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Autore: giucri89    06/04/2017    0 recensioni
Lee ChoSo lavora per un'agenzia fotografica emergente, ciò che odia di più al mondo sono gli idol, a causa di un triste incidente che coinvolse suo padre in passato. Im JaeBum è un idol, lavora per la JYP, si impegna a fondo in quello che fa, forse anche troppo, rinunciando pian piano alle cose importanti della vita. Il destino farà incrociare le strade di ChoSo e JaeBum. Potrà l'amore superare il pregiudizio di lei e l'orgoglio di lui?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 1
 
 
Voglio che mi trovi e mi salvi.
I miei sogni e tutte le cose che ho voluto
senza sosta stanno diventando vecchi amici.
Non ci posso credere.
Ho urlato ma tutto ciò che mi è ritornato
indietro è stato un “vai”.
Quella frase, quell’unica frase
mi ha fatto chiudere le mani e restare
immobile come un idiota.
Mayday-GOT
 
 
Lee ChoSo è una ragazza semplice. Le piacciono molte cose, come ad esempio le belle scarpe, i bei vestiti, le belle borse, i dolci deliziosi venduti nel suo coffee shop preferito, i bei paesaggi. Al contrario non ne odia molte, forse è possibile ridurle a due soltanto. La prima sicuramente sono gli idol, che purtroppo nella nazione in cui vive, la Corea del Sud, sono una categoria abbastanza numerosa. La seconda è svegliarsi presto la mattina, soprattutto se la sera prima è andata a dormire tardi per via di un lavoro da ultimare. Questa mattina, purtroppo, non è destinata ad iniziare bene. Sono solo le sei del mattino ma il telefono squilla già da un po’. Non può più ignorarlo, a malincuore decide di scorrere il dito sullo smartphone dopo aver letto il nome del suo mattiniero interlocutore. «SaNa-ya[1] sai che ore sono?! Sono andata a dormire solo 3 ore fa! Si può sapere cosa c’è di così urgente?! Se non è qualcosa di importante giuro che ti ucciderò con le mie mani!». La voce di ChoSo non è molto rassicurante e ciò è recepito anche dall’altra parte della linea. Dopo qualche secondo di silenzio, una voce un po’ tremante inizia a pronunciare qualche parola. «Unnie[2]! Sono appena arrivata a lavoro e il capo mi ha detto di chiamarti. Vuole assegnarti un nuovo lavoro. Mi ha detto che vuole vederti subito. Io ho provato a trattenerlo dicendogli che ieri per completare quel lavoro avevi fatto le ore piccole, ma non ha voluto sentire ragioni! Ha insisto, vuole parlare lui stesso con te, dice che è un lavoro importante che solo a te può delegare, si parla di un’agenzia importante, ma non so nient’altro». Di certo questa giornata è iniziata con il verso sbagliato e questo ChoSo lo ha già capito. «Aish![3]Ho capito, ho capito, arrivo subito». «Unnie, lo so che non dovrei dirtelo, ma ha detto pure di sbrigarti perché tra poco ha un volo per un servizio fotografico oltre oceano di cui deve occuparsi». La pazienza di ChoSo sta per essere messa a dura prova sin dal mattino presto. «Ok, ho detto che ho capito. Riattacco. Ciao!». Che cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto questo? Aveva appena concluso un lavoro importante poche ore fa. Perché? Lo sapeva benissimo, la gavetta nel suo lavoro era importante, quindi, non poteva neanche lamentarsi. Più lavori gli avrebbe dato il suo capo, più sarebbe stato facile sfondare nel suo campo. ChoSo è, infatti, un’apprendista fotografa. Da due anni lavora per l’agenzia fotografica PROD. Una piccola agenzia che pian piano si sta ben ritagliando il suo spazio di successo in Corea del Sud e non solo. Il fatto che il suo capo la tenesse in considerazione per i lavori importanti le faceva piacere. Aveva appena finito un servizio fotografico per la campagna pubblicità di una nota compagnia aerea. Aveva fotografato paesaggi bellissimi. Quello che le piaceva fotografare di più erano proprio paesaggi sterminati, affascinanti, luoghi dove la presenza dell’uomo era ridotta al minimo se non assente. Sperava davvero che anche questa volta avrebbe avuto modo di fotografare nuovi angoli di paradiso terrestre. Almeno questo avrebbe reso più piacevole questa giornata iniziata non proprio nel migliore dei modi.
