Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: _Frame_    02/04/2017    6 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
---
[On going: dicembre 1941]
---
[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

121. Scusarsi e Disobbedire

 

 

L’archivio del Reichstag odorava di umido, di polvere stantia, di pungente inchiostro invecchiato su carta ingiallita e di ferro: l’odore che ristagna dopo un violento acquazzone, un’aria densa che appesantiva i polmoni e stringeva un nodo in gola, accaldando la pelle.

Romania si passò un braccio sulla fronte, sfregando via il sudore da sotto le ciocche di capelli, ed emise un profondo sospiro liberatorio. Sfilò una cartella da quelle che teneva abbracciate al petto, la rigirò davanti agli occhi, esponendola alla fioca fiammella gialla che brillava all’interno della lampadina pendente dal soffitto, aggrottò le sopracciglia, assottigliò le palpebre in cerca della data. Rivolse gli occhi allo scaffale a muro davanti a lui, si spostò di un paio di passi a destra, salì sulle punte dei piedi, e trovò lo scomparto. “Tu vai di qua.” Lo sistemò all’interno del cassetto. Raccolse un’altra cartella, più sottile, trovò subito la data e il suo sguardo si spostò solo di tre scomparti in basso rispetto a quello precedente. Chinò le spalle per sistemare il fascicolo. “Tu di là.” Sfilò un terzo fascicolo, provando un senso di sollievo nel sentire il carico sul petto alleggerirsi, e aggrottò la punta di un sopracciglio, in cerca della scritta. Si pizzicò il labbro inferiore con la punta del canino, tamburellò le dita sul cartoncino. “Tu, invece...” Ruotò di nuovo lo sguardo sullo scaffale che si ergeva davanti a lui. Tirò il capo all’indietro e arretrò di un passetto per riuscire a scorgerne la cima. La fioca luce arancio spanta dalla lampadina scintillò sulle targhette dorate che contrassegnavano ogni ripiano e ogni scomparto.

Una gettata di sconforto gli precipitò sulle spalle, lo fece di nuovo sospirare svuotandosi dell’aria fitta che gravava sui polmoni. Ma che razza di vita. Tornò a girare la cartella di documenti davanti agli occhi, compì un paio di passetti a sinistra, in cerca del cassetto giusto. Prima mi portano via dal mio paese e poi mi mettono a sistemare gli archivi. Tanto valeva fare questo straccio di vita da Russia. Si chinò sulle ginocchia, aprì uno dei cassetti d’acciaio, sfogliò i fascicoli già dentro, e incastrò quello che aveva in mano verso il fondo. Sbuffò, le labbra rimasero arricciate in una mezza smorfia. Almeno lui potrebbe anche aggiungere un ‘grazie’ alla mortificazione.

La luce della lampadina calò, come se un alito di vento ghiacciato avesse soffiato sulla fiammella. Una viscida sensazione di gelo e disgusto percorse l’ombra che nacque dall’apertura della porta e si ingrandì attraverso il pavimento, fino a seppellire il corpo di Romania nel buio.

Romania strinse la mano sul cassetto che stava richiudendo, il braccio attorno ai due fascicoli rimasti accostati al petto irrigidì, le palpebre si allargarono leggermente, gli occhi infossati nel buio emanarono una rapida scintilla d’allarme che gli attraversò le iridi. Il brivido che aveva affondato gli artigli nella spina dorsale scivolò lungo la schiena, formicolò sotto la pelle, e gli soffiò un alito ghiacciato dietro l’orecchio. Gli salì la pelle d’oca all’altezza della nuca, le punte dei canini premettero sul labbro inferiore, i nervi schizzarono in guardia, una riga di sudore freddo gli gocciolò dalla tempia.

Romania ruotò lentamente la coda dell’occhio, incontrò la presenza ostile buia e ferma sulla soglia d’ingresso, e riprese a respirare, senza togliersi il broncio dal viso e senza ritirare le punte dei canini. Sbuffò, tornò a sfogliare le due cartelle avanzate che teneva ancora fra le braccia. “Cosa vuoi?” Si alzò senza rivolgergli di nuovo lo sguardo, si spostò a destra per raggiungere un altro scomparto dello scaffale.

La voce di Germania lo raggiunse, calma e siderale. “Ho un compito per te.”

Romania scrollò le spalle, non si scompose. “Mi sembra che tu me ne stia affidando anche troppi, ultimamente.” Curvò la schiena e sfilò con l’indice le targhette dorate sui cassetti, in cerca di quella giusta.

“Non ha a che fare con la Direttiva 21,” rispose Germania. “Ma devi comunque eseguirlo immediatamente.”

Romania fermò il tocco, sollevò un sopracciglio, dubbioso, e girò la guancia puntando lo sguardo all’entrata della camera. Lo sguardo scettico e distaccato si sfumò di arancio.

Il volto di Germania era buio, avvolto dall’ombra, la sua sagoma nera e piatta alla soglia della camera. “Devi portarmi qua Bulgaria.”

Romania fece roteare lo sguardo e sventolò una mano verso Germania, scacciò via l’idea. “Vattelo a prendere da solo.” Aprì il cassetto giusto e vi infilò dentro la cartella. “Tanto tu saresti anche capace di tirarlo su di peso.”

“No,” ribatté Germania. “Sono stufo di correre dietro ai testardi.”

“E io sono stufo di essere immischiato in queste stupidaggini.” Rigirò l’ultimo fascicolo, individuò subito la data, e si alzò per riporlo in uno dei cassetti sopra la sua testa. “È una faccenda fra te e lui, io non c’entro niente e nei suoi confronti ho tanto potere quanto ne hai tu.” Sollevò le braccia sopra la testa e salì sulle punte dei piedi, aprì il cassetto e sistemò la cartella.

“Se ti sta meglio così,” disse Germania, “allora lo andrò a prendere io.” Un altro soffio di gelo riempì la camera, alimentò la sua ombra allungata sul pavimento. “Ma a questo punto comincio a chiedermi se sia più conveniente cercarlo a Leningrado piuttosto che a Sofia.”

Nell’archivio calò un silenzio raggelante. Romania finì investito da una secchiata di paura che lo travolse come una marea, il viso sbiancò, gli occhi sbarrati annegarono nel buio, il cuore cadde nello stomaco, la gola finì strozzata da un nodo, le ginocchia tremarono. Riuscì solo a sussurrare. “Che...” Scese dalle punte dei piedi, girò la guancia verso Germania ma senza scollare la mano dallo scaffale. Aggrottò la fronte, gli occhi tremarono di paura. La testa implorò le orecchie di aver sentito male. “Che cos’hai detto?”

Germania socchiuse le palpebre e la luce della lampadina gli toccò gli occhi. Lo sguardo ancora calmo e freddo come una lastra di ghiaccio. “Bulgaria è stato a Leningrado, e questo è successo poco dopo l’inizio delle operazioni sul Danubio.” Mosse solo un passo all’interno della camera, la sua ombra si ingigantì ulteriormente. “Per quanto tempo credevi di tenermelo nascosto?”

Romania rimase a bocca aperta, le labbra e la lingua secche e amare come carta. “I...” Schiacciò i pugni sui fianchi, spostò un piede all’indietro, il tallone batté sullo scaffale, il colpo lo fece sussultare. “Io...” Merda! Ma come diavolo ha fatto a...

“Davvero accetteresti che sia io ad andare a prenderlo, ora?” lo sfidò Germania. “Come credi che dovrei comportarmi nei suoi confronti? O nei tuoi?”

Una violenta vampata di rabbia sciolse la gabbia di paura che aveva stritolato il cuore di Romania. “Tu non hai il diritto di fargli nulla!” esclamò. I pugni incollati ai fianchi tremarono, gli occhi si accesero di rosso, la bocca digrignata espose le punte dei canini brillanti come lame di rasoi. “Bulgaria è ancora libero di fare quello che gli pare, non è un tuo alleato, non ha alcun obbligo nei confronti della tua nazione.”

Lo sguardo di Germania non cedette. “Lo stesso non si può dire per te.”

“Io...” Romania inspirò a lungo, fece scivolare l’aria fino allo stomaco, raffreddando il bollore nel petto. Sgranchì le mani, gettò lo sguardo a terra, di nuovo intrappolato nel buio dell’ombra. Scosse il capo, ma la testa continuava a ronzare, gonfia di pensieri che non riusciva a mettere in ordine. “Io non so cos’è andato a fare a Leningrado.” Non è possibile, non è possibile che lo sappia! Mi sta ingannando? No, non potrebbe essere, non su... “Potrebbe anche essere un mal...”

“Non ha importanza.” I duri e freddi occhi di Germania lo squadrarono dal buio, le palpebre si restrinsero in un’espressione severa. “Tu sei a conoscenza di qualcosa di così importante, di un dettaglio che potrebbe far saltare tutti i nostri futuri piani, eppure hai continuato a tacere, non riferendomi nulla, nonostante sapessi benissimo quanto potrebbe essere pericoloso che Russia venga a conoscenza delle nostre intenzioni.” Socchiuse le palpebre, annuì leggermente. “È vero, io non ho alcun potere politico su Bulgaria.” Compì un altro passo, e quell’aria umida del sotterraneo si caricò di tensione, trasmise una scossetta di paura a Romania. “Ma tu sei completamente sotto le mie mani, Romania.”

Romania compì un passetto all’indietro, le spalle sbatterono sui manici dei cassetti. Ma come ha fatto? Il viso tornò grigio, cinereo di paura e confusione, nonostante gli occhi rabbiosi. Come ha fatto a sapere di Leningrado? Come ha fatto a sapere che anche io so tutto? Finlandia? Lui... è stato lui a rivelarmelo, e avrebbe potuto spifferare tutto anche a Germania, ma... Scacciò subito quel pensiero scuotendo la testa. No, impossibile. Finlandia non farebbe mai nulla di così meschino, non parlerebbe contro qualcuno nemmeno se gli spezzassero tutte le ossa. Ma allora come...

