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Autore: The_Gabs    10/04/2017    0 recensioni
Dal diario personale del dottor Oswald Gibbs,
curioso come questa realtà riesca a sfuggire così facilmente da ogni logica. Viviamo in un mondo in cui apparire è vivere. Un’incessante bisogno ossessivo di essere qui e ora, immerso in un quadro armonioso ed effimero, così facile da rompere. Apparire è vivere, ma vivere senza apparire è soltanto sussistere. Uomini, donne, adulti, bambini, ricchi, poveri: questa patogenica ossessione psicosociale agisce a tutti i livelli della società e sembra caratterizzare in particolar modo l’uomo del ventunesimo secolo. A beneficio delle propagande xenofobe che stanno dilagando in tutto il paese, credevo che tale realtà, questa ricerca costante di un nostro posto nel mondo che ci circonda, fosse capibile solo da noi “Normo”, ma a una ben più approfondita analisi, mi chiedo se invece non siano loro a comprendere meglio questa ricerca. Loro, gli “Altri”…
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: X-men
Note: Otherverse, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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1x3 Prova di coraggio
 
Westchester, Istituto Xavier
Moira Kinross sta tenendo una delle sue lezioni nell’aula F. Oltre a Jean Grey e Scott Summers, è presente un’altra ventina di studenti, tutti in età media tra i diciassette e i diciannove anni.
Uno di loro, Terence Coleman, sta chiacchierando con i suoi amici, senza ascoltare una benché minima parola della lezione della signora Kinross.
Terence scrive qualcosa su un biglietto, dopodiché con un gesto della mano lo fa sparire. Inaspettatamente, il biglietto compare sul banco di Jean, due file più avanti.
Conoscendo il potere di Terence, Jean si volta verso il ragazzo e lo guarda, incuriosita, ma lui fa cenno di aprire il biglietto.
La ragazza obbedisce e legge le seguenti parole:
“Preferirei essere tra le tue braccia e tra le tue labbra anziché in quest’aula. Ogni giorno mi togli il fiato”.
Jean scuote la testa, spazientita, ma si lascia sfuggire anche un sorriso divertito. Conosce bene gli intenti di Terence.
Scott Summers, seduto accanto a lei, si avvicina alla ragazza e le sussurra, in tono concitato per non farsi sentire dalla signora Kinross: «Cosa succede? Perché ridi?»
«Oh, ma niente!» risponde Jean, evasiva. «È solo quell’idiota di Terence».
Scott si volta indietro, verso la fila di Coleman e dei suoi compagni; quest’ultimo gli risponde con un occhiolino strafottente. Scott decide di ignorarlo, trattenendosi dal togliersi gli occhiali.
«Che cos’ha fatto?» chiede a Jean.
«Nulla di preoccupante. Siamo usciti due volte, qualche mese fa» spiega Jean, mostrando il foglio a Scott. «Da allora Terence non fa altro che perseguitarmi, sperando in un terzo appuntamento.»
«Oh, capito» commenta Scott, accigliato, leggendo le parole sul biglietto e alzando gli occhi sull’amica. «Beh, sarà difficile che smetta se continui a sfoggiare quel sorrisetto complice.»
Jean si volta verso Scott, scura in volto: «Cosa vorresti insinuare?»
«Che così sembra che tu gli dia spago»
«Io non gli do spago!»
«Vuoi riuscirci o no?»
«Io… beh… ma che t’importa?»
«Quando il signor Summers e la signorina Grey avranno finito di scambiarsi i loro convenevoli…!» interviene Moira, alzando la voce. «Saranno così cortesi da ripetermi in sintesi la struttura della camera di Pall?»
Sia Jean che Scott alzano lo sguardo sull’insegnante, disorientati.
Cala il silenzio.
«Non sapete dirlo?» incalza Moira. «No? Eppure è alla base della costruzione della nostra Cerebro. Ne abbiamo parlato per almeno mezz’ora.»
Jean e Scott non rispondono.
«Signorina Grey, se vuole continuare a mantenere il ruolo di coordinatrice di dipartimento le consiglio vivamente di fare più attenzione durante le lezioni su Cerebro, specialmente se sta valutando seriamente l’ipotesi di intraprendere il ramo della medicina. Non diventerà dottoressa scambiandosi bigliettini con i compagni di classe, sa?»
«Mi scusi, signora Kinross» mormora Jean, rossa in volto più dei suoi capelli. Non è abituata ad essere sgridata.
«E lei, signor Summers» continua Moira, implacabile. «Se pensa che essere l’ultimo arrivato le possa dare una situazione di vantaggio o di prestigio, si sbaglia di grosso. Veda di non distrarre nessun altro, o la butto fuori. Non mi aspetto certo che impari a memoria le tecniche di difesa strutturale della camera, anche perché comunque nessuno riuscirebbe a forzarla senza il permesso del professor Xavier, ma avere qualche nozione di base potrebbe giovarle comunque.»
«Ma noi non stavamo…!»
«Non stavate attenti» Moira taglia corto.
Dopodiché la lezione riprende.
Jean rimane concentrata sul libro, ma Scott si rivolta indietro verso Terence, che sorride con astuzia.
 