La PROD si trova all’ultimo piano di un edificio al centro di Seoul. Appena fuori dall’ascensore SaNa, la giovane stagista che prima l’aveva chiamata, era lì ad attenderla. «Unnie, sei qui! Vai subito nella stanza del capo, ti sta aspettando». Un po’ sorpresa dell’accoglienza di SaNa, ChoSo si dirige subito nella stanza del suo capo, Kim HyunJun, un uomo sulla cinquantina con un’unica passione: la fotografia. Dopo aver bussato ed aver atteso un «prego», ChoSo entra e trova il suo capo chino sulla scrivania a firmare chissà quali scartoffie prima di partire. «Oh ChoSo-ssi[4] sei qui finalmente». «Sì, capo Kim sono qui, mi dica pure del nuovo lavoro». Il capo Kim si fa serio in volto, questo preoccupa un po’ ChoSo, perché mai quella faccia così seria? Non era molto da lui. Il capo Kim è un tipo che si fa rispettare ma è anche un uomo ricco di spirito, anche se qualcosa lo preoccupa è raro vederlo triste e con una faccia sconsolata. Perché mai è in questo stato?-pensa ChoSo. «ChoSo-ssi. Ho bisogno davvero del tuo aiuto. Come vedi dalla valigia proprio qui vicino alla scrivania, sto per partire. Non so quanto tempo starò fuori per questo lavoro. Ieri è arrivata una richiesta da un’agenzia sudcoreana molto importante e devo chiederti di occupartene personalmente. Non posso contare neanche su Cho KiKwang-ssi perché si trova all’estero per ultimare un altro lavoro». Non era la prima volta che il capo le affidava lavori importanti, perché adesso si comportava così? «Non si preoccupi capo Kim farò di tutto per portare a termine questo lavoro. Può partire tranquillo senza rimpianti» ChoSo cerca di rassicurare il suo capo, ma quest’ultimo non sembra voler credere alle parole di una delle sue dipendenti più promettenti. «ChoSo-ssi, sono preoccupato ad affidarti un lavoro del genere, ma non ho scelta, cerca di capire». ChoSo annuisce solamente. «L’agenzia di cui ti parlo è la JYP». A sentire il nome dell’agenzia gli occhi di ChoSo si spalancano. «Capo non starà parlando della JYP entertainment, vero? È solo un caso di omonimia, vero?». Il volto del capo Kim si fa sempre più scuro. «Vorrei poterti dire quello che desideri ChoSo-ssi, ma purtroppo non posso. Sì, si tratta della JYP entertainment. Devi occuparti del photo book del nuovo album musicale di un gruppo di idol». Idol? La parola che ChoSo odia di più al mondo è pronunciata dal suo capo. Anche il volto di ChoSo si fa scuro in volto. «Capo, io… io… non posso… lei lo sa… io…» pronuncia con un filo di voce. «ChoSo-ssi lo sai che se potessi ti toglierei all’istante da questo incarico, ma tu sei l’unica di cui mi fido, oltre a KiKwang-ssi. Quindi ti prego di fare del tuo meglio per concludere questo lavoro nel migliore dei modi». Nel migliore dei modi? Con di mezzo degli idol? Impossibile, pensa ChoSo. Da dove deriva tutto quest’odio nei confronti degli idol? Bisogna andare molto indietro nel tempo. Da quest’odio deriva addirittura la sua vocazione professionale, la sua voglia di sfondare nel mondo della fotografia, per riscattare il padre. Padre che, 12 anni fa, fu costretto ad appendere la macchina fotografica al chiodo a causa di un gruppo di idol meschino ed egoista. Suo padre, Lee SooKi, uno dei fotografi migliori di tutta Seoul è costretto a lavori saltuari per via di quegli idol meschini che lo hanno infangato proprio durante un servizio fotografico. No, non voleva fare la stessa fine di suo padre. Il suo sogno era riscattarlo non finire nella sua stessa situazione. Come poteva il suo capo farle questo essendo a conoscenza di quel triste passato? È vero che dalle sue parole si percepiva la sofferenza con la quale è giunto alla conclusione di affidare quel lavoro proprio a lei. Ma perché non mandare qualcun altro? Che lavoro importante poteva mai essere un photo book per un album musicale? Non che lei fosse il tipo da snobbare lavori ma la