“Preferisci pagare le conseguenze come meriti, Romania,” disse Germania, “oppure preferisci fare come ti ordino per evitare di peggiorare ulteriormente la tua posizione?”

Romania gli scoccò un’occhiata di fuoco. “E cosa vorresti fare per peggiorare la mia posizione?” Sollevò lo sguardo, socchiuse le palpebre e aggrottò la fronte. Lo sfidò anche lui. “Non puoi farmi alcun male. Senza di me perderesti una pedina per il Barbarossa e non te lo puoi permettere.”

Germania rispose con un’occhiata altrettanto affilata. “Non sei di certo tu a stabilire cosa posso o non posso permettermi.”

Romania scattò di un passo in avanti. “Ma se...”

“Decidi, Romania.” La pesante voce di Germania lo riportò contro il muro. “O lo vado a prendere io, o lo vai a prendere tu.” Lo guardò con crudele indifferenza. “Immagina da solo quale delle due ipotesi rappresenterebbe un pericolo per entrambi.”

Romania tornò con lo sguardo in mezzo ai piedi, si morse il labbro e trattenne un fremito di frustrazione, i pugni tremarono, il dolore delle unghie premute nella carne dei palmi soppresse il suo pesante senso di impotenza.

Germania gli aveva detto ‘decidi’, ma Romania non aveva scelta.

 

.

 

Senza nemmeno spegnere il motore dell’auto, uno dei due ufficiali che li aveva accompagnati durante il viaggio di ritorno scese dal posto del passeggero accanto a quello del guidatore, e non richiuse nemmeno lo sportello della berlina. Pochi suoi passi risuonarono sulla ghiaia. L’uomo andò ad aprire lo sportello dal lato di Bulgaria e si mise in disparte. Bulgaria scese subito, Romania scivolò verso il suo sedile tenendogli la mano infilata sotto la giacca all’altezza della schiena, dove la canna della pistola nascosta premeva fra le scapole. Gli diede un piccolo colpetto sulle costole e lo seguì scendendo anche lui dall’auto. Camminarono verso la gradinata di pietra facendo scricchiolare la ghiaia innevata, una prima zaffata di vento gelato li investì di traverso, agitò vestiti e capelli. Una scossa di freddo corse lungo la schiena di Bulgaria, soppresse il brivido di disagio che provava nell’avere una pistola schiacciata fra le vertebre della spina dorsale, dove sentiva vibrare il piombo della canna pronta a esplodere e a scaricargli un proiettile nella carne.

Bulgaria continuò ad avanzare verso la gradinata dell’edificio, voltò una guancia senza smettere di camminare, aggrottò un sopracciglio in un’espressione irritata e lanciò un’occhiata svogliata a Romania. La prima dopo che era passato a prelevarlo.

Romania aggrottò la fronte, strinse le dita sulla pistola senza togliergliela da sotto la giacca – per non spaventare gli ufficiali – e tornò a dargli un colpetto fra le costole. Pronunciò la prima frase dopo che avevano trascorso tutto il viaggio senza nemmeno guardarsi in faccia. “Muoviti.” Quell’unica parola svanì in una nuvoletta di condensa.

Lo spinse di nuovo.

Bulgaria compì un passo saltellante, irrigidì, e gli buttò un’altra occhiataccia storta. “Ho capito,” ringhiò, “piantala di spingere.”

“Zitto.” Romania gli camminò di fianco, inclinò la pistola facendo risalire la canna di due vertebre, fece scivolare la bocca di fuoco sotto una scapola di Bulgaria, strinse le dita sul calcio, l’indice premette sul grilletto, e accelerò senza guardarlo in faccia. “Continua a camminare, non fare movimenti bruschi, non girarti e non guardarmi.” Un’ombra buia gli attraversò il volto, gli tinse le palpebre di nero evidenziando il rosso affilato che gli bruciava negli occhi. Le punte dei canini premettero sulle labbra. Il vento che gli soffiò fra i capelli fece oscillare le ciocche sulle guance, arrochì la sua voce, tetra e cavernosa. “Non sto scherzando.”

Un minuscolo ma autentico brivido di paura corse attraverso il sangue di Bulgaria, gli fece accapponare la pelle alla base della nuca, le guance gelarono, lo sguardo vacillò per un istante. Bulgaria scosse il capo, in viso tornò l’arrogante aria da sbruffone ad aggrottargli la fronte. Puntò lo sguardo davanti a sé, all’edificio in cima alla scalinata, e pestò un passo sul primo gradino di pietra.

 

.

 

Romania tenne una mano stretta sul braccio di Bulgaria e l’altra sulla pistola ancora schiacciata contro la sua schiena, si portò davanti a lui senza mollarlo dalla presa, aprì la porta in fondo al corridoio battendole un piede sopra. L’anta si spalancò, passò sotto la luce soffusa e polverosa che riempiva la camera, e tornò indietro con un movimento più lento, nascondendo l’interno delle pareti. Bulgaria mosse un passo in avanti, Romania gli tirò il polso all’indietro, lo bloccò con una morsa di ferro premendo sello contro il fianco.

Bulgaria lo guardò di traverso da sopra la spalla. “Che stai...”

Romania accostò la guancia alla sua, le labbra gli sfiorarono l’orecchio, il fiato sibilò sottile e caldo. “Fa’ tutto quello che ti dice,” ringhiò, “altrimenti questa è la volta buona che finiamo ammazzati tutti e due.” La mano appesa al polso di Bulgaria tremò, le unghie spinsero contro la carne lasciandogli un braccialetto rosso, paura e rabbia vorticarono nei suoi occhi lividi di tensione. “Io ti ho avvisato.”

Bulgaria ebbe solo il tempo di sollevare un sopracciglio e di spostare la guancia pizzicata dal suo sussurro. Romania gli staccò la mano dal braccio, si tirò di un passo all’indietro e gli diede una gomitata fra le scapole, facendolo ballonzolare in avanti. Bulgaria saltellò nella camera, finì immerso nell’aria di polvere che odorava di chiuso, incrociò due passi per riprendere l’equilibrio e la porta dietro di lui sbatté – slam! I passi di Romania tornarono ad avvicinarsi e la sua ombra lo investì, la sua presenza tornò a stagnare alle sue spalle, sottile e fastidiosa come il sibilo che gli aveva sussurrato prima all’orecchio. Bulgaria girò lo sguardo per tornare a incrociare i suoi occhi, ma una voce più bassa e profonda lo sorprese davanti a lui.

“Bentornato, Bulgaria.”

Bulgaria ghiacciò. Una scossa di paura nacque dal cuore, schioccò attraverso le braccia e gli fece contrarre le mani lungo i fianchi. Si aspettava di trovarsi davanti a lui, ma il fiato gli formò comunque un groppo in gola che non riuscì a mandare giù.

Incrociò gli occhi con quelli freddi e taglienti di Germania che lo scrutavano dall’ombra della camera umida e impolverata, una rimonta d’odio nei suoi confronti sciolse i brividi di paura, gli gonfiò il cuore di un’ardente fiammata che bruciò all’altezza delle guance, colorandone il pallore. Bulgaria girò la guancia di profilo, sollevò il mento in un gesto di sfrontata superiorità e scoccò a Germania un’occhiataccia altrettanto minacciosa. Con la coda dell’occhio, lui e Romania si fulminarono. Romania rispose tornando a premergli la pistola fra le ossa delle scapole. Non riuscì comunque a farlo rabbrividire.

“Lieto di vederti arrivare qua sulle tue gambe e in così poco tempo,” disse Germania, interrompendo il silenzio. Si mosse dallo spazio d’ombra, i suoi passi risuonarono pesanti tanto da far vibrare l’aria, i suoi occhi sottili e appuntiti rimasero incollati allo sguardo di Bulgaria velato da quella maschera di sufficienza che gli faceva prudere le mani. “Temevo di essere costretto a farti venire a prendere a Leningrado per portarti da me.” Aprì e strinse le dita intrecciate dietro la schiena, le falangi emisero un lieve e minaccioso scricchiolio.

Bulgaria spalancò le palpebre, le guance sbiancarono, gli occhi si restrinsero e la sua vista tornò indietro, abbagliata dal lampo del ricordo appena esploso nella sua testa.

La litigata sulle strade di Sofia, vicino alle sponde del Danubio ghiacciato, le ultime parole d’odio sputate addosso a Romania, lui che gli dava le spalle e che si faceva portare a Leningrado, i suoi piedi che si posavano al suolo triturando il ghiaccio davanti al Palazzo d’Inverno, le occhiate spaventate e materne di Ucraina, la presenza di Russia che lo investiva in un’ombra pesante e minacciosa, il suo sguardo vicino, le sue dita premute attorno al suo viso, a schiacciargli le guance, e il sorriso di compassione che aveva pronunciato quelle parole fredde e sottili che gli erano entrate nel petto.

La tensione e il ricordo si sciolsero, la sua vista tornò all’interno della stanza polverosa, davanti a Germania. Bulgaria spostò lo sguardo vitreo sul pavimento, si strinse una mano fra i capelli, la tenne accostata alla fronte e alla guancia, a reggersi il capo e a sopprimere il senso di vertigine che gli faceva ballare il pavimento sotto i piedi. La bocca si torse in un ghigno di disperazione.

Prima gli venne da piangere, e poi gli venne da ridere.