Istituto Xavier, alloggio dei fratelli Summers
Alex sta bevendo una coca, steso sul letto, e sta guardando un poliziesco alla TV. Attorno a lui vi è il caos più totale.
Lattine accartocciate sul pavimento, indumenti sporchi negli angoli più disparati della camera, briciole ovunque, e anche un discreto strato di polvere sulle superfici più alte.
La porta della stanza si spalanca di botto e Alex alza la testa per vedere chi sia. È Scott.
«Ehi, scemotto» lo saluta. «Non sei a studiare, giocare, o fare quello che fanno… boh, tutti gli altri?»
«Non ho voglia di studiare» brontola Scott, lanciando lo zaino sul letto e togliendosi le scarpe. Accigliato, raccatta due lattine da terra e le getta nel cestino: «Non potresti essere un po’ più ordinato?»
Alex lo ignora. Anzi, scoppia a ridere a una battuta che probabilmente è stata fatta in TV.
«Questo telefilm è una figata» ridacchia Alex. «La vita del poliziotto deve essere veramente dura, ma questi stereotipi sono intramontabili!»
«Ehi, ti ho chiesto una cosa, cazzo!» urla Scott. «Almeno tu che sei mio fratello vuoi ascoltarmi per una fottutissimo volta?!»
A quel punto, Alex si volta verso Scott, poggiando il toast che stava mangiando proprio in quel momento. Si rende conto che suo fratello è molto arrabbiato.
«Che è successo?» chiede Alex, ancora con il boccone in bocca. «Tutto bene?»
Scott, tuttavia, si è già calmato. Si lascia cadere sul suo letto, poco distante da quello del fratello e sospira.
Il giovane si toglie gli occhiali per massaggiarsi gli occhi, rigorosamente chiusi, dopodiché li inforca nuovamente.
«Tranquillo, non ti ammazzo» bofonchia Scott, vedendo il fratello sul chi va là. «Anche se senza di te sicuramente questa camera sarebbe più in ordine.»
«Perché oggi sei così amorevolmente simpatico?» domanda Alex. «Dì, hai le tue cose?»
«Ma smettila, non ti ci mettere anche tu» brontola Scott, lanciandogli una lattina. «Probabilmente, se fossi donna sarei così sfortunata che avrei anche le mestruazioni laser. Il lato positivo è che almeno potrei far fuori un bel po’ di idioti.»
«Ehi, ehi, sento dell’astio!» ridacchia Alex, accendendosi una sigaretta.
Scott lo osserva rabbuiato: «Sai che non ci è permesso fumare all’interno dell’istituto.»
«Chi è che ti da noia?» domanda Alex, imperterrito, alzandosi dal letto e sedendosi sul davanzale della finestra che si affaccia sul parco.
«Nessuno mi da noia» spiega Scott, grattandosi la testa, imbarazzato. «O meglio, nessuno mi dice nulla. Tanto ci sono altri bell’imbusti senza cervello da prendere come esempio, a quanto pare.»
«Aspetta, aspetta, aspetta! Fermati un attimo!» Alex alza le braccia, sgranando gli occhi. «C’è una donna?»
«Che?»
«C’è una donna di mezzo, giusto? Hai adocchiato qualcuna?!»
«Ma che stai…» tenta di ribattere debolmente Scott, ma niente riesce a frenare la contentezza del fratello maggiore, che lancia un lungo fischio di giubilo, addirittura avvampando di energia solare per pochi istanti.
«Fermati! Vuoi dar fuoco a tutta la scuola?!» lo brontola Scott, ancora più immusonito.
Ma Alex non sembra badargli: «E chi è?» gli chiede invece. «È carina? Com’è messa a tette?»
«Falla finita» ribatte Scott, esasperato. «Tanto è inutile. Ha già qualcuno per la testa.»
«Oh, beh, ci sono tanti modi per ovviare a questo problema» spiega Alex, spegnendo la sigaretta e gettandosi di nuovo sul letto, accanto al fratello. «Dimentica subito gli insegnamenti della mamma. Fiori, cioccolatini e poesie di porteranno soltanto a masturbarti ossessivamente, crogiolandoti nel ricordo di quella figa che non te l’ha mai data.»
«Sei un poeta, Alex» dice Scott, in tono piatto.
«Non importa quanto bello, brutto, alto o basso tu sia» prosegue l’altro. «Devi riuscire a coinvolgerla mentalmente. Se il suo cervello sarà tuo, allora anche il suo corpo sarà tuo. È molto semplice!»
«Semplicissimo»
«Devi fare qualcosa per attirare la su attenzione» consiglia Alex, quasi come se fosse un coach di una squadra di football e si stesse preparando all’arringa pre-partita. «Devi imporre la tua presenza. Qualcosa che attiri la sua attenzione su di te. Devi entrarle nella testa. Così poi potrai anche entrarle nella…»
«Sì, okay, Alex, basta!» lo mette a tacere Scott. «Sono già abbastanza incazzato senza che tu mi dia i tuoi stupidi consigli!»
«Stupidi consigli?» ribatte Alex, bofonchiando. «Ah! Vedremo! Tu prova a seguire il mio consiglio, poi ne riparleremo.»
«Non credo che lo farò» ammette Scott, afferrando le cuffie dal comò e collegandole al cellulare.
«Allora rimani nell’ombra, mentre altri si pastrugnano la tua amata» conclude Alex, facendo spallucce. «Vado al bagno!» annuncia, con un rutto.
Rimasto solo, Scott comincia a rimuginare. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Qualcosa per attirare la sua attenzione…
 
