulla sabbia del sentiero. Mi rialzai. Il biondo mi tirò un pugno. Mi scansai. Afferrai il braccio e lo sentì tremare.

«Ascoltami Alessandrito! Sono stufa di ripeterlo, la magia non è pericolosa vi state facendo dei problemi per niente» guardai i suoi occhi sbarrati « voi pensate di migliorarmi cercando di farmi diventare come voi e pensate che io abbia bisogno di aiuto ma non è così...».

Gemma gridò «smetti di dire sciocchezze». Ma io non mi fermai «non è così, è il contrario. Più tentate di cambiarmi e più covo odio verso di voi. Voi dovete solo accettare il fatto che non possiamo essere tutti uguali e accettarmi per quello che sono».

Il braccio di Alessandrito si era fermato e il suo sguardo era serio. Ma quel momento venne fermato da una voce lontana che gridò «cosa sta succedendo qui?». Quando la vidi mi venne lo sconforto.

Mollai il braccio di Alessandrito sbuffando, sapevo già come sarebbe andata a finire. Ambra era davanti a me, mi guardava truce. Io misi le mani avanti «lasciatemi spiegare per favore...».

«Ametista! Sei sempre tu il centro di tutti i guai, adesso basta!» sbottò. Con un lesto movimento mi afferrò il braccio «lasciatemi» esclamai.

Pirito rispose «Suor Ambra non è colpa sua se Alessandrito la attacca sempre». Ambra però non aveva intenzione di ascoltarlo «smetti di difenderla! Ogni volta che c'é lei succede qualcosa, coincidenze? Non credo»

Io cercai di liberarmi. Ambra e gridò «smetti di fare la bambina!». Io la guardai con rabbia «no! Smettetela voi! Il fatto che io sia una strega con vi da l'autorizzazione ad incolparmi per qualsiasi cosa! Capito? Non mi lascia nemmeno dire la mia». Ambra indicò Alessandrito e replicò «lui è un ragazzo buonissimo, tu invece sei cattiva» mi tirò lungo il sentiero polveroso mentre io replicavo cercando di liberarmi, in vano.

Mi trascinò fino al monastero, lungo i cortili e le scale, fino ad arrivare al secondo piano. Nell'angolo più remoto del corridoio c'era una piccola porta logora. Ambra la aprì. Non si vedeva altro che la scia di luce esterna sul pavimento. Io non protestai, preferivo starmene lì dentro al buio che passare un solo minuto con chiunque. Ambra mi spinse all'interno e chiuse la porta. Un buio denso piombò sulla stanza. Sfregai il pollice sul palmo della mano e come un accendino dal mio dito uscì una fiammella. Con quella luce tremula cominciai a guardarmi intorno. La stanza non era abbastanza grande per metterci un letto. Sul fondo vidi solo scope, secchielli e altra roba.

Mi sedetti sul pavimento e spensi la fiammella ritornando nel buio. Non sapendo cosa fare feci apparire la sagoma per gli incantesimi e mi esercitai cercando di non avere troppa fretta. Stavo migliorando però era ancora troppo presto per usare un incantesimo così pericoloso e complicato.

L'idea di Pirito non era male, la sagoma non si scomponeva nemmeno quando glielo scagliavo. Tuttavia al terzo mi dovetti fermare. Mi sedetti appoggiandomi al muro. Che io tenessi gli occhi chiusi o aperti non c'era differenza.

All'improvviso sentì qualcosa aprirsi. Una luce mi inondo violenta. Mi accorsi solo in quel momento di essermi addormentata.

Mi coprì gli occhi chiusi con le mani e con calma cercai di aprirli. Ma tutto mi pareva sfocato. Gli occhi mi lacrimavano dalla troppa luce. La voce di Pirito mi riaccese l'udito, «ciao». Io mi alzai trascinandomi sul muro. Contrassi il viso cercando di distinguere qualcosa tra la luce. Ma una domanda mi saltò alla testa , per quanto avevo dormito?. «Che ore sono?» chiesi. Pirito si avvicinò « mancano pochi minuti alle cinque. Il mio stomaco ruggì. Rimasi un po' stordita. Mi massaggiai gli occhi uscendo dallo sgabuzzino. L'aria pulita mi inondò le narici. Pirito esclamò «sei rimasta qui dentro per quasi dieci ore». Tenendo gli occhi chiusi mi stiracchiai.

«Però è stato piacevole» risposi «perché sei venuto tu a liberarmi?».

Pirito si incamminò verso la classe di Giada e raccontò «beh Io pensavo che Ambra avesse tutto sotto controllo, non potevo sapere quanto tempo ti avrebbe tenuta lì dentro. All'ora di pranzo mi è venuto il dubbio che si fosse dimenticata ma dopo tutto non mi sarei stupito se ti avesse fatto saltare il pranzo quindi ho aspettato. Poi qualche minuto fa ho deciso di farmi avanti suor Ambra mi ha detto che... se n'era dimenticata e ha mandato me».

