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Autore: Leonhard    07/04/2017    3 recensioni
Judy si volse verso la sagoma della lontana Zootropolis. Vixen aveva detto che il cavallo era il pezzo più forte della scacchiera, Alopex aveva scelto un cavallo per guidare gli eventi: forse avevano previsto tutto, forse no, ma in fin dei conti era quasi giusto che fosse stato un cavallo a dare scacco matto e vincere la partita.
E la città, sapeva, avrebbe continuato a bruciare.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Distopian Zootopia'
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Nello scantinato



 
Il seminterrato era buio e sapeva di muffa. I muri in pietra erano coperti da scaffali pieni di bottiglie di vino e barattoli di sottaceti e cibo in scatola, in un angolo una vecchia bicicletta ingrigita dal tempo con la catena secca ed un cerchione deformato e mobili accatastati coperti da teli bianchi. Jack si sedette su una sedia, che scricchiolò sotto il suo peso, ed invitò Judy a fare altrettanto. La coniglietta si guardava attorno frenetica, il suo naso tremolava la paura che lentamente stava scivolando nello smarrimento, il suo respiro era affannato e le zampe artigliavano il corpo, come difendendolo da un pericolo invisibile e sconosciuto.

La lepre la fissò per un breve momento, poi prese il cellulare e cominciò a digitare sul touch screen rapidamente, come se fosse un messaggio urgente.

“Possiamo stare qui finché la banda non se ne sarà andata” disse. “Non passeranno mai per quella finestrella”.

“Devo aver sbagliato fermata” decise Judy con un tremito nella voce. “Questa non può essere Zootropolis”. Jack la guardò.

“Temo di doverti dare una brutta notizia, Hopps” disse calmo. “Non hai sbagliato stazione: questa è la sola ed unica Zootropolis”.

“No, impossibile” decise lei. Gli occhi che rivolse alla lepre erano dilatati, aperti in un’espressione di indicibile panico. “Io non…non era così…”.

“…marcia?” concluse lui. “Con Bogo al potere e l’effetto del vaccino in pieno effetto, non poteva essere migliore di così: solo peggiore”.

“Ma la polizia!” esclamò. “La polizia cosa…”.

“La polizia è roba di Bogo” rispose lui. “E poi, tutti gli agenti sono stanziati al cancello: devono impedire che delle prede vadano nel rione dei predatori e soprattutto viceversa”. La coniglietta decise quindi di star sognando: una città lucente, pulita e paradisiaca come Zootropolis non poteva ridursi in quello stato nel giro di un mese se non in una realtà che non esisteva, un mondo fittizio che solo nei sogni e nei film poteva esistere. Eppure…

“Il siero contro gli Ululatori…” mormorò. “Ho visto gli effetti su Nick…”.

“Wilde?” commentò lui. “L’hai visto? E come…ah, non importa”. Ritirò il telefono dalla tasca. “Anche io ho respirato quel gas, Judy: come tutte le prede della città, la mia lucidità viene meno quando sono davanti ad un predatore. L’istinto che sento è quello di scappare, di nascondermi nel primo buco che trovo e di non uscire mai più ma loro…loro sono stati colpiti molto più duramente di noi”.

“Non parlano” assentì la coniglietta, sedendosi finalmente sulla sedia accanto a Jack. “E non camminano”.

“Ma sono lucidi” continuò la lepre. “Ruggiscono, ululano, ma non attaccano: scappano anzi. Le prede non si sentivano al sicuro, così abbiamo diviso la città in due rioni: i predatori sono stati stanziati Tundratown e Savana Centrale. Noi ci siamo tenuti la città, ma è rigorosamente vietato addentrarsi nel territorio dei predatori”.

Tundratown e Savana Centrale: fantastico. La mente di Judy, in piena negazione, cercava una spiegazione per i suoi primi dieci minuti in città dopo appena un mese che se n’era andata, una spiegazione in grado di escludere il racconto di Jack, ma ogni ricostruzione che faceva non era credibile oppure portava dritta alla conclusione che gli eventi nel laboratorio di ricerca in qualche modo c’entrassero. In quel momento, la sua attenzione si spostò sulle ultime parole della lepre.

“Io devo andare nel quartiere di Tujunga” disse. Jack le rivolse uno sguardo che mostrava con quanta sicurezza stesse pensando che lei fosse impazzita, condendola con almeno sei ottime ragioni che lo autorizzava a pensarlo. “Devo…raccogliere informazioni”.

