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Autore: Aroldo di Poe    07/04/2017    0 recensioni
Altrove non è una storia, è un luogo dove abita la vita, che attraversa ogni recondito anfratto della nostra mente e della nostra immaginazione. E' il lettore a decidere dove farsi condurre. Può decidere lui come interpretare la storia, da che punto seguirla.
Essendo l'Altrove un luogo, va esplorato. Deve essere esplorato. E come un luogo non ha un cominciamento, ma un viaggio, l'Altrove è processo. Per me di scrittura, per te, caro lettore, è passaggio di tempo èl 'Altrove stesso. Buona Lettura.
Genere: Malinconico, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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4. La candela emanava una luce assai fioca, illuminava l' ombre che quella sera si lasciava andare sulla profonda poltrona, che beveva vino da una coppa. Le dita asserragliate attorno al corto stelo, impreziosito da pietre, che brillavano nella lugubre serata autunnale, si muovevano frettolosamente, al ritmo di un inesistente tamburo. Non c'era alcun rumore nella stanza. Persino il silenzio taceva, da fuori la pioggia livellava le umane genti, rendeva ogni cosa grigia e desolata. Il muro, che l'acqua scrosciante formava, non lasciava intravedere neanche il riflesso di chi si fosse avvicinato per vedere il mondo e sé. Il vetro ha questa dote particolare, per cui ci tiene lontani e ci avvicina, evitando il contatto. Non contamina, non sporca, ci lascia lì: sospesi, inermi di fronte l'altro. Possiamo vedere, farci vedere ma siamo alienati, siamo intrappolati nella nostra immagine e in quella dell'altro. Il vino dalla coppa scorreva piano nella gola dell'uomo seduto nella poltrona. I gesti lenti e meccanici lasciavano intendere lo stato contemplativo in cui era assorto; gli occhi chiusi erano accompagnati da una espressione corrucciata. D'un tratto il vino esplose contro il muro e la coppa rotolò lontano, facendo un baccano che forse svegliò l'intero castello. L'uomo era ancora seduto. Gli occhi blu trafiggevano l'aria, ora che erano aperti: persino il cielo espresse il suo timore con un tuono, proveniente da nord-est. I muscoli stavolta erano tesi, pronti all'azione; le mani serrarono i braccioli per darsi la spinta e alzarsi. Con uno slancio l'uomo si erse e prese a camminare per la stanza. Intanto, un leggero bussare si udiva dal fondo della stanza, lì dove c'era la porta. Pian piano essa si aprì e da dietro spuntò un nobile viso, incorniciato da una treccia ramata che ricadeva lungo un vestito color alba, che lasciava scoperto il petto, quel poco che bastava per far impazzire i più prodi giovani del Paese. La donna si avvicinò lentamente al cavaliere, che con la sua imponente figura, vestita di una semplice tunica, che lasciava intravedere la gigantesca spada stretta in vita, non si dava tregua e continuava a correr dietro ai suoi pensieri. “ Signore, scusate l'intrusione, ma ho sentito un rumore così assordante che non ho potuto ignorarlo. State bene?”, la voce lasciava trasparire quella profonda delicatezza che le donne non acquisiscono con gli anni, ma che risulta una dote innata. Questa può solo elevarsi fino a farsi sentimento di protezione per i propri figli oppure, se non soddisfatta, diventa rancore e inacidisce, come i frutti nella calura di agosto. L'uomo udendo quella voce, sebbene turbato, non poté non fermarsi e con voce sepolcrale, dovuta al vino e alla mancanza di attività oratoria, rispose: “ Dormite anche sonni tranquilli, mia signora. Neanche il demonio in persona può sorprendermi nelle mie mura, a meno che io non glielo permetta.”