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Autore: SamuelRoth93    11/04/2017    0 recensioni
In un universo parallelo, precisamente nella piccola cittadina di Rosewood, ci sono quattro giovani e affascinanti bugiardi che lottano ogni giorno per nascondere i loro segreti. Perseguitati dalla misteriosa figura di A e dall'oscuro mistero che si cela alle sue spalle, riusciranno a mantenerli? Ma, soprattutto, riusciranno a sopravvivere?
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DICIOTTO

“The Wrath of A (Part II)”

 

 

Nathaniel arrivò davanti alle porte del suo ristorante, frettoloso; aveva appena scoperto da sua madre che suo padre aveva ripreso a bere e che per settimane rientrava tardi a casa.

Quando le trovò chiuse, provò subito a forzarle con violenza, finchè Courtney non arrivò alla sue spalle a fermarlo.

“Nat, basta, così ti farai male!” lo tirò per un braccio.

“Le luci sono accese, dobbiamo entrare!” si agitò.

“Proviamo ad entrare dal retro.” suggerì Courtney.

Dopo averlo fatto, i due trovarono facile accesso e passarono dalle cucine; arrivati in sala, poi, si trovarono davanti Jamie, il loro assistente manager, che, alla svelta, chiuse la cassa del ristorante, mentre Kevin era incosciente su uno dei tavoli.

Nathaniel fulminò immediatamente Jamie, aggressivo: “Che sta succedendo qui dentro?”

“Accidenti, Kevin!” esclamò Courtney, correndo verso suo cognato con apprensione; accanto alla sua testa aveva un bicchiere e una bottiglia di Vodka vuoti.

Jamie, nervoso, indietreggiò verso le porte d’ingresso, nascondendo i contanti, che aveva appena rubato dalla cassa, dietro la schiena.

“Stavi rubando, eh? – Nathaniel avanzò lentamente, serio nel tono - Ti abbiamo visto, sai? Eri vicino alla cassa e ora stai nascondendo dietro la schiena i soldi che hai appena rubato.”

“Ascolta, ok, è vero! – alzò entrambe le mani, stringendo i contanti in una mano – Facciamo, però, che io li lascio, me ne vado per sempre e voi non mi denunciate.”

“Non è la prima volta che lo fai, vero?” continuò Nathaniel, furioso, che di tanto in tanto dava un’occhiata a suo padre e a come era ridotto.

“Tuo padre non mi ha pagato questo mese, stavo solo prendendo ciò che mi spetta.” si giustificò, poco credibile.

“Il ristorante va bene, stai mentendo. – intervenne Courtney – Perché Kevin non avrebbe dovuto pagarti?”

“Dovevo immaginarlo che c’era qualcosa di strano. - Nathaniel continuò ad avanzare, mentre l’altro indietreggiava – Quel giorno, quando sono venuto qui al ristorante, stavi parlando al telefono con qualcuno. Ed eri parecchio nervoso.”

 

FLASHBACK

 

Dopo aver chiesto al cuoco dove fosse Jamie, Nathaniel si diresse sul retro a cercarlo; quando lo trovò, lo vide in lontananza, impegnato in una conversazione abbastanza animata.

“Ti ho detto di darmi altre due settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre due settimane, ok?”

Quando si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si ricompose, chiudendo in fretta la chiamata.

“Ti richiamo, ok? – si grattò il capo, nervoso – Ci sentiamo!”

Rimesso il telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva fissato serio per tutto il tempo; si vestì di un sorriso imbarazzato, arrivando accanto a lui con il fiatone.

“Ehi, tutto bene? Che ci fai qui?”

“Controllo!” esclamò, cinico.

“Ti ha mandato tuo padre?”

“A quanto pare, sì… - mentì, guardandolo storto - Sai, mio padre ci tiene a questa attività, perciò…”

“Beh, come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora, ignorando l’ostilità che percepiva – E per quanto riguarda quello che hai appena sentito, beh…Mia sorella! – sollevò le sopracciglia, marcando il classico rapporto conflittuale tra fratelli – Colleziona monete antiche e le ho detto che da queste parti ci sono molti mercatini delle pulci. Da quando le ho mandato le prime due monete, si è fissata con il fatto che ce ne siano tipo altre nove per completare la collezione e ora mi ritrovo a girare anche per i negozi di antiquariato.”

Nathaniel annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata: “Interessante… - il silenzio che si creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi che la mia supervisione è finita!”

Quello rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da ebete che aveva mantenuto per tutta la conversazione, come se nascondesse del nervosismo.

Nathaniel si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si posò sulla spazzatura di fianco, che strabordava di qualche bottiglia di Vodka.

Immediatamente si voltò di nuovo verso Jamie: “E tutte quelle bottiglie?”

Jamie rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono un goccio di Vodka!”

“Un goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata nel dirlo – Sono quattro bottiglie, è una ricetta per alcolizzati, per caso?”

“Devono essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando lavoro qui ho trovato parecchie cose che andavano buttate.”

“Mh – verseggiò, poco convinto – ok!” si girò verso la spazzatura per la medesima volta, poco prima di andarsene per davvero, turbato dalla visione di quelle bottiglie; tant’è che gli tornò a galla un vecchio ricordo: il periodo di alcolismo di suo padre.

 

“Non eri al telefono con tua sorella, vero? – intuì Nathaniel, intimidendolo – Forse nemmeno ce l’hai una sorella. – Jamie deglutì con fatica, sudando – E quelle bottiglie di Vodka non servivano per una ricetta, ma per far ubriacare mio padre, mentre tu ci rubavi ogni giorno una parte degli incassi.”

“Te l’ho detto, me ne vado. – ripetè ancora, vicino alla porta - Non mi rivedrete mai più.”

“Questo è poco ma sicuro, brutto ladro!” esclamò Courtney.

Improvvisamente, l’uomo si girò velocemente per fuggire, ma Nathaniel non glielo permise, correndo contro di lui.

Courtney gridò, non appena lo vide prendere la rincorsa: “Nathaniel, NO!”

Buttandosi su Jamie con violenza, i due sbatterono contro le porte, sfondandole.

Finiti all’esterno del ristorante, entrambi erano a terra con addosso numerosi frammenti di vetro; Jamie si risollevò in fretta, inciampando diverse volte prima di riuscire a scappare; Courtney si affacciò fuori, aiutando Nathaniel.

“Oh mio Dio, stai bene?”

“Non la farà franca!” si alzò dolorante, scivolando via dalla presa di sua zia.

“No, Nathaniel, torna qui!” gli urlò, mentre quello correva via incallito.

Jamie, intanto, non arrivò molto lontano visto che Nathaniel riuscì a raggiungerlo.

“Fermati, bastardo!” gli gridò.

A quel punto, Jamie si voltò a controllare quanto gli fosse vicino, poco prima di attraversare la strada, e quando riportò lo sguardo davanti a sé, una macchina frenò bruscamente contro di lui, prendendolo in pieno.

Nathaniel, sconvolto dalla scena, si fermò poco prima di scendere dal marciapiedi. Mentre il conducente della vettura stava scendendo, Courtney raggiunse il nipote, trovandosi anch’ella davanti a quella scena.

“Oh mio Dio…” restò agghiacciata, portandosi una mano alla bocca.

Scosso, Nathaniel le spiegò cos’era appena successo: “Si è girato un attimo a guardarmi e la macchina è sbucata fuori dal nulla.”

“Non è colpa tua.” gli mise una mano sulla spalla.

“Ehi voi, aiutatemi! – gridò loro il conducente dell’auto, chinato di fianco a Jamie – Non respira, non sento il battito, chiamate il 911!”

“E’ morto?” sgranò gli occhi Nathaniel, incredulo, domandando alla zia con un filo di voce.

Courtney recuperò immediatamente il telefono, incredula quanto lui: “No, non può essere morto. Mi rifiuto di crederci.”

“E invece lo è, quel signore l’ha appena detto. – Nathaniel fissò sua zia, rigido per lo choc – L’ho ucciso io…” pensò, abbassando lo sguardo.

Quella lo fissò a lungo, finchè il 911 non rispose, chiendendo quale fosse l’emergenza.

 

 

*

 

Il giorno dopo, Nathaniel era cucina con la sua famiglia: sua zia, sua madre e Pete.

Seduto su uno sgabello con la borsa del ghiaccio sulla fronte e numerosi graffi sulla faccia, era preoccupato.

“La polizia mi chiamerà per altre domande?”

“No, poco fa ero al telefono con loro. – spiegò Claire, sua madre – Pare che Jamie avesse molti debiti e a quanto pare ha preso di mira le persone giuste per saldarli. – era furiosa, ma cercò di contenersi – Kevin deve avergli raccontanto che un tempo era un alcolista e quel verme l’ha usato a suo favore.”

Courtney si avvicinò a lei, mettendole un braccio intorno alla spalle, consolandola: “Tranquilla, ora quel verme salderà i suoi debiti all’inferno.”

“Sono solo… - Claire tentò di trattenere le lacrime, distrutta – E’ solo che… Kevin ha faticato così tanto per uscirne, mentre ora si ritrova da capo al punto di partenza.”

“E’ incredibile che la cosa sia andata avanti per tutto questo tempo. – pensò Pete, sconcertato - Eppure Jamie sembrava così un bravo ragazzo quando andavamo a pranzare al ristorante.”

“Io lo sapevo che era un tipo strano. – aggiunse Nathaniel, sprezzante – Non mi è mai piaciuto.”

Improvvisamente, Kevin entrò in cucina, trasandato dopo un discreto sonno. Tutti si ammutolirono nel vederlo, mentre quello teneva uno sguardo basso e pieno di vergogna.

“Vedo che siete tutti qui. Anche Pete.”

“Ehm, se vuoi me ne vado, non c’è problema. – si mossè Pete, sentendosi di troppo – Capisco perfettamente che questa è una discussione di famiglia.”

“Oh, no no! – lo fermò subito – Puoi restare, Pete. Ci mancherebbe.”

L’uomo allora restò, tornando dov’era.

“Allora… - continuò Kevin – Penso che ormai sappiate tutti che ho di nuovo quel problema.”

“Kevin, ascolta…” intervenne sua moglie, subito bloccata.

“No, Claire, lasciami finire. – ci tenne a farlo – Ho di nuovo quel problema, ma stavolta posso gestirlo da solo. Jamie mi faceva ubriacare e io il giorno dopo non ricordavo nulla; pensavo addirittura di essere uscito durante la notte a spendere i soldi chissà dove; a lavoro gli facevo molte domande su dove potessi essere andato e le sue risposte non facevano altro che confondermi: mi ha imbrogliato per bene!”

Preoccupato, Nathaniel volle dire la sua: “Papà, sei sicuro di poter risolvere i tuoi problemi da solo? L’ultima volta dicesti così e alla fine ti abbiamo dovuto portare in quella clinica.”

“Lo so, non sono molto credibile al momento. – cercò di essere rispettato – Ma vi chiedo di appoggiarmi, posso farcela. Ora che Jamie è fuori dalla mia vita, non c’è più niente che possa tentarmi.”

“Va bene, tesoro. – annuì Claire – Ti appoggio, hai tutto il mio sostegno.”

“Ovviamente hai anche il mio appoggio, Kevin.” si aggregò Courtney.

Kevin accennò un sorriso, per poi spostare lo sguardo su Nathaniel.

“Ho anche il tuo appoggio, figliolo?”

“Ma certo, Papà!” esclamò con scontatezza, nonostante non ne fosse del tutto convinto; la paura che non potesse farcela, aleggiava nella sua mente a macchia d’olio.

 

 

*

 

Intanto, alla Brahms, Sam stava raggiungendo la fila di studenti all’ingresso della scuola; dopo l’esplosione della Rosewood high school erano state alzate le misure di sicurezza in tutte le altre scuole nella zona, e, ogni giorno, gli studenti dovevano attraversare un metal detector.