Io mi fermai massaggiandomi di nuovo gli occhi. «adesso c'é la lezione di Suor Giada giusto?». Lui annuì. Io mi voltai e dissi «quasi quasi ritorno nello sgabuzzino». Lui sghignazzò. Io fermandomi risi per non disperarmi, «no, a parte gli scherzi. Non ho affatto voglia di andarci. Perché mi tocca?».

Lui mi si avvicinò e disse «Perché non hai nient'altro da fare, e comunque sono sempre delle possibilità per farla ragionare. A me è sembrato che fosse funzionato con Alessandrito oggi. Ti guardava già in modo diverso».

Io alzai le spalle «mah... forse se riesco a convincere gli orfani la cosa potrebbe aiutarmi». Mi voltai e ricominciai a camminare. Entrai insieme agli altri ma Suor Giada mi fissò comunque. Guardandola negli occhi non potevo fare a meno di covare dell'odio verso di lei.

Mi sedetti al banco e lei iniziò la lezione. Confesso che non mi sentivo molto bene. La debolezza non mi era ancora passata e inoltre non avevo neanche pranzato. Tenendo appoggiati i gomiti sul banco mi concentravo sul mio respiro per non riaddormentarmi.

All'improvviso, la bacchetta nuova di Giada schioccò sul mio banco. Io sobbalzai. Guardai lei e quello che teneva in mano «Bacchetta nuova?» chiesi. Lei rispose «come siamo spiritosi! Oggi rimarrai in classe a scrivere per cento volte “devo stare seduta composta”».

Io sospirai. Ero troppo stanca per arrabbiarmi. «Chissà quando la smetterete di prendervela con me per ogni cosa e comincerete ad utilizzare quella poca materia grigia che avete» mormorai. La suora si fermò a metà strada «ah! Quindi noi saremmo stupide?».

Io annuii « e anche fifone, solo gli stupidi e i fifoni si affidano ai pregiudizi. Io non pensavo che foste così quando sono arrivata qui».

«Come ti permetti? Strega» in quel momento Pirito si alzò dal tavolo, «con tutto il rispetto suor Giada, Ametista non avrebbe tutti i torti. Da quando avete scoperto che è una strega la trattate tutti male senza motivo».

Giada si mosse verso di lui «Tu siediti e non ti impicciare!». A quel punto io mi alzai in piedi trascinando la sedia «Ora non ve la prendete con lui! Sono io la strega no? Se la prenda con me se le fa piacere».

L'intera classe sussultò. Forse avevo ancora qualche speranza. Giada raddrizzò la schiena «allora facciamo duecento frasi».Sentivo il mio cuore agitato pulsare. Mi sedetti sfinita. Pirito invece si sedette con i pugni serrati sulla stoffa dei pantaloni.

Le ore passarono lunghe. Quando tutti uscirono Giada mi mise dei fogli sul banco. Io non persi tempo e cominciai a scrivere. Suor Giada poi mi interruppe «Suor Acquamarina ti sorveglierà».

«Sempre lei» mormoro. Scrissi più veloce che potevo. Sudando non badavo alla calligrafia. Dopo la decima frase la mia mano si muoveva da sola trascinando le parole sempre di più. Molte volte mi fermai per ruotare il polso che doleva per la fatica. Più volte fui interrotta dal mio stomaco che brontolava. La candela illuminava il foglio e Acquamarina era mezza addormentata sulla cattedra quando finì. Mi alzai. Lo stomaco si contrasse. Posai i fogli sul banco svegliando di soprassalto la suora e uscì dalla stanza.

Sentì un sussulto e mi accorsi che Elio mi aveva aspettato fuori dalla porta. Mi guardò poi i suoi occhi toccarono il pavimento, pasticciandosi le mani. Io mi rilassai.

Mi abbassai e gli toccai le spalle. Lui rimase fermo. «c'é qualcosa che non va?» gli chiesi.

I suoi occhi si incontrarono con i miei, poi lo abbassò di nuovo. Mentre le dita si ingarbugliavano sempre di più lui mugolò qualcosa.

La porta dietro di me si spalancò colpendomi. Io mi spostai insieme a Eliodoro «scusate» mormorai senza pensare. Lei spalancando gli occhi disse «n-non importa». Richiuse la porta e si allontanò.

«e-ecco...»mormorò Eliodoro con una voce che sembrava tirata fuori con sforzo immane. Io aspettai, se lo interrompevo per lui sarebbe stato molto più difficile parlare « P-Pirito...» Eliodoro serrò le labbra come se non sapesse come continuare . Io sobbalzai «gli è successo qualcosa?».

«È in biblioteca, ed Giada è diretta lì» Mi si prese un colpo, chissà quanto tempo era passato.

«Ma un momento Eliodoro. Come fai a saperlo?»chiesi. Lui sembrava avere difficoltà a parlare «Ho s-sentito Suor Giada e Alessandrito parlare. M-mi hanno scoperto e chiesto di dire a pirito che tu eri in biblioteca e che Giada stava per dirigersi lì, io non volevo».