Città del Messico, paese periferico di Las Vargas
Logan, Tempesta e Jorgen sono da poco arrivati al villaggio di Las Vargas, ormai assorbito dalla dilagante periferia di Città del Messico.
Vi è un caos degno di una metropoli, per le strade del paese, animate di venditori ambulanti, mercanti, taxista, cittadini intenti a far compere, bambini intenti a rubare.
La giovane Tempesta fatica a mantenere il passo di Logan e Jorgen.
«Ehi, fottuta bestia! Quando è stato deciso che io dovessi portare anche il tuo zaino?» si lamenta la ragazza, spostandosi dal volto i lunghi capelli albini, madidi di sudore.
«Quando ho deciso di non sgozzarti e di pararti il culo» mormora Logan, aiutando il vecchio Jorgen ad attraversare la strada trafficata. I tre passano attraverso il traffico, in direzione della stazione per la frontiera.
«Ho alcuni amici, alla frontiera» spiega Jorgen. «Non avranno problemi a fornirci un visto falso per me e per Ororo.»
«Ecco, almeno mi evito la galera. Un’altra volta» brontola Tempesta, sempre al seguito dei due. «Adesso possiamo riposarci?»
«No, non ci fermiamo» ordina Logan, guardandosi intorno, innervosito.
«Che problema c’è? Nessuno oserà attaccarci in mezzo alla folla, no?» chiede Jorgen, forse più per rassicurare se stesso che non per esporre una domanda.
«Non saprei» ammette Logan. «Ma sicuramente se volessero attaccarci passerebbero inosservati, in tutto questo casino.»
«Porca troia» impreca Tempesta. «Ho capito, non ci fermiamo. Fanculo».
I tre si rimettono in marcia.
A pochi metri di distanza, dall’altro lato della strada, una misteriosa figura, avvolta in un lungo impermeabile color castagna, dal volto nascosto dietro a un grosso paio di occhiali scuri e a un grande cappello, li osserva incuriosito.
Ha un’auricolare, all’orecchio.
«Non perderli di vista, Calibano. Non devono lasciare il paese. Uccidili se necessario.»
«Con piacere, signor Di Mauro» risponde il mutante, con un’orrenda voce sibilante.
 
Westchester, Istituto Xavier
Scott si trova nel corridoio che conduce a Cerebro, il grande portone circolare nascosto dietro alla finta parete dove si trova un grande quadro dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Scott guarda assorto la parete, preoccupato.
«Scott?»
Il ragazzo si gira, sorpreso nel sentir pronunciare il suo nome. È Jean.
Scott sorride, imbarazzato. Quel pomeriggio la ragazza è, se possibile, più carina del solito. Indossa una maglietta gialla, molto attillata, jeans bianchi e ha i capelli ramati raccolti in una coda. Lo fissa con gentilezza, bloccandolo con i suoi grandi occhi verdi.
«Oh, ciao, Jean» mormora lui, arrossendo.
«Che ci fai quaggiù tutto da solo?» chiede la ragazza.
«Potrei chiederti la stessa cosa» ridacchia Scott, suscitando una risata in Jean, che risponde: «Touché».
I due si guardano in silenzio per qualche momento.
«Io stavo cercando il professor Xavier» mente Scott, guardandosi intorno in modo vago. «Ma non l’ho trovato. Credo che tornerò agli alloggi.»
«Capito» annuisce Jean. «Io invece ho dato appuntamento qui a Terence.»
Le parole non arrivano subito al cervello di Scott. Quando questi si rende conto di ciò che ha detto la ragazza, ammutolisce.
«Ah…»
Jean sfoggia un’espressione piuttosto strana, che Scott non riesce e non vuole decifrare.
«Allora vuoi uscirci». Non è una domanda. Per Scott, è una constatazione.
Jean arrossisce: «B-beh, perché non dovrei. Lo conosco da un bel po’, è carino»
«Ah, già è carino» la schernisce Scott, sogghignando. «Allora è tutto apposto, che stupido che sono!»
«Ma si può sapere cosa ti prende?»
«Niente, anzi è meglio se me ne vado, almeno ti lascio da sola con quel deficiente.»
Jean si infiamma: «Non so che problemi hai, Summers, ma puoi rimanere tranquillamente. Me ne vado io! Almeno non ti impongo la mia presenza!»
Detto questo, Jean gira i tacchi e si allontana.
Rimasto solo, Scott stringe i pugni, mentre una voce nella sua testa gli grida “fermala! Fermala!”
Sembra esitare, fin quando dal corridoio non fa capolino Terence Coleman.
«Summers?» sembra sorpreso. «Che ci fai come un cretino tutto solo? Senti, hai mica visto Jean?»
Scott rimane in silenzio.
«Okay, grazie comunque!» così Terence fa per andarsene.
Scott digrigna i denti, poi, sempre più risoluto richiama il ragazzo.
«Ehi, Coleman!»
«Che vuoi, Summers? Sono parecchio impegnato, adesso» spiega quest’ultimo.
«Ho visto Jean in camera sua» racconta Scott, sperando che il suo tono risulti più disinvolto possibile. «Ha detto che non ha voglia di incontrare un idiota come te»
Dopo un breve attimo di esitazione, Terence si riprende: «Ehi, ma come ti permetti, quattr’occhi?»
«Stai fermo dove sei o ti faccio saltare in aria» lo minaccia Scott, portando la mano agli occhiali.
Terence si blocca istintivamente, preoccupato.
«Guarda che mi sono accorto che ti piace la Grey» commenta Terence, sempre più incupito. «Quindi vedi di levarti da qui e non fare stronzate. Lei è mia, ho un appuntamento con lei perché lei ha scelto me. Puoi far saltare in aria tutte le persone che vuoi, questo non cambia nulla, Summers.»
«Perché non sa che razza di idiota sei» controbatte Scott, sfidandolo.
Terence scoppia a ridere: «Avanti, Summers, non essere ridicolo. Cosa speri di fare?»
Scott non osa rispondere. Non si muove.
Quando Terence vede che il ragazzo non cede, decide di sfoggiare il suo sorriso più snervante: «D’accordo, facciamo così. Sfidiamoci. Chi vince ottiene Jean. Che ne dici?»
Scott deglutisce, innervosito. Sa che Jean non approverebbe.
«No?» insiste Terence. «Allora adesso fai l’uomo e lasciami andare. E accetta la sconfitta.»
«Va bene, accetto la sfida» si affretta a dire Scott, abbassando la mano dagli occhiali. «Sei mai entrato in Cerebro?»
 
