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Autore: Akatsuki    10/04/2017    0 recensioni
E se esistesse un altro biju oltre gli altri nove? E se il jinchuuriki di questo demone fosse una ragazza?
E se questa ragazza incontrasse Gaara, cosa potrebbe accadere ai due?
Estratto dal V Capitolo:
Gaara poggiò le mani a terra e si mantenne con le braccia per non cadere, mentre era ancora inginocchiato. Kaen si allontanò di diversi passi dalla figura del Kazekage, che con il respiro affannato si limitava a fissare sconvolto il pavimento. Kaen tremò e si abbracciò le spalle, tentando di non cedere e correre ad abbracciarlo.
«Mi dispiace tanto…» sussurrò piano, e Gaara a quelle parole alzò di scatto la testa e fissò la ragazza così intensamente che questa pensò di potersi spezzare sotto quello sguardo accusatore.

[GaaraxOC] [Primi 4 capitoli revisionati]
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kankuro, Matsuri, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara, Temari
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
Capitoli:
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dreams of the desert.













VI Capitolo.
Se qualcuno avesse detto a Kaen che la sua vita sarebbe stata così tranquilla e serena nel momento in cui avesse messo di nuovo piede a Suna, di certo avrebbe compiuto quel passo molto tempo prima. Problemi permettendo. E nessuno poteva negare che lei, di problemi, ne avesse abbastanza. Primo fra tutti, lo stesso Kazekage era un enorme problema. Più o meno.
Dal giorno in cui Gaara e Kaen si erano ritrovati erano passate diverse settimane, e dopo quella notte passata ad osservare il cielo stellato in silenzio i due pian piano avevano cercato di ricostruire il loro rapporto meglio che potevano. Entrambi sapevano bene che non erano più gli stessi bambini di dieci anni prima e che non sarebbero mai potuti tornare indietro, ma Kaen sperava intensamente di riuscire ad avvicinarsi il più possibile a Gaara. Voleva a tutti costi conoscere il suo passato, voleva stargli accanto come nessuno aveva mai fatto e voleva essere la persona in grado di riempire il vuoto del suo cuore. Voleva conoscere tutti di lui e allo stesso modo voleva farsi conoscere, era stanca dei segreti che costellavano la sua vita e voleva aprire il suo cuore e la sua anima al solo ragazzo a cui tenesse dal profondo del suo essere. Non sapeva cosa significasse la sua presenza per Gaara, né sapeva cosa pensasse lui di lei o cosa gli passasse per la testa, ma desiderava che lui le parlasse sinceramente come facevano da bambini. Semplicemente, voleva essere importante per lui.
Il rosso d’altro canto non sapeva come sentirsi nei confronti di quella persona che così d’improvviso si era fatta spazio nella sua vita, sorprendendolo. Capiva che fosse ancora preziosa per lui nonostante il tempo passato e che voleva che gli stesse accanto, ma il risentimento gli stava mangiando lentamente l’anima. Non riusciva a capacitarsi del fatto che lei lo avesse lasciato lì da solo, che fosse scappata da lui nel momento in cui aveva più bisogno della sua presenza, lasciandolo in balia degli eventi che avevano deciso inesorabilmente l’andamento della sua vita. Dal giorno della sua scomparsa dal villaggio e dalla sua memoria, Gaara aveva continuato a sopravvivere come aveva sempre fatto e le sventure avevano ripreso a farsi spazio nella sua vita, distruggendola. Il padre, il quarto Kazekage, aveva iniziato ad attentare alla sua esistenza nei peggior modi possibili ed infine, abbandonato dai fratelli e perfino dallo zio, Gaara si era lasciato travolgere dall’odio e dal rancore diventando il mostro che aveva sempre cercato di evitare, invano. In cuor suo sapeva che non era colpa di Kaen, che lei era sempre stata lì con lui e che gli voleva bene esattamente come lui ne voleva a lei, ma continuava anche a chiedersi se le cose sarebbero andate diversamente se lei fosse rimasta al suo fianco. Forse sarebbe stato in grado di resistere all’oscurità dentro di lui e non avrebbe avuto bisogno di quel biondo ed esuberante ragazzino per riprendere in mano la sua vita. Forse, se lei ci fosse stata, lui non avrebbe mai smesso di amare quella vita che tanto gli aveva tolto.
