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Autore: LaniePaciock    06/04/2017    5 recensioni
Liberamente ispirato al trentesimo film d’animazione Disney “La Bella e la Bestia”.
Genere: Commedia, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Cap.1 Temporale

La pioggia cadeva senza sosta ormai da più di un’ora. Il tempo si era fatto cupo nel pomeriggio, a dispetto del bel Sole che c’era stato in mattinata e le nuvole, che erano arrivate bianche e tranquille, si erano fatte in poche ore minacciose e grigie. Il vento si era alzato bruscamente e tutti i turisti giunti in mattinata a godersi le ultime belle giornate autunnali in spiaggia erano fuggiti poco dopo pranzo. Kate Beckett e suo padre Jim invece erano rimasti. Il lavoro portava sempre via tanto tempo a entrambi, così avevano deciso di restare sulle coste degli Hamptons fino all’ultimo momento possibile (ovvero finché non era iniziata quella pioggia scrosciante) per poter passare qualche ora di più insieme all’aria aperta.
Kate lanciò un’occhiata allarmata al cielo scuro attraverso il parabrezza coperto continuamente d’acqua. Neppure il tergicristallo riusciva a liberare abbastanza la visuale per poter vedere chiaramente la strada. Sbuffò contrariata: non gli piaceva per niente quello che vedeva. Lì dove avrebbe dovuto esserci un tramonto spettacolare sul mare, si stendeva invece una coltre di nuvole basse e nere. Guidava piano, con prudenza, sia perché vento e pioggia non permettevano un’andatura sostenuta, sia perché non conosceva bene la zona. Jim invece non avrebbe avuto problemi a orientarsi: conosceva quei luoghi come le sue tasche e li sfruttava almeno una volta al mese per andarci a pesca con un suo amico. In quel momento però non voleva turbare suo padre più di quanto non lo fosse già.
Kate gli lanciò un’occhiata veloce, preoccupata, cercando di non farsi notare. Era iniziato tutto meravigliosamente quella mattina. Si erano alzati con calma, avevano fatto colazione insieme al bar e si erano fatti un’ora di macchina verso gli Hamptons perché suo padre voleva mostrarle da tempo un posticino tranquillo e privato che aveva trovato in un’insenatura naturale della costa. Era stata una giornata rilassante e divertente e avevano anche passeggiato nell’acqua cristallina per poi inzupparsi di acqua a vicenda ridendo come quando lei aveva cinque anni. Tutto fantastico, finché il tempo non era peggiorato.
“Avremmo dovuto dare più ascolto alle previsioni…” mormorò Kate, più a sé stessa che a Jim accanto a lei. In quel momento, quasi a darle ragione, un fulmine si abbatte sul mare illuminando a giorno la strada e il tuono fragoroso che seguì la fece quasi sobbalzare sul sedile.
“Quelli sbagliano sempre, lo sai.” borbottò suo padre in risposta, semi rannicchiato sul sedile del passeggero con il viso rivolto al finestrino. Da quando si erano rimessi in auto, quasi mezz’ora prima, era stranamente silenzioso. Tranne per qualche accenno di tosse che non le piaceva per niente. “Hai visto anche tu che in cielo non c’era una nuvola stamattina” continuò Jim “E poi…” Il resto della frase fu interrotto da un’improvvisa e violenta tosse. Kate si voltò di scatto verso di lui, allarmata.
“Papà, stai bene?” chiese preoccupata, allungando una mano verso di lui, ma tornando a osservare la strada per evitare di sbandare. Quando suo padre le strinse la mano per rassicurarla la sentì ghiacciata.
“Sì, sì, Katie, tranquilla.” rispose con voce un po’ raschiante. Si schiarì la gola brevemente quindi continuò. “Avrò preso solo un po’ di…” Un altro eccesso di tosse lo bloccò, facendolo quasi piegare in due su sé stesso.
“Papà!” lo chiamò Kate con un tono più stridulo di quanto avesse voluto. Probabilmente Jim era rimasto in silenzio tutto quel tempo per cercare di trattenere in qualche modo la tosse per far sì che sua figlia non capisse che stava male.
