Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    04/04/2017    1 recensioni
L'esperienza del primo amore, gli effetti della pubertà, la tristezza della solitudine, il desiderio di rincontrarsi, la fiducia nel destino. Tutto può essere possibile nell'impossibilità dei loro universi, è sufficiente crederci.
[Prompt della Shaosaku week dal 29/02 al 06/03/2016]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura, Syaoran
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forelsket: The euphoria you experience when you're first falling in love.
 

 
Verde.
Non appena il semaforo cambiò colore attraversai le strisce pedonali, in mezzo ad una massa di gente. Tenni la borsa stretta al petto, mentre il vento mi faceva oscillare la sciarpa accanto al viso. La misi a posto con la mano sinistra, temendo potesse involontariamente colpire qualcuno alle mie spalle. Impegnata in questa piccola manovra d'emergenza per la salvezza altrui non m'accorsi d'essere arrivata sul marciapiede, così inciampai e con una rocambolesca caduta trascinai qualcuno con me. Cercai di alleggerire l'impatto posando le mani sull'asfalto, ma non ne risultò nulla di buono, in quanto finii comunque con lo sbucciarmi la pelle. Strinsi i denti, guardandomi i polsi arrossati, ma subito dimenticai il dolore, preoccupata per l'altra persona che avevo coinvolto con il mio essere imbranata.
Mi allontanai mettendomi seduta sulle ginocchia, scusandomi umilmente, profondamente mortificata, quando poi udii la sua voce. «Non preoccuparti, non mi sono fatto niente. Piuttosto, tu come stai?» Un ragazzo?
Notai le sue mani avvicinarsi alle mie, girandole per esaminarle. Alzai lentamente lo sguardo, percependo uno strano calore impossessarsi delle mie guance. Vergogna? Si, mi vergognavo da morire. Non era mai successo nulla di simile. Ma non era soltanto questo.
Prima vidi il profilo della sua mascella, poi le sue labbra che si schiudevano in un'esclamazione di stupore, la zona centrale del suo viso, i suoi occhi e quel luccichio di preoccupazione, i capelli che incorniciavano quel volto così... mozzafiato.
Stupore per cosa, poi?
Ma in quell'istante non me lo chiedevo. In quell'istante smisi di pensare e probabilmente smisi anche di respirare. Sapevo che ero viva soltanto perché i miei battiti cardiaci erano forti, prepotenti, battevano ad un ritmo sempre più accelerato, fino ad assordarmi le orecchie, quasi come se il mio cuore volesse vincere una gara a me ignota con un corridore sconosciuto. Se si trattava del mio cervello aveva tagliato il traguardo. Non c'era confronto, perché la mia mente sembrava d'un tratto leggerissima e forse la mia materia celebrale s'era sciolta, così come a breve si sarebbe sciolto il resto del mio corpo.
Le sue dita accarezzarono la mia pelle ferita con delicatezza, il calore che emanavano i suoi polpastrelli invase la mia – fino a pochi minuti prima – gelida epidermide.
Parlò nuovamente, con un tono mortificato, come se fosse stata colpa sua. Come se fosse stato lui a travolgermi.
«Mi dispiace, non credo di avere cerotti con me.»
Mi guardò e dovetti subito ricredermi. Eh sì, era stato proprio lui a travolgermi.
La voce mi morì in gola, le mie orecchie presero fuoco – fortuna che erano coperte dal cappello di lana – e il mio viso dovette mutare colore dalla più tenue sfumatura purpurea alla più intensa nel giro di un nanosecondo. Improvvisamente era diventata estate, il sole cocente mi abbagliava con i suoi raggi.
Mi sentivo un'idiota a non aver ancora spiccicato parola, così sbattei più volte gli occhi per riprendermi, credendo di essere ancora nel mio letto, intrappolata in una tela tessuta da Morfeo.
Dovette fraintendere la mia azione perché si avvicinò al mio viso, ancora più in ansia, chiedendomi: «Ti è finito qualcosa negli occhi? Oggi non me ne va bene una.»
Mi parve di andare in tilt. Com'era possibile che una persona fosse così gentile, e premurosa, con una perfetta sconosciuta? Forse stavo soltanto esagerando, forse semplicemente mi sembrava tutto più bello e roseo perché... Al momento fui incapace di trovare una risposta.
Tenni lo sguardo fisso in quelle iridi marroni, annegando in due tazze di cioccolata calda.
«Ohi, tutto bene?»
Una terza voce riuscì a riportarmi in superficie. Mi guardai intorno, spaesata, realizzando solo in quell'istante di trovarmi ancora a terra, sulla soglia di due strade, sotto gli occhi di molti curiosi – turisti più che altro. Mi portai le mani al viso, incurante della polvere - ero troppo imbarazzata per ragionare. Feci per alzarmi, pensando a cosa dire, quando lui mi anticipò mettendosi in piedi, per poi darmi una mano a fare altrettanto. Incredibile. Dovevo dirgli qualcosa, scusarmi, ringraziarlo, qualunque cosa, ma non sapevo neppure da dove cominciare. La risposta era semplice, dovevo soltanto essere me stessa.