Ma ormai era passato, lui era lì ed era il Kazekage. Dopo tanti sforzi, aveva guadagnato il titolo di difensore del suo villaggio, guadagnandosi la stima della maggior parte del suo popolo. Ma nonostante questo non riusciva a spiegarsi il senso di desolazione che continuava ad esistere nel suo cuore; aveva dei fratelli che tenevano a lui, un’allieva che lo aveva scelto andando contro la paura che tutti provavano per lui e un amico che era riuscito a salvarlo da se stesso, ma non era abbastanza. Anche circondato da centinaia di persone la solitudine non spariva mai, aveva dei legami importanti che però non bastavano a riempire il vuoto del suo cuore.
E in quei momenti di malinconia, mentre osservava il tramonto cingere dolcemente le forme del  villaggio della Sabbia con la sua tiepida luce, Sabaku no Gaara si chiedeva di cosa ancora avesse bisogno per riempire il deserto che era la sua anima.
 
 
Nei giorni che avevano seguito quella notte così particolare e molto silenziosa, Kaen aveva iniziato a fare compagnia al Kazekage sempre più spesso. Era ormai raro non trovarla nell’ufficio del ragazzo, in silenzio, mentre seduta sul divano posto di fronte la scrivania osservava Gaara intento a firmare documenti e a timbrare fogli. Nessuno dei due disprezzava la compagnia dell’altro, anzi, e il rosso aveva accettato di buon grado la presenza costante della mora in quella stanza dove passava la maggior parte del suo tempo. Spesso gli rivolgeva delle domande, e lui ne rivolgeva a lei, e così i giorni passavano e i due non potevano fare a meno di avvicinarsi sempre di più, memori di un legame che in fondo mai si era sciolto. Kaen era sinceramente l’unica persona che Gaara riuscisse a tollerare per così tante ore, l’unica i cui silenzi non lo mettessero a disagio, l’unico sguardo che percepisse come un piacere e non una condanna, un giudizio. A Kaen non importava che nessuno dei due riuscisse a parlare molto, era semplicemente bello scrutare il ragazzo di tanto in tanto mentre si intratteneva leggendo un libro o assistendolo nei suoi compiti di Kazekage. Era un accordo silenzioso fra i due, stavano bene in reciproca compagnia e così sarebbe dovuto rimanere.
«Ka-ze-ka-ge-sama» canticchiò Kaen, lanciando via il libro di genjutsu che stava cercando di imparare. Non era mai stata brava con le illusioni, e nemmeno sentiva il bisogno impellente di diventarlo. Si stava annoiando terribilmente.
«Non ricordo nemmeno più quante volte ti abbia già detto di non chiamarmi così» accennò l’interpellato, alzando lo sguardo dai rapporti che stava leggendo da diverse ore. Kaen non faceva che chiamarlo «Kazekage» ogni volta che voleva prenderlo in giro, lui lo sapeva bene e non negava che lo divertisse.
«Sì, Gaara-sama» ridacchiò lei, usando comunque l’onorifico alla fine del nome. Non lo faceva mai, ma era bello punzecchiarlo. Gaara sospirò piano. «Cosa c’è?» chiese infine.
«Quando hai intenzione di lasciar perdere quelle scartoffie?» distese le gambe in aria. «Vorrei uscire un po’ fuori, con te» dichiarò sorridente. Gaara a quel sorriso perse un battito, ma non lo diede a vedere.
«Ho quasi finito. Dove vorresti andare?» domandò poi, curioso. Kaen non aveva mai mostrato l’intenzione di andare in giro per il villaggio, insieme a lui poi. Ne era felice, ma lo ammise solo a se stesso.
«Non saprei in realtà» confessò lei, contrariata. Gonfiò le guance. «Non c’è un posto che io non conosca in questo villaggio, lo sai.»
«In questi giorni si stanno tenendo i festeggiamenti per il settantesimo anniversario della nascita del villaggio, allestiscono tanti banchi diversi. Ti andrebbe di andarci?»
 Forse avrebbe dovuto farsi avanti prima di lei nel chiedere di passare del tempo in compagnia, ma non ne aveva avuto il coraggio. E se avesse rifiutato? D’altronde quando erano insieme nel palazzo non parlavano poi molto, ma in ogni caso Kaen aveva risolto il problema per entrambi.
La suddetta si allargò in un grosso sorriso. «Certo che mi andrebbe!»
Adorava i festival, l’aria festosa che si respirava, i banchetti con tantissimi cibi diversi e le decine di giochi diversi che non vedeva l’ora di provare. Era una patita di certe cose, si divertiva sempre un mondo e sfortunatamente aveva avuto poche occasioni di partecipare, perciò era doppiamente contenta.
«Allora ci incontreremo al calar del sole nella piazza principale» concluse Gaara, tornando ad immergersi nel suo lavoro. Kaen sbuffò e si avvicinò alla scrivania del capo villaggio, sedendosi con grazia sulla superficie non coperta dai fogli.