Automaticamente, Kate pigiò un po’ di più sull’acceleratore, abbastanza per aumentare l’andatura senza rischiare di ammazzarsi a causa del tempo. Dovevano arrivare a casa il più presto possibile per mettere al caldo suo padre. Nel frattempo accese il riscaldamento al massimo.
“Katie, vai piano.” la rimproverò subito Jim, sentendo l’accelerazione. Ansimava leggermente per lo sforzo di contrastare la tosse. “Va tutto…” un altro forte colpo di tosse tranciò la sua frase. “…bene.” gli uscì alla fine in un mormorio soffocato.
“Papà, non scherzare.” ribatté lei seria. “Non va bene per niente quella tosse.”
“Ho solo preso freddo…” replicò suo padre prima che lo colpisse l’ennesimo attacco, costringendolo a fermarsi anche solo per riprendere a respirare.
“Ok, basta.” esclamò Kate risoluta a un certo punto. “Ci vuole troppo a tornare a casa, ti porto all’ospedale più vicino. Sai dove si trova?”
“Katie, non…”
“Non dirmi che non ce n’è bisogno!” lo interruppe seccata, quasi rabbiosa. “Stai peggiorando a vista d’occhio! Se fosse stata solo un po’ di tosse non mi sarei preoccupata, ma papà questa sembra grave. E’ stata troppo veloce. E ora che ci penso non vorrei che inoltre…” Senza togliere gli occhi dalla strada, Kate allungò una mano e la premette sulla fronte del padre. Le ci volle un secondo per sentire che era molto più calda del normale. “Come pensavo: ti sta venendo la febbre.” La cosa peggiore fu non sentire un altro rimprovero di Jim, ma un suo respiro rauco.
Senza dire altro, Kate si mise a trafficare con il navigatore dell’auto per cercare l’ospedale più vicino. Le si chiuse la gola quando la voce artificiale del computer le indicò che ci sarebbero voluti 40 minuti. E in più era dalla parte opposta a quella dove erano diretti.
Frenò bruscamente, per quanto fu possibile con quell’asfalto bagnato, e fece inversione di marcia.
“Ma cosa… dove…?” mormorò il padre confuso guardando fuori dal finestrino.
“L’ospedale è dall’altra parte.” rispose Kate, intuendo la sua domanda. Passarono 5 minuti interminabili, poi 10, poi 15. Kate continuava a dividere la sua preoccupazione tra la strada e suo padre. Nonostante il riscaldamento al massimo che le imperlava la fronte di sudore, notò che Jim aveva iniziato a tremare.
“Ancora un po’ e ci siamo, papà.” disse Kate lanciando l’ennesima occhiata al padre. “Solo altri venti minuti.” L’unica risposta che ricevette fu un lieve cenno della testa.
Nervosamente, Kate dovette alzare leggermente il piede dall’acceleratore. Era sempre più buio per la sera che avanzava e la pioggia continuava a non facilitare il percorso. Ad un tratto, dopo una curva, entrarono in una strada ampia ma poco illuminata, circondati da alte recinzioni che chiudevano chissà quali proprietà. Kate socchiuse gli occhi. Perfino con i fari sparati non riusciva a vedere più di qualche metro davanti all’auto, talmente si era infittita la pioggia. Infatti sorpassò quasi senza notarlo un cartello stradale, tanto che voltò la testa per riuscire a capire con la coda dell’occhio cosa diceva. Fu in quel momento che una macchina, probabilmente un grosso pick-up visti gli alti fari, sbucò fuori da una strada laterale accecandola all’improvviso.
Kate distolse lo sguardo d’istinto e frenò mentre quello le passava accanto suonando il clacson rabbioso. Le ruote dell’auto però questa volta non bastarono a fermare il veicolo, tanto che iniziò a slittare senza controllo sull’asfalto. Kate tentò di raddrizzare lo sterzo con un misto di adrenalina e panico nelle vene, ma prima che riuscisse a recuperare la macchina questa si andò a bloccare con uno schianto, mozzandole il respiro e facendole esplodere l’air-bag davanti alla faccia.
Kate alzò la testa lentamente e sbatté le palpebre più volte, frastornata e indolenzita. Alzò una mano verso la fronte, che aveva iniziato a pulsarle dolorosamente, e sentì qualcosa colarle verso la guancia. Si voltò piano verso suo padre.