Chinò le spalle in avanti e ridacchiò davvero. “Aah, ecco, sapevo che sarebbe stato solo questione di tempo.” Rise ancora a labbra strette, si posò la mano libera sulla pancia sentendo vibrare lo stomaco. Tremò anche la canna della pistola premuta sulla sua schiena. Bulgaria buttò un’altra occhiata alle sue spalle sbirciando da dietro le dita accostate al viso, i suoi occhi tornarono bui, lanciarono uno sguardo disgustato a Romania, e caddero di nuovo al pavimento. Sospirò, fece scivolare la mano dal viso, rilassò le spalle e smise di ridere. “Dai,” fece un cenno annoiato col capo, indicando dietro di sé, “digli di spararmi o sparami tu, così la facciamo finita subito, senza troppe cretinate.” Si strofinò la nuca voltandosi di profilo e schioccò la lingua fra i denti. Un gesto di disprezzo e amarezza. “Merda, sapevo che sarebbe andata a finire così,” borbottò.

Germania sollevò le sopracciglia, spostò gli occhi su Romania, toccato di sbieco sulla guancia da un raggio di sole che gettava ancora più ombra sulle linee del suo volto. Gli fece un cenno con il mento.

Romania annuì. Staccò la bocca della pistola dalla schiena di Bulgaria, la girò impugnandola per la canna, la tirò sopra la spalla e gli scaricò un colpo con il calcio contro la nuca.

Bulgaria strozzò un gemito. “Ngh!” Un lampo di stordimento lo abbagliò come un pugno in mezzo agli occhi. Pestò un passo avanti e le vertigini fecero mulinare la stanza attorno a lui. Perse l’equilibrio, cadde a terra battendo il petto. Spremette la guancia sul pavimento freddo, strizzò gli occhi, e la bocca vibrò per il rantolo di dolore. Esalò un sospiro, gemendo, e sentì il sapore della polvere incollarsi alle sue labbra.

Anche Romania si chinò sul pavimento, gli schiacciò un ginocchio fra le scapole, dove prima aveva premuto la pistola, gli afferrò le braccia, unì i suoi polsi dietro la schiena e gli tenne le mani ferme. Tornò a puntargli la pistola addosso. Alla testa. La canna spinse sulla nuca, all’attaccatura dei capelli, girò a destra e a sinistra per scaricargli un pungente brivido di freddo sul collo, e stette ferma.

Germania si avvicinò di un passo, le vibrazioni trasmesse dal pavimento risalirono la faccia di Bulgaria facendogli tremare i denti, la sua ombra si ingigantì investendo sia lui che Romania. “Punto primo, Bulgaria.” Altro passo. Bulgaria ruotò la coda dell’occhio e riuscì a scorgere la scintilla di una fibbia dello stivale. “Qui sono solo io a decidere quando e come sparare a qualcuno, e sono solo io a decidere quando e come annichilire una nazione.” Altro passo, la sua voce suonò più cupa e minacciosa. “Punto secondo.” Sollevò la punta di un piede e premette la suola sulla guancia di Bulgaria, strappandogli un sussulto. “Da ora in avanti, ti consiglio di imparare a capire quando è il caso di tenere a freno la bocca,” spinse di poco il piede, facendogli sentire la pressione sull’osso della mandibola, “dato che non sei nella posizione più adatta per fare lo sbruffone con me.”

Bulgaria strizzò gli occhi, emise un altro ringhio da sotto la suola. Il brivido di rabbia gli percorse la nuca facendo tremare la canna della pistola contro il cranio, discese la schiena dove Romania continuava a tenergli le mani ferme e incrociate. Girò la guancia schiacciata fra suola e pavimento, tirò a Romania un’occhiataccia di odio e disprezzo. “Tu?” gorgogliò, disgustato. Non riusciva a vedergli lo sguardo da sotto l’ombra dei capelli. “Sei stato tu a dirgli di Leningrado?” Ma no, impossibile! Come diavolo avrebbe potuto saperlo?

Germania spinse di più il piede, gli frenò la lingua. “Non è stato Romania a fare la spia,” lo anticipò, “né nessun altro.”

Bulgaria gemette un altro sussulto, strinse i denti, tornò a spostare lo sguardo su Germania finendo con una tempia sotto la suola che continuava a premere sulla sua faccia, e sbatacchiò le ciglia per scrollare i grani di polvere dalla vista.

Germania restrinse le palpebre, lo squadrò dall’alto, i suoi occhi erano sottili lame di ghiaccio nel nero, e spinse di nuovo una piccola pressione sulla punta della suola, schiacciandogli lo zigomo. “Sul serio non ti sei reso conto da solo di quanto stupide siano state le tue azioni? Sei corso da un mio alleato a metterlo in guardia nei miei confronti.” Flesse le sopracciglia piegando un’espressione di solennità. “Davvero speravi che io sarei rimasto all’oscuro di tutto questo?”

Bulgaria sgranò le palpebre, le labbra caddero schiuse sentendo il saporaccio della polvere e della terra, e quel pugno di amarezza scese fino allo stomaco, lo chiuse in un nodo. “Allora è stato Russia a dirtelo?” soffiò. “Ma...” No, no, impossibile anche questo, si disse. Russia mi vuole, me l’ha detto pure lui. Perché avrebbe messo in guardia Germania, sapendo che poi sarebbe arrivato a farmi del male o a minacciarmi? Aggrottò la fronte, diede uno strattone con il capo per liberarsi, ma il piede di Germania lo seguì, tenendolo imprigionato. Piuttosto mi avrebbe sequestrato per impedire a Germania di pestarmi a sangue, ma non cederebbe mai una nazione che potrebbe essere potenzialmente sua, nemmeno a un alleato.

Bulgaria nascose l’incertezza del suo sguardo tornando ad alzare gli occhi, irrigidì il corpo sotto la presa di Romania. “E cosa vorresti farmi, allora? Sentiamo.” Il suo tono assunse una stuzzicante punta di sfida. “Uccidermi?” Un fremito di risata gli risalì la gola, sciolse la paura. “Rapirmi e tenermi in ostaggio?” Il suo sguardo tornò di colpo buio, la voce tetra, gli occhi alti e senza il timore di fronteggiare quelli di Germania. Diede un altro piccolo strattone con la testa, riuscì a guardarlo meglio. “Credi davvero che fare qualcosa di simile a una nazione sia facile come farlo a un essere umano? Non la passerai liscia, il mio governo interverrà.”

Germania scosse il capo. “No, non ho intenzione di rapirti.” La pressione del piede sulla sua guancia diminuì, permise a Bulgaria di trarre un respiro più profondo. “E nemmeno di farti del male, se è per questo. In realtà...” Gli tolse lo stivale dalla faccia e arretrò di un passo, anche il suo timbro di voce si acquietò. “Volevo ringraziarti, Bulgaria.”

Bulgaria impennò un sopracciglio sentendo ancora la guancia pulsare dove gli era rimasta l’impronta rossa della suola. Strabuzzò gli occhi. “Che?” Sollevò la guancia da terra ignorando la pressione della pistola sulla nuca e una rimonta di rabbia gli infiammò lo sguardo. “Mi stai prendendo in giro?”

Germania tornò a scuotere la testa. “Affatto.” Strinse le mani dietro la schiena, compì un paio di passi davanti alle vetrate dietro le quali stava calando il sole, e la sua sagoma nera si coronò della luce del tramonto cristallizzata dalla neve secca. “Le tue azioni si sono rivelate molto utili.” Camminò ancora, tornò a rivolgere lo sguardo a Bulgaria, squadrandolo dall’alto in basso. “Pensaci,” gli disse. “Tu sei corso da Russia, gli hai rivelato le mie intenzioni di attaccare l’Unione Sovietica, di sterminarlo, eppure lui non ha mosso ancora un dito su di me, non mi ha nemmeno chiesto spiegazioni a riguardo.” Si fermò ponendosi di profilo a una delle finestre. “Questo significa una cosa sola...” Girò il viso in penombra, puntando gli occhi al cielo annuvolato che nascondeva un sole bianco e freddo. “Che Russia non sospetta di nulla, e che ha talmente tanta fiducia nei miei confronti che nemmeno un avvertimento così diretto ha saputo smuovere le sue convinzioni.” Germania si strinse nelle spalle, il suo sguardo si distese. “A questo punto, è chiaro che non ho nulla da temere, e che l’effetto sorpresa si manterrà solido fino all’inizio della campagna, permettendomi un attacco sicuro.”

Bulgaria restò a bocca aperta, gli occhi increduli, il fiato sospeso in gola. “Ma allora...” Il battito del cuore accelerò, lo sentì premere sulle costole schiacciate a terra fino a fargli dimenticare di avere ancora il ginocchio di Romania fra le scapole e la pistola sulla testa. Le sue labbra tremarono, un getto di paura gli impallidì le guance. “Allora non mi sbagliavo,” mormorò. “Tu hai...” Rivolse a Germania uno sguardo spaventato e arrabbiato allo stesso tempo, il flusso di ansia gli ghiacciò il sangue, fece vibrare il suo respiro. “Hai davvero intenzione di invadere l’Unione Sovietica.”

Romania abbassò d’istinto lo sguardo, con aria colpevole, e allentò la pressione della pistola sulla nuca di Bulgaria.

Germania socchiuse le palpebre. Il panorama di Berlino si specchiava sulla finestra incrostata di ghiaccio di fianco a lui: una visione che trasmise al suo cuore una fitta di malinconia e di senso di protezione nei confronti del rischio che stava per correre. Rispose con un mormorio. “Sì.” Si spostò dalla vetrata, tornò a compiere un paio di passi davanti a Bulgaria. “Anche Romania ha già accettato le trattative,” annunciò. “Abbiamo firmato le condizioni a dicembre.”