«Hai bisogno di una mano?» chiese. Gaara scosse semplicemente la testa in un muto diniego, continuando a scrivere.
«Posso chiederti una cosa, quindi?» Il rosso alzò lo sguardo e lo puntò sulla ragazza, che si stava arricciando distrattamente una ciocca di capelli con un dito, guardando il paesaggio dalla finestra.
Kaen lo prese come un invito a continuare. «Potresti parlarmi di cosa è successo» esitò un secondo. «dopo che sono andata via? » concluse, sistemandosi meglio sulla grande scrivania. Gaara seguì con gli occhi i movimenti del suo corpo, silenzioso come sempre.
«Perché vuoi saperlo?»
«Perché ho la sensazione che non sia nulla di bello» ammise lei, torturandosi il labbro inferiore con i denti. Aveva questa strana sensazione da diverso tempo, come un ombra che seguiva Gaara perennemente. Lo aveva notato negli sguardi degli abitanti del villaggio, nel modo in cui gli altri gli si rivolgevano, persino nello sguardo di lui aveva notato qualcosa di strano. Voleva sapere.
Gaara posò la penna e si lasciò andare sulla sedia, poggiando le mani sulle gambe e rimanendo in silenzio. Preoccupata dal prolungato silenzio, Kaen si girò finalmente a guardarlo e notò la sua espressione. Non sapeva come definirla, era la solita di sempre ma mentre la osservava così intensamente fece caso ad un sentimento che non aveva mai scorto prima d’ora negli occhi del Kazekage. Era angosciato.
«Non credo ti farà piacere saperlo, allora» constatò Gaara massaggiandosi con forza le tempie. Gli stava scoppiando la testa. La mora fece per poggiargli la mano sulla spalla, preoccupata, ma si trattenne.
«Non importa. Se riguarda te, voglio sapere tutto» affermò lei, trovando infine il coraggio di sporgersi verso di lui e poggiare una mano sulla fronte di Gaara, spostando le sue dita e massaggiandogli con delicatezza le tempie con le proprie, fresche e carezzevoli. Lui sussultò ma non disse nulla.
«Di cos’è che hai tanta paura?»
«Se te lo dicessi, non mi guarderesti più con gli stessi occhi di ora» mormorò il Kage. Era la prima volta che parlava in quel modo, davanti a lei per giunta. Aveva paura che lei potesse voltargli le spalle, ancora, e le rivolse uno sguardo triste e confuso allo stesso tempo, perché non capiva il groviglio di sentimenti che gli appesantiva il petto.
Kaen gemette piano. Quello sguardo non sarebbe dovuto esistere. «Non credo sia possibile» ammise piano.
Lo pensava davvero. Qualsiasi cosa lui le avesse raccontato, paragonato a ciò che era lei sarebbe stato nulla. Era lei a doversi preoccupare, non lui.
«Non è il caso di parlarne ora» sospirò Gaara, spostando gentilmente la mano di Kaen dal suo viso. A quel punto la ragazza con un piccolo salto scese dalla scrivania e gli diede le spalle, avviandosi verso l’uscita.
«Bene, ne parleremo un’altra volta» concluse, ed uscì dalla stanza sentendo lo sguardo di fuoco del Kazekage puntato sulla propria schiena. Non ebbe il coraggio di incontrare di nuovo quegli occhi acquamarina che tanto la facevano emozionare e se ne andò senza voltarsi indietro.
 
 
Era arrivata da diversi minuti al centro del villaggio e Kaen aveva già notato l’atmosfera rilassata e allegra che aveva circondato l’ambiente in quella calda serata estiva. Coppie che passeggiava mano nella mano, bambini euforici che correvano da un angolo a un altro ridendo felici, vecchietti sorridenti che sedevano placidi sulle panchine disseminate per le strade, tutto le dava una sensazione di pace e tranquillità che la fece sentire a casa per la prima volta dopo tanto tempo. Mancava solo una cosa in verità e mentre si guardava intorno incuriosita iniziò a passeggiare in modo distratto in quella piazza tanto grande, braccia incrociate dietro la schiena e lo sguardo attento, che osservava la vita che le scorreva davanti. La verità era che senza Gaara al suo fianco, in quel villaggio tanto grande non riusciva a sentirsi completamente a suo agio. Era abituata fin da piccola a stare con lui, a percorrere quelle stradine con la sua piccola figura accanto e a stringergli forte quella manina tanto calda e ora, a distanza di anni, non riusciva a stare da sola in quel luogo così affollato. Sospirò e si diede della stupida a pensare quelle cose; aveva vissuto da sola per un sacco di tempo e ora che lo aveva rivisto già cominciata a vacillare.