Quando fu in fila, in attesa del suo turno, un ragazzo che era davanti a lui, con un brutto raffreddore, si girò a chiedergli qualcosa.

“Ehi, non è che per caso hai un fazzoletto?”

“Certo!” esclamò Sam, facendo scivolare lo zaino lungo il braccio, aprendo la cerniera.

Improvvisamente, mentre frugava per cercare il pacchetto, toccò qualcosa di duro e freddo. Stranito, diede un’occhiata dentro, facendo un’inquietante scoperta.

A quel punto, richiuse lo zaino con nervosismo e gli occhi ancora sgranati, uscendo immediatamente dalla fila.

“Scusa, il fazzoletto?” gli domandò quel ragazzo, vedendolo andare via.

“Ehm, scusami, non ce l’ho! Chiedi a qualcun altro!” gridò fuggendo.

Quando giunse nel parcheggio, accanto alla sua auto, Sam si guardò attorno e nei paraggi non c’era nessuno. Respirando affannosamente, tirò fuori l’oggetto che l’aveva tanto turbato: una chiave inglese; attaccata ad essa c’era una foto che raffigurava A mettere quella stessa chiave inglese in una mano di Sam, mentre dormiva profondamente nel suo letto.

Sconvolto, prese il telefono per avvertire i suoi amici, ma sullo schermo si aprì nuovamente quella ruota virtuale con le facce dei quattro ragazzo: stavolta l’indicatore si fermò su quella di Sam. E come se non bastasse, sopraggiunse anche un messaggio.

“Posso rendervi colpevoli di qualunque crimine io voglia. Consegnatemi il complice o vengo a riprendermi quella chiave inglese per mandarla alla polizia.”

-A

Sam restò a dir poco spaventato, oltre che intimidito.

 

*

 

Wesam bussò alla porta di Julie in quel primo mattino; in mano stringeva due bicchieri di caffè.

“Disturbo? – esordì non appena venne aperto – Sono venuto troppo presto?”

“No, figurati. Sebastian è uscito prima ancora che mi svegliassi: siamo soli!” esclamò, mentre si avviavano verso la postazione computer, in cucina.

“Bene, cos’hai scoperto dal telefono di Sam?” domandò, poggiando i caffè.

Quella girò il monitor del computer verso di lui: “Innanzitutto, questi messaggi!”

 

“Che gesto romantico, non trovi? Forse Nathaniel ti ricompenserà con un bacio…”

-A

“La morte è un sogno, stronzetti. E io lo renderò così oscuro da trasformarlo in un incubo senza fine. Chi sarà il prossimo a giocare con me? Sembra che Nathaniel sia riuscito a sopravvivere al suo turno, voi farete altrettanto?”

-A

“Confessare un segreto che già tutti sospettano non è un vero segreto, Sam. Rivela a Nathaniel ciò che provi per lui o ti perseguiterò per tutto il giorno.”

-A

“Hai voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per davvero.”

-A

“Prova a parlare con Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”

-A

“Cos’è un ballo senza un degno finale? Se lo dite a qualcuno, il tempo si dimezzerà: trovate un altro modo per salvarli.”

-A

“Mio il cadavere, mie le regole: preparate le pale, non prendete impegni. Stanotte si scava, stronzetti!”

-A

“Jasper ora è mio. L’avete fatto accadere voi.”

-A

 

Pur sapendo ogni cosa su A, leggere quei messaggi destabilizzò Wesam e i suoi occhi divennero lucidi.

“Questi sono solo alcuni dei messaggi minacciosi mandati da questa persona. – spiegò Julie - Tecnicamente, qui A ammette di aver rapito Jasper, fatto esplodere la scuola e aver ucciso quell’uomo.”

“Sfortunatamente non possiamo usarli per andare alla polizia, i ragazzi l’avrebbero già fatto se avessero potuto.

“C’è anche un'altra cosa.  – cambiò la schermata, rivelando uno dei giochi di A – Questo l’hanno ricevuto di recente, l’ho trovato tra le email di Sam.”

“Una ruota virtuale?” constatò.

“Che in questo momento è ferma sulla faccia di Sam. Sopra c’è un comando: quello di consegnare a lui il complice di Anthony.”

“Nulla che già non sappiamo, solo che…  – mise le braccia conserte, angosciato – Quella ruota mi preoccupa. Puoi localizzare la posizione attuale di Sam?”

“Certo. -  smanettò subito sul computer – Ehm, è a Rosewood in questo momento.”

“Rosewood? – prese immediatamente il telefono, mettendolo all’orecchio – Dovrebbe essere a scuola.” trovò strano.

“Che stai facendo?”

“Lo chiamo, ecco cosa faccio. – finalmente Sam rispose, dopo vari squilli – Ehi, tutto bene?”

“Sì, perché? – rispose nervosamente, fingendosi tranquillo – Lo sai che sono a scuola, non dovresti chiamarmi.”

“Ah, sei scuola? - si guardò con Julie, sapendo che stava mentendo – Beh, se ti va possiamo vederci a pranzo. Che dici?”

“Ehm… - borbottò distrattamente, poco concentrato sulla telefonata – Senti, ascolta, devo tornare in classe. Ti richiamo stasera, ok? Ciao!” chiuse di colpo, senza aspettare una risposta.

“Ok, sta succedendo qualcosa! – esclamò Wesam, seriamente preoccupato - A sta facendo uno dei suoi giochetti, io devo andare!” si avviò verso la porta, agguerrito.

Julie lo rincorse subito, cercando di fermarlo: “No, Wesam, non puoi! – cercò di farlo ragionare, vedendolo fuori di sé – Che fine ha fatto l’anti A-Team??? Possiamo aiutare Sam e gli altri solo restando nell’ombra.”

“Questa persona è folle, dobbiamo toglierla di mezzo!” esclamò furioso.

“E lo faremo, ma non così. Non espondendoci!”

Finalmente Wesam ritrovò la calma, restando comunque in ansia: “Va bene, rimettiamoci a lavoro. Dobbiamo tenere sotto controllo il suo telefono 24 ore su 24, non ci deve sfuggire nulla.”

Quella annuì, poi tornarono finalmente alla postazione.

 

*

 

Nel pomeriggio, Rider parcheggiò l’auto nei pressi della biblioteca pubblica; era al telefono con Nathaniel, nel pieno di una conversazione delicata.

“L’assistente manager del tuo ristorante vi rubava gli incassi e ieri è morto? – rimase sconvolto da ciò che Nathaniel gli raccontò, mentre chiudeva la macchina – Caspita, stai bene?”

“Ho tutta la faccia e le braccia piene di graffi, ma sto bene… Per una volta sono contento che le mie disgrazie non siano tutte dettate da A.”

“E’ assurdo, non basta essere già perseguitati da un pazzo omicida? Ora ci si mettono anche le persone comuni?”

“Jamie non era una persona comune, era un ladro bastardo che ha rigettato mio padre nel tunnel dell’alcolismo.”

“Sicuro che A non c’entri nulla con tutta questa storia? – domandò, mentre camminava lungo il marciapiedi – Insomma, come ha fatto Jamie a scoprire il passato di tuo padre?”

“Rilassati, gliel’ha confidato mio padre. E da quel momento è partito il suo piano diabolico per sanare i suoi debiti.”

“Quindi era questo il motivo?”

“Così ci ha detto la polizia.”

“Sei stato in centrale, ieri?”

“Sì, abbiamo spiegato la dinamica dell’accadduto. A proposito, il detective Costa mi ha visto, ma sembrava distratto da altro.”

Rider sospirò, nervoso: “Dio, sarà la centesima volta che vede le nostre facce lì dentro.”

“Tu dove sei, piuttosto?” si accorse dei rumori della città.

“Sto andando in biblioteca: devo studiare il giusto dosaggio dell’M99 se non voglio rischiare di uccidere Clarke e consegnare ad A un cadavere con cui non può giocare.”

“Io vi servo per stasera?”

“No, resta pure a casa a riposarti. Ce ne occupiamo io, Eric e Sam.”

“Quindi avete un piano?”

“Per rapire Clarke? Beh, dopo mi vedrò con gli altri e ti metteremo in vivavoce per i dettagli.”

“Speriamo che fili tutto liscio.” sospirò Nathaniel.

“Lo spero anch’io. Se tutto va bene, saremo finalmente liberi da A.”

“Allora vivrò di speranza finchè non mi direte che è tutto finito.”


“Sai, chi di speranza vive, disperato muore: perciò è meglio non sperare troppo. – preferì non essere eccessivamente fiducioso – Ehi, sono davanti alla biblioteca. Ci sentiamo dopo!”

“Ok, dopo!” chiuse Nathaniel.

Subito dopo, Rider mise il telefono in tasca e iniziò a salire le gradinate; improvvisamente, su quella strada, passò un camion dei pompieri con la sua assordante sirena. Rider si voltò a guardarlo, mentre passava; un forte mal di testa l’ho fece tentennare: quel suono rievocò qualcosa nella sua mente.

 

FLASHBACK

 

Un piccolo Rider cercò di riprendersi il suo camion dei pompieri dalle mani di un bambino; continuava a suonare, mentre quello cercava di nasconderlo dietro alla sua schiena, impedendogli di prenderlo.

Rider provò a scagliarsi contro di lui, ma era troppo basso e minuto: “Lukas, ridammi il mio camion. Ridammelo!”

“Tu hai rotto la mia bicicletta e ora mi prendo il tuo gioco!” esclamò l’altro, ridendo e prendendosi gioco di lui.

“Non te l’ho rotta io la bici, non è vero!”

“E invece l’hai fatto, e ora nasconderò il tuo stupido camion dei pompieri in un posto dove non potrai mai trovarlo!” scappò via.

“Noooo, ridammelo! Ridammelo!” urlò, rincorrendolo, finchè non caddè per terra sbucciandosi un ginocchio.

Con gli occhi lucidi, Rider restò lì sull’asfalto, osservando Lukas sparire nel giardino dietro la sua abitazione.

Riprendendosi dal quel ricordo appena riaffiorato, Rider trasalì, rendendosi conto che Lukas era reale; che era davvero esistito nella sua vita e che, forse, Nolan non era del tutto un bugiardo. Tutto ciò lo spaventò, ma preferì accantonare la cosa, concentrandosi su Clarke: entrò finalmente in biblioteca.

 

*

 

Al Radley, Lindsey, accompagnata da sua cugina Tasha, decise di andare a trovare Nolan. All’ingresso, mentre firmavano il registro, l’infermiera di turno le ammonì.

“Scusate, ma Nolan Stuart può ricevere visite solo dai suoi parenti stretti.”

“Sono sua sorella!” esclamò Lindsey, con la penna ancora in mano.

L’infermiera spostò lo sguardo su Tasha, che si sentì oppressa.

“Che c’è? Io sono la cugina!”

“Solo parenti stretti, mi dispiace!” fu categorica.

Tasha rimase sbigottita, guardandosi con Lindsey: “Sta scherzando, vero?”

“Ascolta, faccio subito. – Lindsey la prese da parte, con toni pacati - Puoi aspettarmi?”

“E’ il colmo, ma almeno lo sanno chi sono?” si lamentò, lanciando occhiatacce all’infermiera.

“Tasha, non sei Naomi Campbell. Cerca di non litigare con quell’infermiera o cacceranno entrambe.”

“D’accordo!” esclamò a denti stretti, mettendosi a braccia conserte.

Finalmente Lindsey potè raggiungere la stanza di Nolan, percorrendo un lungo corridoio, osservando quelle mura con angoscia.

Dopo che le avevano aperto la porta della stanza, entrò; Nolan fu molto sorpreso di vederla, non sapendo cosa dire. La porta si chiuse alle sue spalle, erano soli. Lindsey si torturò le dita, scarna di parole.