La scena è completamente buia. Non esiste più niente. O forse niente è mai esistito.
A un certo punto compare un albero e sotto di esso una panchina, poi due ragazzini; tutt’attorno a loro vi è un enorme parco verdeggiante.
«Perché stamani non sei venuto a scuola?» chiede uno dei due ragazzini all’altro.
Il più alto dei due gli risponde: «Non credo continuerò a frequentare quella classe. Mia madre dice che quelli come noi non meritano più di stare in una classe di biondi. I soldati hanno portato via anche mio zio, pochi giorni fa. Mia madre dice che noi saremo i prossimi.»
«Nessuno ti porterà via, Erik» commenta aspramente Charles Xavier.
«E chi ha detto che ho intenzione di andarmene?» ridacchia l’altro ragazzino. «Che ci provino pure. Non ho paura di ucciderli. Se si avvicinano a casa mia li ammazzo tutti. Li ammazzo con le mie mani.»
«Non ce la faresti mai» risponde Charlie. «E poi non è una cosa carina da dire.»
«No, ma è la cosa giusta da fare» taglia corto Erik, stringendo la mano a pugno. Uno spillo si alza da terra e fluttua proprio davanti il volto del ragazzo.
 
Istituto Xavier, ufficio del preside
Charles Xavier apre gli occhi. Sente la sua stessa fronte madida di sudore.
Il sole sta tramontando, oltre il parco dell’istituto, gettando i suoi ultimi bagliori aranciati sulla scuola, illuminando le aule di una luce morente.
Moira sta trascrivendo alcuni documenti, seduta alla scrivania del marito.
«Accidenti, Hank dovrà portarci a cena fuori non so quante volte, non appena questa campagna elettorale sarà finita. Queste scartoffie da promoter e sponsor sono interminabili» commenta la donna.
Quando però il marito non le risponde, ella alza lo sguardo: «Che succede?»
Xavier rimane impassibile. Non ha voglia di parlare, ma proietta i suoi pensieri nella mente della moglie.
«Erik?» esclama Moira. «Ancora?»
«Ancora» sospira l’uomo, preoccupato.
Moira si alza, attornia la scrivania e si avvicina a Charles, ponendogli la mano su una spalla.
«Che cosa credi che possa significare?»
Xavier scuote la testa calva, disorientato: «Non lo so, ma quello che so è che Erik LenSherr è in pericolo.»
Moira guarda il marito con un misto di tristezza e compassione: «Ma, Charles… Erik è morto.»
Xavier alza lo sguardo sulla moglie: «No, Moira. Erik è vivo. Sento il suo potere. Erik LenSherr è ancora vivo.»
Moira e Charles si guardano, in silenzio. Non c’è bisogno di parole. Gli anni della gioventù in cui Charles Xavier, Erik LenSherr e Moira Kinross giocavano tutti e tre insieme al parco sembrano riaffiorare con prepotenza nella mente dei due coniugi.
A un certo punto Xavier geme. Un coltello sembra penetrargli nella testa.
«Argh!»
«Charles!» esclama Moira. «Che succede?»
Xavier si massaggia le tempie, lacrimando dal dolore: «Cerebro. Qualcuno sta violando Cerebro…»
 