scarsa considerazione che provava per gli idol la portava anche a tali pensieri. Dopo qualche minuto di silenzio il capo Kim riprende la parola «So che questo non è un lavoro semplice per te. Ci ho riflettuto a lungo. Conosco la storia di tuo padre, ero un suo hoobae[5] nell’agenzia in cui prestava servizio. Ma non può ripetersi lo stesso incidente. ChoSo-ssi devi vincere questo tuo odio». Non poteva credere alle parole del suo capo, come poteva parlare così di un fatto così importante per lei? «Capo Kim, io non credo proprio…». Il capo Kim si fece serio in volto «Mi dispiace ChoSo-ssi ma non accetto nessun rifiuto» pronunciò in maniera decisa. ChoSo non poté ribattere, era pur sempre il suo capo. «ChoSo-ssi stai tranquilla, mi sono anche informato sul gruppo, sono dei ragazzi diligenti, si impegnano molto in quello che fanno. La loro agenzia, lo sai, è una delle migliori del paese. Non hai di che temere. Mi fido di te e so che puoi farcela». Farcela? La stava facendo più facile di quello che sembrava, pensò ChoSo. «Se la mette così Capo Kim, non posso rifiutare, proverò ma non so se riuscirò a portare a termine il lavoro come lei desidera». Nel volto cupo e serio del capo Kim si disegnò un sorriso «È già un inizio. Bene, adesso puoi andare. Chiedi a SaNa-ssi luogo e ora dell’appuntamento. Finisco di firmare qui e vado in aeroporto. Stammi bene ChoSo-ssi e… Fighting[6]». Semplice a dirsi, pensò ChoSo. «De[7] Capo Kim», non poté fare a meno di pronunciare.
«SaNa-ya, quando e dove sarà il primo incontro per il prossimo lavoro? Il capo mi ha detto di rivolgermi a te». SaNa ancora un po’ preoccupata per la sua sunbae[8], non può fare a meno di esclamare «Unnie?! Tutto ok? Non sembri avere un bel colorito». A volte la sincerità di SaNa era davvero disarmante. «Tranquilla tutto ok. Ma poi quand’è che mi chiamerai sunbae e non unnie, eh?» le chiese fingendosi arrabbiata. «No, unnie mi piace molto di più… sunbae non mi piace, sembra rendere il nostro legame più distante» e a queste parole aggiunse un occhiolino. Tsk, le ragazzine di oggi erano proprio strane. Ma SaNa era così minuta e carina, nessuno poteva resiste al suo aegyo[9]. «Ah, ok ok. Adesso dammi tutte le informazioni sull’incontro», pronunciò rassegnata. «De unnie. Oooh unnie come sei fortunata!». Fortunata? Quella era una parola che proprio non si addiceva alla sua situazione attuale. «E perché mai?». A quella domanda SaNa rimase sorpresa. «Ma come perché?! Lavorerai con i GOT7, sei cosi fortunata unnie! Ti prego portami un autografo di Mark oppa[10]!». Aish… Cosa dovevano pure sentire le sue orecchie «Mark… Oppa?». Ancora più sorpresa SaNa esclama «Unnie davvero non sai chi sono?! Ma in quale mondo vivi?». Che poteva farci se a causa del suo passato non aveva mai voluto sentire nulla che riguardasse gli idol, e dire che nel suo paese erano praticamente affissi ovunque, tra pubblicità, promozioni e banner vari. «Diciamo che questo è un mondo che non mi interessa particolarmente». All’interno dell’agenzia solo il capo Kim e il sunbae KiKwang sapevano della storia di suo padre e del suo odio verso gli idol, è normale che la piccola SaNa si comportasse in tal maniera. «Comunque unnie, devi incontrare il presidente Park JinYoung e il manager dei GOT7 al JYP Building alle 11 di questa mattina». Bene ancora aveva del tempo per prepararsi psicologicamente. «Ok. Vado a fare la colazione che non ho potuto fare prima a causa dell’improvvisa sveglia mattutina» disse sorridendo verso SaNa. «Mi dispiace unnie». «Fa niente». La salutò e andò verso l’ascensore «Ah unnie!» si sentì chiamare «Non dimenticarti dell’autografo di Mark oppa!». Accidenti, quella mocciosetta non si arrende. ChoSo si gira verso l’uscita e mostra un cenno di saluto con la mano. Figurarsi se chiederà mai un autografo a un idol, lei? No, non sarebbe mai successo, ne era sicura.