“Papà…” mormorò Kate. Jim non si mosse. Era ancora rannicchiato contro il sedile e Kate notò che anche davanti a lui si era aperto l’airbag. Cercò di sporgersi verso di lui, ma la cintura la trattenne. Se la slacciò con qualche difficoltà e si allungò di nuovo verso il padre, cercando di scuoterlo leggermente per una spalla. “Papà?” lo chiamò ancora. Nulla. “Papà??” ripeté in tono più allarmato, scollandolo con più forza. “PAPA’!!” In quel momento Jim sussultò e gli scappò un colpo di tosse rauco. Per la prima volta Kate fu grata di sentire quella tosse.
“Katie…” mormorò il padre guardandosi intorno. “Cosa è… cosa è success…” Un altro attacco di tosse lo fece bloccare.
“Credo che abbiamo avuto un incidente.” rispose Kate, lanciando un’occhiata fuori dal parabrezza e notando, tra la pioggia, che si erano schiantati contro un albero. “Dobbiamo cercare aiuto” Provò a individuare il telefono ma non lo trovò. Solo dopo qualche secondo ricordò che lo aveva appoggiato sul cruscotto quindi in quel momento poteva essere ovunque. Non potevano contare neanche sul telefono del padre. Quando faceva quelle uscite fuori porta gli piaceva lasciare a casa il cellulare. “Non trovo il telefono. Dovremo uscire fuori, forse qui intorno qualcuno ci farà fare una chiamata. Ce la fai a muoverti?”
“Io…” rispose lentamente il padre, insicuro, la voce sempre più rauca. “Io sì… credo...”
“Bene.” replicò Kate. Quindi con uno sforzo aprì la portiera e scese dall’auto. Dovette appoggiarsi alla macchina per evitare di rovinare a terra, ma la pioggia fredda che la investì la aiutò a riprendersi velocemente dalle vertigini. Non si fermò neanche un momento a controllare i danni, non erano la sua priorità. Fece invece il giro dell’auto e aiutò suo padre a scendere.
Jim le si appoggiò con tutto il peso sulla spalla, tossendo più di prima. Solo a quel punto Kate si guardò intorno, cercando di capire dov’era. Ovviamente non ne aveva idea. Non riconosceva niente e non sapeva dove andare. La strada davanti a loro era dritta e semibuia da entrambe le parti. Aveva sperato di trovare una casa per far riparare almeno suo padre e chiamare un’ambulanza, ma aveva dimenticato che negli Hamptons le abitazioni erano costruite molto lontane le une dalle altre per dare maggior riservatezza e spazio agli abbienti residenti.
Disperata, Kate cercò di osservare meglio tra la pioggia, socchiudendo gli occhi per un qualsiasi cenno di abitazione, e alla fine i suoi sforzi furono premiati. Diversi metri più in là, dall’altra parte della strada e quasi invisibile, una lucina sporgeva sulla strada illuminando un cancello.
Kate strinse di più la presa sul padre e iniziò ad arrancare con lui verso quella flebile luce. Dovette spostarsi più volte i capelli fradici dagli occhi per vedere dove andava. I vestiti inoltre le si erano incollati addosso e le impedivano i movimenti. Solo in quel momento iniziò a sentire con dolore i colpi che la macchina le aveva procurato. Fece una smorfia e continuò a camminare verso la luce mentre i piedi le sguazzavano nelle scarpe sportive che indossava.
Quando Jim ebbe un attacco di tosse più forte degli altri, Kate rimpianse di averlo trascinato fuori dall’auto senza prima aver cercato aiuto. Suo padre sarebbe rimasto solo per qualche minuto, ma almeno sarebbe rimasto al caldo e all’asciutto.
Avanzarono lentamente e con fatica. Kate tenne per tutto il tempo gli occhi fissi sulla luce, come per paura che potesse svanire se solo l’avesse persa di vista. Man mano che si avvicinavano però, la fonte luminosa aumentò di intensità e prese la forma di una piccola lampada vecchio stile. Era appesa a lato di un vecchio cancello in ferro battuto piuttosto articolato nei disegni. Le mura intorno invece, che probabilmente circondavano l’intera proprietà, erano molto semplici, in mattoni a vista, ma alte abbastanza da non dare alcuna possibilità di sbirciare all’interno e con dei cocci aguzzi disseminati al di sopra. Non sembrava molto ospitale, pensò Kate mordendosi il labbro. Sperò solo che la sua prima impressione fosse sbagliata.  