Finalmente, poi, Nolan ruppe il silenzio, dopo aver chiuso il libro che stava leggendo: “Ciao!”

“Ciao!” accennò un sorriso, sedendosi sul letto con molta timidezza.

“Sono un po’ sorpreso di vederti qui, non mi aspettavo una tua visita.”

“Sentivo di doverlo fare.” disse premurosa.

“Durante i permessi che ho avuto nell’ultimo mese, ti ho vista parecchio distaccata.”

“Lo so, e ti chiedo scusa per questo. E’ solo che… scoprire la verità è stato come beccarsi un fulmine nel bel mezzo di una spiaggia. – raccontò con dispiacere - Se è per questo, anche con Rider sono stata distaccata ultimamente. Soprattutto dopo aver scoperto cosa ha fatto al nostro vicino di tanti anni fa.”

“Ti prego, non escluderlo solo per questo. Era piccolo quando è successo, e io mi sono semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.”

“Sul serio?? – rimase sorpresa, pensandolo fuorioso con Rider – E’ colpa sua se sei finito qui per più di dieci anni.”

“Sì, questo è vero. – replicò risoluto – Ma il vero colpevole è nostro padre; non mi ha mai creduto fino a quella notte al lago, nonostante glielo avessi detto per anni. Rider, almeno, sta cercando di sistemare le cose: proverà a farmi uscire di qui.”

“Sì, lo so. Mio zio Gordon… - si corresse subito – Ehm, volevo dire, nostro zio è venuto fin dall’Italia per fare quelle sedute con Rider. Spero che il giudice ti faccia uscire di qui dopo aver esaminato tutto.”

“Lo spero anch’io. – le sorrise, apprezzando le sue parole – Grazie.”

Quella sorrise a sua volta, molto tenera: “Sai, sono venuta qui per un motivo: un tempo eravamo molto uniti io e te, da piccoli, finchè non ti hanno portato via. – si commosse - Vorrei poter recuperare quel rapporto che avevamo, perché mi sento davvero in colpa per averti dimenticato. – le tremò anche la voce, ormai fra le lacrime - Ho avuto tutte queste settimane per riflettere sul mio rapporto conflittuale con Rider in tutti questi anni e credo di aver sempre saputo, dentro di me, che per colpa sua mi era stato portato via un importante pezzo della mia vita: e quel pezzo eri tu.”

Sorpreso da tali parole, Nolan reagì sgranando gli occhi, commuovendosi: “Mi-mi dispiace che sia andata così.”

“Anche a me…” non riuscì più a parlare, abbassando lo sguardo; cercò di trattenere il pianto, un dolore interiore che forse voleva esternare.

“Lindsey, va tutto bene?” si preoccupò nel vederla così, pensando, appunto, che ci fosse dell’altro.

“Sono incinta!” rivelò, rispondendo subito; sembrò quasi che avesse atteso quella fatidica domanda per trovare il coraggio.

Nolan non seppe cosa dire, impalato; non si aspettava una risposta di questo tipo: “Nostro padre lo sa?”

“No. L’ho detto solo a Tasha, una nostra cugina. Tu sei il secondo.”

“Ah… - restò spiazzato – E come mai?”

“Perché il bambino è di un uomo più grande con cui stavo e che mi ha lasciato. – le lacrime scesero copiose – Sto per finire il liceo, presto andrò al college e non so che cosa fare: non so se tenerlo oppure no, sono disperata… Abortire sarebbe come perdere un’altra parte di me e sono stanca di perdere.”

“Allora non farlo. Per una volta, prova a vincere: fai in modo che nessun’altra vita venga spezzata. – le suggerì con un accenno di sorriso – E se mai uscirò da qui, sarò felice di sostenerti e… di diventare zio!” esclamò, ridendo per la gioia di quel pensiero.

Quella rise a sua volta, asciugandosi le lacrime: “D’accordo, zio!”

E risero ancora, iniziando a legare e a provare ad essere uniti come un tempo.

 

 

*

 

Sam, a casa sua, andò ad aprire la porta, dopo che qualcuno aveva suonato: erano Eric e Rider; quest’ultimo aveva un borsone nero che pendeva dalla spalla.

“Oh Dio…” borbottò Sam, angosciato, immaginando cosa potesse contenere.

“Sì, beh, il fatidico giorno è arrivato Sam: fattene una ragione!” replicò Rider alla sua reazione.

“Cosa c’è lì dentro?” domandò.

“Siringa, farmaco, nastro adesivo per legarlo e altre cosette per eliminare le nostre imponte.” intervenì Eric.

Sam deglutì faticosamente, pallido e sudato: “Ok, entrate, devo farvi vedere una cosa.”

Il suo aspetto non passò inosservato ai suoi amici, che lo seguirono dentro casa con apprensione.

“Ehi, stai bene?” fu Rider a domandarglielo.

Quando giunsero in cucina, Sam indicò il tavolo con nervosismo; sopra c’era una chiave inglese avvolta dentro un panno bianco.

 “No, non sto bene per niente.”

Eric non capì, gurdandosi con Rider: “Ehm, che cos’è?”

“E’ una chiave inglese, ragazzi! – sottolineò Sam, agitato - QUELLA chiave inglese!”

Mentre Eric brancolava ancora nel buio, Rider afferrò finalmente le sue parole: “Oh mio Dio, è la chiave inglese con cui A ha distrutto i tubi del gas nella nostra scuola. – sgranò gli occhi, lasciando cadere la borsa per avvicinarsi a vedere – Te l’ha mandata lui?”

Sam tirò fuori la foto che aveva ricevuto insieme all’arnese: “Ragazzi, ieri notte, A mi ha messo questa chiave inglese tra le mani. Mentre dormivo! Se non gli consegnamo Clarke, incastrerà ognuno di noi su qualcosa di cui è stato responsabile lui! – spiegò in una sola emissione di fiato, spaventato a morte – Ho passato le ultime ore a immergere quel coso nella candeggina e strofinarlo con uno spazzolino da denti, ma non servirà a nulla cancellare le mie impronte finchè A può entrare in casa mia mentre dormo!”

“Ha ragione… - constatò Eric con sconcerto – Prima Nathaniel con il dipinto che potrebbe incastrarlo per l’omicidio di Edward, ora Sam con la chiave inglese. – fissò Rider – Sembra che se non faremo come dice A, si laverà le mani di tutti i suoi crimini, scaricandoli su di noi.”

“Ok, potete dirmi qual è il piano? – domandò Sam, nel panico – E’ chiaro che Clarke va’ catturato stasera, non possiamo allungare i tempi.”

“Sì, ok, allora, il piano è questo: sappiamo che Chloe e Clarke hanno una relazione o quello che è, no? – illustrò Rider – Se inviti Chloe a casa tua, puoi rubarle il telefono senza che se ne accorga e mandare un messaggio a Clarke dove gli chiedi di incontrarvi in un posto: a quel punto lui dovrà raggiungerla per forza.”

Sam mantenne gli occhi sbarrati ad ogni parola: “Stai scherzando, vero?”

“Ammetto che il piano di Rider è folle, ma non sappiamo come attirare Clarke.” aggiunse Eric.

“Ok, la invito qui, e poi? Che le dico? Ciao, prestami il telefono per ordinare la pizza?”  lo trovò folle, Sam.

“Non siete più amici da parecchio tempo, approfittane per riparare il vostro rapporto. – gli suggerì Rider – Guardate un telefilm come ai vecchi tempi e falla… bere tanto! Ma così tanto che dovrà andare in bagno per forza!”

Senza parole, Sam si voltò dall’altra parte a riflettere: “Tutto questo è assurdo, non vedo l’ora che questa storia di A finisca!”

“Se seguiamo il piano, finirà per davvero questa storia.” lo incoraggiò ancora una volta, Rider.

Improvvisamente squillò il telefono di Sam, che, fissato subito dai ragazzi, si prestò a rispondere.

“E’ Nat! – disse loro, per poi ascoltare ciò che l’amico aveva da dirgli – … Ehm, sì, ok, ora ti metto in vivavoce. – eseguì – Parla pure, ti ascoltiamo.”

“Accendete la televisione! Subito!” tuonò Nathaniel.

I tre si guardarono l’un l’altro, lo sguardo impanicato; Sam prese immediatamente il tecomando e accese la televisione che c’era lì in cucina, attaccata alla parete: davano il notiziario del tardo pomeriggio.

“…Secondo la polizia, la vittima del presunto omicidio è Edward Blanc, un noto pittore Newyorkese di trentaquattro anni. Dopo diverse ore di ricerche, la polizia sembra non aver ancora trovato il corpo dell’uomo, che, secondo una soffiata anonima ricevuta quasi una settimana fa, sarebbe sepolto nei boschi di Rosewood; questa mattina, infatti, una squadra ha trovato quello che potrebbe essere il luogo in cui l’uomo è stato sepolto. Pare, però, che l’assassino sembra aver giocato d’anticipo, riesumando le sue parti del corpo e lasciando delle buche vuote. Nulla esclude, ovviamente, che l’omicidio possa essere collegato a Jasper Laughlin, di cui non si hanno più notizie da più di un mese.”

Sam spense la televisione, camminando avanti e indietro, provando una sensazione di paura mai provata prima: “Non posso più farcela, non ce la faccio!”

“Pensate che sia stato A a fare quella soffiata anonima?” si chiese Eric, rimasto di sasso.

“E chi, sennò? – si voltò a rispondergli Sam, urlando – Ci vuole incastrare per tutte queste cose, sconteremo gli anni di galera fino alla nostra prossima vita!”

Nonostante fosse spaventato come il resto dei suoi amici, Rider cercò di restare lucido: “Ragazzi, calmiamoci un secondo, la polizia non ha trovato il corpo. A ha recuperato i borsoni: perché farlo se ci vuole incastrare sul serio? Sa perfettamente che sulle maniglie ci sono le nostre impronte.”

“E se avesse messo i borsoni nel deposito di Edward? – intervenne Nathaniel, ancora in vivavoce -Probabilmente è la seconda tappa della polizia!”

“Nat, per favore, puoi smetterla con questo deposito? – si esasperò Rider - Ne sei ossessionato!”

“Nathaniel ha ragione, li ha messi in quel deposito. – si intromise Sam – Se non prendiamo Clarke, indirizzerà la polizia in quel deposito e troveranno sia il dipinto che i borsoni!”

“E’ malato! – pensò Eric, sconvolto – A meriterebbe un posto al Radley.”

Improvvisamente, il telefono di quest’ultimo gli squillò in tasca; Eric deglutì malamente, pensando di essere stato ascoltato dal loro persecutore.

“Ok, forse non dovevo dirlo…” recuperò il cellulare, fissato dai suoi compagni con una vena di terrore nello sguardo.

Il telefono continuò a squillare tra sue mani, Rider divenne impaziente.

“Allora? Chi è?”

“E’ solo Alexis, penso mi stia chiamando per la serata karaoke. – tirò un sospiro di sollievo – Devo andare!”

Mentre Rider provò a respirare di nuovo, per lo spavento appena preso, Sam si sentì sempre più male, poggiando la testa sulla porta del frigorifero.

“Mi raccomando, non fare tardi, dopo. – gli disse Rider, prima che se ne andasse – Siamo noi due in prima linea.”

“Tranquillo, ci sarò. – spostò lo sguardo su Sam, che dava le spalle – Ehm, ciao Sam…”

Quello non rispose, restando nella medesima posizione, chiuso in se stesso. Eric andò via.

Rider, invece, si avvicinò al telefono di Sam, poggiato sul tavolo: “Ehi, Nat, ci sei?”

Nathaniel prese subito parola: “Ci sono ci sono. È solo che… ora come faccio a starmene seduto nella mia camera ad aspettare vostre notizie?”