 
Allo stesso orario in cui ChoSo ha avuto la sua sveglia, al JYP Building, una delle sala prove aveva già le luci accese. Dentro vi era un ragazzo che dalla notte precedente non si era fermato neanche un momento. Succedeva sempre così, quando il comeback era vicino, lui praticamente non tornava più in dormitorio, passava lì le sue intere giornate. Im JaeBum, o meglio conosciuto come JB, leader dei GOT7, ambiva alla perfezione e questo non gli lasciava tempo per quello che molti suoi coetanei chiamavano vita sociale. Non vedeva altre persone se non i membri del suo gruppo, il manager e i coreografi. Ma non gli importava, ciò che era importante era raggiunge il top, essere perfetto. Era questo a cui ambiva. Era disposto a sacrificare tutto, anche le sue emozioni. Quelle, infatti, da tempo, forse da troppo tempo, non ne sperimentava più. Più i giorni passavano più diventava un automa senza cuore. Ma questo non importava, nessuno ha mai raggiunto l’apice senza perdere qualcosa e per lui non poteva essere diverso. Quello che doveva fare era solo concentrarsi sul suo lavoro e basta. In mattinata ad uno ad uno arrivarono tutti i membri del gruppo. Il primo ad arrivare fu Jackson, che ormai non si stupì più di trovare il leader già a provare. Tutti si erano accorti che JaeBum non tornava da un po’ al dormitorio, ogni volta che volevano parlarne insieme, lui trovava sempre scuse per sfuggire all’argomento e tornava ad allenarsi come se niente fosse. I membri volevano fare qualcosa per lui, sapevano che questa situazione non avrebbe portato a nulla di buono, ma non sapevano cosa fare. Erano intrappolati tra il desiderio di aiutarlo e la mancanza di coraggio di affrontarlo sul serio. Come ogni mattina, da quando era stato annunciato il comeback, tutti insieme si riunivano per provare la nuova coreografia. JaeBum ogni giorno che passava diventava sempre più esigente. Scherzi, chiacchierate e giochi vari erano assolutamente off limits a parere del leader. La tensione si faceva sentire ogni giorno di più, JaeBum pretendeva il massimo impegno da tutti, non si potevano perdere neanche due minuti in cose inutile che non riguardassero il comeback. Dopo un paio di ore l’ira del leader scoppiò come sempre «Bam Bam, ma non puoi impegnarti di più? E tu Jackson non vedi che sei più lento rispetto agli altri nei movimenti? YoungJae-ya si può sapere che coreografia stai eseguendo? Mark e tu che fai, dormi? YuGyeom-ah sei troppo veloce nei movimenti, JinYoung-ah non puoi essere più serio? Davvero io non so cosa vi prende. Il comeback è vicino e voi non vi impegnate per niente!». I membri abbassarono lo sguardo, tranne Mark. Mark questa volta si era stufato delle sfuriate del suo leader. «JaeBum-ah non credi di esagerare adesso? Non vedi che tutti ci stiamo impegnando? Risparmiaci la tua predica per favore». Sul viso di JaeBum si dipinge subito un sorriso beffardo «Aaaah, questo voi lo chiamate impegno, ho capito. Perché non uscite un po’ per un caffè, una passeggiata, così magari vi riprendete, che ne dici?». «Non penso che noi ci meritiamo tutto questo. Non lo vedi come siamo tutti? Siamo tutti stanchi, non lo sei solo tu!». Ed era vero, i volti dei membri non avevano un’espressione molto rilassata, erano visibilmente stanchi. «Bene, allora magari il problema sono io, esco io allora, tranquilli!». Mark cercò di fermarlo, ma uscì subito fuori sbattendo la porta «JaeBum-ah…». Non sapevano davvero cosa fare, Mark lo seguì fuori e Jackson corse dietro ai due.