Bulgaria storse un mezzo broncio, spinse una spalla a girarsi, premette l’anca sul pavimento avvitando il busto, e cercò Romania buttandogli addosso un’occhiata di disprezzo. Incontrò i suoi occhi ancora appannati di colpevolezza, vulnerabili. Aggrottò la fronte e mimò un ‘vigliacco’ con il labiale. Romania ricambiò l’occhiataccia, affondò le unghie sui suoi polsi incrociati, e tornò a far pressione con la canna della pistola. Gli trasmise una scossa di freddo lungo le vertebre del collo.

“Ti pongo una domanda, Bulgaria.” Germania premette un passo davanti a lui che fece scricchiolare la suola sul pavimento impolverato. Incrociò le braccia al petto, lo guardò con sufficienza. “Cosa speravi di ottenere avvertendo Russia?”

Bulgaria sbuffò, tornò a sollevare il mento da terra spingendo il peso sulla spalla. “Che domanda cretina,” sbottò. “Volevo metterlo in guardia da te. Così lui avrebbe alzato le difese e ti avrebbe impedito di effettuare l’attacco dato che sarebbe saltato l’effetto a sorpresa, bloccando l’eventualità di una guerra lampo.”

Germania lo guardò duramente. “Non è vero.” Spostò un passo, le suole tornarono a scricchiolare nel fitto silenzio della camera. “Tu lo hai fatto semplicemente perché eri terrorizzato all’idea di finirci di mezzo.”

Bulgaria si strozzò di nuovo con il suo stesso fiato, negli occhi sgranati tornò il lampo di quel giorno, la morsa di paura che lo aveva strangolato quando si era trovato con le guance spremute fra le dita inguantate di Russia e con i suoi occhi lividi a guardargli dentro: profondi come una picconata nell’anima.

“Sei solo un pesciolino talmente piccolo e insignificante che spera di mettere due squali contro e di scappare via mentre loro sono troppo impegnati ad azzannarsi per badare a lui.”

“Tu avevi paura di rimanere schiacciato fra me e Russia,” disse Germania, quasi udendo la voce di quel ricordo, “e fai bene a esserne spaventato.” Sciolse una mano da dietro la schiena e se la premette sul petto. “Ora io però sono disposto non solo a darti l’opportunità di sopravvivere a questa guerra, ma anche di diventare più forte.”

Bulgaria scosse il capo, sgusciò via dal ricordo di Leningrado, tornò nella camera assieme a loro, e sollevò la punta di un sopracciglio. “E come?” domandò con voce cauta ma attraversata da un sincero brivido di curiosità.

Germania tornò a camminare davanti a lui. “Ti rifaccio la proposta che ti avevo offerto un paio di mesi fa.” Gli infilò la punta del piede fra il mento e il suolo, senza fargli male, e lo spinse a sollevare lo sguardo direttamente contro il suo viso. Bulgaria finì abbagliato dal riflesso della luce contro la croce di ferro. “Unisciti al Tripartito.” La luce d’argento si ritirò, lasciò spazio a quella azzurra degli occhi di Germania premuti sui suoi. “Entra in guerra, partecipa con me alla Campagna di Grecia, e ti prometto che ti affiderò parte dei territori che conquisteremo nei Balcani e nel Peloponneso. Una volta espanso e rinforzato, non dovrai temere nemmeno una campagna contro Russia.”

Bulgaria tornò rigido, sentì il suo volto vibrare sopra la punta dello stivale. “Ma...” Scostò la testa con uno scatto, dando una strisciata di spalla per terra, e guardò Germania con espressione perplessa, ma ancora bruciante di rabbia. “Perché io?” insistette. Ruotò la coda dell’occhio e indicò la sua schiena con un’alzata di mento. “Chiedilo a Romania di venire in Grecia con te,” disse con tono aspro. “Tanto lui si è già piegato in due per riuscire a leccarti i pie –”

Un altro colpo alla nuca dato con la pistola – meno forte di quello di prima – lo zittì, facendogli mangiare le parole con un gemito. Si guardarono entrambi con la rabbia di due bambini piccoli che si tirano i sassi a vicenda.

Germania sospirò. “Romania è punto strategico che occupa un ruolo diverso dal tuo,” spiegò. “Lui è fondamentale nei confronti di Russia, perché mi offre uno sbocco in Ucraina. Tu invece confini proprio con la Linea Metaxas, che è l’unica porzione di territorio difendibile da parte nostra per fare in modo che i greci non si rintanino in Albania in caso di una sconfitta.” Gli sfilò il piede da sotto il mento, compì un passo di lato, tornò con le mani strette dietro la schiena. “Tu mi servirai sia come porta d’entrata sia come barriera contenitiva per tenerli in trappola nel loro stesso territorio. Inoltre, avrò un accesso diretto su Salonicco, che sarà uno degli obiettivi principali come lo era stato per Italia.” Un breve respiro. “E da lì potrò espandermi in tutta la nazione.”

Bulgaria strabuzzò lo sguardo. “Vorresti prenderti Salonicco?” esclamò. “Ma non...” Spinse una spalla più avanti per avvicinarsi a Germania nonostante il peso di Romania sulla schiena. “Non puoi, gli jugoslavi non te lo permetteranno. Salonicco è sempre stata loro di diritto, e anche se la sottraessi ai greci spetterebbe a loro, non a me.” Aggrottò la fronte, scosse il capo, la voce riacquistò una spinta di determinazione. “Poi il governo jugoslavo vi odia, preferirebbe piegarsi a Russia piuttosto che a voi dell’Asse.”

Germania sollevò le sopracciglia, rimase calmo, lo sguardo composto. “Sono già in corso delle trattative di patteggiamento con la Jugoslavia.” Compì altri passi davanti alla finestra. “Ho molta fiducia nella loro collaborazione, e anche Austria e Ungheria si stanno dando da fare per trattare con il loro governo. Se tutto andasse come spero, fra non molto ci riuniremo a Vienna per rendere ufficiale l’alleanza e la loro entrata nel Tripartito.”

“Balle!” scattò Bulgaria. “Loro ti odiano, e anche se il governo decidesse così, rimarrebbe comunque il popolo da affrontare. Un intero popolo pronto a darti il voltafaccia.” Un sincero e profondo fremito di terrore gli percorse l’osso della spina dorsale, quel brivido gli scosse lo sguardo, ingrigì la luce degli occhi. “C’è il rischio di scatenare un colpo di stato, te ne rendi conto?”

Anche Romania esitò, rabbrividendo a quell’idea, ma stette zitto.

Germania scosse di nuovo il capo. “Gli jugoslavi sono terrorizzati da noi.”

“Inghilterra e America non rimarranno immobili davanti a questo.” Bulgaria fece leva sulle ginocchia, indurì i polsi sotto le mani di Romania e flesse i gomiti per darsi forza ad alzarsi, ma tornò a picchiare il petto a terra. Scrollò il capo per liberare il volto dalle ciocche che gli erano piovute davanti agli occhi, aggrottò le sopracciglia. “Credi che non capiscano che ci stai obbligando e minacciando per spingerci a un’alleanza forzata? Interverranno. Interverranno come ha detto America e...”

“America è stato molto bravo a parole.” Una punta di irritazione si infilò nella voce di Germania, gli fece tremare le braccia, un familiare prurito gli corse all’interno delle mani. Distolse lo sguardo ombreggiato da una ruga di disprezzo e compassione. “Ma nemmeno lui ha il potere di ottenere ciò che vuole, dato che è vincolato dalla promessa di neutralità. Lui e Inghilterra non muoveranno un dito per salvare la Jugoslavia.” Scrollò le spalle. “Cosa otterrebbero nel farsi carico di un paese del genere? Terreno? Materie prime? Esercito?” Tornò a posare il suo sguardo su Bulgaria e si avvicinò, quell’aria di superiorità a ingrandire la sua ombra e ad amplificare gli schiocchi dei suoi passi. “Voi popoli slavi siete estremamente poveri, lo hai detto tu stesso, e agli Alleati non servono nazioni come voi.”

Bulgaria contrasse di nuovo i polsi incrociati, le mani pulsarono dalla voglia di strapparsi via dalla presa di Romania e di spaccare la faccia a Germania.

“Ti sei lasciato anche tu abbindolare dalle belle parole di America,” continuò Germania, “ma la guerra non è un gioco di simpatie, è un gioco di strategia.” La sua voce fu tagliente e crudele come una lama infilata nel cuore. “E strategia significa anche approfittarsi l’uno dell’altro come sto facendo io.”

Bulgaria storse un angolo della bocca in un’espressione di raccapriccio – approfittarsi – ma un lampo di illuminazione gli trapassò il cranio. I suoi occhi si strinsero in un’espressione di sfida rivolta a Germania, la bocca parlò da sola. “E chissà in che maniera tu ti stai approfittando di Italia, eh?”

L’aria ghiacciò. Quel silenzio improvviso strappò il velo d’ombra dal viso di Germania, lasciò due occhi sbarrati, le labbra piatte, un sopracciglio sollevato, e una singola ruga di sconcerto ad attraversargli il volto, quasi avesse capito male. Anche Romania raggelò. Il suo ginocchio premuto contro la schiena di Bulgaria fremette, una scossa attraversò la mano che stringeva la pistola, gli fece staccare la canna dalla nuca.

Bulgaria guardò Germania di traverso, mantenne quell’espressione sfrontata. “Anche quella è strategia, Germania? Anche Italia verrà mangiato vivo dopo che ti sarai stufato di tenerlo al guinzaglio o quando il suo ruolo nella tua strategia sarà concluso?”

