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Autore: Gray Qrow    10/04/2017    2 recensioni
(JiKook) - (2.203 parole)
Gli uomini avevano sempre avuto questa mania del controllo, del controllare qualsiasi cosa venisse a contatto con loro, per questo, solitamente, si lasciavano prendere dal panico di fronte a qualcosa di troppo “grande”.
Nonostante tutto però, gli uomini erano quasi sempre riusciti a dirigere le cose secondo i loro piani, superando qualsiasi tipo di difficoltà o avversità.
Park Jimin, invece, non aveva mai avuto un vero e proprio controllo della sua vita. Aveva sempre avuto la scomoda sensazione che la sua esistenza fosse in balia del fato e delle coincidenze più assurde e inconcepibili.
Quelle stesse coincidenze stavano dirigendo la sua vita e il suo percorso di studi, quelle stesse coincidenze avevano fatto in modo che venisse eletto rappresentante di classe e quelle stesse medesime coincidenze avevano fatto in modo che conoscesse Jeon Jungkook.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Erano le 6 del pomeriggio, una semplice giornata di primavera, in quella semplice città portuale conosciuta come Busan. 
Poi tanto semplice non era in realtà, essendo la città portuale più grande della nazione, tuttavia così l’aveva sempre considerata, Jimin: una città semplice, piena di abitanti semplici e monotoni. 

In questa stessa ottica si rapportava a tutto ciò che aveva intorno, che fossero persone o oggetti,  avvenimenti: la verità, secondo lui, era che fossero gli uomini a complicare le cose che, seppur semplici, gli apparivano troppo complicate per la loro vita mediocre e priva di avvenimenti sensibilmente rilevabili come “diversi”. 
Gli uomini avevano sempre avuto questa mania del controllo, del controllare qualsiasi cosa venisse a contatto con loro, per questo, solitamente, si lasciavano prendere dal panico di fronte a qualcosa di troppo “grande”.

Nonostante tutto però, gli uomini erano quasi sempre riusciti a dirigere le cose secondo i loro piani, superando qualsiasi tipo di difficoltà o avversità.

Park Jimin, invece, non aveva mai avuto un vero e proprio controllo della sua vita.
Aveva sempre avuto la scomoda sensazione che la sua esistenza fosse in balia del fato e delle coincidenze più assurde e inconcepibili. 
Quelle stesse coincidenze stavano dirigendo la sua vita e il suo percorso di studi, quelle stesse coincidenze avevano fatto in modo che venisse eletto rappresentante di classe e quelle stesse medesime coincidenze avevano fatto in modo che conoscesse Jeon Jungkook.

Ma facciamo un passo indietro.

 

 

Erano passati circa due mesi dall’inizio dell’anno scolastico, e tutto andava a gonfie vele: ottimi voti a scuola, numerose amicizie e docenti soddisfatti del suo rendimento scolastico e del suo svolgimento dell’attività di rappresentante. Tuttavia, qualcosa stava per turbare il suo equilibrio.

- Buongiorno, è permesso? Volevate vedermi? – domandò Jimin entrando nella sala professori, dove ad attenderlo c’era il docente coordinatore di classe, che lo accolse gentilmente:

- Oh, Park Jimin, sisi, entra pure. – disse il professore, invitandolo a sedersi accanto a sé al lungo tavolo al centro della stanza, - Si, volevo vederti in realtà. C’è una cosa di cui dobbiamo discutere. – disse, ridacchiando appena allo sguardo confuso del ragazzo dai capelli color arancia, palesemente tinti nell’ennesimo tentativo di dare una scossa alla sua monotonia.