“Judy, il quartiere di Tujunga è la zona off-limits della zona off-limits” disse. “Ci sono mammiferi che persino i predatori temono”.

“Devo andarci” replicò lei decisa. “E prima alla stazione di polizia”. Jack sospirò e si strofinò il naso con due dita, come se lei gli avesse appena detto di volersi infilare nella bocca di un leone per controllare se le tonsille fossero gonfie.

“Posso almeno sapere il motivo per cui ti vuoi infilare in una tana di lupi prima di partire alla volta della terra proibita?” chiese.

Judy gli raccontò: gli raccontò di come aveva portato Nick alla Tana dei Conigli e di come lui si fosse conquistato la fiducia dei suoi, parlò di come Nick aveva saputo intrattenere più di duecento conigli tutti i giorni per un mese intero, di come Nick l’avesse protetta per poi sparire in una notte senza lasciare tracce. Jack la studiò senza fare domande, gli occhi non la abbandonarono un solo istante e l’espressione non mutò mai. Terminato il racconto, piombò il silenzio per qualche secondo, dandole modo di accorgersi del sollievo che sentiva nell’aver raccontato tutto, quasi fosse un segreto il cui peso era diventato insostenibile per una coniglietta ottusa ed emotiva come lei.

“Il caso Tujunga…” borbottò lui. “Non esiste nessun rapporto sul caso Tujunga: è stato insabbiato, ricordi?”.

“Si, ma ricordo anche che ci avete lavorato tu e Alopex” replicò lei. Jack sussultò a quel nome: sembrava che il suono riportasse alla memoria ricordi terrificanti, come un incubo da cui si era finalmente svegliato ed in cui non voleva immergersi mai più.

“È complicato” disse lui evasivo.

“Solo se vuoi renderlo tale” osservò la coniglietta. “Semplificalo”.

“Non posso” obiettò ancora Jack. “È coperto dal segreto: sarò processato se ti racconto
”.
“E da chi?”. Quell’ultima domanda lo zittì, ma anche lei si fermò un istante a riflettere: Jack Savage processato per aver raccontato il caso Tujunga. La domanda le sorse spontanea prima che lui avesse modo di cominciare a raccontare, una domanda che in quel momento le fece deglutire la sensazione che forse non era il caso che lei sapesse

cosa fosse successo

i dettagli di quell’episodio. Un caso archiviato solo per essere fatto sparire, un colpevole mai trovato perché avevano smesso di cercarlo ed i testimoni zittiti sotto un giuramento che faceva nascere in quella lepre evidenti segni di nervosismo al solo pensiero di star per tradirlo.

Nick. In ballo c’era Nick, un Nick incapace di parlare, di camminare, di difendersi, da qualche parte solo in quella città divisa dalla paura e scenario di rancore ed istinti di sopravvivenza primitivi. Quella consapevolezza scrollò definitivamente via ogni dubbio: il caso Tujunga doveva essere risolto.

Per lui. Per lei. Per loro, qualunque cosa avesse voluto dire.

“Jack…” mormorò. Si allungò verso di lei e gli strinse una zampa con la sua. “Cos’è successo a Tujunga?”.
 
 

L’agente Howler svoltò a destra, gettando distrattamente un’occhiata al muro dell’edificio d’angolo: il cartello con il nome della via non c’era più e solo un riquadro di intonaco leggermente più chiaro del resto del muro provava la sua esistenza fino a poco tempo prima. Rallentò e passò a velocità minima accanto ad uno spiazzo: il cemento era vecchio, lunghe crepe si diramavano verso dei cesti da basket e quei graffiti multicolore che non erano stati coperti da scritte contro i predatori stavano sbiadendo lentamente, apparentemente senza fretta.

Il cortile era deserto, testimone di una desolazione su cui lui non si soffermò: aveva ancora nelle orecchie il rifiuto del suo capo alla sua domanda di una squadra per un giretto di ricognizione alla Tana dei Conigli. Ringhiò piano al pensiero che la sua ispezione e soprattutto le sue conseguenze avrebbero tardato, anche solo di pochi giorni. Passò il cortile e pigiò nuovamente sull’acceleratore: le strade erano semivuote, fatta eccezione per qualche mammifero che percorreva a passo svelto il marciapiede spingendo il passeggino, trascinando borse della spesa o semplicemente passeggiando incuranti o inconsapevoli del fatto che i borseggiatori, a differenza degli agenti di polizia, erano in ogni strada e, sempre a differenza degli agenti, avevano sempre voglia di entrare in azione.

