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Autore: Tefnuth    07/04/2017    1 recensioni
Dopo la sconfitta di Profondo Blu, le Mew Mew sono tornate a condurre una vita pressoché normale e il pianeta natale di Pai, Kisshu e Tart è stato salvato grazie alla miracolosa acqua cristallo che li aveva riportati in vita. Ma un nuovo pericolo incombe, quando gli antichi seguaci di Profondo Blu, i Cavalieri Oscuri, si risvegliano e decidono di vendicarsi per il torto subito.
Per poter evitare il disastro, Mew Mew e alieni dovranno allearsi e combattere con tutte le loro forze.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pianeta alieno, 9 anni fa.

All’interno del laboratorio di analisi e sviluppo biologico, due scienziati stanno prendendosi una pausa e, nel frattempo, parlano delle rispettive ricerche.

“Certo che il tuo progetto sembra molto pericoloso, Akio” disse Eiji, quello che tra i due aveva corti capelli castani e occhiali a mezzaluna che gli ricadevano sul naso.

“Cosa non lo è, su questo pianeta? Ogni sera andiamo a letto, sperando di non morire travolti dai nostri stessi soffitti” rispose Akio, da dietro la frangia nera mentre rileggeva per l’ennesima volta la cartella con tutti i risultati degli esami che aveva fatto. Stava conducendo un esperimento, nel tentativo di trovare il modo per creare forme di vita che potessero resistere alle bassissime temperature esterne. Ma ancora non aveva avuto risultati soddisfacenti.

“Sta attento però: qualche giorno potrebbe esplodere il laboratorio. Lo rimproverò Eiji, ma il suo tono era così poco convincente che Akio scoppiò a ridere. – Guarda che sto dicendo sul serio! Pensa a Izumi, e al piccolo Kisshu”.

Akio smise improvvisamente di ridere, forse perché il peso delle parole dell’amico gli era arrivato alle orecchie.

“A proposito, posso chiederti un favore?” domandò all’amico, richiudendo la cartella.

“Cosa posso fare per te?”.

“Se mai dovesse accadere qualcosa, a me e a Izumi, potresti occuparti tu di mio figlio? Non ha nessun altro, oltre a me e sua madre, e tu sei l’unica persona di cui mi fidi” disse Akio con gli occhi tristi.

“Certo, lo farei senz’altro, ma non vedo il motivo di una richiesta simile. – Si chiese Eiji dubbioso. – Guarda che prima stavo solo scherzando”.

“Lo so bene. – Lo interruppe Akio. – Tuttavia è pur sempre una possibilità, e vorrei poter sapere che, nel caso, mio figlio non sarà da solo”.

“Te lo prometto” ripetè il castano.

Dal momento che la vita su quel pianeta disastrato era determinata da orari frenetici e turni di lavoro pressanti, era già notte quando Akio uscì dal lavoro. Ad aspettarlo c’era l’adorata moglie Izumi. Lui ancora non si capacitava di come una come lei, i cui capelli avevano lo stesso colore dell’erba terrestre bagnata dalla rugiada mattutina (questo avrebbe potuto dire lui, se mai avesse visto la vegetazione del pianeta azzurro) e due perle azzurre negli occhi, avesse scelto di sposare proprio lui: un uomo comune, con fin troppi difetti. Assieme a lei c’era anche il loro bambino di sette anni, Kisshu, che aveva gli stessi capelli di Izumi (erano solo appena più scuri) e quei suoi occhi così particolari, che col loro colore rassomigliante all’oro sembravano solo suoi. Alcune volte Akio si domandava se ci fosse qualcosa di lui nel figlio, e Izumi prontamente gli diceva che Kisshu aveva il suo spirito e il suo sorriso.

“Avrei bisogno del tuo aiuto, al prossimo turno” disse Akio alla moglie, dopo averla salutata per bene.

“Volentieri, ma come facciamo con lui?” rispose la donna riferendosi al bambino; entrambi avevano perduto i genitori (come molti su quel pianeta, del resto), e non conoscevano nessuno cui poterlo affidare.