- Nella tua aula c’è un banco vuoto, lo hai notato? – domandò il docente, ricevendo un cenno in segno di assenso dal giovane:

- Si, professore. Mi sono sempre chiesto a chi appartenesse, ma temevo di risultare indiscreto nel chiederlo, pur essendo rappresentante di classe. – rispose il ragazzo, suscitando un leggero sorriso da parte dell’uomo;

- Educato come sempre, ti fa onore. Tuttavia è proprio di quello studente, che voglio parlarti. – il professore fece una leggera pausa, per poi proseguire – Il suo nome è Jeon Jungkook, non conosco il motivo della sua assenza, tuttavia so che, in quanto rappresentante, il tuo compito sarà portargli a domicilio gli appunti delle spiegazioni che ha perso nel corso della sua assenza. 
Ti fornirò io le dispense, che abbiamo già preparato, e l’indirizzo, al quale dovrai recarti oggi stesso dopo la scuola. – il ragazzo annuì e si limitò ad accettare il compito ed essere congedato, avendo troppi quesiti per la testa e troppe curiosità che non sarebbe probabilmente riuscito a soddisfare.

E fu proprio in quella giornata di primavera, alle 6 del pomeriggio, che conobbe Jeon Jungkook.

 

 

Non ci impiegò molto ad arrivare all’indirizzo che gli era stato assegnato, il quale indicava una bellissima villetta dallo stile moderno, ubicata non troppo lontano dalla scuola. 
Gli ci volle un po’ per suonare il campanello, ma alla fine vi riuscì: in poco tempo la porta si aprì davanti a sé e un ragazzo probabilmente della sua età fece la propria comparsa sulla soglia.

- Ti serve qualcosa? – chiese con uno sguardo infastidito il ragazzo che avrebbe dovuto essere leggermente più giovane; se non avesse letto i documenti poco prima, avrebbe tranquillamente potuto pensare fosse un ragazzo più grande.

- Oh, si. Ecco, sono Park Jimin, il tuo rappresentante di classe! Sono qui per conto di un professore. – il ragazzo, tuttavia, lo interruppe brutalmente:

- Non ti ho chiesto questo, ti ho chiesto se ti serve qualcosa. – Jimin si trovò improvvisamente in soggezione, ancora una volta le lunghe coincidenze che dominavano la sua vita lo avevano messo in una situazione a dir poco scomoda.

- Ho portato gli appunti. Delle lezioni. – disse, ricambiando lo sguardo torvo del ragazzo, porgendo al ragazzo dai capelli scuri il blocco rilegato, contenente i tanto discussi appunti.

Il ragazzo lo guardò leggermente sorpreso, poi prese gli appunti e fece un cenno con la testa, mormorando appena un ‘grazie’ prima di chiudere la porta.

- Che tipo strano.. bha. – pensò tra sé e sé il rappresentante di classe, tanto infastidito quanto incuriosito; purtroppo per lui la stessa scena si ripetè un’altra volta, e un’altra ancora, ma alla quarta qualcosa di  inaspettato successe:

- Vuoi accomodarti? Ti offro qualcosa. – chiese Jungkook con il solito sguardo serio, che lasciò il maggiore ancora più perplesso delle volte precedenti.

 

 

La casa era moderna e ben arredata, dava l’idea che il ragazzo abitasse in una famiglia facoltosa: ma poteva una casa così grande sembrare così vuota?

- Hai una casa molto bella. Vivi qui solo? – chiese il maggiore osservandosi attorno curioso, facendo rabbuiare gli occhi scuri del padrone di casa, che rispose: 
- I miei ci sono poco, lavorano molto e sono occupati. Io passo il mio tempo qui, praticamente solo, si. -.

Jimin, per la prima volta, si sentì incredibilmente stupido.

- Oh, non avrei dovuto, chiedo scusa.-

- Non scusarti, non ha senso. Cosa ti piacerebbe? Tè verde?-

- Andrà benissimo, si. Cosa fai nel tempo libero?- chiese il ragazzo curioso mentre l’altro armeggiava con la teiera e l’infuso verdognolo:

- Oh, dipingo. Nulla di che.-

- Ma come, io lo trovo bello. Mi piacerebbe poter vedere qualcosa.- domandò implicitamente, per poi prendere la bevanda che il ragazzo gli aveva porto poco prima; egli poi gli fece segno di seguirlo al piano superiore, dove lo attendeva probabilmente la stanza con i dipinti: la camera era davvero meravigliosa, piena di quadri paesaggistici di ogni genere che lasciavano trasparire la bravura del ragazzo, seppur di giovane età. 
D’un tratto la bellezza di quei quadri fu sovrastata da un pensiero, che pian piano si fece largo nella mente del ragazzo:

- Jungkook, perché hai cambiato atteggiamento nei miei confronti? Perché mi mostri ciò? –

- Perché? Perché ti trovo interessante. –

- Interessante? –

- Si, un soggetto interessante. E vorrei dipingerti, se me lo permetterai. -.