. Quel tono così pacato e quella voce chiara infondevano nella giovane un sentimento di inspiegabile protezione, avrebbe creduto a qualsiasi parola pronunciata da quelle labbra e da quella voce. Il signore continuò: “ Tempi duri imperversano sul nostro regno” e guardandola, riprese:” vede la pioggia che senza sosta sbatte alle finestre? Questa diluvio senza fine pensa di potermi infiacchire, di rinchiudermi in questi palazzi. Ma non è ciò che mi preoccupa. I venti, le piogge e la siccità passano e passano gli uomini. Neanche gli uomini mi incutono timore, non la loro spada ma le loro volontà molli e le nature morte. In questi tempi grami per il nostro regno, non basta la mia presenza a garantire la pace. Loro vogliono di più”. Per un attimo distolse lo sguardo, chiuse gli occhi e sguainò la spada. Il metallo rifletteva il vetro, la pioggia. Sotto lo sguardo dell'uomo, essa sembrava prendere vita, rianimarsi, accendersi. Quella spada possedeva lo spirito dei morti, il sangue dei vinti e le lacrime dei sopravvissuti. L'uomo se la portò al volto, la annusò. Nonostante le numerose volte che era stata lavata dopo una battaglia, quell'odore di vita spezzata non abbandonava quell'involucro micidiale. Aprì gli occhi, ripose l'arma nel fodero e stavolta penetrò lo sguardo della fanciulla. Quell'abisso la travolse, la inghiottì: sentiva la pelle fremere, i brividi che non l'avevano scossa neanche quella notte passata nella foresta. Ricordava l'umidità che era in circolo nell'aria, e anche quel giorno vi era pioggia, un fuoco acceso di fortuna e intorno solo la notte. Le stelle, come grilli, come cicale non smettevano di pulsare, di trasmettere quell'armonia primordiale, che anche il primo uomo aveva senza dubbio sentito nelle sue notti passate appostato, in cerca di un pasto per soddisfare l'istinto primitivo della fame. La ragazza non aveva nessuna intenzione di distogliere i propri occhi innocenti e determinati da quelli inchiodanti e disarmanti di lui. Poi risuonò un fragore nella stanza. Un fulmine era precipitato direttamente su un albero mandandolo in mille pezzi e bruciando tutto ciò che era attorno. Ora l'incendio divampava, dalle proprie tane piccoli gruppi di uomini si avvicinavano al luogo dello scoppio. La pioggia scendeva fitta e aveva quasi spento ogni residuo di fiamma, ma quella folla istupidita continuava a restare sotto la pioggia, inerti e inermi, come spaventapasseri giacciono privi di vita in una calda giornata di fine estate. I loro spiriti infiacchiti dall'inedia che si abbatte sull'uomo nei giorni di inattività, ora sembravano essere sospinti verso quello spettacolo della natura. Il signore solo a fatica volse il suo sguardo verso altro, si diresse presso la finestra e guardò con manifesto disprezzo prima la folla e poi il cielo. Aprì la finestra, la pioggia gli schizzò sulla tunica e sul viso, la folta barba si impregnò di quell'odore tipico della pioggia, unico e incontestabile. Ora i capelli fradici premevano contro il suo volto, fornendo al cielo una visione davvero spaventosa. Proruppe in una risata e poi in un urlo che dovette far rabbrividire il diavolo in persona. Il signore si volse al Signore: “ Tutta qui la tua millenaria rabbia? Solo questo misero giochino hai da offrirmi miserabile? Anche un mio stupido giullare potrebbe dar fuoco a un albero e incendiare i campi. Mi disonori. Non tollero neanche da Te un tale comportamento, non sono nato per essere annoiato ma per essere conquistato da ciò che non può essere conquistato. Non sprecarti a mandare la tua fedele suddita la Morte, siamo vecchi compagni di armi, mi deve molto e le rendo grazia a ogni banchetto. Le messi si sono inchinate alla mia falce e ho offerto i frutti a Lei, quante non ne avesse mai viste. Ho sacrificato i miei figli a Lei e non passa giorno che il Ricordo non mi perseguiti, ma ho battuto la mia strada di teschi e i morti mi sono fedeli. Nessun giochetto del genere può fermarmi. Sterminerò la Tua prole! Ah! Se solo Potessi fermarmi, se solo Fossi capace di bandirmi dalla mia esistenza, non desidero altro!”. Chinò la testa, da dietro avvertì un leggero fruscio e una mano si posò sulla sua spalla. La afferrò e se la portò al viso. La odorò. Quella vita così fresca, non aveva mai sentito nulla di simile. Eppure fino a quel giorno in cui era entrata di soppiatto nella sua stanza non l'aveva mai vista. La pioggia smise di battere sulla terra degli uomini, il vento si placò e un singolo raggio di sole, timidamente, cercò la propria strada attraverso banchi di nubi fitte. Le parole dell'uomo, ora completamente zuppo, dovevano aver ferito qualcuno lassù, oppure erano riuscite a commuovere tanto la Natura da farle mandare un segno di pace, di vicinanza all'uomo sofferente. La