La scena si sposta nel corridoio che porta a Cerebro.
Alex e Moira camminano fianco a fianco. Alex conduce la sedia a rotelle del professor Xavier.
«Lei è sicuro che sia mio fratello?» chiede Alex, nervoso. «Perché mai avrebbe dovuto violare Cerebro?»
«Non lo so, ma è la mente di tuo fratello che avverto. Ne sono sicuro» afferma Xavier.
«Stupido ragazzo» commenta Moira, ansiosa. «Se la stanza non verrà liberata dagli intrusi il prima possibile, finirà per uccidere i suoi stessi ospiti.»
«Uccidere?!» Alex è incredulo. «State scherzando?!»
I tre si arrestano di fronte la parete con il quadro dei cavalieri della Tavola Rotonda.
«Cerebro è un prototipo che vanta un primato di connessione mentale in tutto il mondo» spiega il professore. «È il fiore all’occhiello di questa scuola e deve essere custodito come un tesoro di inestimabile valore. Io stesso ho ideato le trappole della stanza, per far sì che essa possa difendersi da sola, qualora né io né Moira fossimo nei paraggi.»
Qualcuno corre attraverso il corridoio: «Professore! Professor Xavier!»
È Jean Grey.
«Jean?» Alex è incuriosito nel vederla lì. Xavier invece non batte ciglio: «Hai sentito anche tu?»
«Sì, professore» afferma la ragazza, ansimando e reggendosi un fianco. Evidentemente deve aver attraversato mezza scuola a corsa, pur di raggiungerli. «Sono Scott e Terence. Quei due idioti.»
«Jean, che cosa sta succedendo?!» chiede Moira, sempre più spazientita. «Si può sapere cosa state combinando?»
«Inutile che se la prenda con me!» grida Jean, altrettanto alterata. «Non è colpa mia se gli uomini sono dei completi imbecilli!»
A quel punto, Alex sembra comprendere tutta la situazione.
La sua espressione di sorpresa, però, dura poco; sostituita subito dopo da una nuova ondata di preoccupazione.
«Che razza di idiota che sono. A volte do dei consigli veramente stupidi…»
«Non c’è tempo» Xavier li mette a tacere tutti, premendo un tasto sotto il bracciolo della sua sedia. «Cerebro sta continuando a difendersi. E quei due ragazzi moriranno se no ci sbrighiamo.
Il quadro si sposta di lato, lasciando scoperto un pannello di sicurezza. Moira si avvicina e digita un codice.
A quel punto l’intera parete si fa da parte, mostrando la grande porta circolare di Cerebro.
Il gruppo fa per entrare, ma Xavier li ferma: «No. Entreremo soltanto io e Jean. Le vostre menti non sono abbastanza allenate per sopportare un tal peso.»
Alex si fa da parte, incerto.
Anche Moira si arresta, ma fissa insistentemente il marito: «Charles, stai attento.»
Jean e il professore entrano nella stanza, che si richiude alle loro spalle.
Al di là di essa, regna il silenzio più assoluto. Non sembra che successo assolutamente nulla.
Tuttavia, in fondo alla pedana, Terence Coleman e Scott Summers sono immobili, bloccati a mezz’aria, i volti contorti in strane espressioni di dolore, la bocca schiumante di saliva e gli occhi sbarrati.
Jean conduce Xavier al casco di Cerebro. Il silenzio regna ancora sovrano. I ragazzi, in preda alle allucinazioni mentali di Cerebro, sembra quasi non respirare.
«Jean, io entro nelle loro teste» spiega Xavier, afferrando il casco e infilandoselo sul cranio. «Non appena avvertirai la presenza mentale di tutti e tre e sentirai allentare la presa di Cerebro, tiraci fuori.»
«D’accordo, professore» Jean annuisce, risoluta.
«Ah, stai attenta» aggiunge Xavier. «Cerebro, a quel punto, potrebbe rivolgere la sua attenzione su di te.»
Jean sbatte le palpebre, cercando di mantenere la calma.
Xavier chiude gli occhi e si immerge in Cerebro.
Il caos esplode attorno a lui.
Vi sono fiamme e boati ovunque. Lingue di fuoco blu attorcigliano immediatamente le caviglie di Xavier che riesce a liberarsene, respingendole con la mente.
Non appena è libero, un enorme artiglio sembra aggrapparsi alla sua testa, cercando di asportargliela di forza, ma Xavier sa che è soltanto un’illusione di Cerebro e resiste.
Non altrettanto fortunati sono stati Scott e Terence.
Il primo sta tentando di liberarsi da alcuni fili spinati che si stanno attorcigliando attorno e dentro al suo corpo. Alcuni cavi lo perforano dalla bocca, dagli occhi. Il ragazzo si è tolto gli occhiali: evidentemente ha provatoad usare il suo potere, senza risultato.
“Inutile” pensa Xavier. “Tutto questo non sta accadendo”.
Terence invece è interamente avvolto dalle fiamme e sta fuggendo, inseguito da alcune bestie inferocite, simili a polipi giganti, ma piumati.
Xavier fa per avvicinarsi ai due, ma il pavimento sembra crollare e il professore cade in una voragine senza fondo, sentendo il suo stomaco torcersi e il cuore salirgli in gola.
“Avrei dovuto orchestrare qualcosa di meno complesso” pensa l’uomo.
Non c’è modo di arrestare Cerebro. Xavier continua a cadere, non può aggrapparsi a nulla. E cade. Cade. Cade.
A un certo punto qualcosa lo trae in salvo; sembra un volatile.
Si sente artigliare il petto e si rende conto di essere sulla cima di un’enorme torre tempestata da una pioggia sferzante.
Scott e Terence sono a terra, in preda alle convulsioni. Accanto a loro vi è un’aura calda e seducente.
«Jean!» la riconosce Xavier. «Ti avevo detto di aspettarmi fuori!»
«Lo so, ma non potevo stare in attesa! Mi dispiace, professore!» grida la ragazza.
La torre esplode e si rovescia, cadendo in un enorme vortice elettrico. I ragazzi sono i primi a scivolare via, ma Xavier li afferra al volo.
Dall’altra parte, però, un’enorme artiglio cerca di portarli via, di strapparli con forza dalla presa del professore.
«Jean! Esci da qui!» grida Xavier, mentre avverte la sua pelle intorpidirsi e sciogliersi. Non deve cedere alla paura; è tutta un’illusione. Eppure sembra così reale.
«Porta via Scott e Terence! ESCI!»
Jean afferra i due ragazzi e sparisce nel nulla. Xavier è rimasto solo. Adesso l’artiglio sta traendo lui a sé.
Xavier si lascia andare e tutto il vortice esplode in un’enorme bolla.
Xavier avverte le sensazioni più disparate: sembra che della sabbia gli stia entrando dalle narici, affogandolo, ma a pensarci bene sembra di essere sott’acqua. No è totalmente trafitto da lame acuminate, che gli trapassano la pelle da parte a parte.
“Resisti” si fa forza Xavier. “Resisti!”
Cerebro sta gradualmente riconoscendo il suo padrone. Le difese stanno calando.
La mente di Xavier si fa sempre più debole, fin quando tutto il suo mondo si chiude a riccio, trasformandosi in una stanza bianca.
Charles Xavier si guarda attorno. Ha tutta l’aria di essere la stanza di qualche sorta di sanatorio.
Davanti a lui, avvolto in una camicia di forza, vi è un uomo sulla cinquantina, dai capelli ingrigiti, ma dagli inconfondibili occhi gelidi e strafottenti.
Erik LenSherr lo scruta, sorridendo.
«Erik…» sussurra Xavier, cercando di avvicinarsi. Solo allora si rende conto che tra i due vi è una lastra di vetro.
«Ciao, Charlie» mormora Erik. «Vedo che il tempo è stato impietoso anche con te.»
«Sei vivo» sorride Charles, toccando la lastra di vetro come se sperasse di affondarci dentro.
«Non lo sono mai stato veramente» lo corregge Erik. «Ma sì, diciamo che sono vivo.»
«Mi dispiace…» Xavier tocca il vetro con la testa, chiudendo gli occhi. «Se solo avessi saputo… se solo ti avessi avvertito prima….»
«Le strisce blu mi tengono prigioniero» lo interrompe Erik. «Il magnete imprigiona Magneto, Charlie. Aiutami. Liberami da questo palazzo.»
«Cosa? Dove sei? Quali strisce? Quale magnete?» chiede Xavier, attonito. «Devi essere più preciso, Erik. E più veloce. Non ho molto tempo!»
«Tempo» mormora Erik, chiudendo gli occhi. «Anche di quello non ne ho mai avuto.»
«Erik! Erik!» la scena si ripete esattamente come decenni prima. Charles Xavier scivola via, lontano dal suo amico. Lontano dal mondo.
 