 

 

Da quel giorno, Jimin passò regolarmente a trovare Jungkook per farsi dipingere: inaspettatamente, scoprì che anche Jeon Jungkook era capace di sorridere, ogni tanto.

Quando il ragazzo dai capelli corvini era impegnato a dipingere il maggiore, questi gli faceva le boccacce per farlo ridere, cosa che spesso e volentieri gli riusciva, con suo grande piacere; spesso si lamentava, ad alta voce, di proposito, di quanto l’attesa sembrasse infinita:

- Jungkookie, sono giorni che va avanti così, quando terminerai?-

- Ci vuole tempo, non essere impaziente.-

- Posso almeno vederlo?-

- Non esiste.- .

E così continuava ogni giorno, ininterrottamente, uno stupido teatrino, un loro copione di battute di proposito sempre uguali, in cui ognuno sfidava la pazienza dell’altro e che puntualmente terminava in sonore risate.
Jungkook aveva un modo strano di sorridere, sembrava quasi un roditore ma, prima che potesse rendersene conto, Jimin cominciò ad amare quella risata stramba.
Qualche giorno dopo, Jimin fu costretto a mettere gli occhiali e il pensiero della reazione di Jungkook lo tormentò per tutta la strada; tuttavia la reazione del minore non vu proprio quella che si aspettava:

- Mh, bhe in effetti ti donano.-

- Trovi? Non so, non ti infastidiscono per il dipinto? Posso toglierli se vuoi.-

- No, davvero, ti stanno bene, anzi credo li aggiungerò.-

- Va bene, va bene, come preferisci. –

- Bravo, Jiminie Hyung. –

- Come scusa?-

- Non lo ripeterò di nuovo, mi spiace. – Jimin rise di nuovo sonoramente mentre l’altro fingeva, come al solito, una faccia annoiata e un sonoro sbuffare infastidito. 
Tuttavia, quella faccia fintamente annoiata si trasformò in una smorfia di dolore: Jungkook mise una mano sulla testa, poggiandosi appena sul cavalletto, in un atto di riposo costretto dal dolore.

- Devo aver lavorato troppo ultimamente, cavoli.- mormorò appena il minore, evidentemente stressato – Ti spiacerebbe andare a casa per oggi, penso mi serva una dormita per rimettermi in sesto. -; lo congedò frettolosamente, ma Jimin non gli diede peso, in fondo era stato lui a insediarsi nella casa di un ragazzo di salute cagionevole come fosse la propria, magari gli aveva infettato il raffreddore o aveva una qualche allergia, dopotutto era primavera.

Il giorno dopo, Jungkook lo rimandò a casa, dicendo che non stava bene. E così fece il giorno dopo, e quello dopo ancora.

 

 

Si conoscevano oramai da un mese,da due settimane Jimin continuava a fare quel tratto di strada invano, da due settimane Jungkook lo scacciava: non poteva essere solo febbre, non allergia, nessun raffreddore.
Non appena la porta si aprì, nemmeno lo lasciò parlare: si fiondò in casa, urlando con gli occhi gonfi di lacrime che non poteva scacciarlo per sempre, che non aveva senso allontanarlo senza un motivo, che avrebbe voluto sentirgli dire qualcosa di diverso da un semplice “oggi non sto bene, facciamo un’altra volta!”. 
Jungkook ascoltava in silenzio con gli occhi bassi, lo lasciò urlare e sfogare, lasciò che inveisse contro di lui, per poi puntare solo un dito verso la porta:

- Vattene via. Smettila di essere una fottuta spina nel fianco. Ti odio.- .

 

Furono pochissime parole che bastarono a farlo sentire l’essere più stupido del mondo: aveva provato a controllare la sua vita, e questo era stato il risultato, per la seconda volta da quando lo conosceva, si sentì un idiota. 
Lasciò quella casa, senza dire nulla, giurando di non tornarci mai più.