“Voglio venire anch’io! – Si intromise Kisshu saltellando come un canguro. – Non lasciatemi da solo”.

“Non credo che ci verrà permesso” osservò la donna.

“Spiegherò che non abbiamo altre opzioni. – Suggerì Akio. – Purtroppo la cosa che devo fare richiede un paio di mani in più”.

“Non sarà pericoloso?” domandò Izumi titubante.

“Assolutamente no! Se ci fosse stato qualche rischio non te lo avrei nemmeno chiesto” affermò Akio.

E così, qualche giorno dopo, l’uomo portò moglie e figlio nello stabile in cui lavorava. Era un edificio come tanti altri, e uguale a tanti altri, la cui vita si traduceva tutta nel brulichio delle persone che lì vi lavoravano senza sosta giorno dopo giorno. Naturalmente c’era anche Eiji, che si stupì non poco nel vedere la vecchia collega di lavoro.

“Chi si rivede. – Le disse riponendo sotto al braccio la cartella che stava portando con sé. – Come mai sei tornata? Non mi dirai che hai ripreso a lavorare”.

“Niente del genere. – Rispose sorridente la donna. – Akio mi ha chiesto di dargli una mano, e io ho accettato”.

“Per il lavoro che devo fare oggi avevo proprio bisogno di un aiuto” spiegò Akio.

“Avresti potuto chiederlo a me, lo avrei fatto con piacere” si offrì Eiji, quasi offeso per non essere stato chiamato.

“Non volevo distoglierti dal tuo lavoro” chiarì il moro.

“Come preferisci, ma se avete bisogno chiamate pure” disse Eiji, prima di congedarsi per riprendere il proprio lavoro.

Il laboratorio di biozoologia era ubicato nell’ala ovest dell’edificio, lontano dalle sale dove si svolgevano gli esperimenti di geologia e di fisica. Per poter accedere, Akio dovette esibire la propria IDcard (il corrispettivo di una carta d’identità digitale) e quella dei suoi due ospiti. L’interno era una sala molto grande, con un enorme generatore al suo centro e il computer principale alla sua base. C’era spazio per muoversi agevolmente, così Kisshu potè trovare il proprio angolino dove fare i propri compiti mentre madre e padre trafficavano con le provette.

E mentre loro lavoravano, il centro del pianeta fu scosso da una violenta ondata di energia che produsse una scossa tellurica che, dal nucleo, arrivò fino alla superficie manifestandosi in tutta la sua potenza. Il terremoto che si creò fu così forte da squarciare le fondamenta di molti edifici, anche quelle del laboratorio, e mentre le persone si riversavano per le strade in cerca di una zona al sicuro dai crolli dentro l’edificio tutti presero a correre nell’unica direzione possibile: l’uscita.

“USCIAMO DA QUI!” gridò Aiko appena i suoi piedi iniziarono a tremare per il terremoto. Sopra alla sua testa il soffitto già si stava crepando, e così anche le pareti. Per fare più velocemente lui prese in braccio Kisshu mentre Aiko già aveva aperto la porta. L’allarme risuonava, e la polvere alzata dalle scosse si colorava del rosso della sirena.

La prima scossa durò dieci, forse dodici secondi, ma gli effetti che ebbe sulle costruzioni furono devastanti trasformando i corridoi in labirinti di macerie e polvere.

“Da qui si può passare” affermò Izumi mentre tastava il pavimento con i piedi, per assicurarsi che non si aprisse un varco al loro passaggio. Avendo entrambe le mani libere era lei ad avanzare, così da poter spostare eventuali detriti che avrebbero impedito il passaggio ad Akio e al figlio.

“Posso andare da solo” suggerì il piccolino, notando la difficoltà che stava facendo il padre nel muoversi negli spazi angusti.

“Non pensarci nemmeno! Sei più al sicuro se ti tengo io” lo rimproverò Akio mentre sgusciava sotto ad una trave.

“Ma…”.

“Niente ma, vedrai che ora…” il suo discorso fu interrotto da un secondo boato: la seconda scossa, quella di assestamento.