mano era ancora lì, vicino al suo occhio. Mentre il respiro tornava ai sui ritmi usuali, qualcosa nel cortile lo colpì. La folla era rimasta attonita, di fronte alla manifestazione del demonio in persona. Quell'essere non poteva far parte del regno umano, i suoi occhi di bragia, il volto bagnato, la pioggia che cadeva sul suo corpo, delineando le forme più nascoste del signore. Nessuno osava muoversi, tutti profondamente intrisi di acqua, con tanto lavoro ancora da fare per arrivare a fine giornata, erano come intontiti per l'accaduto. I bambini più piccoli piangevano, si rifugiavano tra le vesti delle madri; le donne guardavano il loro sovrano con un misto di riverenza e disprezzo, paura, ma allo stesso tempo, erano affascinate da un comportamento tanto empio quanto virile. Si sa che il diavolo è il più grande tentatore. Gli uomini tacevano. Neanche coloro che avevano servito nell'esercito avevano mai assistito a nulla del genere. Neppure quel momento prima di trovarsi trafitti da una lama era così raggelante, neanche la notte prima della battaglia, o l'attimo subito prima della chiamata all'avanzare. La morte e lo spavento avevano tutt'altro sapore, tutt'altro impatto sulla loro anima. Niente li aveva mai fatti sentire così vicini all'Orco e allo stesso tempo capaci di sfidare il cielo, come insetti stufi della loro vita. Quando la freccia trafisse il petto di uno degli astanti, ancora la folla stette. Lentamente il corpo crollò su se stesso, il fiotto di sangue che usciva dalla bocca si spargeva copioso sul corpo. La gola era trapassata da parta a parte, per l'uomo non c'era nulla da fare. La morte gli aveva già offerto le sue labbra di grano, che sapevano di miele. Fu dopo qualche secondo che la massa cominciò a gridare, a girare intorno come formiche disperse, lontane dalle loro tane, senza capo e senza destinazione. Dall'alto il signore, che adesso rimetteva al suo posto l'arco, sorrideva compiaciuto della sua azione. L'odore della giovane fanciulla gli aveva ricordato quanto disprezzasse il suo popolo. Loro non meritavano nulla che non fosse letame, che non provenisse dalle viscere della terra, erano l'orrore del mondo. E quella donna, lì, eterea, così nobile nei lineamenti sconosciuti, aveva ricordato a un essere così solo che forse qualcosa di diverso era possibile. Intanto, lei non capiva perché il suo signore odiasse così tanto ogni cosa. Perché così tanta putredine era penetrata all'interno del suo animo? Eppure aveva tutto: un bel palazzo, un fuoco la sera, dei servi che lo accudivano. Un esercito forte e vigoroso, maschi che crescevano come grano a giugno, donne graziose come cigni, in un giorno di primavera. Che cosa lo aveva reso così folle? Folle di cosa, poi? Con chi divideva, la notte, il suo letto? Forse con concubine, con donnacce che lo avevano avvelenato. Sicuramente aveva bisogno di qualcuno per mettere al sicuro i suoi segreti, le sue colpe, le condanne a se stesso. Ma perché, infine, lei era lì? Si ricordava solo di aver bussato e di essere entrata, aveva bofonchiato qualcosa su di un rumore. Davvero non ricordava nulla, sapeva soltanto che quell'uomo così estraneo alla vita la attraeva, come possono farlo solo i grandi mali. La stanza, ora illuminata debolmente, permetteva a un qualsiasi spettatore di assistere a quell'orribile spettacolo: al fondo, vicino al muro, vi era la coppa di vino scagliata poco prima; sulle varie sedie sparse erano accumulati mucchi di panni sporchi, incrostati, infine, vicino all'enorme camino, a terra, c'erano quelli che sembravano resti di cibo. Era la tana di un animale selvatico, non di un dominus. Era rimasta di sasso quando aveva visto scagliare la freccia, poco prima quelle stesse mani avevano accarezzato le sue. “ Mio signore, ma perché? Erano solo venuti a vedere il fuoco prodotto da quel fulmine, erano solo curiosi”. “ Perché? Tu osi chiedere perché? Non vedi come strisciano di fronte la vita? Non senti anche tu il loro alito fetido e marcio, di chi scambierebbe l'onore per un soldo in più? Dov'è la dignità che ha reso grande Achille? Dove, l'audacia di Alessandro? E dove, l'amore di Ulisse? Non vedo che gabbie vuote nei loro occhi. La loro anima si