Una volta davanti al cancello, Kate fece appoggiare suo padre al muro, quindi cercò un campanello su cui suonare. Dopo un minuto di infruttuosa ricerca lanciò un gemito sommesso. Spostarsi da lì sarebbe stato impossibile: Jim ormai si reggeva a stento in piedi e le sue condizioni continuavano a peggiorare.
Kate spostò nervosamente i capelli lontano dagli occhi, quindi, sconfitta dal campanello ma decisa a trovare un telefono, si aggrappò al cancello per capire quanto fosse resistente e se avrebbe potuto sfondarlo in qualche modo o scavalcarlo. Con sua sorpresa però, l’inferriata si mosse immediatamente sotto le sue mani con un cigolio sinistro e forte. Più per la sorpresa che per lo spavento, Kate lasciò andare immediatamente la presa e quello subito tornò al suo posto con un forte clangore, facendola stavolta sobbalzare.
Prendendo un respiro profondo per cercare di calmare i battiti del cuore, riprovò a spingere il cancello, stavolta più delicatamente. L’inferriata si mosse nuovamente sotto il suo tocco, ripetendo il suo cigolio sinistro. Non era invitante, ma era aperto.
Non curandosi del brivido freddo che le scese lungo la schiena, Kate aiutò suo padre a rimettersi in piedi.
“Papà andiamo.” disse a voce alta, in modo da farsi sentire anche sotto la pioggia e i tuoni che avevano ricominciato a imperversare. “Tra poco saremo al caldo.” L’unica risposta di Jim fu un cenno affermativo della testa. Gli circondò la vita con un braccio e lo aiutò a camminare. Lo sentì tremare contro il suo fianco.
Con il cuore che le batteva forte, Kate cercò di aguzzare la vista per scorgere la casa o villa che avrebbe dovuto essere presente nella proprietà. Non vide nulla. Non c’era una luce o una presenza. Solo pioggia grigia sopra un piatto prato scuro. L’unica cosa che notò fu la stradina acciottolata che si snodava davanti a loro. Da qualche parte avrebbe pur dovuto condurli, quindi la seguirono.
Kate e Jim continuarono a camminare lentamente su quel viottolo per quasi un minuto. Solo a quel punto finalmente si delineò davanti a loro il profilo di una casa. Man mano che si avvicinavano, Kate vide che era una villa a due o tre piani, molto larga, con un ampio portico davanti e uno strano tetto che sembrava avere più punte. Nessuna luce si intravedeva dalle finestre.
Per un momento Kate si chiese ansiosamente se non avesse fatto un errore. Magari la casa era abbandonata o forse abitata solo d’estate. E forse non solo non c’erano persone ma neanche telefoni. In quel caso come avrebbe fatto a chiamare qualcuno? Se fosse riuscita ad aprire la porta avrebbe potuto almeno lasciare suo padre dentro e cercare di nuovo aiuto in un’altra casa. Sarebbe stata violazione di domicilio, ma quella era un’emergenza.
Scosse la testa con forza per non concentrarsi su quei pensieri e una fitta dolorosa le attraversò le tempie, facendola grugnire per il dolore. Suo padre mormorò debolmente il suo nome, ma non riuscì a dire nulla di più.
Arrancarono gli ultimi metri fino al portico e finalmente, dopo aver salito un paio di gradini, furono al riparo dalla pioggia battente. Appena si fermarono, Jim si accasciò a lato della porta, tremante, fradicio e con il respiro rauco e intermittente. Kate, altrettanto stremata, batté un pugno più volte sulla porta, sperando che ci fosse qualcuno all’interno che la sentisse. Il temporale e il vento però facevano talmente rumore che le parve quasi di non aver bussato. Iniziò allora a cercare un campanello. Una villa di quelle dimensioni doveva averne almeno uno.
Dopo qualche secondo Kate si accorse con un certo sgomento che il punto in cui avrebbe dovuto probabilmente esserci il campanello era stato sostituito da un pezzo di legno rettangolare con su scritto ALLA LARGA! NON CI INTERESSA NIENTE! Lo guardò stranita, le sopracciglia alzate. Per un attimo si chiese se non fossero finiti al deposito di Zio Paperone. Chi diavolo metteva dei cartelli alla porta con su scritto ‘alla larga’??