Una pesante e fitta ombra nera riempì le pareti della camera, gettò un’ondata di gelo addosso a tutti e tre.

Germania prese un breve respiro tremante, i pugni strinsero sui fianchi, le braccia vibrarono, il suo corpo si indurì come pietra, il viso di nuovo in ombra si infossò in una scura espressione di minaccia. Odio e panico gli iniettarono gli occhi di rosso, divennero identici a quelli di Prussia. Fra le mani brucianti percepì già la sensazione viscida e bollente del sangue di Bulgaria che colava dalle sue dita.

Pestò un passo avanti, tornò a schiacciargli la faccia sotto il piede, lo fece gemere fra i denti, “Ghn!”, strappò via la pistola dal fodero allacciato alla cinta, spinse già l’indice nel grilletto e gettò la mira alla tempia di Bulgaria bloccata sotto la sua suola. Tutto il flusso d’ira rigettato dal suo cuore gonfio e pulsante di odio si riversò attraverso il braccio. L’indice tremò, la punta si inclinò e fece cigolare la leva del grilletto, spingendola verso l’anello.

Bulgaria strizzò gli occhi, girò la fronte premendola sul pavimento, il cuore gli schizzò in gola. Trattenne il fiato e si morse la lingua come aveva fatto quando aveva provocato Russia.

Romania scattò prima di lui. Gli tolse il ginocchio dalla schiena, la gamba scivolò sul suo fianco. Staccò la pistola dalla sua nuca, si chinò ad avvolgergli le spalle con un braccio, e con l’altro piegò un arco di protezione attorno alla sua testa, la fronte accostata alla sua nuca e il gomito a spingere sulla gamba di Germania. Tremò più lui di Bulgaria. La scossa di panico che lo aveva fatto chinare di colpo a proteggerlo attraversò il corpo di entrambi, si chiuse attorno ai fianchi di Bulgaria, dove premevano le ginocchia di Romania, e lui sentì il suo fiato trattenuto vibrare dietro l’orecchio, in mezzo ai capelli. Il braccio teso a riparargli la testa si sollevò verso Germania, finì investito dall’ombra della pistola ancora puntata verso il basso.

Germania allentò la stretta delle dita attorno al calcio, l’indice si rilassò e fece tornare indietro il grilletto, il braccio smise di tremare di rabbia, il piede si ritirò, spinto dal gesto di Romania. L’ombra calò dal suo volto, gli occhi rimasero bui e ancora duri come pietra, ma non più rossi come sangue.

Bulgaria riaprì le palpebre, soffiò un sospiro a pelo del pavimento, sentendo di nuovo il saporaccio granuloso della polvere entrargli fra i denti, e rilassò la tensione dei muscoli irrigiditi. Si trovò con la faccia davanti al braccio di Romania premuto sulla gamba di Germania. Un sussulto di sorpresa gli fece fremere il busto, il corpo di Romania tremò con lui. Bulgaria girò lo sguardo, inarcò le sopracciglia e gli rivolse un’occhiata interrogativa che sembrava dire ‘perché lo hai fatto?’. Romania gettò subito gli occhi in disparte, nascondendoli in ombra. Abbassò il braccio da davanti il volto di Bulgaria, sfilò quello che gli aveva gettato attorno alle spalle, e raddrizzò la schiena rimanendo con le ginocchia premute attorno ai suoi fianchi. Tenne la pistola bassa, non tornò a spingergliela contro la nuca.   

Bulgaria fece leva sui gomiti, i muscoli delle braccia tremarono, ancora molli di paura, e tornò a chinare le spalle. Guardò in basso, sul pavimento riempito dell’ombra di Germania ancora in piedi davanti a lui, e tornò quel brivido di frustrazione a corrergli attraverso il sangue, a gonfiargli il cuore e a fargli tremare i pugni.

Inspirò. Si costrinse a tenere la voce ferma, il tono freddo tanto da dargli l’idea di soffiare condensa dalla bocca. “E se invece tornassi da Russia?”

Sia Germania che Romania tornarono scuri in volto. Le ginocchia di Romania irrigidirono, le dita di Germania tornarono a far pressione sulla pistola, ma il braccio stette fermo.

Bulgaria si spinse di nuovo sui gomiti, tirò su le spalle, voltò la guancia e restrinse le palpebre. Lanciò a Germania un’occhiata sfacciata ma ancora scossa di paura, un sorriso da sbruffone gli incurvò le labbra. “Russia me l’ha proposto, sai? Mi ha detto che mi accetterebbe volentieri nell’Unione Sovietica.” La sua voce assunse un pungente tono di sfida, i suoi occhi squadrarono Germania senza timore. “Come faresti a quel punto, Germania?” gli fece. “Non potresti sfruttarmi per un attacco in Grecia, e non potresti torcermi un capello perché io sarei sotto la protezione di Russia.”

Germania ricominciò a prendere in seria considerazione la presenza della pistola che impugnava fra le dita brucianti di rabbia.

Una voce fredda e ruvida parlò alle spalle di Bulgaria, si trasmise alla sua schiena, facendogli vibrare le ossa e lo stomaco. “Io però non esiterei nell’eliminarti,” disse Romania.

Bulgaria spostò un gomito per girare la spalla, avvitò il busto e lanciò uno sguardo verso Romania, in cerca del suo. Aveva la pistola abbassata, il braccio steso sul fianco – il braccio che prima lo aveva protetto – ma le sue parole affilate fecero pressione sulla sua nuca come se avesse ancora l’arma puntata alla testa.

“Una volta iniziato lo sfondamento in Unione Sovietica,” disse Romania, “noi saremmo comunque più preparati di voi, dato che il capo dell’Est rimane sempre e solo Russia, e Russia si rifiuterebbe di nuovo di credere alle tue parole. Poi sarebbe estremamente facile tagliarti subito fuori dal resto dell’Unione e isolarti, e a quel punto basterebbe bombardarti come è già stato fatto con Polonia.” Emise un piccolo sbuffo che gli tenne la punta del naso arricciata. “Russia sarà talmente preso a proteggere Mosca e i centri industriali, che ti lascerebbe morire come un topolino pur di non abbandonare le posizioni di difesa.”

Bulgaria finì di nuovo accoltellato dalla sensazione di essere stretto fra le dita di Russia, rannicchiato nel suo palmo come un piccolo insetto. In trappola, con il suo fiato a battere sulla gola, e circondato dalle sue dita pronte a chiudersi e a stritolarlo o a lasciarlo cadere in una vorace di fuoco.

Digrignò i denti. Merda. Gettò lo sguardo a terra, aprì e strizzò i pugni sul pavimento. È vero, anche se io diventassi una nazione dell’Unione Sovietica, rimarrei comunque un territorio circondato da nazioni dell’Asse. Trattenne il fiato, percependo un laccio di paura stringergli la gola e strappargli l’aria dai polmoni. Deglutì a vuoto, cercò di sciogliere il nodo. Mi inghiottirebbero, e a quel punto Russia non potrà e non vorrà fare niente per salvarmi.

“A-anche...” Serrò i pugni fino a sentire le unghie nella carne, fece scivolare un gomito più vicino a Germania e ruotò gli occhi verso l’alto senza sollevare la fronte. Parlò sentendo la pancia bruciare di irritazione, la bocca amara come se avesse ingollato bile. “Okay, ammettiamo ipoteticamente che io accetti di firmare l’alleanza con te.” Aggrottò la fronte, rafforzò il tono di voce. “Come la metteresti con il mio popolo? Te l’ho già detto: io sono lo specchio della mia gente, come lo siamo tutti. Io potrei anche accettarti, ma loro non lo farebbero mai.”

Germania gli mostrò uno sguardo indifferente. “Questa è una tua responsabilità, Bulgaria.” Si spostò di un passo di lato, abbassò sul fianco il braccio che reggeva la pistola. “Avresti semplicemente dovuto guidare e gestire il tuo popolo in base a quello che ti succedeva attorno, affidandoti più alla testa e meno all’istinto.” I suoi occhi tornarono taglienti e crudeli come due lame già bagnate di sangue. “Ti ho già spiegato cosa ti accadrà se intenderai far scoppiare un colpo di stato. E questo vale sia per te che per la Jugoslavia.” Ora anche la sua voce parve spandere condensa e creare una nebbia grigia attorno al suo viso. “Di voi non rimarrà altro che cenere.”

Le spalle di Bulgaria tremarono, colpite dal peso dell’impotenza che si era rovesciato sulla sua schiena come una secchiata di massi. Bulgaria chinò la fronte, la punta del naso sfiorò il pavimento, i pugni tremarono, una profonda e scura espressione di rabbia e frustrazione si incavò nel suo volto. Si morsicò il labbro fino a sentire il sapore del sangue scivolare fra i denti.

L’ombra si sciolse anche dallo sguardo di Romania, come se si fosse strappato una maschera dal volto. Rivelò due profondi occhi addolorati e scossi dalla stessa paura che aveva attraversato lo sguardo di Bulgaria.

Germania osservò entrambi, un raggio di sole grigiastro filtrato dalle vetrate gli scivolò sulla spalla, gli toccò la guancia, intiepidendogli il viso e ammorbidendogli l’espressione tesa. Rinfilò la pistola nel fodero della cinta, strinse le mani dietro la schiena. Fece di nuovo un passo verso Bulgaria, lo guardò dall’alto. “Fra il ventotto e il ventinove di febbraio ho intenzione di far affluire parte delle mie armate nel tuo territorio. Da quel momento...” Si fermò, indurì il tono, gli occhi di nuovo glaciali e inflessibili. “Per te scatterà un ultimatum.”