“Trova il modo, Nat. – ribattè Rider, grattandosi il capo – Io ho altro a cui pensare in questo momento.”

“Tipo Chloe che si chiederà dove sarà finito Clarke, domani? – si voltò Sam, stufo della noncuranza dell’amico – Solo a me sembra che stiamo aggiungendo problemi sopra altri problemi?”

“No, Sam, stiamo cercando di eliminarli tutti in un colpo solo, a dire il vero. – alzò i toni anche Rider - Ma tanto a te cosa importa, non sei tu quello che deve fare il lavoro sporco.”

“Basta, devo uscire di qui. – si esasperò - Non ti sopporto in questo momento, non sopporto più nessuno di voi!” esclamò basito, avviandosi verso l’uscita della cucina.

Ad un certo punto, però, si dovette fermare: “Ma che dico, questa è casa mia! – si voltò nuovamente verso Rider, in modo arrogante – Se non ti dispiace, puoi andare! Devo prepararmi a rivedere una vecchia amica, mentre voi rapite il suo ragazzo.”

“Tranquillo, Sam, me ne stavo giusto per andare. – replicò Rider, prendendo il suo borsone – Nat, devo chiudere. – gli disse, tenendo il telefono davanti alla bocca - Ci sentiamo a cose fatte.”

“Ok, ma non litigate. Non è il momento per farlo, dobbiamo restare uniti.” suggerì loro, Nathaniel.

Rider e Sam si scambiarono un ultimo sguardo fulmineo, dopo aver chiuso la chiamata con l’amico. Subito dopo, Rider se ne andò e Sam restò da solo con il suo malumore.

 

*

 

Nel salotto di casa sua, Chloe era seduta sul divano a messaggiare con il telefono, poco interessata al programma che stavano dando in televisione; la sua sorellastra sedeva proprio sulla poltrona lì accanto e la osservava con piccole occhiate cuoriose.

Chloe: Sono preoccupata, hai sentito il notiziario?

Clarke: Sì, allora?

Chloe: Allora? Come sarebbe, allora? Natalie starà già lavorando ad un articolo che parla di questa storia, anziché lavorare a quella che le abbiamo fornito noi. Non scopriremo mai se il gemello di Rider è A, se non sappiamo nulla su di lui.

Clarke: Aspettiamo qualche giorno, ok? Conosco Natalie, non si lascerà scappare questa occasione.

Choe si accorse di avere addosso lo sguardo della sua sorellastra, infastidendosi.

Chloe: Va bene, aspettiamo. Io, intanto, sono qui con Stacy che mi guarda. La odio.

Clarke: Ancora? Ma non doveva andarsene ieri?

Chloe: Ma che ne so, fa come le pare!

 

“Parli con il tuo fidanzato?” le domandò Stacy, smorfiosa.

Chloe alzò gli occhi dallo schermo del telefono, voltandosi lentamente verso di lei: …Scusami?”

“Ti prego, non fare la finta tonta. Ieri ti ho vista fuori con quel ragazzo, ero alla finestra.”

“Non era il mio ragazzo, quello.” ribattè.

“Non sono cieca, sorellina. – sorrise per indispettirla – Un po’ grandicello, non credi?”

A quel punto, Chloe decise di sferrare l’offensiva: “Senti da che pulpito: almeno io non sono mai rientrata sbronza, dentro un auto con quattro ragazzi.”

Livida di rabbia, Stacy si ammutolì, mentre Chloe godeva di quel momento con un sorrisino cinico.

Improvvisamente, arrivò la madre con indosso il grembiule da cucina.

“Ragazze, cosa volete che vi prepari?” domandò con lo stesso spirito di una casalinga felice e servizievole.

Stacy continuò a fulminare Chloe, per poi alzarsi con irruenza dalla poltrona e lasciare la stanza.

“Grazie, ma non ho più fame!” esclamò arrabbiata, passandole accanto.

Sbigottita, la donna si voltò verso Chloe: “Ma che cosa è appena successo?”

“Niente, mamma. – sbatte gli occhi, saccente - Tua figlia dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi, tutto qui.”

“Chloe! – la rimproverò, angustiata – Cercate di andare d’accordo almeno nelle rarissime volte in cui siete insieme, sono stanca dei vostri litigi.”

“Mamma, non so se ti è chiaro, ma io non voglio avere nulla a che fare con la mia sorellastra e gli altri tuoi figli! – spiegò per l’ennesima volta – Per questo sono venuta a Rosewood a vivere dai miei zii, non sono di certo impazzita tutto d’un tratto; avevo le mie motivazioni per farlo e lo sai benissimo.”

Quella sospirò, scuotendo la testa, amareggiata. Nel momento in cui se ne andò anche lei, Chloe ricevette un messaggio.

Da Sam:

Ehi, ciao. So che in questo momento è strano che io ti scriva, dopo tutto questo tempo, ma ti andrebbe di fare un salto a casa mia? Vorrei parlarti.

 

Chloe sobbalzò dal divano, sorpresa di aver ricevuto un messaggio proprio da Sam, così inaspettato. In quell’istante, iniziò a riflettere sui motivi che l’avessero spinto a scriverle e per questo si preoccupò: poteva solo immaginare a qualcosa che potesse avergli fatto A.

 

 

*

 

Al Brew, la serata karaoke stava procedendo al meglio; il locale era pieno di persone, i camerieri circolavano con cocktail e stuzzichini, mentre i vari clienti salivano sul palchetto a scatenarsi con il loro cavallo di battaglia.

Intanto, Eric, assisteva alla serata, poggiato davanti al bancone con Alexis, aspettando il suo turno.

“Quella ragazza è davvero stonata!” la commentò Alexis, fissandola sul palco.

Eric era parecchio assente in quel momento, non faceva altro che controllare l’orologio.

“Non credi anche tu, Eric? – si voltò a domandargli, notando il suo distacco – Eric??”

“Ehm, sì, canta davvero malissimo.” rispose distrattamente.

“Va tutto bene?”

“Sì, è solo che devo vedermi con i miei amici fra poco, perciò…”

“Mmh, capisco.” tornò a guardare verso il palco, seccata.

Antonio salì sul palco alla fine dell’esibizione, prendendo il microfono; Eric osservò Alexis cambiare immediatamente espressione nel momento in cui lo vide; lo guardava come si guarda qualcuno da cui si è attratti segretamente.

“Ottimo, ragazzi, vi voglio scatenati e talentuosi. – il pubblicò urlò, entusiasta – Ma adesso, è arrivato il momento di accogliere qui sul palco un ragazzo che ormai tutti conoscete. – puntò il suo sguardo verso il bancone – Sto parlando di te, Eric, vieni!”

Tutti si voltarono verso di lui, acclamandolo, gridando il suo nome.

Imbarazzato, Eric si fece strada fra la folla fino al palco; quando salì, Antonio gli mise il braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé come un fratello maggiore.

“Eccolo qui, Eric adesso ci canterà Run boy run di Woodkids. – si girò a chiedergli conferma – Vero, Eric?”

Quello accennò un sorriso, annuendo forzatamente; dentro di sé non si fidava del suo finto buonismo.

A quel punto, Antonio scese dal palco, lasciandogli il microfono; la musica partì ed Eric iniziò a cantare.

“Run boy run! This world is not made for you. Run boy run! They’re trying to catch you. Run boy run! Running is a victory. Run boy run! Beauty lays behind the hills…”

Quando posò nuovamente gli occhi sul gobbo, Eric iniziò a notare qualcosa di strano nel testo.

 

Tomorrow is another day

And you wAon’t have to hide away

YoAu’ll be a man, boy! But for noAw it’s time to run, it’s time to run!

Run boy run! This ridAe is a journey to.

 

Nonostante ci fossero delle A all’interno di alcune parole, Eric continuò a cantare, cercando di non far notare a nessuno la sua inquietudine; Alexis, però, si accorse che qualcosa non andava, visto il suo improvviso calo di voce.

L’esibizione, dopo qualche minuto, finì e tutti applaudirono animatamente, mentre Eric scendeva dal palco con la testa fra nuvole.

Tornato accanto ad Alexis, si riempì un bicchiere d’acqua; quella notò subito che gli tremava la mano.

“Eric, va tutto bene?”

“Sì, perché?”

“Ehm… non so, sei salito sul palco con una faccia e ne sei sceso con un’altra. Dimmi tu.”

“Niente, è solo che il testo della canzone scorreva troppo veloce.” si giustificò, poco convincente.

“Pensavo fosse una canzone che conoscessi, non penso ti servisse il gobbo.” insistette, sospettosa.

Eric controllò di nuovo l’orologio, oppresso dalle sue domande: “Senti, devo andare!” esclamò, recuperando la sua giacca da dietro il bancone, stufo.

Perplessa e confusa, Alexis non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere altro che Eric uscì dal locale in fretta e furia.

 

*

 

 

Più tardi, Sam sentì suonare il campanello. Teso, sapeva già chi poteva essere, perciò raggiunse la porta con esitazione e quando la aprì, trovò Chloe con in mano una bottiglia di vino e un accenno di sorriso alquanto imbarazzato.

“Sei venuta!” esclamò con sorpresa, rigido come il legno.

“Beh, sì, mi hai scritto tu, perciò…” ciondolò davanti alla porta, Chloe.

“Sì sì, entra!” si spostò per farla passare.

Quella gli mise la bottiglia di vino fra le mani, mentre entrava: “Questa è per tuo padre; mi ricordo ancora il suo vino preferito.”

“Oh, grazie. Lo apprezzerà molto.” disse, chiudendo la porta.

In salotto, Chloe poggiò il suo cappotto sulla poltrona, che Sam iniziò a tenere d’occhio; in una delle tasche c’era il telefono che doveva rubare per mandare il messaggio di incontro a Clarke.

“Sam, va tutto bene?” gli domandò, dopo essersi seduta e aver notato un clima molto pesante.

“Ehm… Il fatto è che, non pensavo saresti venuta. – spiegò, non riuscendo a reggere i suoi sguardi – Ho riflettuto su molte cose, tra cui la nostra amicizia; credo di essermi comportato in modo strano, quindi…”

“… quindi, vuoi che torniamo amici?” completò per lui.

“Lo so, forse ti sto chiedendo troppo, ma… vorrei iniziare almeno da stasera, a piccoli passi. Non è giusto che una bellissima amicizia come è stata la nostra, venga buttata via così, senza nemmeno riprovarci.”

Chloe trovò il suo comportamento sempre più strano, iniziando a preoccuparsi che ci fosse dietro qualcos’altro: “Ehm, è vero, la nostra è stata una bella amicizia finchè non ti sei unito molto agli altri, dopo la morte di Anthony. Infatti mi chiedo se non sia successo qualcosa con loro…”

“Se stai insinuando che io e loro abbiamo litigato, ti rispondo subito di no. – rise, sudando freddo – Non ti sto riciclando, Chloe: sei qui perché mi sono reso conto di non essere stato un buon amico con te, tutto qui.”

“Su questo non c’è dubbio!” sottolineò con le sopracciglia sollevate.

“Quindi sei disposta a ricominciare da zero?”

“Sì, ma a patto che voglio la più totale sincerita da parte tua. Sei stato strano per tutto questo tempo e non ho mai capito perché, non ti sei mai confidato.”

Sam iniziò ad agitarsi, torturandosi le mani: “Io… beh, io… ero strano perché…”

Quella rimase a fissarlo, aspettandosi di sentire ciò che voleva sentire: la verità su A.

“Sam, qualcuno ti ha fatto qualcosa?” lo incentivò

“Eh? – sussultò quello, colto di sorpresa – No! – scosse la testa energicamente, cercando di negarlo – No no, niente di tutto questo!” mentì, pur sapendo che Chloe sapeva in qualche modo dell’esistenza di A.