Kate sbatté le palpebre stupita, quindi scosse la testa e riprese a battere il pugno sulla porta. Si accorse che anche lei stava tremando per il freddo che le aveva provocato la pioggia. Ancora nessuno venne ad aprirgli. Kate si morse il labbro inferiore nervosa, quindi si chiese se per caso non avrebbe avuto un nuovo colpo di fortuna cercando di aprire semplicemente la porta. Beh, magari non esattamente ruotando la maniglia, ma forse una spallata per assestata sarebbe comunque bastata. Però…
Senza pensarci ulteriormente, prese la maniglia tra le mani e la ruotò di scatto. Non avrebbe mai davvero immaginato che la porta si sarebbe aperta senza alcun impedimento davanti a lei. Guardò a bocca aperta l’uscio spalancato, incredula. Che senso aveva usare un cartello che allontanava la gente se poi si lasciava cancello e porta aperta?
La sua fortuna iniziò a puzzarle. Forse era svenuta in auto e ora stava solo sognando di essere finita in un qualche strano film, probabilmente horror. C’era qualcosa che non tornava. Tutto sembrava abbandonato, ma allo stesso tempo c’erano la accesa luce al cancello, il prato ben tagliato e pulito e quel cartello alla porta che davano esattamente l’idea opposta di abbandono. Il freddo e la stanchezza accumulata comunque alla fine ebbero la meglio su di lei e, senza farsi altre domande, mise un piede nella casa buia per controllare se effettivamente fosse disabitata. Un forte attacco di tosse di suo padre dissolse gli ultimi dubbi che aveva. Mandò al diavolo la prudenza e aiutò Jim a entrare.
Solo dopo aver chiuso la porta dietro di sé si accorse che la casa era calda, asciutta e con un leggero profumo di carne cotta che aleggiava nell’aria. Decisamente poco comune per un posto disabitato.
“C’è nessuno?” domandò al buio. Fece qualche passo all’interno con Jim, ma a quel punto le gambe non lo ressero più e suo padre cadde con un tonfo a terra, quasi trascinando Kate con sé.
“PAPA’!” gridò, ma neanche si sentì poiché nello stesso istante un lampo squarciò il cielo, illuminando la stanza attraverso una grande vetrata dall’altra parte della stanza e il tuono forte e lacerante rimbombò quasi contemporaneamente. Nonostante si fosse precipitata su Jim, Kate riuscì comunque a vedere per un attimo la stanza: era un soggiorno con divani, poltrone, vasi di piante, un tavolo e sedie. A lato intravide una scalinata per un piano superiore.
Con la porta chiusa il rumore la pioggia si era fatta più ovattato e quindi fu solo a quel punto che Kate, piegata su suo padre, sentì come dei bisbigli. Si bloccò e drizzò la testa. Forse si era sbagliata. Forse la stanchezza, la preoccupazione e il respiro rauco di suo padre le avevano giocato un brutto scherzo. Attese cinque secondi, in cui sentì solo lo scrosciare della pioggia, quindi tornò a concentrarsi su Jim. Ma stavolta dei passi pesanti, non lontani e provenienti dall’interno della casa, la fecero scattare in piedi.
Kate si voltò verso la fonte del rumore, un punto buio in fondo alla sala, con tutti i sensi all’erta. Il cuore le batteva forte nelle orecchie e sentì chiaramente un rivolo di sudore freddo (o forse acqua gelata dei vestiti bagnati) attraversarle la schiena. Senza accorgersene, d’istinto, si portò davanti a Jim. Sapeva che dovevano essere solo gli abitanti della casa che finalmente si facevano vedere, ma era terrorizzata dalla possibilità che potessero buttarli fuori casa, soprattutto con suo padre in quelle condizioni.
In pochi secondi il rumore di passi e i bisbigli aumentarono di intensità fino a diventare un vociare indistinto mentre Kate restava immobile. Poi una porta si spalancò all’improvviso e un forte fascio di luce investì lei e suo padre, accecandola per un momento.