Howler lasciò perdere la vecchia tartaruga che arrancava con il suo bastone e proseguì per la sua strada come se non avesse visto nulla: aveva ancora davanti agli occhi quei denti, sentiva ancora

il ringhio

l’affronto pungergli l’orgoglio, lo sguardo che quella volpe, quel Nick Wilde, gli aveva rivolto e di come gli avesse strappato di zampa la pistola per poi tornare a difendere il coniglio con un movimento fulmineo eppure fluido, aggraziato.

E soprattutto quella coniglietta. Si era goduto lo sguardo terrorizzato finché l’odore nell’aria non era cambiato: al panico verso di lui si era sostituito il panico verso quello che lui avrebbe fatto alla volpe e la differenza c’era, anche se minima. Era apparsa scandalizzata quando le aveva detto delle voci che erano sempre girate alla stazione di polizia, ma ormai era certo che non erano stati i suoi colleghi a mentire a lui e nemmeno lui a mentire a lei: era lei che mentiva a sé stessa.

Non era affare suo ovviamente, non gli interessava nulla: per quello che lo riguardava quella Hopps poteva portarsi a letto chi voleva di qualunque razza volesse, ma l’affronto che aveva sentito andava lavato, il bruciore che sentiva calmato, la rabbia che lo pervadeva andava estinta.

Estrasse la pistola e la puntò contro un ignaro cucciolo di ippopotamo: passeggiava tranquillo per il marciapiede, assaporando soddisfatto un gelato e reggendo con l’altra zampa un palloncino giallo che roteava per la strada il compleanno di qualcuno.
Howler fu preso dalla solita calma, fredda follia: dove poteva mirare? Dove poteva colpire? Studiò la figura del cucciolo attraverso il mirino della pistola: una pancia così prominente era un bersaglio troppo facile, non avrebbe dato soddisfazione. Allora le zampe? Sarebbe piombato a terra urlando con quanto fiato aveva in gola. Scoprì i denti in un ghigno e fletté leggermente il dito: sentì il grilletto scricchiolare lentamente, il cane tirarsi indietro fino a bloccarsi per una frazione di secondo.

CLIC

Sospirò e ripose la pistola nella fondina: era un cucciolo dopotutto. Un innocente, sovrappeso, rotondo cucciolo che non aveva fatto nulla di male, ancora. E poi, se avesse inserito il caricatore nella pistola avrebbe dovuto denunciare la pallottola mancante: una seccatura che avrebbe implicato scartoffie, bugie, insabbiamenti ed altre scartoffie.

E poi era il caso di tenerli buoni i colpi: presto avrebbe avuto centinaia di bersagli da colpire. Svoltò un altro angolo e continuò il suo giro di perlustrazione, in silenzio, in compagnia dei suoi pensieri.

 
 
Judy percepiva il silenzio, dietro al racconto di Jack che continuava a rimbombarle per la testa: le parole della lepre erano come incise nel suo cervello e non seppe fare altro che fissarlo con occhi assenti per qualche secondo. Lui dal canto suo sembrava tranquillo ma era evidente che evitava il suo sguardo.

“Quindi tu…” mormorò. “Alopex ha…”.

“Erano gli ordini, Judy” disse lui. “Non giustifica l’accaduto, certo…ma era quello che dovevamo fare. Nemmeno Alopex ci ha mai capito qualcosa”. Finalmente tornò a guardarla negli occhi. “Le volpi…svanivano nell’aria: nessuna traccia, nessun testimone, nessun contatto dai rapitori, riscatto, nemmeno i cadaveri abbiamo trovato”.

“Eccetto quello del padre di Nick” ringhiò lei. Jack sospirò poi si alzò.

“Se vuoi andare a Tujunga dobbiamo muoverci” disse. “La strada è lunga e quasi tutta pericolosa: dovremo muoverci di soppiatto e a piedi”.

“A piedi?” commentò la coniglietta, ma non seppe cos’altro aggiungere. La lepre continuò.

“Per la strada sicura ci vorranno almeno tre giorni” disse. “Ma ci arriveremo interi, credo. Quello che accadrà lì però non so prevederlo”. Judy si alzò, risoluta.

“Ci serve qualcosa per il viaggio?” chiese. L’occhiata che Jack le lanciò le diede la risposta prima della sua bocca: entrambe non le piacquero.

“Fortuna, Hopps” rispose. “Ci servirà un mare di fortuna”.
   
 
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