Bulgaria fece stridere i denti, toccò il pavimento con la fronte e il respiro vibrante si portò dietro l’umido delle piastrelle e il sapore metallico della polvere. Gli formò un nodo allo stomaco. Tenne le nocche incollate alle piastrelle, sopprimendo la voglia di riempire il suolo di pugni.

“Il primo marzo,” continuò Germania, “mi aspetto una tua risposta definitiva. A seconda di quello che deciderai, dipenderà il tuo futuro. È la tua ultima possibilità, Bulgaria. Il primo marzo potrai ricordarla come la data della tua adesione all’Asse o la data della tua morte.”

Romania rabbrividì. Il suo breve spasmo si trasmise anche alla schiena di Bulgaria.

“Il tuo destino è nelle tue mani,” disse Germania. “Ti consiglio di pensarci con la dovuta attenzione.”

La porta della camera si aprì senza che qualcuno bussasse. L’ombra di un ufficiale tedesco scivolò fra l’anta e lo stipite, l’uomo entrò finendo subito squadrato dalle tre occhiate dei presenti.

“Signore.” Gli occhi dell’ufficiale caddero prima su Bulgaria tenuto schiacciato a terra da Romania, l’uomo sbatté le palpebre, scrollò la testa, e si rivolse a Germania, gli fece un saluto militare. “Mi perdoni se la disturbo, signore, ma volevo avvisarla che è arrivato, signore.” Sciolse il saluto, irrigidì le braccia tese sui fianchi. “Vi sta già aspettando.”

Germania annuì. “Bene.” Lanciò un’ultima occhiata a Bulgaria. “In ogni caso qui ho finito.”

Bulgaria girò la guancia per spostare gli occhi su di lui, aggrottò la fronte, storse una smorfia con la punta del naso, e lo guardò con odio.

Germania sollevò le sopracciglia. “Non deludermi.” Si rivolse anche a Romania. “Non deludetemi entrambi.” Romania staccò il contatto visivo, come un cane che abbassa le orecchie.

Germania superò l’ufficiale, uscì dalla camera seguito dall’uomo che chiuse la porta dietro di loro. Il silenzio riempì le pareti. Un sottile scricchiolio del vento scosse le finestre, qualcosa si sbriciolò dal muro e piovve sul pavimento, l’eco dei passi che si allontanavano svanì inghiottito dal corridoio.

Bulgaria riprese a respirare per primo. Guadagnò un breve sospiro che gli gonfiò il petto a terra, il battito del cuore pulsò rapido e intenso, spanse il calore del sangue attraverso il corpo, il bruciore si raccolse nei pugni ancora schiacciati sul pavimento. Si rotolò sul fianco, sollevò una gamba colpendo il fianco di Romania e lo spinse via con una gomitata. “E togliti dai piedi,” sbottò.

Romania scivolò sulle ginocchia, le braccia raccolte in mezzo alle gambe, le spalle chine e gli occhi bassi.

Bulgaria si resse su un gomito, scrollò il capo e il punto della nuca dove lo aveva colpito con il calcio della pistola tornò a pulsare di dolore, come se avesse avuto un chiodo conficcato nel cranio. Strinse i denti. “Dannazione, che...” Si portò una mano dietro la testa, sfiorò il bernoccolo e fu come pungersi con un ferro da maglia. Bulgaria gemette, sfilò le dita dai capelli e le rigirò davanti agli occhi. Niente sangue. Gettò su Romania un’occhiataccia infuriata che gli infiammò gli occhi. “Mi hai quasi spaccato la testa!”

Romania sospirò, il capo ciondolò ancora più in basso, i capelli gli nascosero gli occhi. “Era l’unico modo.” Scosse la testa. “Non volevo farlo, ma o lo facevo io o lo faceva lui.” Mostrò a Bulgaria un’espressione più severa. “E non credo proprio che ora avresti le forze di lamentarti se fosse stato Germania a metterti le mani addosso.”

Bulgaria piantò un broncio che gli scurì il volto, aggrottò le sopracciglia ma una scintilla di gratitudine gli attraversò gli occhi, alimentando il gomitolo di frustrazione che stagnava nel petto. Girò lo sguardo continuando a massaggiarsi la testa attorno al bernoccolo, e davanti agli occhi sfilò il ricordo di Romania che gli gettava le braccia attorno al capo e alle spalle per proteggerlo da Germania. Ma l’osso del cranio continuava a fargli male e a pulsare, ricordandogli anche la martellata data con il calcio della pistola.

Bulgaria fece schioccare la lingua fra i denti, scocciato, e scivolò a sedere, sfregando più forte in mezzo ai capelli. “Ammettilo, lo hai fatto per ripicca.” Rivolse uno sguardo basso a Romania. “Ce l’hai ancora con me per la sfuriata sul Danubio.”

Romania si strinse nelle spalle, emise un piccolo sbuffo. “Mhf.” Volse lo sguardo alle vetrate che davano sul cielo di Berlino, un tremolio di soddisfazione gli attraversò le labbra. “Forse.”

Bulgaria strinse le dita fra i capelli, lo guardò storto, ma non gli disse niente. Incrociò le gambe, si spinse indietro di due saltelli e poggiò la schiena alla parete, sollevò lo sguardo al soffitto esalando un sospiro di stanchezza e disperazione. “Be’, mi godo il dolore alla testa prima che Germania me la faccia saltare definitivamente.” Un altro sbuffo gli curvò le labbra in un piccolo sorriso d’amarezza. “Ormai...” Raccolse le gambe al petto, fece ciondolare il capo fra le ginocchia, i capelli gli piovvero davanti agli occhi, un’altra debole risatina gli scosse le spalle. “Sono fottuto,” sbiascicò.

Romania si morse l’angolo delle labbra con la punta di un canino, corrugò la fronte in uno sguardo pensoso, volse gli occhi fuori dalla finestra, i riflessi di luce sbiadita gli tinsero gli occhi di ambra. Le parole che Germania gli aveva rivolto ordinandogli di andare a recuperare Bulgaria riecheggiarono nella testa, “A questo punto comincio a chiedermi se sia più conveniente cercarlo a Leningrado piuttosto che a Sofia”, unendosi a quelle che aveva pronunciato Finlandia dopo la riunione, “Dopo aver visto Bulgaria credo sia normale che gli sia venuta un po’ di nostalgia”.

Socchiuse le labbra, trattenne il fiato, il cuore si fermò. Capì tutto. “È stato un incidente.”

Bulgaria socchiuse un occhio, calò lo sguardo dal soffitto. “Cosa?” Aggrottò un sopracciglio. “Quale incidente?”

Romania aprì una mano sul viso, sciolse la tensione con un sospiro profondo, passò le dita fra i capelli e si strofinò dietro l’orecchio. “Quando c’è stata la riunione per l’invasione, Finlandia mi ha voluto rassicurare,” scrollò le spalle, “sai, per Moldavia. E gli è scappato di bocca il fatto che tu fossi stato a Leningrado.” Piegò anche lui un ginocchio, vi spinse il gomito sopra, rimase con la tempia poggiata alle nocche, lo sguardo sconfitto rivolto al pavimento. “Germania deve averci sentiti.”

Bulgaria sgranò le palpebre, rimase a bocca aperta. “Anche Finlandia?” Merda, si disse. A questo punto sembra davvero che io sia l’unico a rimanere con le mani in tasca. Alzò lo sguardo al cielo. Se addirittura gli jugoslavi scenderanno a patti con l’Asse, poi...

“Sì,” annuì Romania, “anche Finlandia.” Sollevò la pistola che teneva ancora in mano, la fece roteare fra le dita, guardandola con occhi svogliati. “Era ancora più costernato di me, ma Germania ha saputo tirare dentro anche lui. Non so come ci sia riuscito, ma immagino che abbia usato la stessa strategia che ha sfruttato con me.” Emise un piccolo sbuffo. “Avrà tirato fuori la questione nordica, e...” Si strinse nelle spalle, mostrò un palmo al soffitto. “Be’, Finlandia a quel punto avrà accettato di piombargli fra le braccia piuttosto che rinunciare a una possibilità di riunirsi con gli altri.”

Bulgaria serrò la mandibola, schiacciò i pugni attorno alle gambe, tornò una dentata di rabbia a morsicargli il cuore. “Che bastardo.”

Romania annuì, gli scappò un sorrisetto. “Già.” Passò la pistola da una mano all’altra, i suoi occhi seguirono la scintilla di luce che percorse la canna fino a morire sulla bocca di fuoco. “Fin da quando è iniziata la guerra, Germania sapeva come sarebbe andata a finire, sapeva che prima o poi avrebbe invaso Russia, e ha piazzato tutte le esche che gli servivano in modo da attirarci nella sua trappola appena gli fossimo serviti.”

“E qual è stata la tua esca?” domandò Bulgaria, con tono ancora incredulo. “Cosa ti ha spinto ad accettare? Cosa ti ha spinto a...” Gli rivolse un’occhiata amareggiata e delusa, la stessa di quando gli aveva dato del vigliacco con le labbra. “A piegarti in questa maniera a lui?”

Romania sollevò lo sguardo dalla pistola che teneva in mano, girò la guancia e puntò la vista fuori dalla vetrata ghiacciata, su un cielo che non era quello della sua nazione, sui picchi dei tetti che non erano quelli delle case della sua capitale. Socchiuse le palpebre, gli occhi luccicarono di tristezza, il piccolo sorriso di amarezza fremette e divenne un sorriso di malinconia. “Io non voglio morire.” Chinò il capo, toccò il ginocchio con la fronte e parlò con le labbra a sfioro della gamba. Un sussurro. “Tutto qui.”

Bulgaria strinse le labbra, inspirò, e una scossa di dolore attraversò anche il suo volto. Gli strinse il cuore.