“Quella maledetta porta! Te l’ho detto mille volte che dobbiamo comprare una serratura nuova!” esclamò una voce maschile seccata appartenente a una figura nera che si stagliava contro la forte luce proveniente dall’interno della porta. “Ma il padrone no! ‘Metti a posto questa’ dice!” aggiunse, imitando una voce più bassa e scura. “E che sono io? Un carpentiere? Come cavolo pensa che…” Il resto della frase gli morì in gola quando si accorse che pochi passi davanti a lui c’erano due estranei. Rimase immobile, probabilmente a fissarli basito. Essendo in controluce, Kate non riusciva ancora a scorgere la sua faccia. “Chi diavolo siete voi??” domandò poi l’uomo con voce bassa e frettolosa, facendo qualche passo in avanti. Finalmente Kate poté osservare che la figura uscita dai meandri della casa era un uomo dalla pelle olivastra, forse sudamericano, con i capelli tagliati stile militare e vestito con solo un paio di boxer rossi con sopra disegnati simpatici orsetti. Se non fosse stata in allarme, probabilmente gli avrebbe riso in faccia. “Non avete letto il cartello?? E come cavolo siete entrati??”
“Vi prego, mio padre sta male!” replicò Kate, ignorando le sue domande. “Potreste solo…”
“Javier, tutto bene?” chiamò all’improvviso una voce femminile dall’interno della casa. Poi un’altra figura nera emerse dalla porta illuminata. “Hai smesso di urlare e…” Si bloccò anche lei non appena vide Jim e Kate. “Ma che…”
“Vi prego!” ripeté Beckett con tono di supplica, non lasciando continuare l’altra donna. “Mio padre sta male! Ha bisogno di cure! Mi spiace essermi introdotta così, ma la porta era aperta e non c’era nessuno e io volevo solo chiamare un’ambulanza, ma…”
“Non potete stare qui!” la bloccò la figura femminile con tono nervoso. Quando si avvicinò, Kate vide che era una donna di colore, afroamericana, bassina e con una vestaglia piuttosto provocatoria indosso che le metteva in risalto il seno piuttosto prorompente. Probabilmente avevano la stessa età. “Dovete andarvene. Subito.” aggiunse la donna, prendendo Beckett per un braccio.
“Ma…” balbettò Kate allibita. “Non vedete mio padre??” esclamò disperata, strattonando via il braccio dalla presa dell’altra per indicarle il padre a terra. “Vi prego, una sola telefonata è tutto ciò che chiedo!”
A quelle implorazioni, l’uomo e la donna si scambiarono uno sguardo strano che Beckett non riuscì a decifrare. Aveva le lacrime agli occhi tanto era la preoccupazione per Jim, che ormai tremava visibilmente accasciato sul pavimento. Sperò solo che quello sguardo significasse qualcosa di buono per loro. Ma poi perché si ostinavano tanto a non volerla aiutare? Dio santo, aveva solo chiesto un telefono, non di essere teletrasportata sull’Enterprise!
All’improvviso Jim ebbe una violenta crisi di tosse, che lo fece contorcere e raggomitolare ancora di più a terra, e Kate non poté far altro che precipitarsi accanto a lui e tenergli la testa perché non la sbattesse sul pavimento.
“Quest’uomo ha bisogno di cure. Subito.” disse la donna afroamericana, raggiungendo Beckett e abbassandosi su Jim.
“Lanie, noi non…” iniziò a dire l’uomo, ma lei lo bloccò con un gesto.
“Chiama Josh!” esclamò invece, iniziando ad aprire i bottoni della camicia di Jim per farlo respirare meglio.
“Passeremo dei guai!” borbottò stizzito l’uomo.
“Muoviti, Javi!” L’ordine imperioso stavolta fu eseguito e l’uomo corse verso la porta luminosa, anche se piuttosto nervosamente. “Tu,” disse poi la donna chiamata Lanie a Kate. “Aiutami a portarlo a quel divano.” Non se lo fece ripetere due volte. Le due donne presero Jim per le ascelle e di peso lo trascinarono fino al divano più vicino, dove lo stesero a pancia in su.