Quando il professore riapre gli occhi, si rende conto di essere caduto dalla sedia a rotelle. La schiena è trafitta da dolori lancinanti.
«Charles! Charles!» grida qualcuno attorno a lui.
Vi è Moira, e alle sue spalle, Xavier avverte la presenza di Alex e di Jean.
«Dove sono i ragazzi?» mormora Xavier. «Scott e Terence. Dove sono?»
«Sono caduti in coma, professore» ammette Jean. «Ma riusciremo a farli riprendere.»
Il coma. Grazie al cielo Cerebro è stato molto più caritatevole di quanto Xavier si fosse aspettato.
«Magneto» sussurra poi a Moira. «Magneto è vivo.»
Moira sgrana gli occhi, incredula. Si tappa la bocca con le mani.
Xavier annuisce e scoppia a ridere: «È vivo. E lo troverò.»
«La smetta di farneticare, professore» lo interrompe Alex, issandolo di peso e portandoselo in collo. «Adesso usciamo da qui.»
Ma Xavier non ha pensieri che per altro se non Erik. Erik è vivo. È l’unica cosa che conta veramente.
 
Messico, treno merci diretto alla frontiera statunitense
Il vecchio treno diretto alla frontiera è appena partito. Non è un treno da viaggio, non dovrebbe ospitare passeggeri, ma soltanto casse, attrezzi, cibi e merci varie. I vagoni di coda però ospitano tutti coloro che fuggono dal Messico, tutte quelle anime perse che vagano alla ricerca di speranza, confidando in un futuro migliore. Spesso, vi sono donne e molti bambini; più difficilmente si vedono anziani, che arresisi alle loro vite, non attendono altro che morire tra quelle terre dimenticate.
Quel giorno, tuttavia, vi sono solo uomini.
Logan, Jorgen e Tempesta lasciano andare le pesanti valigie e si accovacciano a terra, prendendo un attimo di pausa dal loro lungo viaggio.
Tempesta poggia la testa fuori dall’apertura del vagone, lasciando che la forte velocità e il vento la avvolgano completamente. Jorgen le intima di non stare così sporta, ma neanche prova a trarla indietro.
Logan invece si accascia totalmente contro la parete. Si accende un sigaro.
«Credi che ti sia concesso fumare all’interno del treno?» domanda Jorgen, accovacciandosi accanto al mutante.
Logan allunga un secondo sigaro in direzione dell’anziano: «Non siamo proprio in prima classe.»
Jorgen prende il sigaro offertogli e se lo fa accendere con lo zippo color bronzo.
Molti uomini li guardano, seriosi.
«Allora, cosa faremo una volta raggiunti gli Stati Uniti?» chiede Jorgen. L’anziano si volta a guardare Tempesta, che nel frattempo ha indossato le sue cuffie dell’Ipod, estraniandosi dal resto del mondo.
«Niente di diverso rispetto a ciò che facevate in quello schifo di baraccopoli» ammette Logan. «Ma almeno non sarete più sotto la giurisdizione di Di Mauro».
Jorgen annuisce, sospirando: «Sarà dura. Non posso sperare di immergermi nuovamente nel mio lavoro. Saranno mesi duri. Già, lo so.»
«Sì, lo saranno. E state pur certi che Di Mauro continuerà a darvi la caccia.»
«Soltanto Di Mauro?» ironizza Jorgen, voltandosi verso Logan. «Ho sentito che voialtri non ve la passate tanto meglio negli Stati Uniti. Alla gente non andate a genio.»
«I normo ci vedono come fenomeni da baraccone» afferma Logan, scuotendo a terra la cenere del sigaro. «Ma in realtà, se vuoi sapere come la penso, siete tutti quanti gelosi delle nostre abilità. Ci vedete come dei maghetti fantastici che riescono a cavare conigli fuori dai cappelli.»
Jorgen Muraz ridacchia: «Forse. Ma provo compassione per le tante vite che sono state spezzate. Soltanto perché mutanti.» Logan osserva attentamente il vecchio meccanico. Sembra sincero.
«A volte mi domando cosa ne sarebbe stato di Ororo, se non l’avessi trovata e accudita» prosegue Jorgen. «E sempre più spesso mi domando cosa ne sarà di lei dopo che avrò smesso di farlo.»
Entrambi gli uomini rimangono in silenzio.
«Non è esattamente quella che si dice una ragazzina indifesa» esordisce Logan, dopo qualche attimo di esitazione. «Ma pur sempre una ragazzina rimane» lo interrompe Jorgen, guardando il volto assente di Tempesta che, a labbra leggermente dischiuse, sembra cantare una canzone.
«Non potrà proteggerla per sempre» ammette Jorgen. «E dove stiamo andando è una realtà che non mi appartiene. Forse è un stato bene che ti abbiano inviato a ucciderla.»
Logan distoglie lo sguardo dal sorriso del meccanico. Gli uomini continuano a fissarli.
«Non credo stiano apprezzando il fumo nel vagone» commenta Jorgen.
Logan non risponde. C’è qualcosa di profondamente scomodo in quell’ambiente. Non vi sono donne. Non vi sono bambini. Non vi sono anziani. Jorgen e Tempesta sono l’unico vecchio e l’unica adolescente presenti nel vagone.
Poi Logan vede un uomo in particolare. Non può vederlo in volto. Indossa un lungo impermeabile, un cappello che gli copre parzialmente il volto, spessi occhiali rotondi, una sciarpa.
Logan si guarda intorno: altri uomini li guardano.
«Merda» sussurra.
L’uomo fa per estrarre gli artigli, ma l’intera squadriglia del vagone estrae le armi.
Jorgen geme e Tempesta strilla di sorpresa, togliendosi immediatamente le cuffie dalle orecchie.
Più veloce di un lampo, Logan balza in piedi, si getta selvaggiamente su un uomo, sgozzandolo, salta indietro e ne agguanta un secondo per la gamba, scaraventandolo addosso ad altri due compagni.
Alcuni di loro fanno fuoco, ma Tempesta li fulmina istantaneamente. I pochi rimasti fanno per gettarsi dal vagone in corsa, ma Logan li trafigge, lasciandoli accasciati al suolo.
L’uomo in impermeabile si avventa su Tempesta, ma Jorgen e Logan cercano di bloccarlo.
«Chi diavolo sei?!» grida Jorgen. Quello, per tutta risposta, si toglie occhiali, cappello e sciarpa, rivelando una creatura butterata da cicatrici e scottature, dalla pelle bianca come la neve.
«Calibano, segugio schifoso» mormora Logan. «Da quando sei alle dipendenze di Di Mauro?»
«Da quando Bentch non elargisce più il compenso che mi spetta» gracchia la creatura, con voce disumanamente roca. «Di Mauro è un offerente ben più consistente. Non puoi immaginare quanto denaro io abbia preso per seguire la ragazzina fin qui.»