Si fermò improvvisamente dietro una panchina rivolta verso in centro della piazza dove due anziani signori sedeva e confabulavano tra di loro a bassa voce. Aveva sentito chiaramente però il nome di una certa persona e non era riuscita a far finta di nulla, così facendo leva sul suo udito da ninja particolarmente sviluppato si posizionò alle spalle dei due signori e finse un’aria disinvolta, guardando altrove.
«E quindi, cosa nel pensi del nostro nuovo Kazekage? Sembra un ragazzo in gamba ormai» affermò uno dei due vecchietti, sporgendosi verso il suo compare con sguardo vivace.
«Non saprei proprio, sono abbastanza scettico. D’altronde lo sai anche tu, no? Quello che si dice su di lui.»
«Come potrei non saperlo, non è mica un segreto. Certo che è un vero peccato, un giovanotto come lui con un fardello tanto pesante!»
«Non sta a me giudicare, ma se succedesse di nuovo ciò che è accaduto anni fa… Non possiamo mica fidarci di lui così, fa comunque paura avere come Kazekage uno instabile come lui» disse l’altro, facendo schioccare la lingua contro il palato.
«Però dicono che sia cambiato» continuò il primo, titubante.
«Ma sai, alla fine la vera natura delle persone mica sparisce così, in poco tempo! E’ comunque molto pericoloso» completò poi l’amico, annuendo a se stesso compiaciuto. A quel punto Kaen, che aveva ascoltato con attenzione la conversazione, notò in lontananza la figura di Gaara che le veniva incontro, con i capelli rossi spettinati dal vento e i suoi normali abiti da ninja indosso. Lo raggiunse svelta e gli accennò un piccolo sorriso tirato, sperando che la sua espressione non tradisse i propri pensieri.
Quello che avevano detto quei due era troppo strano, le avevano lasciato ancora più dubbi di quanti non ne avesse prima. La sua vera natura? Una persona instabile? E cosa era accaduto anni prima, mentre lei non c’era? Non capiva più nulla, i pensieri le vorticavano in testa e non riusciva a costruire un filo logico. Avrebbe voluto chiedere direttamente a Gaara, ma solo poche ore prima aveva rifiutato di raccontarle il suo passato e non aveva nessuna intenzione di sentire un altro rifiuto. Voleva che lui si aprisse con lei, ma se lei era la prima che non riusciva ad aprire il suo cuore cosa si aspettava? Era proprio incoerente, lo sapeva, ma c’era sempre quella paura infondata che le mangiava le viscere. Se avesse continuato a comportarsi in quel modo, sorridendo allegra di fronte a Gaara ogni volta che ne aveva l’occasione, forse lui avrebbe continuato a volerla al suo fianco. Se gli avesse mostrato l’oscurità dentro di sé, non aveva nessuna certezza che lui l’avrebbe accettata comunque. Era normale, la natura degli essere umani non è fatta per accettare le ombre negli animi degli altri, nessuno vuole farsi carico del dolore degli altri. Di natura le persone sono egoiste e spesso ipocrite, come lo era lei d’altronde. Se avesse continuato a fingere di essere la ragazza senza pensieri che era sempre stata con Gaara, non avrebbe avuto nessun problema, eppure le bugie continuavano a pesarle sul cuore e non sapeva fino a quando sarebbe riusciva a tenersi tutto dentro.
«Gaara» chiamò Kaen, alzando una mano in segno di saluto.
«Ti ho fatta aspettare molto?» chiese lui, leggermente impacciato. Era la prima volta dopo secoli che usciva con Kaen, da solo. Di solito c’erano sempre i fratelli in giro, e anche se stavano spesso da soli nel suo studio starle accanto in mezzo alla folla lo metteva in ansia.
La ragazza ridacchiò. «No, figurati. Sono arrivata da poco.» Infilò il braccio sotto il suo. «Che ne dici se iniziamo a farci un giro?» Un sorriso illuminò il suo volto e gli occhi smeraldini brillarono di allegria.
Aveva deciso che per quel momento avrebbe fatto finta di nulla e avrebbe rimandato le domande a qualche ora dopo, così si sarebbero goduti quella serata senza nessuna tensione. Gaara, che era troppo sorpreso per dire nulla, si limitò ad arrossire leggermente e a guardarla sconcertato, per poi iniziare a camminare, con lei aggrappata al suo braccio. Era così felice, non aveva cuore di dirle di allontanarsi e così aveva deciso semplicemente di lasciarla fare. Era confortante il tepore del suo corpo contro il suo, la sensazione che le loro braccia combaciassero perfettamente, senza alcun disagio. Lo faceva sentire accettato, eppure la sua espressione non tradiva nemmeno uno dei pensieri di  Gaara, enigmatico nella maggior parte dei suoi gesti.