Così presi un bel respiro, pronta a rivolgermi a lui, quando lui si voltò verso un omone alto, dalla presenza possente, ossia colui che aveva appena parlato.
«Io sì, ma lei si è sbucciata le mani e ha i polsi arrossati. Fay-san, non abbiamo un kit di pronto-soccorso in valigia, vero?»
Al duo si aggiunse un terzo uomo, slanciato, mingherlino, dai tratti nordeuropei.
«Non mi pare. Ma possiamo andare nella farmacia alle nostre spalle e rimediare.»
Guardandoli così, uno accanto all'altro, mi chiesi se non fossero dei modelli. O idol? Avrei dovuto chiedere un autografo? E se poi avessi fatto ancora di più la figura dell'idiota?
Ripresi un altro respiro, ingoiando saliva, e mi decisi a parlare, rivolgendo loro un sorriso rassicurante.
«Anche io sto bene, non mi sono fatta niente. Non dovete preoccuparvi così tanto e...» Rivolsi tutte le mie attenzioni al ragazzo al centro, e non capii perché mi sentissi nuovamente arrossire. Chinai di poco il capo, facendomi piccola sul posto. «E sono davvero dispiaciuta per l'inconveniente.»
«Non importa, davvero!» Il suo tono gioviale risuonò nei miei timpani come un dolce scampanellio.
Accidenti, ma cosa mi stava succedendo?
Mi mordicchiai l'interno della guancia, e notai mi fosse caduto il portachiavi che tenevo appeso vicino alla borsa. Mi abbassai per riprenderlo, senza accorgermi che lui stesse per fare lo stesso; così le nostre dita si sfiorarono, e fu come trovarsi a tu per tu col dio del fuoco.
Sobbalzai - fu più forte di me, un riflesso incondizionato - e alzai lo sguardo su di lui. Lui fece lo stesso, ripetendo i miei stessi gesti, i miei movimenti. Stavolta anche le sue guance assunsero una tonalità scarlatta e nei suoi grandi occhi c'era una nuova luminosità.
Andai in subbuglio, totalmente, e non ci capii quasi più nulla. C'era una parte di me che lo implorava per udire nuovamente la sua voce, lo pregava di guardarmi e toccarmi e abbracciarmi magari, perché no. Questa Sakura sconosciuta, disinibita, senza freni, voleva conoscere tutto di lui, partendo dalla sua identità, le sue origini, il suo passato, il suo presente, i suoi progetti futuri.
Ma in fondo che importava, quando tutto ciò che per me contava era che lui fosse lì presente davanti ai miei occhi?
D'altra parte, tuttavia, mi chiedevo se non fossi completamente impazzita. Era uno sconosciuto e se già avevo fatto una brutta figura la sua prima impressione su di me non stava che peggiorando.
Impacciata, mi abbassai nuovamente per afferrare l'oggetto e, poiché mi tremavano le mani, mi limitai a metterlo nella tasca del cappotto, nascondendo anche queste. Il mio sguardo cadde sull'orologio della farmacia in questione e sgranai gli occhi, rendendomi conto che fosse trascorso molto più tempo di quanto mi aspettassi. Mi scusai un'ultima volta e, in fretta e furia, mi congedai, allontanandomi, quasi fuggendo da quel sentimento totalmente assurdo che si era impossessato di me.
Eppure fu più forte di me, così mi voltai e con la coda dell'occhio vidi l'uomo biondo dare uno spintone all'uomo dai capelli corvini e il ragazzo, che probabilmente doveva avere la mia stessa età, ridere divertito. Il suo ampio sorriso mi catturò, nonostante ci fossero molti metri a separarci. Lo fissai muta, inebetita, immobile sul ciglio della strada, finché i suoi occhi vagarono sui miei. Tesi le labbra, stringendo la borsa con forza, quasi volessi stritolarla, e feci dietrofront, voltandogli le spalle e riprendendo il cammino per raggiungere la mia meta.
Dopo qualche passo mi sforzai di dimenticare l'accaduto – dopotutto, per quanto fosse stato emozionante, probabilmente non avrei mai più rivisto la mia povera "vittima" – e bagnai un fazzoletto di disinfettante per ripulirmi le mani. Ovviamente bruciava.
A un certo tratto dovetti fermarmi accanto a un cestino per buttarlo e fu in quel momento che la vetrina di un negozio colse la mia attenzione. O meglio, fu il mio riflesso in essa. Ero incredibilmente sorpresa  nel vedere quel sorriso stampato sul mio volto. Come se fosse avvenuto l'evento migliore della mia vita, quando invece era cominciato col piede sbagliato - letteralmente.