Romania raccolse anche l’altra gamba al petto, scivolò all’indietro e si mise contro il muro accanto a Bulgaria, le spalle e i piedi a sfiorarsi ma gli sguardi lontani. “Credo che, anche se non ci fosse stato Moldavia di mezzo, io avrei comunque accettato.” Sollevò la mano che impugnava la pistola e si strofinò la nuca, tenendo il capo chino con aria colpevole. “Anzi, forse ho sempre usato Moldavia come una scusa per nascondermi dietro alla mia codardia e alla mia debolezza,” confessò. “Ho convinto me stesso che avrei combattuto dalla parte di Germania per una possibilità di riavere mio fratello con me, quando non volevo ammettere a me stesso che sono solo un debole che non ha il coraggio di tenere testa a Germania come...” Tenne la fronte china, sbirciò Bulgaria da sotto le ciocche scompigliate, senza far notare lo sguardo toccato da una punta d’invidia. “Come hai fatto tu.”

Bulgaria si chiuse nelle spalle, strinse le mani sulle caviglie, ondeggiò le ginocchia sfiorando la gamba di Romania, e fece sguardo indifferente, sdrammatizzò. “Be’, alla fine sono comunque in trappola.” Fece un piccolo saltello più vicino a lui, strisciando la schiena sul muro, ma tenne gli occhi rivolti al pavimento. “Certe volte dobbiamo semplicemente realizzare che alcune cose sono impossibili da cambiare,” scrollò le spalle, “e che dobbiamo accettarle per così come sono.”

Romania sospirò, animato da un sentimento di gratitudine e comprensione che gli intiepidì il viso. Scosse il capo, fece rimbalzare la pistola sul palmo, sfregò l’unghia del pollice lungo il calcio. “Scusa se ti ho dato la pistola in testa.” La sollevò davanti al viso, la rigirò facendo scintillare la canna, e sbuffò. “È pure scarica.” La gettò lontano. Crack! L’arma picchiò il pavimento, rimbalzò sul calcio, cadde di fianco, e rimase immobile, immersa in un fascio di polverosa luce grigiastra. Romania ritirò la mano e allacciò le braccia attorno alle gambe piegate al petto. Si dondolò avanti e indietro spingendo le spalle sul muro.

Bulgaria incurvò un mezzo sorriso di soddisfazione, fece roteare lo sguardo. “Scusa se l’ultima volta ti ho dato del codardo senza palle.”

Romania sollevò un sopracciglio. “Scusa se quella volta della prima riunione ti ho sbattuto contro il muro.”

“Scusa se ti ho detto che meriti di giacere nel fango in cui sei caduto.”

“Scusa se ho provato a pestarti davanti agli ufficiali.”

“Scusa se prima ti ho...” Bulgaria strinse le dita attorno alle gambe, si rosicchiò un labbro, un’espressione di cruccio a rabbuiargli il volto, e un sincero sentimento di colpa e pentimento gli annebbiò gli occhi. Tornò a strofinarsi la nuca attorno al rigonfiamento del bernoccolo e fece roteare lo sguardo. “Se prima ti ho messo in pericolo dicendo quella stupidaggine.”

La scena di prima tornò a sbattere in faccia a tutti e due, come un lampo. Germania che tirava fuori la pistola, che schiacciava la faccia di Bulgaria sotto la suola, il suo dito che si infilava nel grilletto facendo cigolare la levetta, e Romania che si buttava a proteggerlo, a riparargli la testa, e a spingere il braccio contro la gamba di Germania.  

Romania girò lo sguardo di scatto, si chiuse nelle spalle, e nascose il lieve broncio che gli aveva tinto le guance di rosa.

Bulgaria piegò un sorriso da furbo e si sporse a dargli una spallata. “Però ti è subito caduta la maschera, eh?” Ammiccò.

Romania si scostò e si massaggiò la spalla, aggrottò la fronte. “Sta’ zitto,” farfugliò. Avvicinò di più le ginocchia al busto e si nascose dietro.

Il cuore di Bulgaria si alleggerì, e anche il bernoccolo alla testa fece meno male, lasciò un alone di sollievo. “In fondo,” sospirò, “sono contento che...” Guardò anche lui lontano, verso la porta. Fece un altro dondolio avanti e indietro rimbalzando con le spalle alla parete. “Che non sei davvero diventato come loro.”

Romania annuì debolmente. “Già.” Ruotò lo sguardo verso di lui rimanendo con il mento a sfioro delle ginocchia. “E io sono contento di...” Chiuse le mani attorno alle gambe, stropicciando la stoffa dei pantaloni, e un sincero sentimento di sollievo gli gonfiò il petto, soffiò via la paura che gli stagnava nell’anima rendendogli gli occhi scuri e tristi, più lucidi. “Sai, se proprio dovrà esserci una guerra su tutta l’Europa,” mormorò, “sono contento che, per lo meno,” inspirò, si diede coraggio, “combatterò dalla tua parte.”

Bulgaria imbronciò le guance, fece tamburellare le dita sulle gambe rannicchiate. “Ehi, ehi, guarda che non ho ancora accettato di fare nulla.” Una scossetta alimentò il nodo di paura che gli trasmetteva l’immagine di un altro campo di battaglia: le corse dei carri armati e dei fanti, il terreno che tremava, gli spari e le cannonate che facevano brillare il cielo, le nubi di fumo che oscuravano il sole. Rabbrividì. Sentì davvero il bisogno di aggrapparsi a qualcuno.

Fece un altro piccolo saltello accanto a Romania, accostandosi a quella dolce aura malinconica che trasmetteva la sua presenza, e gli toccò la spalla con la sua, tenendo però gli occhi lontani. Romania si avvicinò a sua volta, gli sfiorò il ginocchio con la gamba, le punte dei loro piedi si toccarono, e posò una mano sul pavimento, in mezzo a loro. Guardò Bulgaria con la coda dell’occhio. “Pace?” domandò, ancora scettico.

Bulgaria inspirò a lungo, scoccò un’occhiata alla mano dell’altro, agitò le dita sulle gambe, e tornò con gli occhi al soffitto. Calò il braccio, posò la mano accanto alla sua. “Mhf. Pace,” sbiascicò.

Romania nascose un mezzo sorriso di sollievo. Stese le dita, gli toccò le nocche, incrociò le punte alle sue, e si godette il primo vero attimo di pace da quando era finito sotto la morsa di Germania.

 

.

 

La neve nelle strade di Berlino si stava incrostando. Le camminate dei passanti scricchiolavano sui marciapiedi, gli pneumatici delle auto lasciavano scie nere sull’asfalto spolverato di bianco, e le ruote stridenti del tram scorrevano in mezzo ai vapori di smog e di condensa che salivano verso il cielo annuvolato, ancora grigio per il maltempo, ma che aveva smesso di fioccare. Timidi e freddi raggi di sole sgusciavano in mezzo alle nuvole e brillavano sulla distesa di ghiaccio secco. Sugli sprazzi d’erba fra le aiuole e sotto le ombre dei parchi, la brina della notte precedente che non si era ancora sciolta e luccicava come una distesa di zucchero cristallino.

Germania e Giappone camminavano lungo uno dei marciapiedi della Straße des 17. Juni, la loro passeggiata fiancheggiava le siepi che incorniciavano il Tiergarten, del fumo proveniente dalle poche auto che sfilavano sulla carreggiata scivolava in mezzo alle loro gambe, la luce soffusa dei lampioni già accesi si incuneava i riccioli di vapore grigio, stendeva le ombre delle persone strette nei cappotti che percorrevano la via in direzione della Colonna della Vittoria: una piccola sagoma grigia tesa all’orizzonte. Tre vigilanti sorvegliavano il traffico, uno di loro fece rallentare una berlina per far passare una carrozza, gli altri due circondavano un’area della strada chiusa da barriere di contenimento. Dietro le sbarre contrassegnate da un cartello bianco con su scritto ‘ACHTUNG!’ in rosso, operai picconavano l’asfalto frantumato da una delle esplosioni delle bombe che erano piovute su Berlino l’estate scorsa. I ronzii dei martelli pneumatici si mescolavano ai rombi delle auto che procedevano lungo la doppia corsia della strada, i fumi del cemento si univano a quelli dello smog, alimentavano la pesantezza dell’aria.     

Germania buttò l’occhio verso gli operai attorno al cratere nella strada sbarrata e verso i tre vigilanti che si occupavano del traffico. Si rimboccò la giacca, sollevando il bavero fino a sfiorare le labbra, e riprese il discorso riportando lo sguardo davanti a sé, verso il profilo lontano della Colonna che li aspettava alla fine della via. “L’incontro al Brennero ha comunque dato i suoi frutti,” disse a Giappone che gli camminava di fianco. Una folata di vento, neve secca e foglie morte passò in mezzo alle loro gambe, fece sventolare i lembi dei cappotti. “Mi ha permesso di parlare con Italia, di rassicurarlo nei riguardi di una futura campagna, e anche di assicurarmi che fosse sufficientemente in forze per affrontare un’offensiva primaverile.” Germania sollevò lo sguardo al cielo annuvolato, grigio come piombo e macchiato dall’alone giallo dei lampioni che si stavano lentamente accendendo e incorniciando di luce il marciapiede. Gli occhi di Germania riflessero la tinta scura delle nuvole gonfie e livide. “Procederemo al più presto sia con i rinforzi in Libia, con gli invii degli Afrika Korps, e anche con il riarmo delle truppe in Grecia.”

Giappone annuì, strinse le mani inguantate dietro la schiena. “Capisco.” Le sue parole soffici uscirono accompagnate da una sottile nuvoletta di condensa.