La ragazza lo guardò, curiosa. «Forse ti sto dando fastidio? Sei pur sempre il Kazekage, dovrei portarti più rispetto mi sa. Almeno in pubblico» rifletté lei, pensierosa. Si staccò semplicemente da lui e prese a camminargli accanto, con le braccia che si sfioravano leggermente. Gaara avrebbe probabilmente preferito lasciarla lì dov’era, ma ormai lei aveva fatto tutto da sola e con quale coraggio avrebbe dovuto chiederle di toccarlo di nuovo? Non lo ammetteva mai, ma spesso gli mancava il contatto fisico. Nessuno lo abbracciava mai, né gli dava la mano o semplicemente lo accarezzava, come aveva fatto lei più di una volta. Semplicemente, per Kaen era naturale e per lui era lo stesso, sebbene non avesse mai preso l’iniziativa. Per il momento bastava che fosse lei quella più spigliata, si disse Gaara, guardandola di sottecchi.
Era così bella, con quei capelli bruni che le ondeggiavano sulla schiena minuta e gli occhi verdi, così profondi e vivaci. Gli ricordavano una foresta in primavera, gli trasmettevano serenità e rilassatezza. Allungò un braccio verso una delle bancarelle che costeggiavano le lunghe strade, mentre tutti i passanti si giravano verso quel ragazzo così fiero che avrebbero riconosciuto ovunque; il Kazekage era lì, che passeggiava tranquillamente accanto ad una ragazza che non avevano mai visto, con il viso talmente rilassato che molti si chiesero che fine avesse fatto l’espressione seria e corrucciata che spesso adombrava il viso del ragazzo. Gaara ignorò gli sguardi meravigliati che tutti gli puntavano addosso e si rivolse a Kaen, che faceva di tutto per evitare di guardare in cagnesco quei pettegoli che continuavano a parlare di lui come se non potessero sentirli.
«Ti andrebbe di provare?» chiese, indicando un tiro al bersaglio poco più avanti, stupendo più se stesso che Kaen stessa, che non aprì bocca. Prima la invitava lì e poi riusciva anche a chiederle di partecipare ad un gioco, era davvero strano. Non che Gaara non potesse decidere di fare un qualcosa di sciocco come un tiro al bersaglio, ma semplicemente in tutti quegli anni non aveva mai potuto lasciarsi andare completamente e quindi si era perso la gran parte delle esperienze che di solito tutti hanno durante la propria vita, e ora vederlo prendere certe iniziativa significato solo che in compagnia di Kaen si sentiva così a suo agio da riuscire a lasciarsi andare, anche solo un po’. Ne era felice.
Gli diedi un pugno leggero sulla spalla e partì di corsa verso il banco del gioco.
«Tanto ti batto!»
Non c’erano parole peggiori da dire a Gaara, che riteneva di avere una mira decisamente all’altezza di un giochino per bambini, e che quindi a passo misurato, degno della figura di capo villaggio che rappresentava, raggiunse Kaen. Era fin troppo trepidante, si tratteneva a stento dal saltellare allegra davanti alle decine di premi che attendevano solo di essere reclamati dal vincitore del gioco. Un paio di bambini stavano tentando di lanciare i kunai contro i vari bersagli, cercando di fare un punteggio abbastanza alto per vincere qualcosa di carino, ma fallivano tutti miseramente. Appena notarono la figura fin troppo conosciuta di Gaara, famoso tra i bimbi per il suo aspetto troppo austero e il sorriso inesistente, fecero una pausa e si limitarono a fissare ad occhioni spalancati il Kazekage e Kaen, che lo accompagnava.
«C’è una bellissima signorina qui!» fece uno dei bimbi, troppo piccolo per giocare e che quindi non arrivava al bancone, allungando un ditino paffuto verso la ragazza a bocca spalancata. Fra tutti gli aggettivi esistenti, si potevano contare sulle dita di una mano quelli che si avvicinavano alla parola “bellissima” e che contemporaneamente fossero mai stati rivolti a Kaen, che quindi guardò sorpresa il bimbetto.
«Non ci credo Gaara, mi ha chiamata “bellissima”…» Si accovacciò all’altezza del bambino. «Tu sì che mi piaci!» Kaen era un po’ debole di fronte ai complimenti.