Di nuovo tutto il loro mondo tremò con violenza, e nuove crepe si aggiunsero a quelle che si erano create precedentemente. I tre scattarono in avanti, approfittando del fatto che il corridoio fosse ancora libero, ma sfortunatamente non fecero caso al soffitto che rovinò sopra le loro teste. Preso da una botta di adrenalina Akio lanciò avanti a sé Kisshu, che cadde a terra evitando per un soffio i detriti che gli crollarono davanti. Izumi e Akio, invece, furono travolti.

“MAMMA! PAPA’” strillò Kisch non facendo caso al braccio, quello che gli aveva fatto da appoggio nella caduta, che gli faceva male.

“Scappa, vai via” sussurrò Izumi, aveva una grossa ferita alla testa e non le restava molto da vivere. Akio era morto sul colpo.

“NO! – Gridò Kisshu in lacrime. – VOI VENITE CON ME”.

“Tesoro, io… non posso” bisbigliò la donna, per poi espirare.

“MAMMA” sbraitò il bambino, avrebbe voluto avvicinarsi ma una nuova piccola scossa di assestamento fece cadere il pavimento che lo separava dai genitori. Poi una trave si staccò dal soffitto, mirando proprio alla testa di Kisshu.

“AAAAAH”.

Intanto, nella piazza che fungeva da punto di raccolta, tutti coloro che erano riusciti a scampare alla morte si erano riuniti ai propri cari. Anche Eiji che, pur tremando, si era ricongiunto con la moglie Naoko, e i due figli: Pai, di nove anni, e Tart di tre.

“Grazie agli dei! – Esultò l’uomo non appena li vide tutti e tre sani e salvi. – State tutti bene”.

“Abbiamo avuto fortuna” disse Naoko, i cui capelli viola si erano tutti impolverati.

“Ne sono felice. – Disse Eiji, poi si rese conto di non aver ancora visto l’amico. – Non hai visto Akio, o Izumi? Erano nel reparto di bio-zoologia, nel settore ovest del laboratorio”.

“La zona ovest? – Ripetè la donna, sconcertata. – Ma è quella che è crollata poco fa”.

Al che Eiji, preso dalla più completa preoccupazione per il collega e la moglie ordinò a Naoko e ai figli di restare il più lontano possibile dagli edifici che sarebbero potuti crollare, e tornò indietro verso il palazzo. Tutti coloro che erano riuciti a fuggire si erano radunati in una piccola ansa nelle vicinanze, ma di Aiko Izumi e Kisshu non c’era alcuna traccia.

“Devono essere ancora all’interno dell’edificio” pensò Eiji avvicinandosi. Stava cercando una possibile entrata, per andare alla ricerca dei tre dispersi, ma qualcuno lo bloccò non appena ebbe oltrepassato il cordone di sicurezza.

 “Dove va! E’ pericoloso” gridò uno dei soccorritori a Eiji, strattonandolo per la giacca.

“Ho ragione di credere che ci siano ancora delle persone, nella zona ovest del laboratorio” spiegò Eiji, indicando la parte più danneggiata, mentre i suoi occhi guardavano la sua possibile entrata: un buco creato dal crollo di una parete.

“Non può entrare! – Ribattè il soccoritore. – E’ troppo pericoloso”.

“Ma io…” iniziò Eiji, il cui corpo si contrasse improvvisamente per un nuovo tremolio sotto ai piedi: la seconda scossa, quella di assestamento, seguita da un’esplosione proveniente dall’interno della zona ovest dello stabile.

“Io devo entrare là dentro, e se non posso farlo da solo mi accompagni LEI. – Disse Eiji imperioso, nulla avrebbe potuto fermarlo. – Là dentro ci sono due persone, e un bambino”.

Mosso da compassione, il soccorritore si diresse velocemente a prendere una mascherina contro la polvere e le esalazioni che dette poi da indossare a Eiji, assieme ad un elmetto. Attraverso il varco che gli occhi di Eiji avevano individuato poc’anzi, insieme si addentrarono all’interno dell’edificio, e muovendosi speditamente l’uomo condusse il suo accompagnatore fino all’ala ovest dove ebbero l’amara sorpresa: oltre una piccola voragine i corpi di Akio e Izumi giacevano inerti sotto alle macerie. Vicino a loro invece, il piccolo Kisshu che chissà per quale miracolo sembrava illeso.