Logan si toglie la giacca e si para di fronte a Jorgen e Tempesta.
«Logan!» esclama Calibano, divertito. «Logan! Logan! Ma che cosa stai facendo? Davvero sto vedendo il grande animale selvaggio Logan Howlett pararsi di fronte un misero vecchio e una ragazzetta? Che cosa ti è successo?»
«Non fraintendere, Calibano» risponde Logan, preparandosi allo scontro. «Evito che altri vedano quell’ammasso di merda che ti ritrovi al posto della faccia.»
Dopodiché si avventa su di lui. Il killer però si scansa di lato e si catapulta addosso a Jorgen e Tempesta. Improvvisando, Jorgen spinge via la ragazza e ferisce Calibano con il sigaro.
Il killer urla di dolore, coprendosi la fronte: «Figlio di puttana!» Afferra il meccanico per il collo, lo solleva di peso senza problemi ed estrae l’altra mano da sotto l’impermeabile, mostrando un lungo guanto artigliato.
Logan tenta di saltare addosso a Calibano, ma questo lo calcia via senza problemi e l’uomo cade giù dal vagone, sparendo nel deserto sabbioso, mentre il treno corre rapido verso la frontiera.
«No!» Tempesta grida.
La mano di Calibano trafigge lentamente il vecchio meccanico, che spalanca gli occhi, atterrito dal dolore e dalla paura.
Tempesta, tuttavia, accumula un’enorme sfera di energia elettrostatica, scagliandola addosso a Calibano, che lascia andare Jorgen e cade all’indietro.
Jorgen stramazza al suolo, ansimante.
«Cosa credi di fare, stronzetta?» ringhia il killer, digrignando i suoi denti giallastri.
Senza attendere ulteriormente, Tempesta si volta e fugge dal vagone, arrampicandosi sul tetto del treno. Il vento è molto forte e rischia di spazzarla via, ma almeno Calibano starà lontano da Jorgen, che avrà il tempo di riprendersi.
«Dove scappi, Ororo?» ride il killer, afferrandola per la caviglia e cercando di trascinarla di nuovo all’interno del vagone.
La ragazza urla, terrorizzata. Sente la mano grinzosa afferrarla e tirarla giù. La mano è fredda. Fredda come la morte. A un certo punto, avverte l’urlo di dolore di Calibano, che lascia andare la presa.
«Non abbiamo ancora finito, signor tintarella!» grida Logan, balzando fuori da sotto il vagone e artigliando Calibano al petto. Il killer tenta di liberarsi dalla presa, ma Logan lo scaglia sul tetto del vagone, balzandovi anch’egli sopra.
Logan, Tempesta e Calibano si ritrovano tutti e tre all’aperto, al vento, mentre il deserto sfreccia veloce attorno a loro.
«Tempesta! Torna di sotto e assisti il vecchio!» grida Logan, alzandosi in piedi. La ragazza non se lo fa ripetere due volte.
«Che dolce. Sembri quasi un uomo buono e pieno di principi, Howlett!» sogghigna Calibano, estraendo l’artiglio da sotto l’impermeabile. «Ma per quanto ti sforzi, non potrai mai essere un uomo. Chi nasce bestia, bestia rimane!»
«Allora immagino che, da bestia quale sia, è inutile parlare» risponde Logan a tono, correndo verso il killer ad artigli sfoderati.
Calibano blocca l’impatto con la sua mano artigliata, mentre con l’altra agguanta Logan per il collo, sollevandolo senza difficoltà.
«Sai, è stato difficile trovare la signorina Munroe» ammette Calibano, studiando Logan con il suo sguardo da psicopatico. «Sentivo la tua puzza da oltre cento chilometri di distanza.»
«Senti anche questo, allora!». Logan tira un calcio in pieno volto a Calibano, che grida al suono scricchiolante del suo setto nasale, andato in frantumi. Caduto a terra, Logan si rialza e afferra Calibano per un braccio scaraventandolo via. Il killer oppone una fiera resistenza finché qualcosa non lo colpisce alle spalle.
Una violenta scarica elettrica di Tempesta colpisce il killer tra le scapole, mandandolo a gambe all’aria; è la distrazione perfetta di cui aveva bisogno Logan, che trafigge le gambe di Calibano con gli artigli.
Il killer grida di dolore, cercando di allontanarsi dall’uomo, trascinandosi con le braccia.
«Finito di fare lo spavaldo, stronzo?» commenta Logan, avvicinandosi a Calibano e voltandolo.
Questo sogghigna: «Uccidimi… uccidimi pure. Tanto è l’unica cosa che sai fare nella vita. Ma sappi che… qualcun altro porterà via la ragazzina. E qualcuno verrà… anche… anche per te.»
Logan sospira, fingendo apprensione: «Quel qualcuno non sarai certamente tu» detto ciò, lo scaraventa di sotto dal treno. Gridando di rabbia e dolore, Calibano sparisce in un grande polverone di sabbia e sangue.
Logan e Tempesta tornano di sotto, all’interno del vagone.
«Jorgen!» geme la ragazza, correndo dall’anziano, che respira affannosamente, immerso in una pozza di sangue.
Anche Logan si avvicina a lui: «Vecchio…»
Jorgen alza lo sguardo affaticato su Logan: «Sembra che… sembra che dovrai badare a lei… prima… prima del previsto».
«Zitto. Adesso troviamo delle bende» mormora Logan, senza avere la benché minima idea di dove poterle trovare.
«Ma per favore…» bofonchia Jorgen. «Quando… quando un’auto è vecchia basta poco per romperla. Dopodiché… anche se si aggiusta mille volte… prima o poi… prima o poi andrà rottamata.»
Tempesta lo abbraccia, tenendolo da sotto la testa, anch’essa impregnata di sangue scuro.
«Mi dispiace, Ororo» sussurra il vecchio, annaspando sempre più faticosamente alla ricerca di ossigeno. «Non… ti ho dato il lusso che… che avrei voluti darti…»
Jorgen sposta lo sguardo già spento su Logan, che annuisce: «Starà bene. Penserò io a lei.»
«Stai zitto! Non morirà!» grida Tempesta, scoppiando in lacrime.
«È già morto» sentenzia Logan, voltandosi di spalle.
A quel punto, le lacrime di Tempesta si fanno più silenziose, ma più copiose e disperate.
Mentre il treno continua a sfrecciare lungo il deserto, in direzione della frontiera, il sole svanisce di punto in bianco, lasciando il campo a enormi nuvoloni neri, più neri del demonio, carichi di una tremenda pioggia di dolore.
 