Inutile dire che gli occhi nocciola del bimbo si illuminarono di gioia e le guanciotte arrossirono di imbarazzo mentre correva dalla mamma per raccontarle di come avrebbe sposato quella bella ragazza che stava con il Kazekage, quando sarebbe stato più grande. Kaen scoppiò a ridere di fronte alla scena e gli urlò che sì, ovvio che lo avrebbe sposato, se alla mamma andava bene! Gaara inarcò un sopracciglio, interessato e un po’ infastidito. Non avrebbe ammesso ad anima viva che quel piccolo ed insulso complimento lo aveva seccato. E nemmeno che, visto che non era rivolto a lui, quel sorriso gli aveva fatto torcere le budella. Che fosse geloso di un bambinetto di pochi anni? Impossibile. Semplicemente non era abituato a vedere le reazioni delle persone di fronte alla sua compagna, che di certo spiccava tra la folla quasi quanto faceva lui con i suoi capelli rossi e la pesante nomina di capo del villaggio. Lo si notava tranquillamente dagli sguardi fin troppo eloquenti che molti abitanti di sesso maschile rivolgevano a Kaen, che con il suo sorriso luminoso, gli occhi color bosco rigoglioso e le forme sinuose di certo non passava inosservata.
«Pensi davvero di sposarti con qualcuno, un giorno?» domandò Gaara, mentre tranquillamente prendeva i tre kunai che il proprietario del gioco. Kaen lo fissò esterrefatta. Non avrebbe mai immaginato che Gaara potesse essere interessato a certe cose. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e finse di pensarci un po’ su. Ridacchiò furbetta e tirò la manica della maglia del rosso.
«Io sposerò Gaara, lo sanno tutti!» dichiarò sorniona. «Te lo ricordi, vero? Dicevamo sempre che da grandi saremmo stati sempre insieme» rise poi. Da piccoli erano soliti fantasticare molto sul loro futuro, su cosa avrebbero fatto quando avrebbero avuto un po’ di anni in più e decisamente molta più libertà. E sì, come molti bambine della sua età, Kaen si era “immolata” per la causa e aveva deciso che si sarebbe sposata con Gaara. Perché così non sarebbe mai stato solo e sarebbe stato felice, insieme a lei, perché si volevano un mondo di bene. Kaen in fondo lo pensava ancora, e anche Gaara.
Lasciò il pezzetto di stoffa che stava stringendo e riportò le braccia lungo i fianchi, il sorriso improvvisamente tirato. «Quindi sì, mi piacerebbe sposarmi un giorno. E tu?»
Gaara la scrutò per qualche secondo, sprecò un paio di secondi a riflettere sull’espressione improvvisamente cupa di Kaen e richiamando il ricordo della loro infanzia alla mente. Strinse uno dei kunai con la mano destra e prese la mira verso uno dei bersagli. Ricordò che da bambino avrebbe seriamente voluto stare con Kaen per il resto della sua vita, ma ora?
«Non ci ho mai pensato davvero» rispose. Fece un centro perfetto. «Non sono sicuro che qualcuno possa seriamente voler sposare me» aggiunse sottovoce. Un altro tiro, mancò il centro di pochi centimetri. Strinse la terza e ultima lama, squadrando le altre due già conficcate nel legno. Kaen si perse a guardare il cielo tinto delle sfumature del tramonto, sprazzi di arancio e rosa che coloravano la volta celeste, mentre il sole si apprestava a scomparire dietro l’orizzonte e la luna, timida e poco luminosa, si faceva coraggio e diveniva sempre più chiara.
«Lo dici tu questo» dichiarò incerta, storcendo il naso. Gaara tese il braccio e si preparò al tiro. Ultimo lancio, un altro centro. Si girò a guardare Kaen, che aveva ancora il naso rivolto al cielo. La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e arrossì: che diavolo aveva appena detto? Sperò che Gaara non avesse frainteso, pensando magari che lei volesse sposarlo. Non poteva negare che qualsiasi cosa fosse ciò che la legava a lui, era qualcosa di molto forte, che la portava a vedersi accanto a lui in ogni momento della sua vita, ma non sapeva ancora come definirlo. Era amore, o era un forte sentimento di amicizia? Un desiderio di proteggerlo magari, di non lasciarlo solo. Più ci pensava, più le sembrava di impazzire, come se ci fosse un velo sottilissimo che non le permetteva di vedere la realtà e quindi di girare in tondo alla ricerca di altre risposte. E soprattutto, altro enorme problema: non aveva idea di cosa provasse Gaara per lei. Era un vicolo cieco, e non poteva fare altro che continuare a scontarsi contro un muro invisibile fatto di ansia, paura, confusione. Anche se avesse ammesso che era innamorata di Gaara, la sua mente continuava a ripeterle che lui non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.