Si lasciarono alle spalle il piccolo cantiere e il frastuono delle picconate e delle trapanate date all’asfalto, superarono una delle entrate del parco, tre carri militari in fila indiana avanzarono lungo la carreggiata della via, e la nebbiolina del loro gas di scarico si sparse anche sul marciapiede. Germania e Giappone vi passarono in mezzo, Giappone sollevò una piega della sciarpa per respirarci attraverso e non inalare lo smog. Si rivolse a Germania parlando attraverso la stoffa. “Italia-kun sta bene?” I suoi profondi occhi neri si velarono di sincera preoccupazione, Giappone abbassò la sciarpa e le sue parole si spansero di nuovo attraverso una nube di condensa. “Si è ripreso dopo l’arretrata in Albania?”

Germania restrinse le palpebre, l’aria buia gli riempì lo sguardo, i tratti del volto si fecero più tesi. Sospirò, stringendosi nelle spalle, e continuò a camminare a passo svelto e regolare nonostante il ricordo che pesava all’altezza del petto. “Ha subito una grave ferita al cuore.”

Giappone sollevò le sopracciglia, un lampo di allarme e timore gli attraversò il viso. “Al cuore?”

Germania annuì. “Sì.” Schivarono una pozzanghera congelata calpestando un mucchio di foglie morte spolverate di neve ai piedi delle siepi, poche auto avanzarono lungo la carreggiata, sotto il riverbero dei lampioni, e il profondo silenzio del Tiergarten assorbì il brusio della strada. “Ora sembra essersi ristabilito,” continuò Germania. Abbassò il tono che divenne più morbido, soffiò un soffice sospiro di condensa e il suo sguardo si estraniò, tornò al Brennero, davanti al corpo ferito di Italia, davanti alla cicatrice che sentiva premere anche sotto la propria pelle. “Ma deve aver sofferto molto.”

Giappone rimase a bocca socchiusa, gli occhi altrettanto addolorati, e spostò lo sguardo scosso verso il ciglio opposto della strada. Tornò a sollevare la sciarpa a sfioro delle labbra per proteggersi da vento ghiacciato e fumo. “Non pensavo che una ferita al cuore potesse avere delle conseguenze così gravi anche per noi.”

Germania scosse il capo. “Nemmeno io.” Passò un alito di vento che odorava di fumo, di neve sciolta e di asfalto sbriciolato. Germania rimboccò il bavero della giacca, si strinse nelle spalle, aggrottò la fronte e una buia espressione di colpevolezza gli attraversò lo sguardo. “Se solo gli fossi stato vicino, forse...”

Giappone lesse il buio sul suo volto, lo rassicurò. “Germania-san non ne ha colpa.”

“Forse,” rispose Germania. “O forse no.” Passarono sopra uno strato di neve secca più dura e scricchiolante che si infranse come una lastra di vetro. Un rombo più feroce li sorprese dalla carreggiata, Germania e Giappone buttarono entrambi lo sguardo sulla strada, e di fianco a loro passò un altro autocarro militare avvolto da un telo mimetico. Germania sollevò un sopracciglio, strinse le mani dietro la schiena facendo gemere la pelle, e un familiare brivido di aspettativa gli formicolò nel petto, scacciò la piega di indecisione che gli aveva scavato il volto. “Ma questo mi spinge sicuramente ad accelerare il ritmo dei preparativi.” Il suo passo si fece più pesante, le spalle tornarono larghe. “Ho appena dato l’ultimatum a Bulgaria,” le mani prudettero, Germania intrecciò le dita e le strinse per sopprimere il ricordo della riunione di poco prima, “e ho motivo di credere che finirà come ho previsto. Ora manca solo l’adesione della Jugoslavia al Tripartito, e poi avremo la strada spianata sia per le operazioni nei Balcani sia per quelle in Unione Sovietica.” Rivolse uno sguardo di fiducia a Giappone. “Conto ovviamente anche sulla tua collaborazione.”

Anche il viso di Giappone si fece più freddo, la voce più cauta, gli occhi neri più profondi sotto quel cielo annuvolato. “Riguardo il trattato di non belligeranza da stringere con Russia previsto in aprile?” Un soffio di vento gli spinse le punte della frangia a ondeggiare davanti alle palpebre.

“Non solo,” rispose Germania. “Desidero che tu cominci anche a occuparti in maniera più marcata dei territori inglesi in Asia.”

Giappone sollevò le sopracciglia, allargò leggermente le palpebre. Fermò la camminata sopra una piccola pozza di ghiaccio che si infranse con un crick! e rimase a labbra socchiuse. “Quelli inglesi?” Un brivido di freddo gli attraversò il corpo, si raggrumò nel ventre in una sgradevole e viscida sensazione di disagio. “Perché mai quelli inglesi?”

Anche Germania si fermò, si girò di fianco e incrociò il suo sguardo attraverso il sottile velo di condensa e fumo grigio scivolato fra loro sotto il fascio del lampione a bulbo.

Giappone abbassò gli occhi, il riverbero bianco del lampione sulle sue guance sciolse l’ombra attorno alle palpebre. “Perdonami se mi permetto,” disse, “ma non sarebbe più saggio riporre le nostre attenzioni nel Pacifico e sulle basi americane?”

Lo sguardo di Germania si macchiò di inquietudine. “Cosa vorresti dire?”

Giappone sospirò, i suoi occhi si spostarono verso la strada asfaltata ma rimasero bassi. “Mi chiedevo solo se...” Strinse i pugni, nella sua mente echeggiarono le parole di America trasmesse alla radio che aveva ascoltato il Natale scorso. “Dopo le minacce che America ha rivolto all’Asse, dopo tutte le provocazioni con cui ci ha sfidato...” Rivolse gli occhi a Germania. Occhi animati da un bagliore di vita che arse nonostante il gelo della sera e nonostante il grigio delle nuvole gonfie sopra di loro. “Se solo io lo affrontassi,” un altro sbuffo di vento e neve ghiacciata gli vorticò attorno, scompigliò i capelli neri, “lui si ritroverebbe comunque in svantaggio. Il potere del mio esercito è superiore al suo, e inoltre verrebbe colto di sorpresa, dando a noi il vantaggio dell’offensiva.”

Germania cominciò a capire, la tensione sul suo viso si rilassò, gli fece socchiudere le palpebre. “Comprendo il tuo risentimento, Giappone.” Tornò a girarsi, riprese la camminata lungo il marciapiede, un paio di passanti si diressero nella direzione opposta, superando entrambi. “Ma per il momento non possiamo aprire altri fronti di guerra. E Russia ha la precedenza anche su America.” Una sua occhiata di intesa rivolta a Giappone attraversò l’aria nebbiosa che cominciava a infittirsi e a gonfiarsi di bianco sotto i fasci dei lampioni. La voce di Germania si espresse con fiducia. “Conto su di te.”

Giappone irrigidì. Tenne le spalle dritte, soppresse il groviglio di conflitto che si stava ingarbugliando attorno al cuore, e annuì. “Sì.” Riprese anche lui il passo e passeggiò accanto a Germania, di ritorno al centro di Berlino.

Lo sguardo di Germania però rimase a scrutarlo di traverso, senza farsi notare. Occhi ristretti, sottili e inquisitori, mossi da una punta di timore che gli fece alzare la guardia attraverso i nervi in tensione. Che strano, si disse. Di solito Giappone è sempre così docile ai miei ordini, si fida ciecamente dei miei consigli e asseconda i miei ragionamenti ancora più di Italia. Socchiuse gli occhi, sollevò il mento e lo guardò attraverso l’ombra celata sul suo volto. Ma è da quando è successo l’incidente di Taranto che lui... Un brivido di disagio e insicurezza gli percorse la spina dorsale. Sembra in qualche modo cambiato.

Giappone camminava tranquillo affianco a lui, i capelli corvini a ondeggiargli sulle guance, gli occhi neri e lucidi in cui si specchiava il cielo di Berlino, ma una strana ed elettrica aura di inquietudine lo avvolgeva come una nebbiolina. Quella sensazione raggiunse anche Germania, come una carica di tensione. Lo toccò facendogli salire la pelle d’oca, chiudendogli il respiro, e gli trasmise un senso di impazienza e agitazione.

Devo essere cauto con lui, si disse, perché ho come la sensazione che...

Germania riconobbe lo stesso sentimento che gli aveva trasmesso Italia durante l’autunno al Brennero, quando non riusciva a guardarlo negli occhi e a confessargli di voler intraprendere la campagna in Grecia.

Che possa ripetersi quello che è già successo con Italia.

Una scossetta di paura attraversò il cuore di Germania, gli rimase incollata come un’impronta, un sassolino che non riusciva a togliersi da dentro la scarpa.

Giappone gli rivolse gli occhi tenendo la fronte bassa, distante da lui, e soffiò un leggerissimo alito di condensa che gli celò il viso ingrigito dal conflitto che turbinava nel suo cuore. Contare su di me, rimuginò. Chinò lo sguardo, sinceramente pentito. Perdonami, Germania, ma credo di non sbagliarmi, quando penso a cosa sia meglio per il mio paese e per il mio esercito. Mosse le mani strette dietro la schiena, qualcosa si mosse sotto l’orlo della manica, la croce di ferro scivolò da sotto la stoffa e gli urtò le dita intrecciate. Anche attraverso i guanti, Giappone ne percepì l’energia vibrante e calda attraverso le ossa. Per il bene dell’Asse, per il bene della nostra alleanza e del mondo che vogliamo costruire... Inspirò a fondo, scostò il tocco dalla croce tornando a nasconderla sotto la manica, e abbassò le palpebre. Sarò costretto a disobbedirti.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: _Frame_