 
Sarà questo l’edificio? Pensò ChoSo. Con molta probabilità, anzi sicuramente era quello. Una scritta JYP troneggiava imponente sopra la porta d’ingresso. “Bene ChoSo, respira! Sarà un lavoretto semplice, scatterai quattro foto a questi ragazzetti e poi sarà tutto finito. Non c’è motivo per la storia di tornare a ripetersi. Avanti, su coraggio, fighting!”. Nel frattempo che ChoSo cerca di trovare coraggio entra dalla porta d’ingresso dell’edificio. È davvero enorme e adesso dov’è che deve andare? Forse in presidenza? Decide di seguire le indicazioni per quest’ultima, svolta l’angolo e sbam! Si ritrova a terra. Qualcuno che camminava come una furia le è arrivato addosso. A quanto pare anche lui è finito a terra. «Aish! Ma cos…» si arrabbia pure! Era stato lui a venirle incontro e si arrabbia per giunta! «Hey sei stato tu a venirmi incontro e ti lamenti pure!» disse ChoSo al ragazzo che aveva di fronte mentre cercava di rialzarsi. «Bè tu potevi stare più attenta, no?». Ma sentitelo! Con che coraggio pronunciava quelle parole, pensò ChoSo. «JaeBum-ah» si sentì la voce di un ragazzo gridare verso la loro direzione. Il ragazzo come se nulla fosse continua la sua folle camminata probabilmente verso l’uscita, incurante della persona che continua a chiamarlo. «Mark, lascialo stare, sai che quando è così non è possibile calmarlo. Lasciamolo un po’ solo», gli disse l’altro ragazzo che stava con lui. “Mark?” Aveva sentito bene? Si domandò ChoSo. Non era lo stesso nome che aveva pronunciato SaNa? Era solo una coincidenza che quel tizio si chiamasse così? Non potevano essere loro. Anche perché quello che aveva visto non coincideva molto con le parole del capo Kim “sono dei ragazzi diligenti, si impegnano molto in quello che fanno”. Be’ se lo fanno in questo modo non sarà di certo facile, pensò ChoSo amareggiata in cuor suo.
 
[1] Ya/Ah: È un suffisso coreano che mostra confidenza e familiarità nei confronti dell’interlocutore.
[2] Unnie: È un termine confidenziale coreano con il quale una ragazza più giovane si rivolge ad una più grande; letteralmente significa “sorella maggiore”.
[3] Aish: Termine coreano utilizzato quando si ha a che fare con qualcosa di fastidioso appena successo; letteralmente significa “accidenti”.
[4] Ssi: È un suffisso onorifico coreano che mostra rispetto nei confronti dell’interlocutore; letteralmente significa “signore, signora, signorina”.
[5] Hoobae: Termine che indica un compagno di scuola o di lavoro più giovane.
[6] Fighting: Formula di incoraggiamento; letteralmente significa “forza”.
[7] De: “Sì” in coreano.
[8] Sunbae: Termine che indica un compagno di scuola o di lavoro più grande.
[9] Aegyo: Termine utilizzato per riferire un atteggiamento un po’ infantile che suscita tenerezza.
[10] Oppa: È un termine confidenziale coreano con il quale una ragazza più giovane si rivolge ad un ragazzo più grande; letteralmente significa “fratello maggiore”. Viene spesso utilizzato per rivolgersi al proprio idol preferito o al proprio fidanzato. I ragazzi coreani amano questo appellativo, li fa sentire importanti e si sentono in dovere di proteggere la ragazza che in tal maniera a loro si rivolge.
  
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