Tornò a guardare il ragazzo, che ora le stava porgendo tre kunai. Li afferrò  e finse un sorriso che non ingannò nessuno, men che meno Gaara.
«Cosa c’è che non va, Kaen?»
«Sta’ a vedere come faccio tre centri perfetti.» Ignorò la domanda e si mise in posizione da tiro. «Ti posso battere ad occhi chiusi!»
«Che cosa c’è che non va?» ripeté Gaara. Le era tremata la voce per un momento, stava facendo particolare attenzione nell’evitare il suo sguardo, di fingere un sorriso che non era mai stato il suo. Per la prima volta nella sua evita desiderò poter leggere nel pensiero di Kaen, per capire cosa le passava nella testa nei momenti in cui evidentemente stava male ma in cui continuava a pretendere che tutto fosse perfetto.
Kaen fece una smorfia e colpì il bersaglio, un centro perfetto. Sfortunatamente era un libro aperto di fronte a Gaara, mentre lei non riusciva mai a comprendere le sue espressioni o modi di fare. Era davvero frustrante.
«Non è nulla, lascia perdere» rispose piatta, le labbra formarono una linea dritta perfetta. Tirò velocemente il secondo kunai, che si conficcò accanto al primo senza sforzo. «Certe volte penso troppo, tutto qui. Mi fa male pensare.»
Iniziò a giocare con la terza arma da lancio, facendola roteare attorno all’indice. Era vero, pensare porta sempre a riflettere su cose che alla fine fanno soffrire, problemi che non si possono risolvere, ma su cui ci si ostina a sbattere la testa, sperando in un miracolo. Ma nessuno sarebbe sceso dal cielo per far sì che i problemi di Kaen sparissero.
Gaara incrociò le braccia al petto. «Puoi parlarmene se vuoi» la incitò. «A volte ho la sensazione che tu non voglia aprirti con me. Che tu abbia paura di qualcosa, e che questo non ti permetta di essere sincera con me.» La guardò stritolare tra le mani il kunai, assottigliare ancora di più le labbra con gli occhi puntati sulla parete di fronte a lei.
«Ho dei segreti, è ovvio» grugnì in risposta. «D’altronde, sappiamo bene che ne hai alcuni anche tu. Qualcosa di cui non vuoi assolutamente parlarmi, qualcosa di molto brutto.» Puntò gli occhi di smeraldo, accusatori come non mai, in quelli di Gaara, che irrigidì la mascella e assottigliò lo sguardo.
«Hai scoperto qualcosa» constatò, calibrando attentamente le parole. Sapeva che prima o poi Kaen avrebbe scoperto la verità, ma sperava sarebbe successo dopo molto più tempo. Quando sarebbe stato certo che non sarebbe scappata via da lui.
La ragazza fece un sorrisetto di scherno. «Ho solo sentito delle persone parlarne, prima che tu arrivassi. Dicono che è successo qualcosa diverso tempo fa, qualcosa che ancora adesso ti marchia come persona instabile, pericolosa» lo accusò, il tono di voce più alto del normale. «Eppure mi parli come se fossi l’unica che nasconde dei segreti! L’unica che non vuole aprirsi! Sei proprio un’ipocrita, Gaara!» sbraitò, gli occhi iniettati di sangue e la voce ridotta ad un ringhio basso.
Era arrabbiata, frustrata, delusa. Lui le diceva che lei non voleva aprirsi, mentre lui stesso si chiudeva a riccio e si rifiutava di raccontarle qualsiasi cosa. Quando mai si era aperto o le aveva parlato in modo davvero sincero?
Anche lei era un’ipocrita, o almeno lo era stata per la maggior parte della sua vita, sempre pronta a fingere di essere una persona calma, pacata, sempre allegra e che non si faceva scalfire da nulla, quando sapeva meglio di chiunque altro che carattere assurdo avesse. Era testarda, lunatica la maggior parte dei giorni, si innervosiva troppo facilmente e aveva anche la tendenza ad essere molto gelosa e altrettanto suscettibile. Insomma, era un agglomerato di difetti. Ma lui pretendeva di essere il santarellino che di fatto non era, lanciava il sasso e nascondeva la mano: un giorno le diceva che non dormiva mai, ma non si azzardava a spiegare nulla; le diceva che era preoccupato della sua reazione se avesse saputo il suo segreto, ma non faceva nulla per sistemare la situazione; spesso le aveva accennato che gli sarebbe piaciuto essergli più vicino, ma non compiva un solo passo per attuare il suo stesso desiderio. Ma perché?