“E allora che cos’è? – domandò, delusa – Non posso tornare tua amica se non mi dici perché hai smesso di essere mio amico.”

“Ascolta, vado a prendere qualcosa da mangiare. Per messaggi mi hai detto che avresti saltato la cena, venendo qui da me, perciò…” cercò di sorvolare quanto più possibile.

“Ehm, d’accordo… - sospirò, alzandosi – Vado un secondo in bagno, torno subito.”

“Ok ok…” annuì, pronto a cogliere quell’occasione.

Chloe lasciò la stanza, così come Sam finse di farlo, tornando subito indietro; iniziò a tenere d’occhio il corridoio, mentre sfilava di nascosto il telefono dal cappotto.

 

*

 

Riuniti nella stanza di Nathaniel, erano quasi le undici di sera; Eric cercò di spiegare ciò che era accaduto al Brew.

A ha manomesso il karaoke? – Nathaniel rimase basito, spostando lo sguardo su Rider – Non è umano: prima entra a casa di Sam, poi disseppellisce pezzi di cadavere nel bosco e oggi riesce a manomettere un karaoke, indisturbato?”

“Sì, beh, abbiamo capito che A deve aver studiato alla scuola per metaumani, non c’è da meravigliarsi!” esclamò Rider, tenendo le braccia incrociate.

Eric lo fissò, non afferrando l’espressione da lui usata; Rider si accorse subito del suo sguardo confuso e opprimente.

“The flash! – lo illuminò, pensando di essere finalmente compreso - I metaumani, Barry Allen…  – spostò lo sguardo fra i due, vedendoli ancora più disorientati – Niente? Non conoscete The flash?”

“Rider, ma di che stai parlando?” domandò Nathaniel, stufo.

“Se Sam fosse qui, mi avrebbe compreso sicuramente, oltre a vergognarsi di voi. – replicò deluso - E’ uno degli show di punta della CW!”

Nathaniel scosse la testa, cambiando discorso: “Eric, cosa è successo al Brew?” si rivolse a lui.

“Stavo cantando una canzone, quando sul gobbo, dove appare il testo, ho visto delle A dentro le parole.”

“Hai fatto una foto?” chiese Rider.

“Ovviamente, no. C’erano almeno una quarantina di persone, non potevo mettermi a fotografare il gobbo di un karaoke.”

“Quindi come decriptiamo il messaggio musicale di A? – si preoccupò Rider – Dev’essere qualcosa di importante, magari è legato alla consegna di Clarke.”

“Non sappiamo nemmeno se A abbia la minima idea di cosa stiamo facendo.” pensò Nathaniel.

“Lo sa, invece.” ribattè Rider.

Eric, intanto, tirò fuori dalla tasca un foglietto: “Qui ho scritto la parte del testo con dentro le A. – lo passò a Rider, facendo un appunto – La professoressa di biologia dice che ho una memoria fotografica.”

“Ora lo vedremo…” disse Rider, controllando il testo.

 

Tomorrow is another day

And you wAon’t have to hide away

YoAu’ll be a man, boy! But for noAw it’s time to run, it’s time to run!

Run boy run! This ridAe is a journey to.

 

 “Visto? – Eric notò un volto perplesso in Rider – Non si capisce niente, mette la sua firma in mezzo alle parole e non hanno più senso.”

“Credo che dare un senso alle parole non sia lo scopo del messaggio. – Rider sembrò aver decifrato il testo – Piuttosto, A mette in luce l’errore per soffermarci sulle lettere che sono accanto alla sua firma.”

Nathaniel si alzò dal letto, avvicinandosi a lui: “Quindi il messaggio sta nelle parole che sono accanto alla A? – provò a mettere in pratica la teoria – WOOUOWDE???”

“Mi prendi in giro? – si avvicinò anche Eric – Il messaggio sarebbe il verso di un animale?”

Con il foglio ancora in mano, Rider si voltò verso di lui con disappunto: “Nessun animale fa questo tipo di verso, Eric.”

“Ok, ci provo io! – esclamò Eric – Forse è… OWUOWAWOED???”

Entrambi gli amici li lanciarono un’occhiataccia.

“Sei serio? – commentò Rider, allibito - Hai solo invertito le lettere che ha appena detto Nathaniel. – sospirò, incredulo – Siete entrambi pessimi come osservatori, lo sapete? Mentre voi sparavate parole incomprensibili come fanno i bambini di tre anni, io ho capito che bisogna prendere tutte le lettere che ci sono prima della A, quindi la parola è: Wood!”

Nathaniel si guardò con Eric, entrambi a bocca aperta: “Oh mio Dio, il bosco!”

“Non voglio azzardare, ma credo che A voglia che portiamo Clarke lì, dopo averlo catturato.” ipotizzò Rider.

“Come fa A a sapere dove si trova il bosco?” si chiese Eric.

Rider rispose prontamente: “Lo sa, perché noi lo sappiamo.”

“Ma il tablet con le coordinate del bosco ce l’hai tu, no? – pensò Nathaniel – A meno che…”

“E’ entrato a casa di Sam, perciò può benissimo essere entrato anche in casa mia e aver preso le coordinate. – trovò ovvio, Rider – Mi vengono i brividi a pensare che cammina dentro le nostre stanze, mentre dormiamo.”

A Nathaniel venne la pelle d’oca: “Già, ora che l’hai detto, credo che non dormirò mai più.”

“Credo che per stanotte sarà più impegnato a riscuotere Clarke che venire a guardarti dormire.” aggiunse Eric.

Un messaggio sopraggiunse proprio sul telefono di quest’ultimo; i suoi amici lo fissarono, mentre lo leggeva.

“Ragazzi, è Sam! – fece sapere - Ha mandato il messaggio a Clarke dal telefono di Chloe.”

Nathaniel era curioso di sapere maggiori dettagli: “Di preciso, dove dovete rapire Clarke?”

“Abbiamo pensato di fare questa cosa vicino al Rosewood community park, dove c’è la fermata dell’autobus e quella strada poco illuminata e senza telecamere.” spiegò Rider.

“E come avete intenzione di catturarlo, Clarke?”

“Ehm… - Eric si guardò con Rider, restando ermetico – Preferiamo non dirti questa parte, ci prenderesti per matti! O prenderesti Rider per matto, visto che l’idea è sua.”

“Già, tu pensa solo che abbiamo tutto sotto controllo!” esclamò Rider.

Nathaniel cercò di dedurre qualcosa dall’abbigliamento dell’amico: “C’entra con il fatto che Rider è vestito da A? Se solleva il cappuccio in testa, è identico a lui.”

“Più o meno! – esclamò Rider con tono frettoloso, controllando l’orologio – Ora dobbiamo andare, Clarke non ci metterà molto a raggiungere il posto; sicuramente si starà già chiedendo cosa ci faccia Chloe da quelle parti, da sola.”

Insieme ad Eric si avviò verso la porta, finalmente. Nathaniel disse loro un ultima cosa, però.

“State attenti, quando porterete Clarke nel bosco per consegnarlo ad A. Se ha rubato le coordinate, l’avrà fatto diversi giorni fa, perciò dev’esserci già stato e aver preparato qualche trappola.”

“Tranquillo, faremo attenzione. – lo rassicurò Eric – Anche se non c’è da preoccuparsi, penso che A voglia solo avere Clarke, in questo momento, non noi.”

I due lasciarono la stanza, a quel punto. Nathaniel si rimise a letto, in ansia per i suoi amici.

 

*

 

Julie, nel frattempo, era davanti al suo computer, impegnata a tenere d’occhio Sam. Improvvisamente squillò il telefono: era Palmer.

“Pronto, amore?” rispose.

“Ehi, tesoro, vuoi che ti porti qualcosa dal cinese, quando rientro? – le domandò, coperto dalle voci di altre persone – O hai già mangiato?”

“E quando rientrerai, esattamente? – ribattè, leggermente seccata nel tono – E che cos’è questo casino?”

“Sono in un bar con alcuni colleghi, Jerome ci ha portati fuori a prendere una birra per festeggiare il suo compleanno.”

“Chi, quello che l’altra volta mi ha scambiato per tua sorella?” ricordò con fastidio.

“Oh, avanti, non sembro così vecchio, nonostante la carta dica il contrario. Ci può stare che abbia fatto quel commento.”

“Tesoro, non ho nemmeno trent’anni, mentre tu hai superato i quaranta: per me quella era un’offesa!” sottolineò a gran voce.

“Allora, ti porto qualcosa, più tardi?”

Quella sospirò, tralasciando anche lei quel discorso: “No, ho già mangiato. Fai il bravo!”

“Sicura?”

“Sì, divertiti! Torna dai tuoi anziani amichetti!” lo convinse ancora una volta, il suo solito tono sarcastico.

Quando la chiamata si chiuse, Julie rimise il telefono sul tavolo; dopo si legò i capelli, tornando a fissare il computer, parlando tra sé e sé in maniera permalosa.

“Col cazzo che ho già mangiato, ora chiamo il fattorino della pizza! – smanettò sul computer con una mano, mentre con l’altra digitava il numero sul telefono – Di certo non aspetterò che Jerome spenga le sue duecento candeline per mettere del cibo nello stomaco!”

Qualcosa, poi, attirò la sua attenzione sul computer, facendole dimenticare quel piccolo momento di irritabilità nei confronti del fidanzato; chiamò subito Wesam, poi.

“Ehi, Wesam, mettiti i pantaloni!”

“Che succede?”

“Sam ha appena scritto ai suoi amici, saranno al Rosewood community park.”

“A far che?”

“E io che ne so, il tuo baby fidanzato non è molto dettagliato nei messaggi.”

“Ok, non è molto lontano, ci vado a piedi!”

“Fai attenzione, A non deve vederti: sei tu che devi vedere lui; poi seguilo.”

“Chi ti dice che A sarà sul posto?”

“Non lo so, tu stai solo attento!”

“D’accordo, a dopo! Tienimi aggiornato.”

“Puoi scommetterci!” ribattè, restando in linea.

 

*

 

Seduti sul divano, agli antipodi, Sam e Chloe stavano guardando un episodio di Dexter con due buste di patatine fra le mani e una bibita gassata sul tavolino; entrambi erano molto silenziosi, più impegnati a mantenere quel silenzio che a guardare la televisione.

“Ne abbiamo guardate di serie, insieme; deteniamo un vero e proprio record, ma non capisco perché non abbiamo mai visto Dexter: è uno dei serial crime più conosciuti in tutto il mondo!” parlò Sam, cercando di smorzare la tensione.

“Già, forse non ci piacciono i serial killer!” si voltò quella, uno sguardo glaciale.

Sam si intimidì, a disagio per quella occhiata ricevuta; continuò a fingere di essere interessato alla trama della serie, pur di evitarla.

“Ehm… adoro questa terza stagione: Dexter ha finalmente trovato qualcuno che lo capisca e che lo accetti; per tutto questo tempo è rimasto solo, a combattere una battaglia che non ha chiesto di combattere, ma che gli è stata importa da suo padre.”

“Beh, è lui che ha scelto di restare solo. Perché mantenere questo segreto? Avrebbe potuto raccontarlo alla sorella, a qualcuno di cui si fida; alla fine salva delle vite innocenti, che importa come si libera dei problemi che affliggono questo mondo?”

Sam sfociò in un espressione perplessa: “E’ un mostro, Chloe. Nessuno convive con i mostri.”

L’altra abbassò lo sguardo, lasciando cadere la sua maschera: “…Tu lo fai ogni giorno, qual è la differenza?”

A quell’affermazione, Sam bloccò l’episodio con il telecomando, restando immobile per diversi secondi; Chloe decise di gettare finalmente quel sasso, sperando che lui lo raccogliesse: era arrivata l’ora di farla finita con i segreti.