Westchester, Istituto Xavier
Nel parco dell’istituto, in una bella giornata assolata, Jean sta studiando chimica su uno dei tavolini di legno. È da sola, circondata dal profumo dei fiori e dall’aria più primaverile che autunnale.
A un certo punto una figura si para di fronte a lei. È Terence Coleman.
Scott Summers, da lontano, assiste alla scena: Jean e Terence si scambiano poche parole, prima che il ragazzo se ne vada, visibilmente avvilito.
A quel punto, Scott inspira e prende coraggio; attraversa il parco a grandi falcate e si avvicina a Jean.
«Ciao, Jean» la saluta, imbarazzato. La ragazza alza di nuovo lo sguardo, sorpresa.
«Ciao» mormora. «Allora ti sei svegliato anche tu»
«Beh, non considerando che tecnicamente non mi sono mai addormentato e che il coma è durato circa due settimane, sì, mi sono svegliato.»
Jean scuote la testa, sorridendo amaramente: «Nessuno ti ha detto di entrare in Cerebro.»
Scott non osa controbattere; ha perfettamente ragione.
«Posso sedermi?» chiede.
«Sì, puoi» annuisce Jean, senza guardarlo e continuando a leggere le sue pagine di chimica.
«Sono stato un completo idiota» ammette Scott, costernato. «Ho agito d’impulso, proprio come mio fratello, e ho fatto la figura dell’idiota.»
«Vuoi dirmi che è stato tuo fratello a dirti di entrare in Cerebro?» chiede Jean, scettica.
«Non proprio» cerca di spiegarsi Scott. «Mi ha consigliato di provare a fare qualcosa di audace, per…» ma non continua il discorso.
Jean lo scruta negli occhi, arrossendo.
«Per attirare l’attenzione degli altri ragazzi e farseli amici» mente Scott, tamburellando con le dita sul tavolo.
«Che cosa stupida» sentenzia Jean. «Questo è proprio il genere di cose che si potrebbero fare per una donna».
«B-beh, sì. Sarebbe comunque stupido!» sorride Scott, ancora più imbarazzato di prima.
«O magari qualcosa di veramente forte» lo corregge Jean. «Tutti sanno regalare cioccolatini, fiori e belle parole. Terence ne è l’esempio lampante. Meno hanno la creatività di entrare in una stanza psichica e rischiare di morire per attirare l’attenzione di una ragazza.»
Scott rimane allibito e si chiede se per caso non gli abbia appena letto nel pensiero.
«Dici che è una cosa forte, quindi?»
«Dico che è un gran modo di attirare l’attenzione» ridacchia Jean, lanciandogli scherzosamente una pallina di carta addosso. «Ma è comunque la cosa più idiota a cui abbia mai assistito!»
Entrambi scoppiano a ridere.
 
Istituto Xavier, Cerebro
Charles Xavier è completamente solo, immerso nel silenzio.
Il professore s’infila il casco mentale e chiude gli occhi, tentando di abbracciare tutti coloro che ama: vede i giovani Scott e Jean conversare piacevolmente nel parco, i libri di studio, abbandonati in un angolo; vede Alex in camera sua, intento a far finta di sparare come un vero poliziotto; vede la sua amata Moira insegnare a una classe di bambini. Poi il casco fa effetto e amplia i suoi poteri.
Vi sono così tanti mutanti al mondo che Xavier perde il conto, rischiando di essere sopraffatto dal potere di Cerebro: vede un uomo dall’aspetto selvaggio e una ragazzina di colore ma dagli arruffati capelli bianchi intenti a scrutare l’orizzonte di una pianura, di fronte a una lapide.
Infine Xavier si ritrova nella stanza bianca.
Erik LenSherr lo guarda insistentemente con il suo sguardo di ghiaccio. E Charlie ricambia lo sguardo.
 
Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier                       
Moira Kinross
Erik LenSherr/Magneto
                                             
(Hank McCoy e Elisabeth Braddock non compaiono nell’episodio)
 
Personaggi secondari:
Jorgen Muraz
Calibano
Terence Coleman
   
 
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