Apologia
dell’anno che fu
«Black
Russian?».
«Andata».
Mi
sento una maledetta alcolizzata. Ringrazio il cielo di avere un fegato buono,
merito del sangue sporco di Veneto che circola nelle mie vene, altrimenti non
saprei neppure reggermi in piedi. Non che mi riduca a ingurgitare drink e shottini ogni benedetta sera, ma una volta a settimana è
sufficiente per farmi sentire leggermente in colpa - nei confronti di cosa,
poi, non lo so.
Ho
il suo sguardo puntato addosso e so benissimo dove vuole andare a parare.
«Adesso dimmi che c’è» dice infatti, senza troppi giri di parole.
Sghignazzo.
Dio, quanto mi piace questa sensazione calda. «Rompi troppo» e intanto guardo
con disappunto il mio bicchiere, già vuoto per metà. «Non ne ho molta voglia».
All’alba
dei miei vent’anni, non avevo proprio intenzione di trascorrere la mia “gloriosa”
serata dalle sfumature patetiche tra una lamentela e l’altra. Che cosa posso
ordinare ancora, per festeggiare? Uno Screaming orgasm, anche se la panna non mi fa impazzire. Dipende se
qua sanno farlo come iddio comanda.
Lui
sa già come si sento: non c’è bisogno che io mi sfoghi, perché sarebbero
soltanto parole al vento. Però gli piace giocare allo psicologo - mica ha fatto
un liceo sociopsicomecacchiosichiama
per nulla - e mi ha ufficialmente adottata come sua paziente. Il mio cervello
abbonda di materiale su cui lavorare, ma anche di altrettanta spazzatura.
Anche
stasera spera, frugando, di trovare qualcosa di buono. Soprattutto stasera.
«Te
lo chiederò soltanto una volta ancora» sospira, sapendo benissimo di mentire.
«Che c’è?».
Che
bello, non c’è così tanta panna. Il barista non si è risparmiato, in fatto di vodka
e bayles. «C’è che dimostro vent’anni e me ne sento
addosso almeno il doppio» lo guardo e comincio a ridere. «C’è che è già volato
via un altro anno e so di non aver combinato nulla di buono».
Non
sono capace di “brillarmi”, tantomeno di ubriacarmi. Trovo che sia un’ottima
cosa: posso godermi i piaceri dell’alcol senza stare male. Mi piace
approfittare di questa situazione, poi, per parlare a briglia sciolta.
D’altronde la gente si aspetta solo questo, quando ti vede bere, no? E che cosa
c’è di meglio di parlare a un pubblico che, molto probabilmente, ricorderà
soltanto la metà di ciò che dici?
Bisogna
saper cogliere certe occasioni al volo, se ci si vuole liberare di certi pesi
scomodi.
«Avere
vent’anni fa proprio schifo. Inizia un conto alla rovescia» aggiungo con
disprezzo, perché io detesto avere il tempo contato sulla punta delle dita. «Mi
restano circa una decina di anni per realizzare tutti i miei desideri. Dico una
decina perché, di grazia, a trent’anni vorrei avere una famiglia e
possibilmente dei figli: sì, mi piace pensare in grande».
Niente
ciocche tristi, niente ciocche allegre. Mi piace raccontare
tutto quello che mi frulla nella testa nella maniera più asettica possibile e
queste serate sono l’ideale per farlo - ci penserà il maledetto ciclo della
prossima settimana a smontare tutta questa compostezza, quindi mi voglio godere
questi ultimi giorni di serenità.
Voglio
un altro bicchiere, ma il mio portafoglio me lo sconsiglia caldamente. Spero
con tutto il cuore che il barista abbia pietà e mi offra qualcosina. «Papà dice
sempre che guardo troppo in là, che dovrei affrontare una cosa alla volta,
senza costruirmi dei castelli mentali. Ha ragione: prima o poi mi crolleranno
addosso» faccio spallucce. «Purtroppo non so che farci. Vorrei smetterla, ma è
più forte di me. Intanto penso che mi restano soltanto nove anni circa e mi
viene l’angoscia. Ti rendi conto che quest’anno ho solo studiato per questa
cacchio di università? Non sono manco andata in vacanza. Ero così stressata per
la fine degli esami, che ho dovuto prendere del cortisone per sgonfiarmi gli
occhi».
Certo
che lo sa, ma vuole che glielo ripeta. Sembra uno di quei bambini che, ogni
benedetta sera, ti chiede di raccontargli la stessa favola. Che cosa ci sia di
così tanto curioso e interessante in ciò che dico, non lo so e non voglio neppure
saperlo.
L’importante
è che mi senta più leggera.
«Più
ci penso, più mi convinco di aver fatto la cosa giusta. Assurdo!» finalmente ho
catturato l’attenzione di chi sta dietro al bancone. Bene, i miei occhi ti
stanno chiaramente chiedendo del sano Cointreau. No,
per la miseria, non la sambuca: con quella ci correggo il caffè. «Ripenso a ciò
che ho fatto quest’anno e so che non avrei potuto fare altro. E tu giustamente
mi dirai come cacchio faccio a dirlo. Beh, allora dimmi che avresti fatto tu al
posto mio! Io non ho alcuna intenzione di finire fuori corso o di trascinarmi
dietro esami che mi fanno vomitare. Tolto il dente, tolto il dolore».
Con
un’eleganza degna di un lord inglese, aspetta che io finisca questo monologo
insensato. Dopodiché poggia sul bancone il suo black russian - ancora lì sta? - quasi vuoto, si toglie gli
occhiali e inarca le sopracciglia.
Con
le labbra sono già pronta a mimare ciò che sta per dirmi: «Ora che mi hai detto
tutto questo, che cosa ci hai guadagnato?».
Scoppio
a ridere e, in tutta risposta, gli rubo l’ultimo goccio di alcol.
«Assolutamente
niente».
Note
inutili che probabilmente nessuno leggerà:
Riproviamoci ancora una volta,
possibilmente con uno stile più decente e meno asfissiante. Ho deciso di
pubblicare ogni tanto piccoli pezzi di questo genere, ovvero degli sguardi
romanzati su quella che dovrebbe essere la mia vita. Lo stile ricalca
abbastanza il parlato, lo so, perciò perdonatemi qualche piccolo dialettalismo
qua e là.
Esercizi di stile, nulla di che: spero
siano stati di vostro gradimento, così riuscirò a portare avanti questo “progetto”
personale senza sentirmi troppo in colpa. Grazie per l’attenzione!