Riportai la mano in tasca trovandoci il piccolo portachiavi di pezza. Lo fissai interdetta, a corto di parole, ricordando in un unico flash tutte le sensazioni provate in quanto, nel giro di 5 minuti? Mi morsi le labbra, con le lacrime agli occhi, sentendomi stupida. Cos'era quel sentimento a me ignoto? L'unica cosa che si ripeteva nella mia testa era che avrei potuto quanto meno chiedergli come si chiamava, in modo tale da non ritrovarmi un giorno, in futuro, a dover fantasticare anche sul suo nome. Ma perché mai avrei dovuto fantasticarvi? D'altronde la percentuale che potessimo rincontrarci era davvero bassa.
Rigirandomi quel caro oggetto tra le mani mi accorsi che mancava il gancetto. Mi dispiacqui, ma sarebbe stata un'ulteriore perdita di tempo tornare indietro, se consideravo tutte le persone che probabilmente l'avevano calpestato senza notarlo.
Con un sospiro feci per allontanarmi da quel posto, quando mi irrigidii divenendo una statua, notando quel ragazzo correre verso di me. Impossibile. Cosa ci faceva lì? Mi stava seguendo? Era una pura coincidenza? Il cuore parve stringersi in una morsa.
Si fermò a meno di due metri da me, riprendendo fiato, e sorridendo imbarazzato allungò una mano. Feci altrettanto e lui lasciò cadere sul mio palmo non soltanto il gancetto perduto, ma anche una piccola confezione di cerotti.
“Impossibile.”, pensai con forza, cercando di capacitarmi di quella situazione.
Il suo sorriso si fece più ampio, notando la mia reazione, e riprese parola grattandosi una guancia.
«Non volevo metterti a disagio, solo che mi sentivo in colpa se non avessi fatto nulla. E poi mentre stavamo andando via ho notato quel gancio e ho supposto l'avessi perso tu. Ma probabilmente ho appena fatto una figuraccia, a giudicare dal tuo sguardo.», ridacchiò.
Il mio sguardo? Scossi la testa, negando la sua convinzione, spiegandogli che fossi soltanto sorpresa che se ne fosse accorto. E poi non mi aspettavo che andasse davvero in farmacia. Nessuno l'avrebbe mai fatto, al suo posto.
«Allora, spero tu guarisca presto.», sorrise, facendo per andarsene.
«Ah, aspetta!», lo richiamai.
Lui si voltò e istantaneamente avvampai. Mi guardò incuriosito e io mi morsi le labbra con forza.
“Sii te stessa Sakura. Te stessa.”
«Posso almeno sapere il tuo nome?» Perfetto, quella non ero io. Non mi sarei mai azzardata a chiedere qualcosa di simile. Ero completamente fuori di me e non sapevo se era gioia, ansia o chissà cosa.
«Shaoran.» Mi rivolse un sorriso a trentadue denti, porgendomi una mano.
Feci scivolare le mie dita libere sulle sue.
«Io sono Sakura.» Strinsi le mie dita attorno a quella grande mano, assorbendone il calore, lasciando che mi avvolgesse. «Grazie per tutto quello che hai fatto per me, oggi.» Gli sorrisi sincera, parlandogli col cuore, sentendomi finalmente a mio agio.
Incontrai i suoi occhi e non andai in ebollizione come pochi secondi prima. Ero rilassata, e improvvisamente sicura di me stessa. Conoscere almeno una parte di lui aveva cambiato qualcosa: mi aveva fatto capire cos'era quello strano comportamento, da cosa era guidato, da cosa era indotto.
Anche lui strinse le sue dita attorno alle mie e fu quasi come se non volesse più lasciarle. In cuor mio, ad essere onesta, non avrei avuto nulla da ridire.
«Non c'è bisogno di ringraziarmi, è naturale che io mi preoccupi. Chiunque si sarebbe comportato così.»
Tacqui, chiedendomi se al suo posto in quel momento avrebbe potuto esserci qualcun altro, se avesse fatto lo stesso, se avesse avuto su di me lo stesso effetto. Ma la risposta che trovavo era sempre un “no” secco.
«Ma sono contento di averti conosciuta, Sakura. Ti auguro una buona giornata.»
La sua voce carica di sentimento sfiorò le tese corde del mio cuore, strimpellandole e facendone riecheggiare il suono che ne derivò nelle mie vene. Anche io ero contenta e, per una volta, grata alla mia imbranataggine.
«Anche a te, Shaoran.»
Carezzai il suo nome, cullandolo tra i miei pensieri, beandomi di questo. Bastava, davvero, insieme al ricordo della sua figura, della sua voce, della sua risata. Era la prima volta che mi innamoravo e, anche se non eravamo destinati, questo piccolo incontro era abbastanza per lasciarmi un dolce amaro ricordo nel cuore.
«Se è destino, ci rincontreremo nuovamente.» Il suo sguardo si fece più determinato, la sua voce più profonda, mentre pronunciava queste parole. E io riposai in esse, sperando che potesse essere vero. Se eravamo in due a crederci, forse era realizzabile, e questo contrastante, sorprendente, lontano amore sarebbe divenuto possibile.
  
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