“Scusaci.” mormorò la donna con un mezzo sorriso a Kate. “Non abbiamo molto spesso ospiti e non sappiamo più come comportarci.” Lanie poi si allontanò per un momento, ma Beckett non fece neanche in tempo a mormorare a Jim ‘Andrà tutto bene, papà’ che la donna era già tornata con uno stetoscopio in mano. “Il dottor Davidson è un ottimo medico.” le disse poi iniziando ad ascoltare il petto di Jim. “Saprà prendersi buona cura di tuo padre.” Kate annuì piano e, mentre stringeva la mano del padre, si chiese come mai in quella casa ci fossero due dottori. Era ovvio infatti che Lanie avesse studiato medicina, ma da quanto aveva detto l’uomo, Javi, aveva capito che non erano loro i padroni di casa. Forse era quel dottor Davidson? Ma allora perché tenere un secondo medico?
“Come si chiama tuo padre?” le chiese all’improvviso Lanie.
“Jim.” rispose. “Jim Beckett.”
“Signor Beckett, mi sente? Jim?” lo chiamò allora la donna. Jim aprì gli occhi a fatica e ci mise qualche momento a concentrarli su Lanie. Cercò di parlare, ma quando aprì la bocca ne uscì solo un suono rauco e basso che fece venire un nodo alla gola a Kate. “Non parli signor Beckett, l’importante è che mi ascolti, ok?” Jim annuì piano. “Ora arriverà il dottor Davidson a controllare le sue condizioni e decideremo il da farsi. Spero non abbia nulla in contrario a farsi curare qui, il dottore è primario all’ospedale ed è molto competente.” Jim annuì di nuovo. “È una fortuna che questa notte si sia fermato a dormire qui…” aggiunse poi sovrappensiero Lanie.
In quel momento tornò Javier con un altro uomo con una valigetta già alla mano e pronta all’uso. Il dottor Josh Davidson era davvero un uomo di bell’aspetto. Kate se ne stupì anche un po’, perché si immaginava il medico come un signore di una certa età, mentre davanti a lei c’era un uomo che al massimo avrà avuto trentacinque o quaranta anni e sembrava appena uscito da uno spot pubblicitario per una marca di profumi. Alto, moro e muscoloso, sembrava più uno sportivo o un motociclista che un dottore.
Entrando, Javier accese la luce e finalmente Kate poté vedere bene il salone in cui si trovava e gli abitanti della casa.
“Sono il dottor Josh Davidson.” si presentò sbrigativamente il medico, ma con un sorriso calmo e rassicurante. “Che mi sa dire su di lui? Cosa gli è successo?” aggiunse poi avvicinandosi a Jim e poggiandogli accanto la valigetta per esaminarlo insieme a Lanie.
“Stamattina siamo andati a fare una passeggiata al mare, ma poi il temporale ci ha sorpreso.” rispose Beckett nervosamente, osservando intanto il dottore e la donna controllare di nuovo il respiro di Jim e la sua temperatura. “Quando abbiamo deciso di andare via, sembrava che mio padre stesse bene, ma in macchina ha iniziato a tossire e nel giro di poco la tosse è peggiorata di molto. Faceva molta fatica a respirare e la fronte gli scottava quando siamo arrivati qui…”
“Eravate bagnati quando è iniziato il vento?” chiese ancora il dottore senza staccare gli occhi dal suo paziente. Kate ci pensò per un momento, quindi annuì.
“Non ci sembrava così terribile.” rispose angosciata. “Abbiamo fatto altre volte il bagno con la pioggia. Però il vento ci ha preso alla sprovvista.”
“Ha avuto altre malattie di recente?” domandò poi Davidson, controllandogli la gola e gli occhi con una piccola torcia.
“In realtà aveva la bronchite fino a pochi giorni fa.” dichiarò alla fine Beckett con tono basso, quasi vergognoso, spostando lo sguardo a terra. “Abbiamo sempre poco tempo da passare insieme e lui voleva portarmi negli Hamptons. Gli ho detto che potevamo andarci un’altra volta, ma non ha voluto sentire ragioni. Diceva che se non andavamo ora, poi sarebbe stato troppo freddo. Così alla fine siamo venuti.” Poi si rivolse a Lanie. “Per questo ho insistito tanto prima per chiamare un’ambulanza e per portarlo in ospedale. Avevo paura che la bronchite avesse avuto una ricaduta o qualcosa di peggio.”