“A cosa ti riferisci?” deglutì a fatica, aspettando una risposta.

“Alla cosa che hai tentato di nascondermi fino ad avermi allontanata.”

A quel punto, Sam lasciò cadere anche la sua maschera; non sarebbe riuscito a portare avanti un’altra serie di bugie, così si rilassò e decise di confessare.

“Cosa sai?”

“So che il mostro di cui stiamo parlando è A.”

Sam ne ebbe finalmente la conferma, ora che era uscita quella lettera dalla sua bocca: “Come l’hai scoperto?”

“Credo di saperlo dal giorno in cui mi hai accompagnata alla Hollis; ti è arrivato un messaggio da A e ti chiedeva di guardare il notiziario.”

“Ah, quello… - Sam si voltò dall’altra parte, ripensando con gli occhi lucidi a quante ne aveva passate da quel momento – Sembra passato un secolo…”

Chloe capì che la situazione era più tragica di quanto immaginasse: “…Cosa vi ha fatto?”

L’altro sorrise in maniera malinconica, guardandola negli occhi come un condannato a morte: “Non saprei nemmeno da dove cominciare. – una lacrima gli scese lungo il viso, mostrando la sua sofferenza – Non potevamo dirlo a nessuno, non potevo dirlo a te o a mio padre o alla polizia.”

Coinvolta emotivamente, Chloe gli mise una mano sulla spalla, cercando di essere di conforto: “Mi stai spaventando, non sembra averti minacciato solo con dei messaggi…”

“Come sai che ci minaccia? – Sam si pulì le lacrime, cercando di estirpare alcuni suoi dubbi – Insomma, hai pensato che qualcuno mi minacciasse solo da quel semplice messaggio che hai visto sul mio telefono? E poi perché lo sa anche la sorella di Rider?”

“Come sai che Lindsey lo sa?” domandò sbigottita.

“L’ha scoperto Rider quando era rinchiuso al Radley; in pratica nella sua cucina c’era una cimice nascosta e lui vi ha ascoltate attraverso una bambola di pezza.”

“Un secondo, Rider era al Radley?”

A l’ha scambiato con suo fratello gemello. A proposito: Rider ha un fratello pazzoide di cui lui e sua sorella non sapevano nulla.”

“Ok, io lo so che Rider ha un fratello; cioè, l’ho scoperto qualche giorno fa e Clarke pensa che sia A, ma io non ne sono così tanto convinta e… ” parlò a raffica, disorientata da tutte quelle informazioni.

Sam sgranò gli occhi, bloccandola: “Lo sa anche Clarke?”

“E’ una lunga storia, ma Lindsey non ne sa quanto me e lui. Ha solo ricevuto un messaggio intimidatorio da A, che insinuava una sua gravidanza.”

“E pensa di averlo ricevuto da Alexis, lo so! – Chloe sbigottì nuovamente e lui le spiegò subito – Ehm, sempre Rider che vi ha ascoltate dal Radley.”

“Ok, Clarke pensa che sia stato il fratello di Rider ad uccidere Anthony e suo padre, ma non sappiamo nulla di quel ragazzo, quindi ha voluto indagare.”

“No, siete fuori strada, Nolan non c’entra nulla con tutto questo, te lo posso confermare; e poi è rinchiuso al Radley, come vi è venuto in mente?”

“Appunto, gliel’ho detto anch’io, ma insisteva col dire che anni fa c’erano dei problemi di sicurezza al Radley e che poteva essere riuscito a fuggire indisturbato e compiere gli omicidi.”

“Mi dispiace per Clarke, ma suo padre è stato ucciso da Anthony; quella sera ci chiamò per aiutarlo a lasciare Rosewood, finchè non abbiamo investito Albert durante il tragitto.”

Chloe si portò una mano sulla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio… E Anthony come ci è finito nell’incendio?”

Sam si ammutolì in seguito a quella domanda, ma decise di non mentire più: “Ehm… dopo che abbiamo investito Albert, l’abbiamo portato a casa di Anthony e messo accanto a suo padre. – ricordò con vergogna - Poi abbiamo appiccato l’incendio: il piano di Anthony era quello di far credere a tutti che fosse morto.”

“Chi era alla guida?” chiese ancora, sempre più sconcertata.

“Era Anthony; quella notte uscì fuori di testa, sembrava un matto. L’ultima volta che l’abbiamo visto è stato quando l’abbiamo accompagnato alla stazione. Poi A ci ha mandato un video dove sembrava che l’avesse ucciso, invece l’aveva solo rapito.”

“Aspetta, se Albert è stato ritrovato più di un mese fa, chi hanno seppellito all’inizio?”

“Chloe è complicato, nella bara di Anthony c’è sempre stato qualcuno che non conosciamo. Noi pensavamo ci fosse Albert prima del funerale di Anthony, poi A ci ha fatto credere che l’avesse scambiato con Anthony, invece ci ha solo presi in giro.”

“Ma Anthony è morto, giusto?”

Sam face sempre più fatica a rispondere: “Ehm, a dir la verità… non lo sappiamo con certezza; però sappiamo che Anthony è riuscito a fuggire da A e che è rimasto nascosto a Rosewood per almeno una settimana, mentre tutti lo credevamo morto.”

Chloe non sapeva come reagire, incredula: “Come sapere tutte queste cose?”

“Le abbiamo scoperte per caso, Chloe; ci sono tante cose che non sai e che ci metterei una vita a raccontarti.”

“E’ assurdo, perché non dite nulla alla polizia? A avrà ucciso qualcuno per riempire la bara di Anthony, perciò non capisco!”

“Tu non capisci, A possiede dei filmati su noi: quella notte era con Albert, prima che lo investissimo.”

“Albert era con Lindsey e Brakner, li ho visti. Non c’era nessun’altro.”

“Beh, dev’essere salito sulla macchina di A dopo essere sceso da quella di Brakner. Per quanto tempo sei rimasta lì?”

“Non molto, sono andata via subito.”

“E non hai fatto caso alle macchine parcheggiate lì vicino?”

“No, per niente.”

Entrambi sospirarono, mentre Chloe metabolizzava ogni cosa. Sam cercò di metterla in guardia.

“Ascolta, A ci odia con tutte le sue forze perché abbiamo ucciso Albert. Ma ci odia anche per un’altra cosa... solo che, di questa cosa, noi ne siamo responsabili.”

Chloe si voltò verso di lui, gli occhi leggermente sgranati: sapeva di cosa stesse parlando.

“Ehm… - temè nel dire la verità – Quindi A è una persona legata ad Albert?”

“Noi sospettavamo di Brakner, ma a questo punto non sappiamo chi sia.”

Il suo cuore battè sempre più forte, Chloe faticava quasi a respirare: “Sam, io devo dirti una cosa… - lo fissò negli occhi con timore – So per che cos’altro A vi sta perseguitando…”

Sam sussultò, perlesso: “No, non puoi saperlo. Non te l’ho ancora detto.”

“E invece lo so.” ribattè con gli occhi lucidi.

“Oh mio Dio, Clarke te l’ha detto? Ti ha detto del bosco?” intuì.

“Lo sapete, allora…” abbassò lo sguardo, sentendosi ancora più in colpa.

“Certo che lo sappiamo, A ci sta perseguitando per questo motivo e ce l’ha detto forte e chiaro; in tutti questi mesi abbiamo cercato di fargli capire che eravamo innocenti, finchè non abbiamo scoperto che era Clarke il complice di Anthony in quel bosco. – la giudicò – Se sai di Clarke, come hai potuto continuare a frequentarlo dopo quello che hai saputo su di lui?”

Quella scosse la testa: “Non è Clarke il complice di Anthony, lui non c’entra nulla… - non riuscì a trattenere le lacrime, la voce soffocata – Sono io la complice di Anthony!” rivelò.

Sconvolto, Sam si alzò dal sofà in un solo scatto, sgranando gli occhi e restando a bocca aperta; quasi vollè svenire: “No, non può essere… Ti prego, non tu…”

“Invece è così!” riconfermò, devastata.

L'atmosfera si congelò all'istante.

 

*

 

Clarke, intanto, arrivò nei pressi del Rosewood community park, scendendo dalla sua macchina; non c’era anima viva lì intorno.

Aspettò diversi minuti, controllando continuamente il telefono. Improvvisamente, vide qualcuno camminare dall’altra parte della strada; portava un cappuccio nero in testa, non si scorgeva il volto. Clarke restò a fissarlo, mentre quello era fermo davanti alla fermata dell’autobus con la testa bassa.

Una macchina arrivò proprio in quell’istate, ad una certa velocità, abbagliando la stradina; l’incapucciato, sotto gli occhi di Clarke, iniziò ad attraversare la strada.

Immaginando il peggio, Clarke avanzò di un passo e urlò al ragazzo: “EHI! – ma quello non si fermò, mentre la macchina andava spedita – EHI, STAI ATTENTO!”

Ma l’incappucciato continuò a camminare, colpito da quell’auto, che sfrecciò via senza fermarsi: il ragazzo rimase steso sull’asfalto.

Clarke, sconvolto, attraversò la strada di corsa, raggiungendolo.

“Ehi, mi senti? – si inginocchiò a sincerarsi delle sue condizione, pigiando due dita sulla giugulare – Tranquillo, ora chiamo un’ambulanza!” e prese il telefono, iniziando a digitare il numero.

In quel momento di distrazione, l’incappucciato si sollevò di scatto e infilò l’ago di una siringa nel collo di Clarke: si trattava di Rider.

Quello sgranò gli occhi, riuscendo a dire qualcosa poco prima di perdere i sensi: “Ma che…???”

Rider frugò nelle sue tasche, recuperando le chiavi della macchina; Eric tornò indietro a piedi, dopo aver investito l’amico qualche attimo prima.

“Potevi andarci piano, per poco non mi investivi sul serio!” gli lanciò le chiavi, guardando entrambi i lati delle strade per assicurarsi che non stesse arrivando nessuno.

“Scusa tanto se non ho mai investito qualcuno per finta!” esclamò Eric con la voce tremolante, aiutando Rider a portare Clarke fino al bagagliaio della macchina.

“L’importante è che sia andata bene, è stato facile!” ribattè Rider con l’affanno, dopo che l'avevano caricato.

“Lo dobbiamo legare?” domandò, mentre lo osservavano a sportello aperto.

“Non abbiamo tempo, potrebbe arrivare qualcuno. Lo faremo nel bosco, tanto dormirà per un bel po’ di ore; non c’è pericolo che si svegli all’improvviso. – suggerì, chiudendo il bagagliaio – Avvisa Sam e Nat!”

Eric prese subito il telefono, mentre aprivano i rispettivi sportelli per entrare in macchina e partire.

Non molto lontano da loro, Wesam vide tutta la scena, con il telefono all’orecchio.

“Tu non immagini cosa ho appena visto…” riferì a Julie, sconvolto.

 

*

 

Nel frattempo, Sam era ancora in piedi davanti a Chloe, facendo avanti e indietro con nervosismo.

“No, ti prego, dimmi che stai scherzando. Ti prego, Chloe.”

“Anthony mi ha fregata, non avrei mai acconsentito a stare dietro a quella telecamera a riprendere ciò che stava facendo a quelle persone.”

“Dimmi che Albert non è stato in quel bosco…” volle saperlo, terrorizzato dalla risposta.

Chloe anticipò quella risposta con un’espressione ormai pallida: “L-lui… - balbettò, spaventata – Sì, lui c’è stato.”

Sam si mise le mani nei capelli: “Oh mio Dio… - subito la prese per le spalle, facendola alzare in piedi – Chloe, non possiamo più restare qui. Devo portarti via. ORA!”

“C-che vuoi dire?”

A ti ucciderà, ok? – tremò la voce anche a lui, terrorizzato – Devi sparire, ti aiuterò.”