“Ti prego. – Si augurò Eiji, avvicinandosi al bambino e accarezzandogli la guancia. – Dimmi che almeno tu stai bene”.

Il piccolo lamento che Kisshu fece risollevò il morale di Eiji.

“Lui è vivo!” esclamò l’uomo, sollevando il bambino da terra.

Immediatamente, e incurante del soccoritore che chiamava i colleghi dal foro che era stato creato dall’esplosione, Eiji uscì dal labirinto di macerie e portò il piccolo Kisshu da un medico per i primi soccorsi.

Un po’ di tempo più tardi, dopo che le scosse sembrarono essere finite, tutti i feriti furono portati all’ospedale. Anche Kisshu, cui Eiji fece da tutore in assenza di altri.

“Non c’è stato nulla da fare: entrambi sono morti sul colpo. – Disse il medico a Eiji, parlando dei genitori del piccolo mentre si dirigevano dalla sala di attesa a quella in cui era ricoverato Kisshu. – E’ un vero miracolo che il bambino sia vivo, soprattutto dopo l’esplosione”.

“Ora cosa gli succederà? Non ha nessun famigliare” osservò l’uomo.

“In tal caso, credo che verrà affidato ad un istituto” ipotizzò il medico.

“Se fosse possibile, vorrei prenderlo io in custodia” si offrì Eiji, in onore della promessa fatta ad Akio.

“Non credo ci siano problemi, a riguardo, ma farebbe prima a parlarne con lui. – Consigliò il medico. Può farlo anche adesso se lo desidera: è sveglio e lucido”.

“Certamente” affermò Eiji, accorgendosi solo in un secondo momento che erano già arrivati alla camera del piccolo.

Su invito del dottore, Eiji entrò nella stanza. Kisshu era seduto tra bianchissime lenzuola soffici che facevano risaltare il colore dei suoi capelli. Sembrava che gli unici ricordi fisici del disastro fossero alcuni graffi e la contusione al braccio sinistro, tuttavia lo sguardo vuoto e triste diceva tutt’altro.

“Ciao Kisshu. – Esordì l’uomo, ricordandosi che sarebbe stato meglio presentarsi. – Il mio nome è Eiji Ikisatashi, ed ero un amico dei tuoi genitori”.

“…”

“Il dottore mi ha detto che stai bene, e che tra poco potrai uscire da qui” continuò Eiji.

“Sono morti. – Disse finalmente il bambino. – Li ho visto morire, e non ho potuto fare niente” aveva un nodo alla gola mentre parlava, e lacrimava.

“Mi dispiace tantissimo” Eiji si sedette sulla costa del letto.

“Non ho più nessuno, sono da solo”.

“Mi occuperò io di te! – Dichiarò l’uomo, accarezzando la testa del bambino. - Ho fatto una promessa a tuo padre: ti avrei preso con me, se lui e tua madre non fossero più stati in grado di farlo”.

“D…davvero?” chiese Kisshu, tirando su col naso.

“Dico sul serio. E non saremo solo noi due: ci sarà anche mia moglie, Naoko, e i miei due figli Pai e Tart. – Affermò Eiji, contento nel vedere che l’idea di una grande famiglia sembrava piacere a Kisshu, ma voleva comunque esserne certo. – Naturalmente se tu lo vuoi”.

“SI!” esclamò il bambino, asciugandosi le lacrime con la manica della vestaglia che gli avevano dato i medici.

Nota autrice: Bhè, con questo racconto ho proprio fatto un enorme azzardo. Come si vede chiaramente, questa è l'idea che mi sono fatta io su come siano morti i genitori di Kisshu. Spero di esser riuscita a farvi scappare qualche lacrimuccia, e se non è così pazienza. Mi auguro che qualcuno mi lasci un suo commento, qualche prima impressione. Alla prossima.
  
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