“Beh, forse lo abbiamo preso appena in tempo perché non diventi niente di peggio.” commentò il medico, finendo visitare Jim. “È allergico a qualcosa?”
“No, non mi pare.” replicò Kate.
Stava per chiedere cosa poteva fare per suo padre quando delle voci sommesse le arrivarono alle orecchie dalla porta e quando si voltò vide due persone, un uomo e una donna, fermi sulla soglia. Erano entrambi di carnagione chiara, capelli biondi e occhi azzurri, chiaramente di origini irlandesi. In quel momento un’altra donna si aggiunse a loro, più anziana dei presenti, con una folta capigliatura rossa e una vestaglia a dir poco appariscente. Kate si chiese quanta gente effettivamente vivesse in quella casa.
“Che sta succedendo qui?” chiese l’ultima arrivata.
“Per favore, ho bisogno che mi portiate indumenti e coperte calde e asciutte per quest’uomo.” disse il dottor Davidson, ignorando la domanda appena fatta e facendo poi un cenno a Javier e all’uomo irlandese. “Aiutatemi a spostarlo nella Camera d’Ospedale”
“Dove?” chiese Kate confusa.
“Stai tranquilla, è solo una camera attrezzata come in un ospedale.” Le rispose Lanie mentre lasciava posto agli altri perché spostassero di peso suo padre. “C’è un letto e ci sono gli antibiotici necessari.” Poi le lanciò un’occhiata ai vestiti. “Direi che anche tu hai bisogno di qualcosa di asciutto. Aspetta qui un momento.” Quindi si allontanò verso le due donne alla porta per spiegare loro la situazione e per aiutarla a recuperare tutto quello di cui c’era bisogno.
Beckett rimase per un momento spaesata, non sapendo bene cosa fare. Nonostante Lanie le avesse detto di aspettare, lei voleva stare con suo padre. Dopo due secondi si decise comunque ad inseguire i tre uomini e Jim. Non riuscì però a fare più di due passi che una voce cavernosa e bassa proveniente dalle scale che portavano al piano superiore fece bloccare tutti sul posto.
“Che sta succedendo laggiù?” domandò la voce con tono seccato. “Cosa sono tutti questi rumori?” Per un attimo nessuno fiatò. Kate vide Lanie e Javier scambiarsi un’occhiata allarmata.
“Signore abbiamo… abbiamo ospiti.” replicò, piuttosto incerta, Lanie. Il silenzio che ne seguì per qualche motivo fece gelare a Beckett il sangue. Quindi Kate sentì qualcosa cadere e rompersi al piano superiore, poi una serie di passi pesanti iniziò a camminare sopra le loro teste e poi a scendere i gradini. Beckett puntò gli occhi sulle scale, ma per qualche motivo la luce della camera non arrivava a raggiungere più di un certo numero di gradini alla base, lasciando gli altri in ombra. Spostò nervosamente il peso da un piede all’altro. Doveva essere lui il famoso padrone di casa. Lui era l’uomo che doveva convincere perché mantenessero all’asciutto suo padre e lo curassero. Da come si gli altri si stavano comportando, aveva paura che non sarebbe stato facile.
Dopo qualche secondo, aguzzando la vista, Kate riuscì a scorgere una figura nera fermarsi a metà scala. Anche solo osservando il contorno, notò che c’era qualcosa che non andava. Era troppo grosso per essere una persona normale.
Una goccia d’acqua le scivolò dai capelli alla schiena, tracciando un rivolo di acqua gelata che la fece rabbrividire leggermente. Però strinse i pugni e si preparò a fronteggiare il nuovo venuto. Nonostante questo, non poté fare a meno di sobbalzare quando il padrone di casa quasi le ruggì addosso con voce forte e irata.
“CHE COSA CI FA LEI QUI?”

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Xiao a tutti! :) Scusatemi se ci ho messo una vita a pubblicare, ma sono in un momento piuttosto incasinato e in più Word ha deciso di scioperare per qualche sera, il che non ha facilitato il compito… -.-
Anyway, spero vi sia piaciuto il capitolo anche se ammetto che, visto che ho la testa altrove in questo periodo, forse non sarà il massimo… Va beh, fatemi sapere!
A presto! :)
Lanie
  
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