Io scossi la testa «non importa, cosa è successo dopo? Perché ti hanno chiesto questo?». Il ragazzino aveva gli occhi lucidi «Io stavo per dirglielo ma lui si è alzato da solo e ci è andato per conto suo, lo giuro».

Io lo capivo non c'era bisogno che mi chiedesse scusa «non sono arrabbiata con te, lo so che tu sei una persona buona, perché ti hanno chiesto questo?».

Elio mormorò «S-suor Giada ha detto... c-che se pericolosa e che devono chiuderti da qualche parte finché non hanno finito di fare i preparativi per il... r-rito dell'olio di ricino». Io mi afferrai il capo alzandomi, «p-per evitare che tu scappi di nuovo». Volsi lo sguardo sul corridoio senza motivo «ed ora cosa faccio?» mormorai «non posso lasciare Pirito in balia di Giada, c'é il pericolo che se non mi presenti quella maledetta se la prenda con lui come ha fatto oggi».

Elio esclamò «ha d-detto così... p-perché se Pirito verrà chiuso in cantina... t-tu »

«Io cercherei di liberarlo» completai. Sospirai. Aspettai «non ho altra scelta... almeno avrò molto più tempo per esercitarmi».

Con un peso sul petto mi avviai al terzo piano «ci vediamo Elio, grazie per la dritta». Ogni passo sembrava infinito. Lo stomaco era in subbuglio. Mi saltò alla mente la possibilità di avvertire qualcuno ma... visto quanto mi avevano ascoltato.

Salii l'ultimo gradino e aprì la porta del terzo piano.

Il corridoio era avvolto dal manto nero della notte. La luce evanescente entrava dalle finestre e illuminavano il corridoio. Il silenzio tappava le orecchie. I miei passi rimbombavano tra le pareti. Mi fermai davanti alla porta alla biblioteca. Il cuore rimbombava nella cassa toracica. Avanzai la mano tremante. Afferrai la maniglia e la strinsi forte. Chiusi gli occhi e la aprii. Avanzai di qualche passo.

I miei occhi non si spalancarono finché la porta non si chiuse alle mie spalle. In quel momento il mio autocontrollo scemò. Sentivo un peso enorme su di me, la gola si era tappata e gli occhi si inumidirono.

«Tu non dovresti essere qui» esclamò Giada dietro di me. «Lei ha una mente diabolica più della mia» mormorò. Mi voltai e la guardai in faccia. La sua mano stringeva i capelli di Pirito che mi guardava con gli occhi lucidi.

La luce illuminava i loro visi in modo tetro in quella notte invernale. «Neanche lui dovrebbe essere qui» mormorò indicando il ragazzino. «E adesso metterò tutti e due in cantina per una settimana».

Qualcosa mi fece rabbrividire correndo lungo la schiena. Strinsi i pugni e dissi «Non dite sciocchezze, è me che volete, non lui...« La suora mi guardò seria. Con le parole bloccate in gola mormorai «lo lasci andare».

La suora esito e propose «Lo lascerò libero solo se ti carichi anche i suoi giorni di punizione». Pirito rimase zitto. Io risposi «due settimane dunque... va bene, accetto».

Pirito venne liberato. Il ragazzo si avviò verso di me. «Scappiamo» mormorò Pirito. Io scossi la testa «ci prenderebbero e tu hai altro a cui pensare».

«esatto», Giancarla si avvicinò con la candela in mano e mi afferrò il braccio. Io lo sottrai alla sua presa «lasciami». Giada si avviò verso la porta e, con il sangue che ribolliva, la seguì. Pirito con le mani intrecciate ci seguì. Mi prese la mano ma io gli dissi di tornare al dormitorio. Lui mi seguì finché Giada non gli gridò «vattene! Prima che cambi idea».

Io scendevo scalini . Più andavo in basso e più sentivo i brividi di freddo. Scesi finché c'erano scalini da scendere. Un pianerottolo segnò il fondo della scalinata.

Davanti a me c'era una porta massiccia e sbiadita.

Giada impugnò una chiave dal muro e la infilò nella toppa. La serratura si aprì con un lamento metallico. Si spalancò. Un'ondata di aria fredda mi raggelò le membra.

A quel punto Giada si fece da parte e disse «entra».

La stanza sembrava una bocca nera pronta ad inghiottirmi. Deglutì e avanzai. Il gelo si fece più intenso una volta dentro. Un boato alle mie spalle mi rabbrividì. Tutto piombò nell'oscurità, l'unica cosa che vedevo era una debole luce, proveniente da una finestra grande poco più di quattro mani. Accesi il dito. Scatole abbandonate e mobili polverosi occupavano la stanza.

In mezzo ad un armadio e un comodino c'era una sedia morbida. Ci appoggiai la mano e con un'onda d'urto lo spolverai. Era scomoda ma era meglio di niente.

Mi sfregai la pelle d'oca. Chiusi gli occhi. Intorno a me, rumorini cercavano di spaventarmi in vano. Stringendomi nella sedia cercavo di chiudere occhio.


 

  
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