La verità era che Gaara aveva paura, un’orribile sensazione di terrore che lo mangiava vivo. La stessa paura che provava anche Kaen, e si sarebbero capiti, se solo avessero trovato le parole adatte.
Gaara abbassò per un momento lo sguardo sotto il peso delle parole della ragazza, consapevole degli errori che aveva commesso con lei, e non solo. Voleva starle accanto, eppure prestava particolare attenzione a starle a debita distanza. Era un controsenso, si comportava nello stesso modo in cui faceva lei e che poi lo faceva internamente soffrire. Se aveva percepito un muro tra se stesso e Kaen, lo aveva percepito anche lei allo stesso modo. La colpa era di entrambi, due codardi spaventati di farsi avanti e spogliarsi delle proprie difese di fronte all'unica persona che, nonostante tutto, era pronta ad accettare i difetti e gli errori dell'altro.
Tornò a guardarla, gli occhi velati di ansia e una mano che stringeva forte il legno del banco accanto a lui. «Se vuoi sapere davvero la verità, non possiamo parlarne qui. Seguimi» parlò infine, svuotato di ogni forza. Lasciò stancamente un paio di monete all'uomo che gestiva il gioco e si girò, iniziando ad allontanarsi senza fretta. Se doveva parlarle a cuore aperto, era meglio non farlo davanti a tutto il villaggio. Già aveva notato gli sguardi curiosi dei passanti, che reagivano all’aria satura di tensione che si era creata tra i due e si domandavano cosa fosse quella strana sensazione di pericolo che si percepiva, come delle piccole scariche elettriche che rendevano l’atmosfera pesante.
Kaen digrignò i denti, diede un'occhiata al kunai che ancora stringeva e lo lanciò di scatto al bersaglio, ma cozzò in pieno con l'altro oggetto di ferro ficcato nel legno e con un rumore di metallo cadde a terra, incapace di fare presa accanto agli altri due. Quando era infuriata perdeva tutta la concentrazione, era un suo terribile limite.
«Tanto lo sapevi che ti avrei battuta.»
Kaen rilassò i muscoli e lo sguardo e distese la piega di fastidio che la fronte aveva assunto. Sbuffò una risata e si apprestò a raggiungere Gaara, che si era fermato a la guardava con la coda dell'occhio, accennando un sorriso leggerissimo sulle labbra pallide. Era incredibile come riuscisse a ritrovare la calma con una semplice frase del ragazzo. Come se la sua voce calda e roca fungesse da balsamo per i nervi pulsanti di Kaen e stringesse catene invisibili attorno al suo demone, aiutandola a ritrovare la pace.
«Guarda che voglio la rivincita» rise in risposta. Allungò una mano e sfiorò leggermente la mano di Gaara, chiusa a pugno. Era teso, quasi come se lo stessero mandando al patibolo. Doveva essere preoccupato per ciò che aveva da dirle, così come lo era lei.
«Sbaglio o te l’ho già detto?» soffiò Kaen in direzione di Gaara, che le aveva afferrato due dita e le aveva strette. «Non devi aver paura. Non potrei mai pensare nulla di cattivo su di te, credimi. Ti fidi di me?»
Gaara le rivolse il viso, gli occhi avevano il colore del mare in tempesta. «Mi fido di te più di chiunque altro» rispose. La voce, bassa e troppo profonda, rivelava i sentimenti contrastanti che stava provando in quel momento e che lo confondevano. Se avesse parlato con un tono più alto, la voce avrebbe tremato. Ma le sue parole erano quanto di più sincero avesse mai pronunciato. Kaen desiderò affogare in quello sguardo.
«Per me è lo stesso.»
 
 
 








N/a: finalmente pubblico il nuovo capitolo. Ci ho messo davvero troppo tempo, lo ammetto, ma spesso non riesco a concentrarmi o ho altri impegni, e quindi prolungo di molto le cose. Ammetto che la mancanza di recensioni nell'ultimo capitolo pubblicato mi ha un po' abbattuta, ma mi conforta sapere che qualcuno che legge e apprezza c'è e quindi ringrazio i 22 che hanno aggiunto la storia tra le seguite, gli 8 che l'hanno aggiunta tra le preferite e l'unica persona che l'ha messa tra le ricordate. Siete gentilissimi!
Mi raccomando, se avete cinque minuti mi piacerebbe leggere cosa ne pensate di ciò che scrivo. 
Al prossimo capitolo!
 
  
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