è dissolta nel momento in cui sono venuti al mondo. Non meritano la mia pace”. Così dicendo, il signore ignorò la fanciulla e si mise a sedere, di nuovo, sulla sua sedia. Ora gli occhi erano chiusi, come se niente fosse accaduto, come se tutto fosse in perfetto stato. Niente sembrava mai essere esistito. Poiché l'uomo non aveva più dato segnali di vita, la fanciulla lentamente uscì da quella fetida stanza, sebbene l'interesse per quell'uomo così solo, così vulnerabile accendeva in lei qualcosa che non aveva ma percepito. Tuttavia, un tarlo continuava a minare la sua mente: chi era lei? Aveva capito di esistere solo nel momento in cui era entrata nella stanza, come se fosse apparsa in quel momento sulla scena. Un'attrice e nient'altro. Tornò alla sua stanza, perché aveva una stanza, e lentamente si spogliò. Il vestito color alba le scese lungo i fianchi, il seno, ora libero, poteva divincolarsi dal fastidio busto: la pelle tornava a respirare. Un inquieto sonno l'aveva accompagnata durate la notte, e quella mattina era decisa a vedere di nuovo il principe. Però, qualcosa le diceva che quel giorno aveva altro da fare, così ,dopo essersi vestita, andò senza una meta per il castello. Finì per ritrovarsi in chiesa. Aveva tre navate, all'interno un pavimento di marmo scintillava e d'attorno poteva notare quadri di uomini illustri. Non c'era quasi nessuno a quell'ora, una voglia immensa di salire sul pulpito la possedette, quasi che volesse emulare le gesta del suo signore del giorno appena trascorso. Mentre fantasticava di ripetere quel toccante discorso, dall'ombra di una delle tante statue, emerse un individuo ammantato di nero, impossibile da riconoscere in viso, che le disse: “ Fuggi, nulla è fatto per te qui. Non sei nulla, non sei viva, non sei morta. Esisti ma non respiri, ti muovi ma il vento non emana alcun alito quando passi per queste vie. Destati.” . Queste parole oscure turbarono la giovane, che proprio in quel momento vide cadere dal fondo della navata tre croci, mentre un coro si alzava chissà dove, intonando oscure parole. Scappò. Corse alla cieca, su e giù per il castello, quando sentì un rumore, come di una tazza infranta: corse su per le scale, arrivando fino a una massiccia porta di legno. Senza bussare, entrò delicatamente e subito due occhi blu la fissarono. Corse via. Ma l'uomo restò impietrito alla vista di quel fantasma, gli sembrava di averlo già visto. Trascorse un altro giorno, questa volta la ragazza decise di non muoversi dal letto. Niente l'avrebbe fatta muovere da lì, quelle oscure parole e la vista dell'uomo dagli occhi di ghiaccio l'avevano abbastanza impressionata, da farle giurare di non alzarsi finché non avesse trovato una spiegazione a ciò che stava succedendo. Eppure, non ricordava altro che il principe. Non riusciva a ricordare cosa avesse fatto prima. Dove fosse stata. La sua vita dava l'impressione di essere iniziata in quel momento. La pioggia batteva alla finestra, ella girò il suo sguardo verso l'esterno d vide un albero bruciare, una folla che guardava stupita il rogo e una freccia che si stava dirigendo, lo vedeva quasi potesse fermare il tempo, verso uno dei presenti. Allora si alzò, improvvisamente, dal letto e corse alla massiccia porta di legno, non sapeva come aveva fatto a ritrovarla. Non bussò, aprì impercettibilmente la porta: un uomo stava mettendo in un angolo un grande arco. Non seppe cosa fare, guardò l'uomo. E l'arco. La folla. Il bicchiere. L'oscura presenza. L'uomo la scrutò, volse poi lo sguardo verso il cielo e capì in un attimo che era arrivato il momento. La donna si mosse verso di lui, il quale estrasse la spada e con un rapido gesto mosse un fendente alla giovane. Ella esalò l'ultimo respiro, la vita fuggiva, come in un grande racconto greco sentì la sua anima evadere. L'uomo, solo allora, si inchinò alla vita e alla morte. Solo allora fu libero di poter essere altrove. La donna si svegliò di soprassalto, il cuore le batteva forte, quasi fosse il principio di un infarto. Accese la luce. Si volse verso il comodino, prese un libro. Cominciò a leggere: “Il mare rivelava la vera essenza del cielo”.
   
 
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