 

… Ma come avrebbe potuto?

 

 

 

Il giorno dopo si ripresentò a casa sua, per l’ennesima volta, bussò a quel campanello ma non fu il suo Jungkook ad aprire. 
Una donna adulta, lo guardò appena e sgranò gli occhi, quasi come se lo riconoscesse: Jimin capì, e iniziò a piangere.
Chiese di entrare e corse dritto verso la camera dei dipinti, dove finalmente lì, incustodito al centro della stanza, vi era il suo dipinto, sotto una tela; sulla sedia, una semplice lettera:

“Caro Jiminie Hyung,

non era così che sarebbe dovuta finire, non era questo che volevo. Avrei voluto poter vedere il tuo volto ammirando il mio dipinto, il nostro dipinto.

Scrivo questa lettera tra le lacrime, tu sei appena corso via da casa mia, sbattendo la porta: ti ho detto che ti odio, ti prego non crederci. Ho voluto che tu mi odiassi, non volevo che il sorriso che tutti i giorni illuminava la mia prigionia fosse spento così, non potevo permetterlo.

Quando quel giorno sei venuto a consegnarmi gli appunti, ho subito sentito qualcosa, una connessione. Nemmeno io so come mai ti abbia lasciato varcare la mia soglia, non so spiegarlo: sentivo solo che in quel momento era la cosa giusta da fare. Mi dispiace averti conosciuto per così poco tempo, che nonostante tutto è servito a migliorarmi e a farmi scoprire nuovi aspetti di me stesso.

Voglio che tu legga questa lettera ricordando sempre che, nonostante tutto, io provavo qualcosa. E chissà, forse avrei potuto innamorarmi davvero di te.

Non appena fossi stato meglio ti avrei invitato a uscire, probabilmente, e chissà se avresti accettato. Tuttavia, se hai questa lettera tra le mani, non mi è più possibile farlo. Ma ho voluto lasciarti un ultimo pezzo di me, della mia anima e del mio cuore. Il dipinto è tuo, tienilo. Spero che, guardandolo, mi penserai. Arrivederci, Park Jimin.

Tuo, Jeon Jungkook”.

 

 

Le lacrime sgorgavano oramai sulle guance del ragazzo, inarrestabili nel loro cammino e, finalmente potè togliere il telo: non era il suo dipinto, era davvero il loro dipinto. 
Le figure dei due ragazzi, schiena contro schiena, in uno sfondo calmo e tranquillo, una pace imperturbabile; a lato vi era una semplice dedica, che portava il riconoscibile tratto di un pennello sottilissimo:

 

“ Di proprietà di Park Jimin, lo hyung che amo di più al mondo.”.

 

 
Volle lasciare la tela lì dove si trovava, l’avrebbe presa più tardi.
Si diresse verso la camera da letto, dove il ragazzo giaceva, oramai pallido e freddo, tra le inesorabili braccia di un eterno sonno; gli baciò lentamente la fronte, accarezzandogli dolcemente i capelli:

 

- Pensavi davvero che avrebbe fatto meno male? Stupido che non sei altro. Avrei voluto conoscerti, avremmo potuto fare così tante cose. Avrei accettato il tuo invito, lo sai? Prima forse avrei sorriso come un idiota, poi avrei balbettato, ma avrei accettato. Vorrei poter tornare indietro.- disse, prima di dirigersi verso la porta – Buonanotte, Jungkookie.- sussurrò appena, per poi varcare la soglia, mentre un’altra lacrima bagnò le sue guance, oramai umide.

 

 

 

Park Jimin, non aveva mai avuto un vero e proprio controllo della sua vita. 
Aveva sempre avuto la scomoda sensazione che la sua esistenza fosse in balia del fato e delle coincidenze più assurde e inconcepibili. 

Quelle stesse, stupide coincidenze avevano fatto in modo che conoscesse Jeon Jungkook e che se innamorasse, senza tuttavia poterlo ottenere: quelle stesse coincidenze, glielo avevano portato via.

  
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