“Ma non posso sparire, sei impazzito?”

“Ha ucciso una persona, Chloe! – la scosse, sperando di aprirle gli occhi – L’ha fatta a pezzi e ci ha chiesto di seppellirla nel bosco, d’accordo? Lui ha capito che il complice di Anthony non è nessuno di noi e ci sta torturando da settimane affinchè glielo consegnassimo.”

L’altra continuò ad inorridirsi, la mano nuovamente davanti alla bocca: “Oh mio Dio, non dirmi che l’omicidio annunciato oggi al notiziario è…???”

“Sì, parlavano dell’uomo che abbiamo seppellito. Tu non hai idea di quanto siamo fottuti; ti ho tenuta distante anche per questo, la mia vita è una totale follia!

“Sam, voglio spiegarti!” si sentì in dovere di farlo, visto che non sapeva cosa pensasse l’amico di lei; non voleva essere considerata uguale ad Anthony.

“Non adesso, vado a prendere le chiavi della macchina. A potrebbe aver messo dei microfoni in casa mia, dobbiamo andarcene!”

“Ma dove andiamo?” lo rincorse, mentre quello cercava le chiavi in cucina, facendo cadere delle cose.

“Lontani da quel mostro, fidati di me!”

Arresa e spaventata, Chloe annuì ripetutamente. Trovate le chiavi, poi, lasciarono l’abitazione in fretta e furia.

 

*

 

Alla guida della sua auto, Wesam stava seguendo Eric e Rider lungo l’autostrada fuori Rosewood; a debita distanza per non farsi beccare, era ancora al telefono con Julie.

“Pensano che il fratello di Anthony sia suo complice, Sam non mi ha mai accennato niente di lui. E nemmeno di questo piano folle.”

“Forse non te l’ha detto, proprio perché è folle. Sono così disperati da rapire una persona e drogarla?”

“Devo stargli addosso, prima che facciano una sciocchezza.”

“Tipo farlo a pezzi?”

“N-non credo, Julie… - lo trovò troppo azzardato ed inquietante - Sam e gli altri volevano scoprire chi fosse il complice ed indicarlo ad A, ma non avevo idea che avessero intenzione di rapirlo.”

“Dove credi che stiano andando?”

“Non lo so, ma non mi piace…” continuò a tenere d’occhio la loro auto.

“Oh oh! – tuonò Julie, dopo essere rimasta in silenzio per diversi secondi – Non ti piacerà nemmeno questo!”

“Cosa? Che succede?”

“Sam sta lasciando la città, sto ancora monitorando il suo telefono.”

“Sta arrivando dietro di me? Forse sta raggiungendo i suoi amici…”

“Veramente sta andando dalla parte opposta alla vostra, ha imboccato l’autostrada est!”

“Cosa?” sussultò, frenando bruscamente; fece immediatamente inversione.

“Cos’era quel rumore?”

“Si sta muovendo velocemente?” domandò, accellerando progressivamente per raggiungerlo.

“A giudicare da come si muove il puntino sul monitor, direi che ha una gran fretta.”

Wesam era in pensiero: “Sta succedendo qualcosa…”

 

*

 

Contemporaneamente, sull’autostrada est, Sam stava quasi superando i limiti di velocità pur di allontanarsi da A e proteggere la sua amica.

Chloe stringeva la cintura che le passava in mezzo al seno, rigida per la paura: “Sam, stai andando troppo veloce.”

“Lo so, ma dobbiamo allontanarci il più possibile!”

“Ma dove andiamo?”

“Ovunque, tranne che qui… - lanciò un’occhiata al suo telefono, sul cruscotto, che prese – Buttalo! – ordinò a Chloe – Butta anche il tuo telefono, lui può fare delle cose, può rintracciarci.”

“Sei serio?”

“Chloe, ti ho detto di buttarli! – urlò – So di cosa è capace, tu non hai idea.”

Ansimando, Chloe abbassò il finestrino e gettò fuori i loro telefoni.

“Sto iniziando ad avere paura, Sam… - fece fatica a deglutire – A vuole uccidermi, ma io non ho fatto niente.”

“Perché? – le domandò – Perché ti sei unita ad Anthony?”

“Te l’ho detto, mi ha fregata. Solo che… era troppo tardi, quando me ne sono accorta.”

 

FLASHBACK

 

“Ci siamo conosciuti per la prima volta, tre anni fa. Era quasi settembre, l’estate era agli sgoccioli; quella volta ero venuta qui con mia madre per passare qualche settimana di vacanza dai miei zii. C’era anche Stacy, la mia sorellastra. Non la sopportavo più, così sono stata fuori casa per quasi tutto il pomeriggio; sono andata al Brew, ed è stato lì che l’ho conosciuto.

Lui era al computer, seduto ad uno dei tavoli; io ero seduta al tavolo di fianco: ci lanciammo una serie di sguardi, fin da subito, finchè non venne a sedersi davanti a me.”

“Sei nuova, non ti ho mai vista qui.” esordì con un sorriso cordiale.

Chloe rimase assai sbigottita: “Non pensavo che mi avresti rivolto la parola, sono sorpresa.”

“Pensavi che fossi uno di quei ragazzi che ti lancia quattro occhiate e poi non trova il coraggio di venirti a parlare?

“A dir la verità, no. Sei un bellissimo ragazzo, pensavo solo che avessi standard più alti.” rise per sdrammatizzare, dimostrando di avere una scarsa autostima di sé stessa.

“Stai per caso dicendo che non sei al mio stesso livello?”

“No, lo dice la legge universale per il quale un ragazzo perfetto nota solo le ragazze perfette.”

Anthony si fece più avanti, risoluto: “Lascia che ti sveli un segreto… - sussurrò, a pochi centimetri dal suo viso – Qui a Rosewood, le cose funzionano diversamente: a volte, il ragazzo perfetto può notare la ragazza che si sente imperfetta… ma che è perfetta per lui.”

Chloe arrossì, sudò, quasi le mancava il fiato: “Ehm… immagino che Rosewood sia un bel posto dove vivere, se le cose funzionano in modo diverso da come funzionano nel mondo reale.”

“Ha i suoi difetti, ma non si lascia dimenticare così facilmente.”

“Vorrei poterci vivere…”

“Quindi non sei di queste parti?”

“South Dakota! Sono qui in vacanza dai miei zii con mia madre e… - assunse un espressione ripugnata – la mia sorellastra!”

“Non andate d’accordo, eh?”

“Diciamo che se la casa andasse a fuoco e io fossi priva di sensi, mi lascerebbe lì senza nemmeno chiamare aiuto; sarebbe capace persino di scattarsi un selfie davanti alla casa in fiamme: non so se rendo l’idea!”

“L’ha avuta con il suo nuovo marito?”

“Ehm, no, lei è solo figlia del nuovo marito e del suo precedente matrimonio. Oltre lei, ci sono Kevin e Sophia; nemmeno loro sono miei grandi fan… – si ammutolì, improvvisamente triste – Ovviamente non ci ho potuto fare nulla; dopo che mio padre ci ha lasciate, ho dovuto seguire mia madre in questa follia che lei chiama amore.”

Anthony annuì: “Capisco…”

“Fortuna che Stacy andrà al college l’anno prossimo: meno uno che mi odia!”

“Ma gli altri due restano, no? Ti toccherà subire loro, ancora. – pensò, per poi interessarsi a ciò che stava facendo – Cosa c’è sul computer? Ho notato che eri molto indaffarata.”

Quella, entusiasta del suo interessamento, girò il computer verso di lui: “Niente, sto montando alcuni video che ho girato. Mi piace filmare.” svelò, orgogliosa del suo passatempo.

Anthony avviò uno dei suoi filmati, che mostrava 365 albe in sei minuti. Chloe spiegò subito di cosa si trattasse.

“Ogni giorno, per un anno, ho filmato il sole che sorgeva; poi ho montato tutto insieme ed è venuto fuori che… nessuna alba è mai uguale all’altra. – ne parlò con un sorriso genuino – Tutte così diverse e tutte così uniche.”

“Qui ci sono molti video, vorrei vederli tutti; sembri una ragazza in gamba!” esclamò, sorridendole.

“Se lo dici tu!” sorrise a sua volta, piacevolmente colpita dai suoi complimenti.

Improvvisamente, Anthony si mostrò riflessivo: “Hai mai pensato di dire a tua madre che quella vita che si è scelta, non è la vita che vuoi tu?”

“Sempre, a dire il vero. La verità è che non ho un altro posto dove andare, sono minorenne.”

“Potresti vivere dai tuoi zii!” le suggerì.

“La mia vita è nel South dakota, mia madre non farà mai questo passo.”

“Lei sa perfettamente che tu e tuoi fratellastri non vi piacete, no? – quella annuì, ascoltandolo – Beh, forse ha bisogno di una spinta in più per capire che c’è davvero un problema che va risolto.”

 

“E’ stato in quel momento che Anthony mi ha fatto un favore. – raccontò – Grazie a lui, mia madre ha deciso di farmi vivere qui a Rosewood… - si mostrò affranta - Non avrei mai immaginato che un giorno me ne sarei pentita.”

“Che favore ti ha fatto?” domandò Sam, mentre guidava.

“Ha conosciuto Stacy, in qualche modo, poi l’ha invitata ad una mega festa di qualche suo amico; ovviamente lei non rifiutò, non vedeva l’ora di riempire i social e far morire d’invidia chiunque la seguisse su Instagram o Facebook. – spiegò – Quel giorno ero con lei, quindi invitò anche me, fingendo di non conoscermi; Stacy non potè aprire bocca, malgrado non mi volesse tra i piedi, ma quel giorno fece buon viso a cattivo gioco pur di partecipare a quella festa. – poi fece una considerazione – Non avevo ancora capito quanto Anthony fosse scaltro e macchinatore, finchè non chiese a dei suoi amici di far ubriacare Stacy fino al limite.”

“Poi che è successo?”

“Senza che io sapessi nulla dei suoi piani, sono uscita da quella casa e ho scoperto che Stacy se n’era andata via con quei ragazzi senza di me; aveva promesso a mia madre che non mi avrebbe mai persa di vista, dato che lei è più grande di me… A quel punto mi sono avvicinata alla strada, cercando di contattare mia madre, e all’improvviso una macchina ha frenato accanto a me; dalla vettura è sceso un tizio con il passamontagna che mi ha afferrata e addormentata con il cloroformio… - lo rivisse come se stesse accadendo in quel momento, un espressione terrorizzata – Quando mi sono risvegliata, sdraiata sui sedili posteriori di quell’auto, il mio rapitore era seduto sul sedile accanto al guidatore, con il passamontagna fra le mani: era Anthony. Mi aveva fissata per tutto il tempo.”

 

FLASHBACK

 

Chloe si risvegliò lentamente, stordita. Solo quando vide il volto di Anthony, tornò lucida, sollevandosi con uno scatto; lui la osservò con un sorriso cinico, quasi divertito, ma, soprattutto, era calmo.

“Dove siamo? – reagì con nervosismo e distacco – Sei stato tu a rapirmi?”

“Non si vede, Chloe?” sottolineò con un sollevamento delle sopracciglia, invitandola a guardare con attenzione la situazione.

“Sei impazzito? Mi hai drogata!” urlò.

“Direi che addormentata è la parola più adatta per questo contesto, Chloe: vieni drogata quando ti stuprano, non quando ti rapiscono per finta.”

Chloe si guardò subito la parte inferiore del corpo, abbassandosi meglio la gonna; non sapeva a cosa credere.

Anthony roteò subito gli occhi, seccato da quel comportamento diffidente: “Oh Dio, pensi davvero che ti abbia stuprata? Dovresti capirlo da sola se è successo qualcosa, oppure no…” insinuò che fosse vergine.

Quella abbassò lo sguardo, a disagio; sembrò credergli, più calma: “Perché l’hai fatto?”

“Beh, a tua madre serviva una spinta, no? Eccola, è questa! Tua madre farà in modo che tu e Stacy non viviate più sotto lo stesso tetto, se te la giochi bene. Ora torniamo a Rosewood, ti porto alla centrale e racconteremo di come ti ho seguita, dopo aver visto che ti rapivano, e di come sei saltata giù dall’auto del tuo rapitore e io ti ho salvata. – spiegò come si spiega un gioco da nulla – Ovviamente dirai che non hai visto il volto di chi ti ha rapita e bla bla bla, la cosa verrà archiviata come tutte le altre cose che la polizia di Rosewood non è capace di risolvere.”

Chloe, totalmente senza parole, si limitò a spalancare la bocca, sconvolta: “Ma fai sul serio?”

“Ti consiglio di uscire dalla macchina e rotolarti un po’ nell’erba: scompigliati un pochino, altrimenti non sembrerà credibile la tua caduta dall’auto. – le sorrise, fancendole ancora un appunto – Ah, prego! E benvenuta a Rosewood!” continuò a sorriderle, indifferente a quella follia che aveva macchinato, mentre l’altra aveva un espressione letteralmente scioccata.

 

“Non immaginavo fosse malato fino a quel punto…” pensò Sam, profondamente turbato e incredulo.

“Nemmeno io, ma quello era niente a confronto di quello che ha fatto in quel bosco.”

“So di Rosewood-riservato, A ci ha accennato qualcosa. Siamo riusciti a parlare anche con un ragazzo di nome Quentin, è stato nel bosco dove Anthony l’ha portato e ci ha raccontato tutto.”

“Ha detto qualcosa su di me? – entrò nel panico - Sa che ero lì?”

“Se lo sapesse, non sarei così tanto sorpreso che tu fossi la complice, non credi? Me l’avrebbe detto di una biondina con i capelli corti che regge una telecamera.”

“Te l’ho detto, io e Clarke pensiamo che A sia qualcuno che Anthony ha portato in quel bosco, o magari un amico o un parente di chi ci è stato e che è in cerca vendetta. – condivise le sue ipotesi – Il giorno in cui ho letto quel messaggio sul tuo telefono e ho visto la firma di A, ho pensato che foste minacciati perché l’unico che si firmava così era Anthony; scriveva dei messaggi a quelle persone, firmandosi con la sua iniziale, poi le attirava in una macchina, le drogava e le portava nel bosco.”

“Sì, Quentin me l’ha raccontato.”

“Il punto è che non sospettavo di Anthony perché era morto, ma adesso mi viene da pensare che… possa essere lui A, visto che è vivo.” pensò, nonostante fosse confusa.

“No, non è lui. Quando io e miei amici abbiamo scoperto che era vivo, abbiamo ipotizzato che potesse essere A, ma molte cose non coincidevano: sarà malato, ma non ai livelli di A, credimi.”

“Ma allora chi è?”

“Non lo so, ma per il momento dobbiamo allontanarci da questa città.”

Sam osservò il suo telefono, poggiato sul cruscotto; i suoi amici erano alle prese con il rapimento di Clarke e ancora non avevano dato loro notizie. Nonostante, però, avesse scoperto che in realtà è Chloe la complice, Sam decise di non avvertirli dell’errore, sperando di guadagnare più tempo possibile per salvare la sua amica.

Improvvisamente, alle loro spalle, comparì un auto misteriosa, che iniziò a giocare con gli abbaglianti.

Chloe si voltò, era impossibile non notare ciò che quell’auto stava facendo: “Ma che diavolo...???”

Quella accellerò, allarmando anche Sam: “Non può essere… - osservò attraverso lo specchietto retrovisore – Credo sia A!”

“Ma come ha fatto a scoprire che stavamo lasciando la città??” non si spiegò Chloe.

A sa sempre tutto, è sempre un passo avanti a noi. – iniziò ad accellerare anche lui – Dobbiamo seminarlo.”

L’altra continuò ad osservare l’auto, terrorizzata, mentre A era intento a fare qualcosa.

“Sam, ha appena abbassato il finestrino, sta facendo uscire qualcosa!” lo avvertì.

“Sto andando il più veloce possibile, ma anche lui è veloce.”

I due non poterono aggiungere un'altra parola, una serie di proiettili iniziò a colpire la loro auto.

“Chloe, sta giù!” le urlò Sam, abbassando lui stesso la testa.

“Oh mio Dio, ma ci sta sparando!”

Sam cercò di mantenere la calma, spostando lo sguardo fra ciò che aveva davanti e lo specchietto retrovisore: “C’è un’uscita alla fine di questa strada, prendo quella e provo a seminarlo. Tu resta giù!”

“D’accordo!” esclamò quella, comprendosi la testa con le mani e tenendo gli occhi chiusi per la paura.

Sfortunatamente per loro, la seconda serie di colpi andò a segno su una delle ruote; Sam frenò bruscamente, finendo per ribaltarsi più volte sull’asfalto, distruggendo l’auto.

 

 

*

 

Intanto, Eric e Rider erano giunti nel bosco, trasportando Clarke sopra un piccolo carretto. Osservando la posizione esatta dell’ex covo di Anthony sul tablet, Rider non dovette fare un passo in più: di fronte a loro si poteva benissimo scorgere la recinzione di cui parlò Quentin.

“Siamo arrivati, dobbiamo entrare lì dentro…” disse ad Eric, cercando con gli occhi un ingresso.

“Facciamo in fretta, non vorrei che si svegliasse.” si preoccupò l’atro, affannato dal peso che stava trascinando.

Rider iniziò a camminare per conto suo, seguendo la recinzione per tutto il suo perimetro. Eric lo seguì, tirando il carretto, pieno di perplessità.

“Credi che A sia già arrivato?”

“Francamente, non ne ho idea. Questo posto è sconfinato.”

“Io ho freddo… - rabbrividì, osservando un gufo svolazzare al chiaro di luna – Dovremmo essere a casa nostra a scrivere una brillante lettera per il college, non qui.”

Rider si trovò perfettamente d'accordo, cedendo ad un attimo di tristezza: “A proposito, come va?”

“Sono stato rifiutato dalla maggior parte dei college a cui ho fatto domanda, tranne alla Dartmouth; quelli mi hanno ammesso con riserva, solo che non verrò mai amesso totalmente se la mia media dei voti continua a crollare vertiginosamente.” spiegò amareggiato.

Triste per lui, Rider cercò di dargli una parola di conforto: “Dai, ancora uno sforzo e saremo liberi di studiare, di dormire, di fare tutto quello che vogliamo. Solo un ultimo sforzo.”

Eric contemplò loro stessi in quella situazione così assurda, perdendo quel poco di fiducia che aveva: "Come andremo avanti dopo tutto questo? Nonostante sapremo che è finita, una parte di noi continuerà a credere che tutto possa ricominciare di nuovo. - scosse la testa, impaurito - Non voglio vivere per sempre così, aspettando che accada qualcosa da un momento all'altro."

L'altro sospirò; dentro di sé, condivideva perfettamente quei timori: "Non abbiamo alcuni tipo di scelta, Eric. O accettiamo che questa sarà la nostra vita o tanto vale prendere una stanza al Radley... - cercò di dargli coraggio - Dobbiamo conviverci, Eric... sperando che la storia non si ripeta da capo."

Eric annuì, estirpando le sue preoccupazioni una volta per tutte. Quando si voltò a guardare verso la recinzione, gli sembrò di notare un ingresso; subito sollevò la torcia, mostrando a Rider ciò che stava guardando.

"Quella mi sembra un'entrata!"

Rider puntò la sua torcia nella medesima direzione, trovandosi d'accordo: "Lo sembra anche a me."

I due iniziarono a tirare insieme il carretto per fare più in fretta. Quando raggiunsero l'entrata, si trovarono davanti ad un catenaccio arrugginito.

"Il lucchetto è aperto..." notò Rider, toccandolo con mano.

"A l'avrà lasciato aperto per noi. - pensò Eric, nuovamente irrequieto - E se Nat avesse ragione? E se fosse una trappola?"

"Non dobbiamo per forza inoltrarci in questo posto. Lasciamo Clarke e filiamo via."

"Magari uno di noi dovrebbe rimanere qui di guardia..." suggerì Eric, diffidente.

"Sì, forse hai ragione. - Rider si sentì diffidente allo stesso modo -  Allora vado io, mentre tu resti qui a fare il palo."

L'altro annuì, mentre Rider prendeva le redini del carretto, varcando con cautela la porta che l'avrebbe condotto all'interno di quel posto lugubre e misterioso.

 

~

 

Lungo l'autostrada ad est di Rosewood, l'auto di Sam era capovolta sull'asfalto, mentre il fumo si sollevava dalla vettura e i frammenti di vetro continuavano a staccarsi dai finestrini ormai distrutti.

A testa in giù, con le cinture di sicurezza che li teneva ancorati ai sedili, entrambi i ragazzi erano privi di sensi e il sangue colava dalle loro fronti.

Sam fu il primo a riaprire gli occhi, guardandosi attorno, realizzando dove si trovasse in quel momento; il panico lo assalì quando noto l'auto di A ferma a pochi passi da loro. L'uomo non tardò a scendere dalla vettura, avvicinandosi a piccoli passi; il respiro di Sam si fece sempre più rumoroso, terrorizzato.

A si fermò, ad un certo punto; Sam riusciva a vedere solo le sue gambe, da dove si trovava. Sempre più nel panico, provò a liberarsi, finché una luce non li investì entrambi, da lontano: stava arrivando un auto.

A, forse per paura, tornò in fretta alla sua auto, partendo a tavoletta. Qualche secondo più tardi, l'altra auto parcheggiò esattamente dove era parcheggiato A; il conducente scese e fece sentire la sua voce: era Wesam.

"Sam??" urlò, correndo in suo aiuto.

Riconoscendo la sua voce, Sam scoppiò in un pianto liberatorio, continuando a liberarsi dalla cintura che lo bloccava: "Wesam, tira fuori Chloe, sento odore di benzina! Aiutaci!" gli gridò.

Wesam si abbassò a terra, dov'era il finestrino di Sam; nel contempo notò la benzina che fuoriusciva veloce: "Adesso ti tiro fuori, stai calmo!"

"No, prima Chloe, VAI!" si oppose.

Wesam, però, non gli diede ascolto: "Chiudi la bocca, sto cercando di fare in fretta!" e si concentrò a liberarlo, entrando dalle portiere posteriori.

Nel giro di un minuto, Wesam riuscì a sganciare Sam, che sgattaiolò immediatamente fuori dalla macchina, accasciandosi a qualche metro di distanza, tossendo ripetutamente.

L'altro, intanto, aveva difficoltà a liberare Chloe, mentre il tempo stringeva.

In pensiero, Sam cercò di scorgere qualcosa, ma il fumo iniziò ad essere così ingombrante da compromettere la visuale.

"Wesam, dovete uscire! Dove sei? - urlò, in ansia - Dove se-"

Ma non poté completare la frase, che l'auto esplose in maniera clamorosa.

Sam fu letteralmente folgorato da un'ondata di calore, oltre che da una pioggia di vetri e pezzi di metallo. Quando si risollevò, aveva gli occhi letteralmente sbarrati dallo choc, convinto che Wesam e Chloe fossero morti; non riuscì quasi a respirare.

 

Scena finale

 

Due ore più tardi, A stava camminando nel bosco, di fianco alla recinzione. Raggiunse l'ingresso del covo di Anthony, dove non c'era nessuno; la porta, però, era aperta e il catenaccio era scivolato a terra; A lo raccolse, lo infilò nuovamente attraverso i due fori che c'erano e chiuse il lucchetto.

 

CONTINUA NEL DICIANNOVESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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